25.

Cilla sfruttò la domenica mattina per esaminare riviste di casa e design, navigare su internet in cerca di idee e venditori ed eliminare o aggiungere elementi alla lista dei preferiti. Riusciva a malapena a credere di aver raggiunto la fase in cui poteva cominciare a pensare ai mobili.

Mancavano settimane, ovviamente, e doveva considerare anche il tempo di girare per negozi d'antiquariato, perfino mercatini delle pulci, e forse mercatini casalinghi, ma si stava avvicinando il periodo in cui non sarebbe stato fuori luogo ordinare divani e sedie, tavoli e lampade.

Poi c'erano lenzuola e coperte, rifletté, accessori per la cucina e per l'ufficio, trattamenti alle finestre, tappeti. Tutti quei piccoli dettagli divertenti e impegnativi per riempire un'abitazione. Per rendere l'abitazione una casa. La sua casa.

La sua prima vera casa.

Più la cosa diventava reale, più Cilla si rendeva conto di quanto volesse davvero una casa. Tutto ciò che doveva fare era uscire fuori, guardare dall'altra parte della strada e vederla.

Seduta lì, al bancone di Ford, col computer portatile, le riviste, i taccuini, pensò a quanta strada avesse fatto da marzo. No, molto prima di marzo, si corresse. Aveva cominciato quel viaggio durante una lontana escursione sulle Blue Ridge Mountains, che aveva fatto intenzionalmente per vedere di persona la fattoria di sua nonna, per vedere da dove veniva suo padre, e forse per capire, un po', perché fosse tornato lì, e l'avesse abbandonata.

E si era innamorata, pensò ora Cilla, delle colline che risalivano a sobbalzi verso le montagne, della fitta distesa di alberi, delle città piccole e grandi, delle case e i giardini, delle strade serpeggianti e i ruscelli. Si era innamorata soprattutto della vecchia fattoria malandata dietro a un muro di pietra, delimitata da giardini desolati e pieni di erbacce.

Forse il castello della Bella Addormentata, rifletté, ma lei aveva visto una casa, perfino allora.

Adesso, quello che aveva sognato, desiderato tanto, era quasi suo.

Seduta al bancone, sorseggiando caffè, immaginò di svegliarsi in una camera con le pareti del colore di un'alba risplendente e fiduciosa, e di vivere una vita che aveva scelto.

Ford entrò con un grugnito assonnato.

Guardalo, pensò Cilla. Appena sveglio: il lunghissimo corpo snello e leggermente goffo, con addosso boxer blu e una maglietta logora di Yoda; i capelli castani striati di biondo, arruffati e disordinati, e gli occhi verdi intontiti e un po'

sofferenti.

Non era incredibilmente adorabile?

Ford si versò del caffè, cui aggiunse zucchero e latte. Disse: «Dio, le mattine fanno proprio schifo» e bevve come se la sua vita dipendesse dal contenuto della tazza.

Poi si girò e appoggiò il gomito sul bancone. «Come mai sembri così lucida?»

«Forse perché sono sveglia da tre ore. Sono le dieci passate, Ford.»

«Tu non hai rispetto per la domenica.»

«È vero. Me ne vergogno.»

«No che non te ne vergogni. Ma neanche gli agenti immobiliari hanno rispetto per la domenica. Vicky mi ha appena chiamato sul cellulare, svegliandomi da un sogno molto sexy in cui c'eravamo tu, io e la pittura con le dita. Stava diventando davvero interessante quando sono stato interrotto in modo così maleducato e fastidioso. Comunque, i venditori sono scesi di altri cinquemila.»

«Pittura con le dita?»

«E da artista posso dire che era l'inizio di un capolavoro. La differenza è solo di diecimila adesso, come mi ha fatto notare Vicky, l'omicida di sogni.

Quindi...»

«No.»

«Accidenti.» Ford sembrava un bambino al quale avessero appena detto che non c'erano biscotti nel barattolo. «Sapevo che avresti detto di no, a differenza di quando spalmavo il blu cobalto intorno al tuo ombelico. Non potremmo...»

«No. Mi ringrazierai più avanti quando dovrai investire quei diecimila in migliorie e riparazioni.»

«Ma io voglio davvero quella topaia orrenda adesso. La voglio per me. Mi piace, Cilla, come a un bambino grasso piace la torta.» Ford provò con un sorriso speranzoso. «Potremmo dividere la differenza.»

«No. Non cederemo. Nessun altro ha fatto offerte per la proprietà. Il venditore non è interessato a fare nessuna riparazione o miglioria. Cederà lui.»

«Forse non lo farà.» Gli occhi intontiti di Ford si socchiusero in uno sguardo accigliato. «Forse è solo cocciuto come te.»

«Okay, senti.» Cilla si inclinò indietro, come un'esperta al tavolo delle trattative. «Se non cede, se non accetta la tua offerta entro due settimane, potrai controbattere. Ma tieni duro per altri quattordici giorni.»

«Okay. Due settimane.» Ford riprovò col sorriso speranzoso. «Pensi mai di fare le uova strapazzate?»

«Quasi mai. Ma stavo pensando a qualcos'altro. Stavo pensando, e intanto guardavo quel grande divano morbido laggiù... perché sono nella fase di ricerca dei divani. E mi chiedevo, mentre pensavo, cosa succederebbe se mi sdraiassi su quel grande divano morbido.»

Cilla scivolò giù dallo sgabello, girando la testa e sorridendo a Ford mentre andava verso il divano. «E mi chiedevo se dovrò stare sdraiata qui da sola, tutta sola coi miei desideri inappagati e i miei pensieri lascivi.»

«Okay, 'lascivi' funziona.»

Ford girò intorno al bancone, attraversò la stanza, poi le saltò addosso.

«Ciao.»

Con una leggera risata, Cilla strinse le gambe intorno a lui, si sollevò e rotolò finché non si scambiarono di posizione. «Credo che starò sopra questa volta.» Tuffandosi, prese il labbro inferiore di Ford tra i denti, mordendolo leggermente.

«Questo è il mio modo di rispettare la domenica.»

«Mi sbagliavo di grosso sul tuo conto.» Ford passò le mani sul suo corpo, sopra la larga canotta bianca. «Cilla.»

«Sei tutto arruffato, sexy e...» gli tolse la maglietta di Yoda e la gettò via

«quasi nudo.»

«Ci manca solo la pittura con le dita.» Ford si tirò su, abbracciandola, serrando la bocca sulla sua. «Mi manchi. Quando mi sveglio e non ci sei.»

«Non sono lontana.» Cilla si strinse a lui, staccandosi solo per lasciargli togliere la canotta bianca. E, oh, quelle mani, quelle mani forti e sicure.

«Qui. Qui.» Cilla gli prese la testa tra le mani, guidandolo giù finché la bocca di Ford giunse sul suo seno.

Tutto si attorcigliò e si ripiegò dentro di lei, e si riaprì.

Cilla voleva, voleva, mentre le mani premevano, la bocca si deliziava. Lo voleva dentro di sé, ardente e forte. Si dimenò per togliere i pantaloncini, ansimando mentre Ford toccava e solleticava, gemendo mentre si sollevava, si abbassava lentamente, e si riempiva di lui.

«Questo è quello che voglio, la domenica mattina.»

Cilla lo prese, muovendosi su e giù, con le mani puntate sul bracciolo del divano. Muscoli forti e snelli, capelli miele bruciato, occhi azzurro ghiaccio limpidi come uno specchio nel cuore di Ford.

Nessun sogno, nessuna fantasia si avvicinava alla vera Cilla. Nessun desiderio, nessuna meraviglia era comparabile.

«Ti amo, Cilla. Ti amo.»

Cilla trattenne il respiro; il cuore saltò dei battiti. Il suo corpo si reclinò, e la freccia che scoccò colpì il bersaglio.

Scivolò su Ford e si rannicchiò accanto a lui. A Ford piaceva il modo in cui combaciavano, profilo contro profilo, la sensazione dei capelli di Cilla sulla pelle.

«Allora... dove si compra esattamente la pittura per le dita?»

Ford fece un ampio sorriso, passò pigramente le dita su e giù lungo la sua spina dorsale. «Lo scoprirò, ne farò scorta.»

«Io procurerò gli stracci da mettere per terra. Dove hai preso questo divano?»

«Non lo so. In qualche posto dove vendono mobili.»

«Ha buone dimensioni, una bella forma, un buon tessuto. È comodo. Devo cominciare a pensare ai mobili, e devo occuparmi di quel grandissimo soggiorno.

Zone per chiacchierare, illuminazione e quadri. Non ho mai fatto tutto questo prima d'ora. Mi spaventa un po'.»

Ford lanciò uno sguardo a Spock che fece un giro in casa, diede loro un'occhiata, avvinghiati nudi sul divano, e se ne andò. Solo geloso, pensò. «Non hai mai comprato mobili prima?»

«Certo, bisogna sedersi da qualche parte. Ma non ho mai scelto delle cose con l'idea di tenerle per un certo periodo. È sempre stato temporaneo.» Cilla gli sfiorò la clavicola con le labbra, gli strofinò il naso sulla spalla. «E ho lavorato con degli esperti di compravendite. Arredare una proprietà può aiutare a venderla. Quindi so, o ho delle opinioni su quello che funziona in un ambiente. Ma questo è diverso. Arredare è come una scenografia. Porti dentro, smonti.»

«Non avevi una casa, un appartamento, qualcosa a Los Angeles?»

«Steve aveva un appartamento. Dopo il nostro matrimonio di cinque minuti ho vissuto al bhh per un po'.»

«Il bhh?»

«Beverly Hills Hotel. Poi ho viaggiato, o stavo da Steve quando ottenevo qualche lavoro. C'è stato il brevissimo periodo all'università, in cui avevo un appartamento fuori dal campus. Quando Steve ha comprato la proprietà a Brentwood da rivendere, mi sono accampata lì. Ho preso l'abitudine di stare nelle case da rivendere. Per riuscire a capirle.»

Hotel, appartamento, proprietà. Mai casa, pensò Ford. Cilla non aveva mai avuto ciò che lui e tutti quelli che conosceva davano per scontato. Cilla non aveva mai avuto una casa. Pensò a lei seduta nel grande soggiorno vuoto, con quelle bellissime pareti e le splendide cornici, mentre immaginava una festa per le vacanze di molto tempo prima.

Cilla stava riuscendo a trovare il proprio futuro.

«Possiamo spostare lì il divano» disse Ford, improvvisamente desideroso di darle qualcosa. «Potresti vedere come sta e avere qualcosa su cui sederti oltre a un secchio multiuso.»

«È un'offerta molto gentile.» Cilla gli diede un bacio assente prima di mettersi a sedere e cercare i vestiti. «Ma è più pratico aspettare che siano finiti i pavimenti prima di mettere i mobili. Ovviamente, ora che mi hanno incastrata con la festa, sarà meglio che trovi dei mobili da giardino adatti.»

«Festa?»

«Non te l'ho detto?» Cilla si infilò la canotta. «Ho fatto l'errore di dire a Cathy Morrow che mi sarebbe piaciuto, magari, fare qualcosa per il labor day, ma che la casa non sarebbe stata né finita né ammobiliata. Lei si è buttata sulla prima parte, ignorando completamente la seconda. Adesso Patty mi chiama con le idee per il menù, e tua madre si offre di fare il suo barbecue di maiale.»

«È favoloso.»

«Non ho dubbi. Resta il problema di come trovo il tempo di pensare anche alla programmazione di una festa mentre sto appendendo gli armadietti della cucina, fissando le cornici, mettendo le porte, rifinendo i pavimenti e seguendo una lunga lista di cose da fare, per non parlare dell'esplorazione del magico mondo dei sofà, canapè, ottomane e divani.»

«Compra una griglia, un po' di carne e parecchie bevande alcoliche.»

Cilla scosse la testa. «Sei proprio un uomo.»

«Già. Un fatto che ho appena provato oltre ogni ragionevole dubbio.» Ed essendo domenica, avrebbe dovuto fare il tentativo di provarlo ancora. «Una festa è una bella cosa, Cilla. Viene della gente, gente che conosci e che ti piace, con cui sei felice di stare. Fai vedere quello che hai fatto. Lo condividi. È per questo che hai tolto il cancello.»

«Io...» Ford aveva ragione. «Che tipo di griglia?»

Lui le sorrise. «Andiamo a fare acquisti.»

Con un gesto esagerato, Cilla incrociò le mani sul cuore. «Le parole che la maggior parte delle donne ha sempre sognato di sentire da un uomo. Vado a vestirmi. Potrei prendere della vernice mentre siamo fuori, e degli accessori, dare un'altra occhiata alle iUuminazioni per la cucina.»

«Cos'ho fatto?»

Cilla gli lanciò un sorriso mentre usciva dalla stanza. «Prenderemo il mio pickup.»

Ford si infilò i boxer, ma rimase dov'era, pensando a lei. Cilla non si rendeva conto di quante cose gli avesse detto. Non aveva parlato nemmeno una volta della casa, o delle case, dov'era cresciuta.

Lui, d'altra parte, poteva descrivere nei minimi dettagli la casa della sua infanzia, come il sole penetrava obliquo o irrompeva dalle finestre della sua camera a qualsiasi ora del giorno, il lavandino verde del bagno, la scheggiatura sulla piastrella della cucina dove aveva fatto cadere una grossa caraffa di succo di mela.

Ricordava la fitta che aveva provato quando i suoi genitori l'avevano venduta, anche se si trovava a New York, anche se si era trasferito. Anche se si erano spostati soltanto di tre chilometri. Anni dopo, poteva passare in auto davanti a quella vecchia casa di mattoni e sentire ancora la stessa fitta.

Cornici amorevolmente restaurate, lettere nascoste in un libro, una vecchia stalla ridipinta di rosso. Tutto quello, ogni passo e dettaglio, erano legami che Cilla aveva creato per farne una catena di collegamenti.

Lui avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarla a crearli, perfino andare a comprare una griglia.

«Ciao, Ford.»

«Sono qui» urlò Ford, quando udì la voce di Brian, comparendo da dietro il divano mentre l'amico entrava. «Weber o Viking?»

«Ardua scelta » disse Brian, senza alcun bisogno di spiegazioni. «Io ho scelto una Weber, come sai, ma un uomo non può sbagliare con una Viking.»

«E una donna?»

«Stare dietro a una griglia non è roba da donne. Questa è la mia posizione a riguardo.» Brian si curvò, raccolse la maglietta abbandonata di Ford. «Questo è un indizio. Qualcosa mi dice che sono arrivato troppo tardi per interrompere il sesso mattutino. Accidenti a quella seconda tazza di caffè.» Lanciò la maglietta in faccia a Ford, poi si chinò a salutare Spock.

«Sei solo geloso perché non hai fatto sesso mattutino.»

«Come lo sai?»

«Perché sei qui. Perché sei qui?»

Brian gesticolò verso il bancone e la pila di ricerche di Cilla mentre attraversava la stanza per aprire il frigorifero. «Dov'è Cilla?»

«Di sopra, si sta vestendo per uscire a dibattere tra una Weber e una Viking.»

«Ci sono delle Diet Coke qui dentro» osservò Brian, mentre tirava fuori una lattina di Coca normale. «Chiaro segno di un uomo preso all'amo. Sono andato da mia mamma ieri.» Brian fece schioccare il tappo, bevve un sorso. «Ho portato via, con sua gioiosa sorpresa, non una ma due scatole di roba che aveva messo da parte per me. Cosa dovrei farci con un disegno a pastelli di una casa, un grosso sole giallo e persone a bastoncini?»

«Non lo so, ma non puoi buttarlo via. Secondo mia madre, buttare qualsiasi ricordo dell'infanzia abbiano messo da parte sfida gli dei.» Ford prese la sua Coca. «Io ho tre scatole.»

«Non dimenticherò che è colpa tua se sono entrato in possesso di quella roba.»

Brian tirò fuori di tasca una busta, la gettò sul bancone. «Comunque, visto che non ho avuto nessuna compagnia femminile la scorsa notte, ne ho controllata un po' e ho trovato questo. È un biglietto che mio nonno diede a mia madre quando nacqui. Ci sono scritte delle cose.»

«Grazie. Ti devo un favore.»

«Accidenti se me lo devi. Adesso ho in casa tutte le pagelle dalla prima elementare alle superiori. Fammi sapere se corrisponde. Ormai sono piuttosto coinvolto.»

«In entrambi i casi.» Ford prese il biglietto, osservò i caratteri decisi e marcati con cui era scritto il nome di Cathy.

«Devo andare, vado a prendere Shanna. L'accompagno all'aeroporto.» Brian si accovacciò, strofinò la testa di Spock, il corpo che si dimenava. «Di' a Cilla che manderò un paio di ragazzi domani per finire di pacciamare, e dovrei riuscire a passare dalla nuova casa che sta comprando, per dare un'occhiata al giardino.»

«Okay. Questo te lo restituirò.»

Brian sogghignò guardando il biglietto. «Sì, mi raccomando.»

Ford andò di sopra, nella camera dove Cilla si stava facendo la coda. «Sono pronta» gli disse. «Vado a casa mentre tu ti vesti, per dare un'altra occhiata a un paio di cose prima di uscire.»

«È appena passato Brian.»

«Oh, ha già visto la nuova proprietà?»

«No, ha detto la settimana prossima. Ha portato questo.» Ford sollevò il biglietto.

«È... certo che lo è. Non mi aspettavo che trovasse qualcosa così in fretta.

Bene.» Cilla si premette una mano sullo stomaco. «Potremmo risolvere il grande mistero. Mi sento un po' nervosa.»

«Vuoi che vada io a controllare, e poi te lo dica soltanto?»

Cilla lasciò cadere una mano. «Cosa sono? Una bimbetta?»

«No, non lo sei.»

«Allora facciamolo.»

«Sono nel mio ufficio.»

Cilla entrò con lui, lo guardò prendere il libro dalla mensola e posarlo sul piano di lavoro perché lei lo aprisse.

«Continuo a pensare al fatto che abbia scelto Gatsby. La vita ricca e splendida, il luccichio e poi la noia, la storia romantica, il tradimento, la tragedia finale. Janet era molto infelice. L'ho sognata ancora non molto tempo fa. Non te l'ho raccontato. Uno dei miei sogni di Janet e Cilla. Forest Lawn.

Sono entrambi sepolti li. Lei e Johnnie. Io ci sono andata solo una volta. La sua tomba era letteralmente coperta di fiori. Mi ha rattristata guardarla. Tutti quei fiori, portati da estranei, che appassivano al sole.»

«Tu invece li hai piantati qui per lei. E anche quando appassiranno, ne spunteranno di nuovi. Anno dopo anno.»

«Mi piace pensare che questo le importerebbe. Il mio tributo personale.» Cilla aprì il libro, estrasse il mazzo di lettere. «Io apro questa» disse, scegliendone una. «Tu apri quello.»

Ford tirò fuori il biglietto. Si era aspettato l'immagine felice di un bambino, o una tenera di una madre col bambino. Invece trovò le iniziali di Andrew Morrow su un cartoncino color crema. «Piuttosto formale» commentò, e aprì il biglietto.

Congratulazioni alla mia graziosa nuora per la nascita di suo figlio. Spero che queste rose ti facciano piacere. Sono solo un piccolo segno del mio grande orgoglio. Con Brian Andrew è nata un'altra generazione di Morrow.

Con affetto, Andrew

Cilla appoggiò la lettera accanto al biglietto.

Mia Cara, mia Amata, non ci sono parole per esprimere il mio dolore, la mia solidarietà, la mia afflizione per te. In questo momento vorrei poterti stringere, poterti confortare più che con qualche parola su una pagina. Sappi che sono con te nel mio cuore, che i miei pensieri sono pieni di te. Nessuna madre dovrebbe soffrire la perdita del proprio figlio, e poi essere obbligata a soffrire in maniera così pubblica.

So che amavi il tuo Johnnie oltre misura. Se può esserci una consolazione ora, sappi che lui ha sentito quell'amore ogni giorno della sua breve vita.

Tuo per sempre

«Corrisponde, è il destino?» disse piano Cilla. «Che io abbia scelto la perdita di un figlio da confrontare con la nascita di un altro? È una lettera gentile»

continuò. «Sono entrambi biglietti gentili, ed entrambi stranamente distanti, formulati con molta cura, credo. Mentre queste due occasioni avrebbero dovuto riempire la pagina di emozioni ed espressioni d'affetto. Il tono, la struttura.

Potrebbero venire dalla stessa persona.»

«La scrittura è simile. Non... be', non proprio la stessa. Vedi le S nel biglietto? Quando sono all'inizio di una parola -solo, segno - il carattere è curvo. Nella lettera - solidarietà, soffrire - c'è un corsivo minuscolo tradizionale.»

«Ma le S maiuscole sono scritte allo stesso modo, e anche le C. L'inclinazione della scrittura. È molto simile. E furono scritte a distanza di anni.»

«In entrambi 'Mia' sembra proprio la stessa mano, e anche le M maiuscole, ma le A non tanto.» Ford sapeva di guardare con l'occhio dell'artista, e non sapeva se questo fosse positivo o negativo. «Però nel biglietto c'è una firma. Certe persone scrivono la prima lettera della firma diversamente da come scriverebbero una parola. Non so, Cilla.»

«Risultati inconcludenti. Immagino che tu non conosca nessun grafologo.»

«Potremmo trovarne uno.» Ford alzò lo sguardo sugli occhi di Cilla. «Vuoi seguire quella strada?»

«No. Forse. Non lo so. Accidenti. Non è una risposta facile.»

«Forse potremmo mettere le mani su un campione più vicino a quando furono scritte le lettere. Posso chiedere a Brian di provare.»

«Lasciamo perdere per ora.» Cilla piegò la lettera, la rinfilò nella busta.

«Sappiamo una cosa adesso. Non era Hennessy. Avevo dimenticato la lettera dopo la morte di Johnnie. Non è possibile, anche se fosse stato innamorato pazzo, che l'abbia scritta dopo l'incidente. Non quando era col proprio figlio in ospedale.»

«Hai ragione.»

«Così, se avessi avuto una lista, avrei potuto cancellare un nome. È già qualcosa. Credo che dovrà bastare per ora. Almeno per ora.»

Ford chiuse il libro, lo rimise sulla mensola. Si girò verso di lei, le prese la mano. «Cosa ne dici di andare a comprare una griglia?»

«Dico che è esattamente quello che voglio fare.» Ma Ford lasciò il biglietto con le iniziali sulla scrivania quando andò a vestirsi. Poteva trovare un grafologo.

Qualcuno fuori dalla Virginia al quale il nome di Andrew Morrow non dicesse nulla. E poteva vedere dove avrebbe portato la cosa.

La gioia di Cilla quando finalmente martedì mattina arrivò il legno di noce per il parquet si scontrò con un grosso ostacolo prima di mezzogiorno, quando il piastrellista si precipitò adirato dove lei stava lavorando accanto alla stalla.

«Ciao, Stan. Il tuo lavoro non è previsto fino a giovedì. Sei...»

Cilla si ritrovò a indietreggiare rapidamente quando colse lo sguardo omicida nei suoi occhi. «Ehi, ehi, che problema c'è?»

«Credi di poter trattare la gente così? Credi di poter parlare alla gente così?»

«Cosa? Cosa?» Stan la fece arretrare fino al muro della stalla. Troppo scioccata alla vista di Stan, solitamente affabile, con una vena che pulsava al centro della fronte, Cilla sollevò le mani sia come difesa che come gesto di pace.

«Credi di essere migliore di tutti noi perché vieni da una famiglia ricca e sei stata in tv?»

«Non capisco di cosa stai parlando. Dove...»

«Hai un bel coraggio, maledizione, a chiamare mia moglie, a parlarle in quel modo.»

«Io non ho mai...»

«Se hai un problema col mio lavoro, parli con me. Hai capito? Non chiami a casa mia urlando contro mia moglie.»

«Stan, io non ho mai parlato con tua moglie.»

«Dici che è una bugiarda adesso?» Stan avvicinò il viso al suo, così tanto che Cilla riuscì a sentire il sapore della rabbia.

«Io non dico niente.» L'agitazione si concentrò alla base della gola di Cilla, che distanziò con attenzione le parole. «Io non la conosco, e non so di cosa diavolo stai parlando.»

«Torno a casa ed è così sconvolta che riesce a malapena a parlare. Ha cominciato a piangere. L'unico motivo per cui non sono venuto dritto qui ieri sera è che lei mi ha pregato di non farlo, e perché non volevo lasciarla da sola in quello stato. Ha l'ipertensione, e tu la fai agitare perché decidi che non ti piace il mio lavoro.»

«E io ti sto dicendo che non ho mai chiamato a casa tua, non ho mai parlato con tua moglie, e non sono insoddisfatta del tuo lavoro. Anzi, è proprio il contrario. Altrimenti perché, in nome di Dio, ti avrei assunto per posare il pavimento della mia cucina?»

«Dimmelo tu, maledizione.»

«Be', non posso!» gli rispose Cilla urlando. «A che ora avrei fatto questa chiamata?»

«Intorno alle dieci di ieri sera, lo sai bene, accidenti. Io torno a casa più o meno alle dieci e mezza, e lei è stesa, rossa e tremante perché tu le hai urlato contro come una pazza.»

«Mi hai mai sentita urlare come una pazza? Ero da Ford ieri sera alle dieci. Mi sono appisolata davanti alla tv. Chiedilo a lui. Gesù, Stan, lavori qui da mesi ormai. Dovresti sapere che non gestisco le cose in quel modo.»

«Ha detto che eri tu. Cilla McGowan.» Ma la perplessità cominciò a trasparire dietro alla collera. «Hai detto a Kay che era una stupida provinciale, proprio come la maggior parte della gente di qui. Che non sapevo posare neanche una piastrella, e che avresti fatto in modo che si spargesse la voce. Quando avrei perso il lavoro, avrei dovuto incolpare soltanto il mio culo pigro. Che forse mi avresti fatto causa per il lavoro di merda che ho fatto per te.»

«Se tua moglie è una provinciale, lo sono anch'io. Io vivo qui adesso. Non assumo dei subappaltatori che fanno lavori di merda. In realtà, ti ho raccomandato alla mia matrigna proprio settimana scorsa, se mai riuscirà a convincere mio padre a rinnovare il loro bagno principale.» Cilla si rese conto di essere senza fiato per la reazione, ma l'agitazione era scomparsa. «Perché diavolo lo farei, Stan, se pensassi che fai dei lavori di merda?»

«Lei non se l'è inventato.»

«Okay.» Cilla dovette inspirare. «Okay. È sicura che chi ha chiamato abbia dato il mio nome?»

«Cilla McGowan, e poi Kay ha detto che tu... che quella persona» si corresse, ovviamente pronto a concederle il beneficio del dubbio «ha detto: 'sa chi sono?'

col fare cattivo che usa la gente quando pensa di essere importante. Poi l'ha attaccata. Mi ci è voluta quasi un'ora per calmarla quando sono tornato a casa.

Ho dovuto farle prendere un sedativo per aiutarla ad addormentarsi. Era davvero sconvolta.»

«Mi dispiace. Mi dispiace che qualcuno abbia usato il mio nome per turbarla. Non so perché...» La pressione diminuì nel petto oppresso di Cilla. «Il fornitore del legno per il parquet ha detto che avevo richiamato per modificare l'ordine.

Quercia al posto di noce. Ma io non l'ho fatto. Ho pensato che avessero fatto semplicemente confusione. Forse non è andata così. Forse qualcuno si sta prendendo gioco di me.»

Stan rimase fermo un attimo, infilò le mani in tasca, le tirò fuori di nuovo.

«Tu non hai mai fatto quella chiamata?»

«No, non l'ho fatta. Stan, sto cercando di costruirmi una reputazione e un'attività qui. Sto cercando di costruire dei rapporti coi subappaltatori e gli addetti ai servizi. Quando qualcuno è entrato in casa e ha distrutto i bagni, tu hai incastrato fra i tuoi impegni la riparazione e la nuova posa, e so che mi hai fatto uno sconto sulla manodopera.»

«Avevi un problema. E poi ero orgoglioso di quel lavoro e volevo rimetterlo a posto.»

«Non so come rimettere a posto le cose con tua moglie. Potrei parlarle, cercare di spiegare.»

«Meglio che lo faccia io.» Stan fece un respiro. «Scusa se ti ho aggredita.»

«Avrei fatto lo stesso al posto tuo.»

«Qii farebbe una cosa del genere? Crearti problemi, far agitare Kay?»

«Non lo so.» Cilla pensò alla signora Hennessy. Suo marito avrebbe trascorso due anni in una struttura psichiatrica. «Ma spero di riuscire a impedire che capiti ancora.»

«Sarà meglio che passi da casa, a chiarire la cosa con Kay.»

«Okay. Allora verrai giovedì?»

Il sorriso di Stan era leggermente imbarazzato. «Sì. Ah, se per qualche motivo dovessi chiamarmi a casa, forse dovresti trovare una parola in codice o qualcosa del genere.»

«Forse dovrei.»

Cilla rimase ferma nell'ombra della stalla, con le cornici appoggiate al muro, messe ad asciugare, e stese sui cavalletti. E si chiese quante volte avrebbe dovuto pagare per i crimini, i peccati, e gli errori degli altri.