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Mi sbagliai. Non appena li vidi attraverso lo spioncino, capii chi erano, ma scambiai le etichette. Pensai che il tipo massiccio, dalle spalle quadrate, in soprabito di panno azzurro attillato alla vita e cappello di feltro, fosse Edey, di cinquantacinque anni; e che l’omarino in cappotto scuro fosse Heydecker, di quarantasette. Ma quando aprii la porta e quello in soprabito di panno chiese di vedere Nero Wolfe, ed io domandai con chi avevo il piacere, lui rispose: – Questo signore è l’avvocato Frank Edey, ed io sono Miles Heydecker. Siamo…
– Lo so benissimo, chi siete. Accomodatevi.
Dato che la precedenza va ai più anziani, aiutai Edey a sbarazzarsi del cappotto, mentre Heydecker faceva da solo. Poi li condussi nella stanza centrale e li pregai di mettersi a sedere.
Se avessi aperto la porta di comunicazione con lo studio, avrebbero potuto sentire la voce di Jett, ed era inutile che Jett si fidasse della discrezione di Wolfe se poi non poteva fidarsi della mia. Perciò tornai nell’atrio, entrai nello studio da quella parte, andai alla mia scrivania, presi un ”foglio di carta, scrissi “Edey e Heydecker” e porsi il foglio a Wolfe.
Wolfe lesse i due nomi, poi sollevò lo sguardo su Jett.
– Siamo in un vicolo cieco. Voi vi rifiutate di rispondere a ulteriori domande se prima non vi avrò mollato la deposizione, ed io non sono disposto ad accettare le vostre condizioni. Sono arrivati il signor Edey e il signor Heydecker. Preferite restare o andare?
– Edey? – Jett si alzò. – Heydecker? Qui?
– Si. Non avevano fissato un appuntamento e non erano stati invitati. Se volete, potete andarvene di nascosto, senza che vi vedano.
A quanto pareva, Jett non voleva niente, all’infuori della possibilità di vedere la mia deposizione. Non voleva andare e non voleva stare. Quando fu chiaro che non avrebbe deciso niente, né in un senso, né nell’altro, Wolfe prese in mano le redini della situazione, facendomi un cenno con la testa.
Andai ad aprire la porta che dava nella stanza centrale e invitai i nuovi venuti ad accomodarsi. Poi mi feci da parte, osservando la loro sorpresa nel vedere Jett, il modo in cui salutarono Wolfe e l’espressione dei loro sguardi. Non sono mai riuscito a togliermi di mente l’idea che quando ci si trova in una stanza con tre uomini, e si è sicuri che uno di loro ha commesso un omicidio, soprattutto quando l’ha commesso nella stessa stanza solo diciotto ore prima, basta guardare attentamente per capire quale dei tre è il colpevole. So per esperienza che l’idea non vale un accidente, che quando sembra di aver colto un segno premonitore in genere si sbaglia, ma non sono mai riuscito a togliermela dalla mente.
Ero tanto occupato a osservare quei tre, che non tornai alla scrivania se non dopo che Jett si fu seduto di nuovo nella poltrona di pelle rossa e gli altri due sulle poltroncine gialle, di fronte alla scrivania di Wolfe.
Heydecker, quello massiccio con le spalle larghe, disse, guardando Jett:
– Siamo venuti a chiedere informazioni, e penso che anche tu sia qui per la stessa ragione, Greg. A meno che il Procuratore Distrettuale non ti abbia detto più di quanto non abbia detto a noi.
– Non so niente di niente – rispose Jett. – Non sono riuscito nemmeno a parlare con Howie, il vice Procuratore Distrettuale, che era mio compagno di scuola. Non hanno risposto alle mie domande, ma in compenso me ne hanno rivolte parecchie, la maggior parte delle quali indelicate e poco corrette, sui nostri affari e sui nostri clienti. Naturalmente, ho risposto solo a quelle pertinenti: com’erano i miei rapporti con Bertha Aaron e come ho passato il mio tempo ieri pomeriggio. Mi hanno chiesto anche come hanno passato il tempo gli altri, se qualcuno aveva parlato a lungo con Bertha e, soprattutto, se qualcuno era uscito con lei o subito dopo di lei. Evidentemente, sono convinti che Bertha sia stata uccisa da uno dello studio, ma non dicono perché… O almeno, a me non l’hanno detto.
– Neanche a me – esclamò Edey. Edey era un omarino di tipo tascabile, e aveva una vocetta sottile che gli stava a pennello.
– Neanche a me – dichiarò Heydecker. – Wolfe che cosa ti ha detto?
– Non molto. Ero appena arrivato… – Jett guardò Wolfe.
Wolfe non lo deluse. Si schiarì la gola. – Suppongo che siate venuti con lo stesso scopo del signor Jett, il quale mi ha domandato informazioni atte a far luce sui fatti, in particolar modo sulla ragione della visita della signorina Aaron. Date le circostanze…
Heydecker lo interruppe: – Proprio cosi. Perché la signorina Aaron è venuta da voi?
– Vi prego. Date le circostanze, l’avvocato Jett suppone che la signorina Aaron sia stata uccisa perché era qui. Evidentemente, l’assassino voleva impedirle di rivelarmi quello che la preoccupava. Come ipotesi, è plausibile. Sono sicuro, comunque, che la polizia e il Procuratore Distrettuale non vi abbiano nascosto “tutti” i particolari. Vi avranno certo detto, per esempio, che la signorina Aaron non ha parlato con me.
– No – esclamò Edey. – A me non l’hanno detto.
– Neanche a me – aggiunse Heydecker.
– Allora ve Io dico io. La signorina Aaron era venuta senza appuntamento. Il signor Goodwin l’ha fatta entrare. La signorina ha chiesto di vedermi, per parlare con me di ima questione confidenziale. Io ero occupato altrove, al piano superiore, e il signor Goodwin è salito per avvertirmi della sua visita. Avevamo n n affare delicato da discutere, e siamo scesi solo dopo avere sviscerato l’argomento in modo soddisfacente. Arrivati qui, abbiamo trovato il cadavere della signorina Aaron.
Indicò un punto ai piedi di Heydecker. – Là. Ecco perché la signorina non ha potuto dirmi che cosa l’aveva spinta a venire da me: non l’ho mai vista viva.
– Allora non capisco – dichiarò. Il cervello dell’uomo dalle idee brillanti cominciava a lavorare. – Se la signorina Aaron non ha potuto dirvi la ragione della sua visita, voi non avete potuto dirlo alla polizia ne al Procuratore Distrettuale. Ma se le autorità non sanno perché la signorina è venuta da voi, come fanno a pensare che sia stata uccisa da uno del nostro studio? Potrebbero avere avuto l’informazione da qualcun altro, obbietterete. Ma cosi presto? Hanno cominciato a interrogarmi alle sette di stamattina. E dalle domande che mi hanno rivolto, mi è parso che non si limitassero a considerare la cosa come una semplice ipotesi, ma come una certezza.
– Altro che! Non ci sono dubbi – intervenne Heydecker. – Signor Goodwin, siete stato voi a fare entrare Bertha Aaron. Era sola? – Ecco la domanda dell’avvocato specialista in arringhe e in controinterrogatori.
– Si. – Dato che non eravamo in tribunale, lasciai perdere il “signore”.
– Non avete visto nessun altro, nelle vicinanze? Davanti alla casa, per esempio?
– No. Ma naturalmente era buio. Erano le cinque e venti. Il giorno cinque di gennaio il sole tramonta alle quattro e quarantasei. – Accidenti, non sarebbe riuscito a mettermi con le spalle al muro! Ero furbo, io!
– L’avete fatta accomodare in questa stanza?
– Sì.
– E magari avete lasciato aperta la porta d’ingresso.
– No.
– Ne siete certo?
– Sì. Se ho un’abitudine fissa, e quasi automatica, è quella di chiudere le porte e di assicurarmi che siano chiuse.
– Le abitudini che diventano automatiche sono pericolose, signor Goodwin. A volte, tradiscono. Quando avete accompagnato la signorina Aaron in questa stanza, vi siete messo a sedere?
– Sì.
– Dove?
– Esattamente dove sono ora.
– E la signorina, dove si è seduta?
– Circa dove siete voi. Mezzo metro più vicino a me.
– Che cosa vi ha detto?
– Che voleva parlare con Nero Wolfe per una questione urgente. No, questo l’ha detto quando è arrivata. Qui, ha detto che il suo caso era privato e molto confidenziale.
– Ha usato il termine “caso”?
– Sì.
– Che altro ha detto?
– Che si chiamava Bertha Aaron e che era la segretaria privata dell’avvocato Lamont Otis, socio anziano dello studio legale Otis, Edey, Heydecker e Jett.
– E poi?
Naturalmente, lo sapevo fin dal principio che sarebbe arrivato il momento di mentire; decisi che era arrivato.
– Niente – risposi.
– Assolutamente niente?
– Proprio cosi.
– Siete il braccio destro di Nero Wolfe. Il vostro principale era occupato altrove. Volete darmi a intendere che non avete insistito per conoscere la natura del caso della signorina Aaron, prima di andare ad avvertire Wolfe della sua visita?
Suonò il telefono. – Se volete crederci, credeteci, altrimenti fate voi – dissi, poi sollevai il ricevitore. – Qui lo studio di Nero Wolfe. All’apparecchio, Archie Goodwin.
Riconobbi la voce. – Sono Rita Sorell, signor Goodwin. Ho deciso…
– Restate in linea, per favore. Un attimo. – Premetti la mano sul microfono e dissi a Wolfe: – La donna alla quale avete inviato quel messaggio. Quella che ha detto che sono bello.
Fece un cenno d’assenso e sollevò il ricevitore del telefono posato sulla sua scrivania. Io rimasi al mio apparecchio e, quando lui mi ebbe fatto un cenno d’assenso, domandai a Rita: – Avete deciso, allora?
– Ho deciso semplicemente che mi conviene dirvi quello che volevate sapere stamattina, quando siete venuto da me. Ho deciso anche che siete troppo intelligente: avete scritto su quel biglietto la vera ragione della vostra visita, ma poi non me ne avete parlato. Come tattica, mica male! Quando avete detto di aver inventato tutto, per incuriosirmi e spingermi a ricevervi… be’, non pensavate che vi avrei creduto, vero? Siete troppo intelligente, per me. Perciò, tanto vale che confessi, visto che lo sapete già. È vero, sono stata a colloquio con un uomo in una latteria, una sera della scorsa settimana… che giorno era?
– Lunedì.
– Giusto. Lunedì. E volete sapere chi era quell’uomo, vero?
– Sarebbe utile.
– Voglio esservi utile. Siete “mollo” bello. Quell’uomo si chiama Gregory Jett.
– Grazie mille. Se volete…
Aveva riattaccato.