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Il nostro nome è Trotta. La nostra casata è originaria di Sipolje, in Slovenia. Casata, dico; perché noi non siamo una famiglia. Sipolje non esiste più, da tempo ormai. Oggi, insieme con parecchi comuni limitrofi, forma un centro più grosso. Si sa, è la volontà dei tempi. Gli uomini non sanno stare soli. Si uniscono in assurdi aggruppamenti, e soli non sanno stare neanche i villaggi. Nascono così entità assurde. I contadini sono attratti dalla città e gli stessi villaggi aspirano per l'appunto a diventare città.

Tuttavia ho conosciuto Sipolje, quand'ero ragazzo. Una volta mio padre mi ci portò, un diciassette agosto, la vigilia di quel giorno in cui in tutta la monarchia, anche nei paesi più piccoli, si festeggiava il compleanno dell'imperatore Francesco Giuseppe I. Nell'odierna Austria e negli ex territori della Corona saranno ormai poche le persone nelle quali il nome della nostra casata risvegli una qualche memoria. Però è registrato negli annali ormai dimenticati del vecchio esercito austro-ungarico, e confesso che ne sono orgoglioso, proprio perché quegli annali sono dimenticati. Io non sono un figlio del mio tempo, anzi, mi riesce difficile non definirmi addirittura suo nemico. Non che io non lo capisca, come tante volte sostengo. Questa è solo una scusa di comodo. Per indolenza, semplicemente, non voglio essere aggressivo o astioso, e perciò dico che una cosa non la capisco quando dovrei dire che la odio o la disprezzo. Ho l'orecchio fine, ma faccio il sordo. Mi pare più elegante fingere un difetto che ammettere di aver sentito rumori volgari.

Il fratello di mio nonno era quel semplice Sottotenente di fanteria che nella battaglia di Solferino salvò la vita all'imperatore Francesco Giuseppe. Al sottotenente fu conferito un titolo nobiliare. Per lungo tempo nell'esercito e nei libri di lettura della imperial-regia monarchia egli fu chiamato l'eroe di Solferino, finché, com'era suo stesso desiderio, calò su di lui l'ombra dell'oblio. Dette le dimissioni. È sepolto a Hietzing. Sulla sua lapide sono incise le semplici e fiere parole: «Qui riposa l'eroe di Solferino».

La grazia dell'imperatore si estese anche al figlio, che diventò sottoprefetto, e al nipote, sottotenente dei cacciatori caduto nell'autunno del 1914 nella battaglia di Krasne-Busk. Io non ho mai visto né lui, né nessun altro del ramo nobile della nostra casata. I Trotta nobili erano diventati devoti servi umilissimi di Francesco Giuseppe. Mio padre invece era un ribelle.

Era ribelle e patriota, mio padre: una specie che è esistita solo nella vecchia Austria-Ungheria. Voleva riformare l'impero e salvare gli Asburgo. Aveva inteso troppo bene il senso della monarchia austriaca. Si rese dunque sospetto e dovette fuggire. Andò, in gioventù, in America. Era chimico di professione. A quell'epoca c'era bisogno di gente come lui nei colorifici, in grande sviluppo, di New York e Chicago. Finché era stato povero aveva avuto solo nostalgia dell'acquavite di grano. Ma quando infine si arricchì, cominciò ad avere nostalgia dell'Austria. Ritornò sui suoi passi. Si stabilì a Vienna. Aveva denaro, e alla polizia austriaca piacevano le persone che hanno denaro. Non solo non ebbe fastidi, ma dette addirittura l'avvio a un nuovo partito sloveno e comprò due giornali di Zagabria.

Si procurò amicizie influenti nella cerchia più intima dell'arciduca, erede al trono, Francesco Ferdinando. Mio padre sognava un regno slavo sotto il dominio degli Asburgo. Sognava una monarchia degli austriaci, degli ungheresi e degli slavi. E a me, che sono suo figlio, sia concesso dire a questo punto che, se mio padre fosse vissuto più a lungo, m'immagino che avrebbe potuto forse cambiare il corso della storia. Invece morì, circa un anno e mezzo prima dell'assassinio di Francesco Ferdinando. Io sono il suo unico figlio. Nel testamento mi aveva nominato erede delle sue idee. Non per nulla mi aveva fatto battezzare col nome di Francesco Ferdinando. Allora, però, io ero giovane e sciocco, per non dire: sconsiderato. Frivolo, in ogni caso. Vivevo allora per così dire alla giornata. No! Non è esatto: io vivevo alla nottata; di giorno dormivo.