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Una volta alla settimana il dottor Faux prendeva il traghetto per Tangier Island, dove dedicava il proprio tempo e la propria professionalità a gente che non disponeva di medici, dentisti o veterinari. Il suo scopo nella vita, diceva spesso, era aiutare i più deboli, i pescatori e le loro famiglie, ignari delle manovre truffaldine che il dentista escogitava per imbrogliare il servizio sanitario della Virginia.

Il dottor Faux era convinto che i dentisti non potessero fare altro che incrementare le loro entrate ai danni dello Stato e credeva sinceramente che sottoporre gli isolani a cure inutili o fasulle fosse giusto, alla luce dei sacrifici che faceva lui. Chi altri si sarebbe occupato di quell’isola dimenticata da Dio e dagli uomini, altrimenti? Nessuno, come ricordava a tutti quelli che curava o faceva finta di curare. Sistemò la lampada e spostò lo specchietto intorno ai molari di Fonny Boy.

«Ahi, ahi, ahi» commentò il dottore decidendo che il dente che aveva appena otturato andava devitalizzato. «Ti ho sempre raccomandato di smetterla con le bibite zuccherate. Quante ne bevi al giorno? Di’ la verità.»

Fonny Boy alzò cinque dita mentre il dottor Faux si voltava verso la finestra da dove vide donne e bambini che gettavano secchiate d’acqua su una misteriosa striscia di pittura sull’asfalto.

«Troppe!» lo rimproverò. Fonny Boy aveva quattordici anni, era alto e allampanato, con i capelli spettinati e schiariti dal sole, e aveva la strana abitudine di girare per le spiagge con un bastone o una rete non per cercare granchi, ma tesori. «Evidentemente, hai i denti delicati» continuò il dottor Faux, ripetendo quel che diceva a tutti gli abitanti dell’isola. «Dovresti bere bibite senza zucchero e, ancora meglio, acqua.»

Fonny Boy ci passava la vita dentro e circondato dall’acqua: per lui berla sarebbe stato come per un contadino mangiare la terra.

«Non posso» replicò. Faceva fatica a parlare perché aveva le labbra e la lingua ingrossate dopo l’anestesia. «Sono talmente gonfio che rischio di soffocare.»

«Hai mai provato a bere l’acqua minerale? Magari gassata o aromatizzata alla menta?» Il dottor Faux continuava a guardare fuori della finestra. «Perché quell’aereo sta volando qua sopra? E chi è quel vigile bagnato fradicio con una latta di pittura e una bottiglia di Evian che stanno rincorrendo giù per la strada? Be’, già che ti ho fatto l’anestesia, tanto vale che ti regoli l’apparecchio.»

Si fermò a scrivere una serie di codici e appunti sulla cartella di Fonny Boy, che era spessa come un libro.

«No!» protestò il ragazzo. «Poi mi duole tutta la bocca. L’apparecchio va benissimo così, a parte gli elastici che saltano continuamente e senza motivo alcuno.»

Fonny Boy non avrebbe voluto portare l’apparecchio. Così come non avrebbe voluto che il dottore gli estraesse quattro denti assolutamente sani nel corso di quell’ultimo anno. Fonny Boy odiava andare dal dentista e spesso si lamentava con i suoi genitori che il dottor Faux era un pirata.

«Mi ha fatto vedere una foto della sua automobile» aveva detto a suo padre qualche giorno prima. «Una Merk nera, enorme. E pare che anche sua moglie ne abbia una, ma di colore diverso. Come può permettersi auto così costose se a noi non chiede mai denaro?»

Era una domanda intelligente, ma nessuno prendeva mai sul serio Fonny Boy. I suoi vicini e gli insegnanti lo trovavano buffo e un po’ strano, e si raccontavano l’uno con l’altro storielle sulle sue scorribande lungo la spiaggia alla ricerca di tesori nascosti e sul suo amore incontrollabile per la musica.

“Giuro” Fonny Boy aveva sentito dire da sua zia Ginny Crockett una domenica dopo la preghiera. “Crede che a furia di cavare sabbia troverà un baule pieno di monete d’argento. Ah! la sua povera madre è sempre lì a rabbuffarlo, e non mi sento di darle colpe. Ha fatto tutto quello che poteva per quel figliolo. E, comunque, se la smettesse di suonare quella sua armonica a bocca saremmo tutti più contenti.”

“Oh, Gesù, Giuseppe e Maria, se la porta dietro ovunque vada! Suona proprio una bella musica, te lo dico io” aveva esclamato l’amica di Ginny, intendendo esattamente il contrario perché nessuno sopportava gli scempi dissonanti che Fonny Boy produceva.

“Suo padre dovrebbe dargliele di santa ragione, invece di andarne tanto fiero” replicò Ginny, che in quel caso invece intendeva dire proprio quello, perché il padre di Fonny Boy era convintissimo che suo figlio fosse l’invidia di tutta l’isola.

«Appena toglieremo l’apparecchio» proseguì il dottor Faux infilandosi un nuovo paio di guanti che avrebbe poi fatturato per tre volte il suo valore «ti incapsulerò questi otto denti davanti. Adesso ti faccio il prelievo. Okay?» Il dottor Faux aveva scoperto che vendere sangue a sedicenti ricercatori che studiavano la mappa genetica delle popolazioni endogame rendeva molto bene.

«No!» Fonny Boy saltò sulla poltrona aggrappandosi ai braccioli con tanta forza che gli sbiancarono le nocche delle dita.

«Non ti preoccupare, Fonny Boy. Userò leghe pregiate e ti regalerò un sorriso da un milione di dollari!»

In quel momento squillò il vecchio telefono nero dell’ambulatorio, che risaliva ai tempi in cui i fili del telefono erano rivestiti di stoffa. Non si sentiva niente.

«Ambulatorio medico» rispose Faux.

«Vorrei parlare con Fonny Boy» rispose una voce maschile scarsamente udibile fra i crepitii e i fischi della linea disturbata. «C’è?»

«È lei, Hurricane?» chiese il dentista al padre del ragazzo, che veniva chiamato così a causa del suo caratteraccio. «Deve venire per il controllo e la pulizia dei denti. Così, intanto, le faccio un prelievino.»

«Mi passi Fonny Boy, prima che vada in bestia!»

«È per te» disse il dottor Faux al suo paziente.

Fonny Boy si alzò dalla poltrona e prese in mano la cornetta, allontanando una mosca letargica. «Pronto?»

«Ascoltami bene, serra la porta a chiave!» intimò il padre di Fonny Boy con la massima urgenza. «Non lasciarlo uscire! In talune occasioni fare il bastian contrario è giusto, figlio mio. L’ostinazione, a volte, è l’unica arma che ci resta. Quel dentista t’ha massacrato di nuovo?»

«Eh già, non mi ha fatto niente!» rispose Fonny Boy, intendendo naturalmente tutto il contrario, e cioè che il dentista gli aveva rovinato la bocca un’altra volta.

«Sursum corda, sangue del mio sangue» cercò di risollevarlo il padre. «Gli daremo una dose della sua stessa medicina. Così imparerà a tormentarci e approfittare di noi. Stiamo uniti, ragazzo, e acqua in bocca. Tutto è bene quel che finisce bene.»

«Che Dio ci benedica!» esclamò Fonny Boy chiudendo la porta con la chiave appesa dietro a un quadro di Gesù circondato da agnellini.

Non aveva ben chiaro il motivo per cui bisognava tenere il dottor Faux prigioniero dentro il suo stesso ambulatorio, ma sapeva che quel macellaio se lo meritava. E, comunque, si sarebbe trattato di un piacevole diversivo rispetto al solito tran tran. Tangier Island era piuttosto noiosa per i giovani e Fonny Boy sognava di trovare un tesoro e di andarsene per sempre. Sbirciò fuori della finestra e vide un gruppo di pescatori che marciavano lungo la strada in formazione militare, alcuni armati di remi di legno e rastrelli per ostriche.

«Si segga su quella poltrona e faccia attenzione a non cadere!» ordinò Fonny Boy al dentista.

«Ti ci devi sedere tu, adesso» gli ricordò il medico. «Devo ancora toglierti il cotone di bocca. Quando abbiamo finito, se vuoi mi ci siedo io.» Il dottor Faux immaginava che fosse stata la lidocaina a mettere in agitazione Fonny Boy, aggravando un problema nervoso evidentemente già in atto.

Nemmeno il più esperto dei dentisti sapeva valutare esattamente gli effetti di un determinato farmaco sui propri pazienti, e infatti il dottor Faux chiedeva sempre a tutti se erano allergici a qualche sostanza, prima di somministrarla. Gli abitanti di Tangier Island tendevano ad assumere talmente pochi analgesici, tranquillanti, anestetici e in generale sostanze psicotrope – a parte l’alcol, proibito del tutto – che erano perfetti per gli studi a doppio cieco con placebo e altre diavolerie farmaceutiche di cui alcune industrie, molto generose con chi si prestava a dare un contributo alle loro ricerche, avevano chiesto la registrazione. Il dottor Faux infilò le dita coperte dai guanti di lattice nella bocca di Fonny Boy, alla ricerca del tamponcino di cotone.

«Non l’avrai di nuovo ingoiato, vero?» si preoccupò.

«Sì» rispose il ragazzo.

«Be’, temo che per qualche giorno farai fatica ad andare in bagno. Senti, come mai hai chiuso la porta? E dove hai messo la chiave?»

Fonny Boy si tastò le tasche per accertarsi di averla ancora. Non la trovò. Che fine aveva fatto? si chiese guardandosi intorno. In quel momento dalla strada si alzarono grida e voci rabbiose. Nell’eccitazione, Fonny Boy diede al dentista una gomitata, senza cattiveria ma abbastanza forte da fargli uscire il sangue dal naso.

«Ahi!» gridò il dottor Faux per la sorpresa e il dolore. «Perché l’hai fatto?» domandò, mentre i pescatori dalla strada chiedevano a Fonny Boy di aprirgli la porta.

«Non posso!» rispose loro il ragazzo. «Ho smarrito la chiave! Non ricordo più dove l’ho occultata!»

«Perché mi hai dato una gomitata sul naso?» continuava a ripetere il dottor Faux sgomento, tamponandosi il sangue.

Fonny Boy non lo sapeva, ma gli sembrava importante dare una dimostrazione di forza, e lo attirava l’idea che i pescatori pensassero che aveva dovuto ricorrere alla violenza per sottomettere il dentista. Certamente a suo padre avrebbe fatto piacere. Il problema era che si era scordato dove aveva messo la chiave. La confusione in strada stava crescendo.

«Dovrete abbattere la porta!» gridò alla folla inferocita.

I pescatori non ci pensarono su due volte e un attimo dopo presero possesso dell’ambulatorio medico brandendo remi e rastrelli.

«Abbasso la Virginia! Abbasso la Virginia!» era il loro grido di battaglia. «Non tornerà sul continente, ha capito, dottor Faux? La terremo prigioniero!»

«Le renderemo la pariglia!»

«È vero! È vero!»

«Allora, dottor Faux, come si sente adesso che c’è seduto lei, su quella poltrona?»

«Diamogli una lezione!»

«Gliel’ho già data io» intervenne Fonny Boy tutto fiero. «Gli ho mollato un colpo sul naso tanto forte che l’ho fatto cadere a gambe per aria!» si vantò.

«Dovremmo togliergli i denti uno per uno! Con tutti quelli che ha tolto lui a noi!»

«Dovremmo buttarlo a mare, ecco cosa dovremmo fare! Gettarlo in pasto ai granchi!»

«Sempre che non gli faccia troppo schifo, a quelle povere bestie!»

«Proprio vero! Ributtante com’è!»

«Un momento!» intervenne il dottor Faux gridando abbastanza forte da mettere temporaneamente a tacere i pescatori dalla poltrona su cui l’avevano sistemato. «Ho capito che ce l’avete con la Virginia. Quel che non capisco è perché ve la prendete con me, allora. Insomma, che cosa c’entro io con la Virginia?»

«Ce l’abbiamo con la Virginia e tutti i suoi abitanti» decise qualcuno lì per lì. «E lei è il tipico virginiano che si approfitta di noi.»

«Be’, se proprio volete sequestrarmi, tanto vale che avvertiate il governatore del vostro piano criminoso» consigliò il dottor Faux con intento fraudolento. «Se nessuno lo sa, che senso ha tenermi prigioniero? Quanto alle accuse ingiuste e ingrate che mi avete fatto, vi ricordo che da anni io vengo su quest’isola a curarvi i denti senz’altra spinta che l’altruismo e che, se non fosse per me, non ci sarebbe nessuno a prendersi cura di voi.»

«Meglio non avere nessuno, che avere lei.»

«Senza di lei, mia moglie avrebbe ancora tutti i suoi denti. E l’unico mio su cui ha messo le mani soffre il caldo e il freddo.»

«Non agiamo d’impulso» raccomandò uno dei pescatori appoggiando il remo alla parete. «Non vogliamo finire nei guai.»

«Parole sagge!» intervenne il dentista. «State sbagliando. Siete arrabbiati con il governatore e su questo non posso darvi torto: vi sentite per l’ennesima volta perseguitati e discriminati. Io non so a che servano quelle strisce per terra, ma non credo che siano state fatte nel vostro interesse.»

«Certo che no!»

«Non ascoltatelo!» intervenne Fonny Boy. «Lui non abita sull’isola, eppure è qui proprio quando i vigili vengono a imbrattarci le strade. Vi siete chiesti perché? Perché è una spia!»

«Che io sia dannato!» esclamò il padre di Fonny Boy, pieno di collera e risentimento. «Come t’è venuta l’idea che sia qui per spiarci, figlio mio?»

«Spia i nostri metodi di pesca e poi va sparlando di noi e dei nostri granchi, pesci e molluschi. Non si diceva che volevano approvare una legge per impedirci di pescare?» dichiarò Fonny Boy senza lo straccio di una prova.

«È stato lui a dirtelo?» domandò suo padre indicando il dentista con il mento.

«Altroché!»

«Che cosa ti ha detto, esattamente?»

Fonny Boy si arenò e non seppe far di meglio che stringersi nelle spalle. Ma ormai il seme del dubbio era stato piantato.

«Non possiamo correre rischi» osservò uno dei pescatori.

«Infatti.»

«Proprio vero.»

«Il governatore ha già ristretto tantissimo la pesca dei granchi. Se ora che inizia la stagione dei molluschi ci vieta pure quella, come faremo a tirare avanti? Come ci guadagneremo il pane?»

«È una disdetta!»

«È inammissibile!»

«Propongo di consentirgli di fare una telefonata per spiegare le nostre intenzioni» disse il padre di Fonny Boy con tono collerico.

«Chi gli facciamo chiamare?»

«La polizia, direi. In fondo, a imbrattarci la strada è venuto un vigile. E probabilmente il dentista ci spia per conto del governatore, ma riferisce alla polizia.»

Consegnarono il vecchio telefono nero al dottor Faux il quale, dopo aver chiamato il centralino ed essersi fatto passare una serie di interni, riuscì a mettersi in contatto con il comandante Judy Hammer.

«Chi parla?» domandò Judy Hammer, sentendo un mormorio ostile di sottofondo.

«Sono un dentista della Virginia» rispose Faux, pregando fra sé che la polizia non aprisse un’inchiesta sulla sua attività professionale. «Lavoro a Tangier Island, da dove la sto chiamando. Sono nei guai perché un vigile quest’oggi ha pitturato delle strisce in Janders Road e qui dicono che il governatore vuole togliere l’isola ai suoi abitanti per trasformarla in un circuito automobilistico.»

«Mi scusi, ma non capisco di che cosa parla» replicò la Hammer. Era sul punto di sbattere il telefono in faccia a quello che le sembrava un invasato, ma all’ultimo momento decise di dargli retta. «Quelle strisce fanno parte del VASCAR, un piano lanciato dal governatore per far rispettare i limiti di velocità sulle nostre strade.»

«Se non le togliete immediatamente e non sottoscrivete una dichiarazione in cui vi impegnate affinché né polizia statale né guardia costiera né altre forze dell’ordine vessino in maniera indebita gli abitanti di Tangier Island, questi mi terranno prigioniero contro la mia volontà!»

«Mi scusi, ma lei chi è?» ripeté la Hammer, prendendo appunti.

«Mi hanno vietato di fare il mio nome» replicò l’uomo.

«Abbasso la Virginia!» gridò una voce in sottofondo con un curioso accento.

«Il governatore non è stato certamente eletto con i nostri voti!»

«È questa la ricompensa per aver sempre vissuto onestamente di pesca e di mare? Strisce sulle nostre strade e un dentista buono solo a cavar denti a destra e a manca?»

«Non ho cavato denti a destra e a manca!» obiettò il dentista tenendo una mano sulla cornetta. Ma la Hammer lo sentì lo stesso.

«Basta così!» lo interruppe con tono autoritario. «Mi dite che cosa volete esattamente da me? Non capisco bene.»

Seguì un silenzio.

«Pronto?»

«Siamo stufi di tutte queste interferenze» sentì che urlava qualcuno. «Dica di riferire al governatore che prima che arrivasse lui stavamo molto meglio e che vogliamo l’indipendenza dalla Virginia!»

«Sì!»

«Giusto! Non vogliamo più né i suoi balzelli né i suoi gendarmi! Vogliamo essere indipendenti!»

«Niente più tributi! Neanche un soldo!»

«E che nessuno ci venga più a dire quanto possiamo o non possiamo pescare!»

«Giusto!»

«Be’, ha sentito?» fece il dentista alla Hammer. «Niente più restrizioni sulla pesca, tasse statali, polizia o interferenze indebite: Tangier Island vuole la secessione dalla Virginia.» Sottovoce, aggiunse con tono da cospiratore: «E cinquantamila dollari di riscatto per la mia liberazione, in banconote non contrassegnate da spedire per espresso alla casella postale numero trecentosedici di Reedville. La prego, li accontenti! Sono loro ostaggio e mi tengono chiuso nell’ambulatorio. Mi hanno picchiato, perdo sangue: la mia vita è in pericolo».

Prima che Judy Hammer avesse il tempo di rispondere a quello che le sembrava un folle tentativo di estorsione, il dentista riattaccò. Judy Hammer cercò di mettersi in contatto con Andy senza riuscirci e gli lasciò un messaggio per spiegargli che cosa era successo. Concluse dicendo: «Il tuo saggio sulle mummie ha causato molti danni, malgrado non abbia appurato se sull’isola è stato letto. Di certo hai posto le basi perché gli abitanti di Tangier Island si sentissero perseguitati. Spero che tu faccia qualcosa per rimediare al più presto, Andy. Per favore, richiamami appena possibile».

Andy non ricevette il messaggio che quella sera tardi perché, dopo essere tornato a Richmond con Macovich, aveva organizzato in fretta e furia una piccola missione segreta per svolgere la quale aveva bisogno di un elicottero civile. Era tornato sull’isola a raccogliere informazioni e non era rientrato a casa che a mezzanotte. A quel punto aveva ascoltato la segreteria telefonica e richiamato subito Judy Hammer, che era già andata a letto.

«Oh, mio Dio!» esclamò Andy. «Non ne sapevo assolutamente niente! Mi dispiace moltissimo…»

«Dove sei stato tutto il giorno?» gli chiese lei assonnata.

«Non te lo posso dire» rispose Andy. «Non ora, almeno. So che ti sembrerà brutto e scortese, ma ho svolto alcune ricerche e indagato su una questione che ora non è il momento di affrontare. Ti basti sapere che quando ho pensato a quali argomenti trattare sul mio sito, non avevo intenzione di parlare né di Tangier Island né delle frodi in campo medico, e che pertanto mi sono trovato costretto a documentarmi. Senti, adesso è meglio che chiudiamo, così mi metto a scrivere…»

«Andy!» gridò la Hammer, ormai perfettamente sveglia e offesissima. «Non puoi tenermi dei segreti! Dove sei stato tutto il giorno? Non hai sentito le ultime notizie? No, certo, è chiaro» aggiunse con emozione. «Una donna è stata barbaramente uccisa su Belle Island e l’assassino le ha inciso il tuo nome sul ventre.»

«Come sarebbe, le ha inciso il mio nome sul ventre?»

«Vigile Verità.»

«Le hanno inciso Vigile Verità sul ventre?» Andy era scioccato e stupefatto. «Ma che?… Ma chi?…»

«Non so niente. Ma credo che sarebbe opportuno che tu la facessi finita con questa storia di Vigile Verità e tornassi a svolgere le tue normali mansioni, prima di combinare altri guai.»

«Non puoi incolpare me delle follie di uno squilibrato! Per quanto mi dispiaccia per la povera vittima, non mi sento responsabile della sua morte, e comunque ti assicuro che farò il possibile per dare una mano. Ti ricordo, però, che avevamo fatto un patto e che tu hai preso un impegno nei miei confronti. Non ti scordare che un anno fa, quando abbiamo parlato di questa cosa, ti avevo avvertito che, se si dice la verità, le forze del male si risentono e colpiscono. Alla fine, però, la verità prevale.»

«Oh, per l’amor del cielo!» esclamò la Hammer spazientita e irritata. «Non mi propinare la tua filosofia da strapazzo!»

«Mi hai ferito» rispose Andy, amareggiato e deluso, ma più determinato che mai. «Leggiti Vigile Verità domattina e poi ne parliamo.»