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Posai il ricevitore e guardai Wolfe. Quest’ultimo riattaccò a sua volta, poi disse: – Quella donna è una seccatrice. – Sissignore.

– Penso che dovremo darle corda.

– Sissignore. Oppure ucciderla.

– L’alternativa non è di mio gradimento. – Si alzò. – Signori, vi chiedo di scusarmi. Venite, Archie.

Si diresse verso l’atrio; mi alzai e lo seguii. Svoltò a sinistra ed entrò in cucina. Fritz era al tavolo grande, a tritare cipolle.

Wolfe chiuse la porta, poi si voltò a guardarmi. – E va bene. L’avete conosciuta. L’avete vista e le avete parlato. Che ne pensate?

– Dovrei gettare in aria una moneta, per rispondervi. Forse molte monete. Voi avete visto Jett e gli avete parlato. Siete in grado di dire che tipo è? Può darsi che Rita Sorell volesse semplicemente appurare se sapevamo già il nome dell’uomo, e in questo caso può darsi che abbia fatto il nome giusto, come può darsi di no. Un’altra possibilità: la telefonata di Rita era un SOS. Ha deciso che è stato Jett a uccidere Bertha Aaron, e ora ha paura che uccida anche lei. Oppure ama la giustizia al punto di sacrificare se stessa. Preferisco quest’ultima ipotesi.

– Pfui.

– D’accordo. Un’altra alternativa: l’uomo col quale Rita ha avuto un colloquio non era Jett, ma Edey o Heydecker, e lei tenta di confondere le acque. Tanto più che deve avere il dente avvelenato nei confronti di Jett, dopo quel famoso episodio. Nel caso che noi avessimo già saputo chi era l’uomo, poco male. In fondo, Rita parlava al telefono, non sul banco dei testimoni. Può sempre negare di aver parlato con me. Oppure…

– Basta così, per ora. Abbiamo altra scelta?

– Nossignore. Ve l’ho detto, quella donna è un gioiello.

Grugnì. Allungò la mano, prese un pezzo di cipolla, se lo mise in bocca e masticò. Quando l’ebbe inghiottito, domandò a Fritz: – Cipolle Ebenezer?

– No. Elite.

Wolfe si voltò verso di me: – In ogni caso, quella telefonata ha precipitato le cose. Anche se la signora Sorell ha tentato semplicemente di confondere le acque, non possiamo permetterci di supporre che non ha parlato con quell’uomo… o che non gli parlerà.

– Non può avergli parlato, a meno che non le abbia telefonato lui. Sono rimasti tutti e tre nell’ufficio del Procuratore Distrettuale per tutta la mattina.

Wolfe fece un cenno d’assenso. – In questo caso, quell’uomo saprà da noi come stanno le cose. Dovrete ritrattare quello che avete detto prima.

– Va bene. Conserviamo qualche particolare per noi?

– Non credo. Prima partiamo all’attacco, poi vedremo.

Si diresse verso l’atrio. Prima di entrare nello studio, ci giunse una voce: quella sottile di Edey. Ma al nostro apparire, si spense. Quando passai davanti ai due ultimi arrivati, Heydecker allungò di scatto un piede. Chissà, forse non aveva avuto intenzione di farmi lo sgambetto. Forse aveva voluto semplicemente cambiare posizione. Comunque, non caddi.

– Signori, il signor Goodwin ed io abbiamo deciso che meritate la nostra sincerità. Prima, al telefono, era la signora Sorell. Quello che ci ha detto ci ha convinti a…

– Avete detto Sorell? – domandò Heydecker. Aveva gli occhi sbarrati, come Edey, del resto. Evidentemente, Jett si controllava meglio.

– Ho detto Sorell – confermò Wolfe. – Archie?

Fissai Heydecker. – Se avesse telefonato venti secondi prima, non avrei sprecato inutilmente una bugia – dissi. – Prima di avvertire il signor Wolfe della visita della signorina Aaron, ho insistito per sapere la natura del caso che voleva sottoporci. E l’ho saputo. La signorina Aaron ha affermato di aver visto un socio dello studio Otis a colloquio con la signora Sorell, e ha aggiunto che la signora Sorell era la parte avversa di un vostro cliente, il marito, in un caso molto importante. La signorina Aaron ha penato in silenzio per una settimana, poi ha deciso di affrontare l’argomento con l’uomo in questione. Ieri pomeriggio, infatti, gli ha chiesto spiegazioni del suo colloquio con la signora Sorell e, siccome lui non ha saputo dargliele, ha deciso che era un traditore. Non ha voluto parlare della cosa con l’avvocato Otis, perché temeva che, essendo malato di cuore, potesse restare ucciso dalla notizia; non ha voluto parlarne neppure con gli altri membri dello studio, nel timore che potessero essere a loro volta dei traditori. E cosi, ha deciso di venire da Nero Wolfe.

Mi ero sbagliato, per quanto riguardava Jett. Ora anche lui aveva perso il controllo e mi guardava con la bocca spalancata.

Dopo qualche attimo, ritrovò la parola. – È impossibile! Non ci credo!

– Neanch’io – disse Edey, con la vocetta ridotta a una specie di squittio.

– Volete darci a intendere – domandò Heydecker – che Bertha Aaron sarebbe venuta da un estraneo a chiedere aiuto per una storia che, se resa nota, avrebbe danneggiato gravemente gli interessi del nostro studio?

Wolfe sbottò: – Non vi permetto di fare un controinterrogatorio, avvocato Heydecker. Poco fa vi ho lasciato parlare, ma ora basta. Se esistono delle domande da rivolgere, sarò io a rivolgerle. In quanto alla “bona fìdes” del signor Goodwin, vi comunico che ha firmato una deposizione per la polizia, e non essendo uno sciocco…

– La polizia? – squittì Edey. – Santo Cielo!

– È assolutamente incredibile – dichiarò Jett.

Wolfe ignorò l’interruzione. – Ho permesso all’avvocato Otis di leggere una copia della deposizione, quando è venuto qui, ieri sera. A sua volta, l’avvocato mi ha promesso di non divulgare il contenuto fino alle dieci di domani mattina… Per quell’ora, avrò deciso quale azione intraprendere per smascherare il colpevole. Vi comunico che sia la polizia, sia io, siamo convinti che il colpevole non possa essere altri che l’uomo accusato di tradimento dalla signorina Aaron. Evidentemente, la polizia ha preferito non rivelare il contenuto della deposizione del signor Goodwin. D’altra parte, l’avevo preferito anch’io, fino a pochi minuti fa. Ora, però, ho cambiato idea, perché la signora Sorell ha fatto il nome del membro del vostro studio che ha avuto un colloquio con lei. L’ha fatto al telefono, poco fa. Si tratta di uno di voi.

– Non può essere vero – guai Edey. – È un incubo!

Heydecker balbettò: – Osate insinuare…

– No, avvocato Heydecker. – Wolfe appiatti il palmo della mano sul ripiano della scrivania. – Non sono disposto a sottopormi al vostro interrogatorio. Sarò io a decidere quali fatti rendere noti e quali no. Non insinuo niente. Mi limito a esporre la cronaca degli avvenimenti. Ho dimenticato di dirvi che la signorina Aaron non aveva fatto il nome dell’uomo che aveva visto a colloquio con la signora Sorell. Ora la signora Sorell si è decisa a parlare, ma non sono convinto della sua sincerità. Il signor Goodwin è andato a trovarla, stamattina, e l’ha giudicata un tipo dotato di una certa dose di astuzia. Non ho intenzione di rivelarvi il nome fatto dalla signora Sorell, e questo metterà uno di voi sotto una pressione che a poco a poco diventerà senz’altro insopportabile.

La pressione era già insopportabile, ma per tutti e tre. Si scambiavano occhiate, e non erano certo occhiate di simpatia, né di solidarietà. In un caso come quello, l’idea di cui ho parlato prima avrebbe dovuto funzionare a meraviglia. Invece, niente. Due di loro sospettavano veramente degli altri, e uno fingeva di sospettare, ma ci sarebbe voluto uno psicologo migliore di me, per capire qual era quello che fingeva. Migliore perfino di Wolfe, i cui occhi, ridotti a una fessura sottilissima, osservavano attentamente la scena.

– La supposizione più ovvia – continuò Wolfe, alla fine – è che uno di voi abbia seguito la signorina Aaron, ieri, quando è uscita dallo studio. Vedendo che la signorina entrava qui, è stato colto dal panico, ha cercato sulla guida telefonica il mio numero, e ha chiamato questa casa. Essendo assente il signor Goodwin, ha risposto la signorina Aaron, e ha accettato di far entrare quell’uomo. Se…

– Ma è stato per puro caso, che la signorina era sola – interloquì Edey, quello dalle idee brillanti. – come spiegate…?

– Pfui. Non ho intenzione di rispondere a delle domande, avvocato, né di risolvere gli indovinelli per voi. Con le vostre menti legali, dovete giungere alla soluzione da soli. Ora mi rivolgo a quello di voi che ha ucciso la signorina Aaron: se aveste potuto essere identificato da un’indagine sui vostri movimenti di ieri, la polizia vi avrebbe già scoperto e preso in custodia. Tutte le dichiarazioni rilasciate da voi e dal personale dello studio sono state, o saranno, controllate da una squadra di agenti addestrati ed esperti. Ma dato che la polizia non ha voluto rivelarvi il contenuto della deposizione del signor Goodwin, dubito che vi abbia domandato come avete passato il vostro tempo otto giorni fa, e cioè lunedì della scorsa settimana.

– Perché avrebbero dovuto domandarcelo? – chiese Jett.

– Perché è stato lunedì scorso che uno di voi si è incontrato con la signora Sorell, ed è stato visto dalla signorina Aaron. Ve lo chiederò io, ma prima voglio parlarvi di un accordo che ho fatto ieri sera con l’avvocato Otis. In cambio delle informazioni fornitemi, ho promesso a Otis che cercherò di minimizzare il più possibile i danni alla reputazione dello studio legale, il giorno in cui smaschererò il colpevole. Questo accordo dovrebbe interessare anche i due di voi che non hanno avuto niente a che fare con l’omicidio. E ora, cominciamo da voi, signor Jett. Come avete trascorso la sera di lunedì ventinove dicembre, diciamo dalle sei del pomeriggio a mezzanotte?

Gli occhi di Jett non erano più sognanti, ora. Si erano incollati al volto di Wolfe da quando quest’ultimo aveva preso la parola, e non si erano più mossi.

– Se quello che avete detto è vero – sbottò – inclusa la telefonata della signora Sorell, il danno al nostro studio è già stato fatto, e voi non potrete minimizzarlo in alcun modo.

– Posso tentare. E ho intenzione di farlo.

– Come?

– Risolvendo le questioni man mano che si presenteranno.

Intervenne Heydecker: – Avete detto che l’avvocato Otis è al corrente di tutta la storia? È stato qui, ieri sera?

– Sì. Non sono un pappagallo, signor Heydecker, e voi non siete sordo. Signor Jett? Come avete passato la sera di lunedì scorso?

– Sono andato a teatro, con un’amica.

– Il nome di quest’amica?

– Ann Paige.

– Il nome del teatro?

– Il “Drew”. La commedia si chiamava “Sbagliando s’impara”. La signorina Paige ed io abbiamo lasciato lo studio insieme, subito dopo le sei, abbiamo cenato al “Rusterman” e poi siamo andati a teatro. Siamo rimasti insieme fino a mezzanotte.

– Grazie. Signor Edey?

– Era il lunedì precedente all’ultimo dell’anno, vero? – disse Edey. – Sono arrivato a casa prima delle sei, ho cenato e non mi sono più mosso.

– Solo?

– No. C’erano mio figlio, sua moglie e i loro due bambini. Mio figlio, mia nuora, mia figlia e mia moglie sono andati a teatro, dopo cena, e io sono rimasto a casa con i bambini.

– Quanti anni hanno i bambini?

– Due e quattro.

– Dove abitate?

– Nella Novantanovesima Strada, all’angolo con Park Avenue.

– Non siete uscito per tutta la serata?

– No.

– Grazie. Signor Heydecker?

– Ero al Manhattan Chess Club, ad assistere al torneo di scacchi. Bobby Fischer era alla sua cinquantottesima mossa, nella partita contro Weinstein.

– Dove si trova il Manhattan Chess Club?

– Nella Sessantaquattresima Strada.

– Ci siete andato alle sei?

– No. Ero rimasto in tribunale per tutto il giorno, e avevo delle pratiche da sbrigare allo studio. Io e la mia segretaria abbiamo cenato con un paio di panini, continuando a lavorare.

– A che ora avete lasciato lo studio?

– Verso le otto. La mia segretaria potrà dirvi l’ora esatta.

– A che ora siete arrivato al circolo degli scacchi?

– Una ventina di minuti dopo che avevo lasciato lo studio. – Heydecker balzò in piedi. – Tutto questo è ridicolo! – dichiarò. – Può anche darsi che abbiate ragione, Wolfe. Non lo so. Ma se avete ragione, che Dio ci aiuti. – Si voltò. – Vado da Otis. Vieni, Frank?

L’uomo dalle idee brillanti, a giudicare dall’espressione del suo viso, non aveva più idee. Tirò indietro i piedi, mosse lentamente la testa da parte a parte, poi si alzò. Non chiesero al socio all’undici per cento di unirsi a loro.

Ero nell’atrio ed aiutavo Edey a infilarsi il cappotto, quando arrivò anche Jett, che fu il primo a uscire, senza neppure salutarmi.

Rimasi fuori dell’uscio, a respirare una boccata d’aria buona, e li seguii con gli occhi, mentre si dirigevano verso la Nona Avenue: un bel gruppetto di solidarietà e amore professionale. Se non l’avete capito, sto facendo dello spirito.

Nello studio, Wolfe era adagiato contro lo schienale della poltrona e aveva gli occhi chiusi. Quando raggiunsi la mia scrivania, squillò il telefono. Era Saul Panzer; mi comunicò che la signora Sorell non si era vista. Riferii a Wolfe, e gli domandai se voleva sguinzagliare Saul e compagni sugli alibi dei tre avvocati.

Wolfe rispose semplicemente: – Pfui.

Dissi a Saul di restare di guardia all’abitazione della signora Sorell, e riattaccai.

Mi voltai a guardare Wolfe. – Temevo – dissi – che foste tanto disperato da voler controllare gli alibi di quei tre. È interessante il numero di modi diversi di risolvere un caso. Dipende da chi lo risolve. Se si tratta di un investigatore ad alto livello, come me, per esempio, non resta che investigare. A volte, si preferisce controllare un alibi piuttosto che mangiare. Quando si chiede a un uomo come ha passato il tempo dalle undici alle undici e dieci, si trascrive la risposta sul taccuino, poi si parte all’attacco, alla ricerca di qualcuno che ci dica che ha mentito. Ma se è un genio, a risolvere un caso, non gliene importa un accidente, degli alibi. Chiede agli indiziati come hanno passato il loro tempo, ma solo per fare due chiacchiere. Non ascolta neppure…

– Sciocchezze – grufolò. – Non hanno nessun alibi.

Annuii. – Non avete ascoltato neppure…

– Ho ascoltato benissimo. I loro alibi non valgono un accidente. Uno era con la sua fidanzata, l’altro assisteva a un torneo di scacchi, un altro era a casa con due bambini addormentati. Puah! L’ho domandato nella speranza che uno di loro, magari due, potessero essere eliminati. Invece niente. Sono ancora in tre.

– Allora non vi resta che usare iì vostro genio. A meno che non vogliate mandarmi a portare un altro biglietto alla signora Sorell. Non mi dispiacerebbe. Adoro il suo modo di dire “molto”.

– Non ne dubito. Potreste ottenere qualcosa da lei?

– Tentare non nuoce. Chissà che non la convinca a prendere un’altra decisione… magari quella di firmare una deposizione. Oppure, se pensa di assumervi, potrei portarla qui, in modo che tocchi a voi convincerla. Ha delle ciglia meravigliose. Lunghe e…

Grugni. – Ne riparleremo dopo colazione. Può darsi che quando avranno parlato con l’avvocato Otis, quei tre… Si, Fritz?

– La colazione è pronta, signori.

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