3.
Ford passò due ore buone a osservare Cilla col binocolo, facendo schizzi da diverse angolature. Dopotutto, il modo in cui lei si muoveva era fonte d
'ispirazione tanto quanto il suo aspetto. Sotto tutti i punti di vista: linee, curve, forma, carnagione. Ma il movimento, quello era la chiave. Grazia e atletismo. Non da ballerina, no, non quelli. Più... la grazia di una velocista.
Forza e determinazione, più che arte e flusso.
La grazia di una guerriera, pensò Ford. Sobria e implacabile.
Avrebbe desiderato darle un'occhiata coi capelli sciolti invece che raccolti in una coda. Sarebbe stata d'aiuto anche una bella occhiata a braccia e gambe. E, accidenti, qualsiasi altra sua parte fosse stata visibile non avrebbe ferito per niente i suoi sentimenti.
Aveva fatto una ricerca su di lei con Google, esaminando diverse fotografie, e aveva noleggiato i suoi film per poterli studiare. Ma l'ultimo che aveva girato, l'm watching, Tool, era di circa otto anni prima.
Lui voleva la donna, non la ragazzina.
Aveva già in mente la trama, ammassata dentro, e che premeva per uscire. Aveva barato la notte precedente, sottraendo un paio d'ore all'ultimo romanzo di Seeker per farne un abbozzo. E forse oggi stava barando solo un po' di più, ma voleva buttare giù un paio di disegni a matita, non prima però di avere degli schizzi più dettagliati.
Il problema era che la sua modella aveva troppi vestiti addosso, accidenti.
«Mi piacerebbe proprio vederla nuda» disse, e Spock emise una specie di sbuffo saccente. «Non in quel senso. Be', sì, anche in quel senso. A chi non piacerebbe? Ma sto parlando da un punto di vista professionale.»
Giunsero allora ringhi e mugolii, mentre Spock si rotolava sul fianco. «Io sono professionale. Mi pagano e tutto il resto, ed è per questo che posso comprarti da mangiare.»
Spock afferrò l'orsetto lacerato che portava con sé, si rotolò di nuovo e lo lasciò cadere sul piede di Ford. Poi cominciò a saltellare speranzoso sul posto.
«Abbiamo già affrontato l'argomento. Sei tu il responsabile della sua alimentazione.»
Ignorando il cane, Ford pensò ancora a Cilla. Le avrebbe fatto un'altra visita da buon vicino. Per cercare di convincerla a posare per lui.
In casa, prese il blocco da disegno, le matite, infilò una copia di Seeker: scomparso, poi rifletté su cosa c'era in giro che potesse usare per corromperla.
Decise per una bella bottiglia di cabernet, la ficcò in borsa, poi si avviò passeggiando dall'altra parte della strada. Spock abbandonò l'orso e si affrettò a seguirlo.
Cilla lo vide arrivare mentre trasportava un altro carico di rifiuti e macerie nel cassone che aveva noleggiato. In casa aveva iniziato a fare cataste di legna e cornici che sperava di recuperare. Il resto? Doveva sparire. Il sentimentalismo non restaurava magicamente il legno marcio.
Cilla gettò il mucchio, poi mise le mani coi guanti sui fianchi. Cosa volevano adesso il vicino sexy e il cane brutto ma attraente?
Ford si era rasato, notò. Quindi l'aria trasandata poteva essere stata pigrizia invece che intenzione. Lei preferiva la pigrizia. Su una spalla, Ford portava una grossa cartella di cuoio, e mentre camminava lungo il vialetto sollevò una mano in un saluto amichevole.
Spock fiutò intorno al cassone e sembrò felice di sollevare la zampa.
«Ciao. Sono successe un sacco di cose qui negli ultimi due giorni.»
«Non c'è ragione di perdere tempo.»
Il sorriso di Ford si allargò lento e disinvolto. «Perdere tempo può essere una ragione.» Diede un'occhiata al cassone. «Stai demolendo la casa?»
«Non del tutto, ma più di quanto sperassi. L'abbandono ci mette più tempo a danneggiare della demolizione, ma raggiunge lo stesso scopo. Ciao, Spock.» Al saluto, il cane si avvicinò, porse una zampa. Okay, pensò Cilla mentre gliela stringeva. Brutto ma affascinante. «Cosa posso fare per te, Ford?»
«Sto per arrivarci. Ma prima, ti ho portato questo.» Frugò nella cartella, tirò fuori la bottiglia di vino rosso.
«Che gentile. Grazie.»
«E questo.» Estrasse il graphic novel. «Qualcosina da leggere col vino a fine giornata. È quello che faccio io.»
«Bere vino e leggere fumetti?»
«Sì, per la verità, ma intendevo dire che li scrivo.»
«Mio padre me l'ha detto, facevo dell'ironia.»
«L'avevo capito. Parlo l'ironia, come molte altre lingue. Li leggi mai?»
Che tipo strano, pensò Cilla, col suo strano cane. «Ho letto un sacco Batman quando dovevamo assegnare la parte di Batgirl nella versione di Clooney. Sono stata battuta da Alicia Silverstone.»
«Probabilmente è stato meglio così, visti i risultati del film.»
Cilla drizzò un sopracciglio. «Ripeto: George Clooney.»
Ford si limitò a scuotere la testa. «Michael Keaton era Batman. Sta tutto in quegli occhi un po' da pazzo. E poi hanno perso il senso lirico dopo i film di Keaton. E non venirmi a parlare di Val Kilmer.»
«Okay. Comunque, mi sono preparata per l'audizione guardando attentamente i film precedenti, e in effetti Keaton era favoloso; ho letto alcuni fumetti, ripassato la mitologia. Probabilmente ero troppo preparata.»
Cilla minimizzò quello che a sedici anni era stato un grosso colpo per lei. «Fai tu le illustrazioni?»
«Sì.» Ford la studiò mentre lei osservava la copertina. Guarda che bocca, pensò, e l'angolo del mento. Le sue dita prudevano dalla voglia di prendere blocco e matita. «Sono territoriale ed egotistico. Nessuno può farle come me, quindi nessuno ne ha l'opportunità.»
Cilla diede un'occhiata mentre lui parlava. «È lungo. Penso sempre ai fumetti come a una ventina di pagine di colori vivaci e personaggi che fanno bam! zap!
Le tue illustrazioni sono forti e intense, con molti tratti scuri.»
«Seeker ha molti tratti scuri. Ne sto finendo uno nuovo. Dovrebbe essere pronto nel giro di qualche giorno. Sarebbe stato pronto per oggi, probabilmente, se tu non mi avessi distratto.»
Il vino infilato nella curva del braccio di Cilla assunse un altro peso. «E come avrei fatto?»
«Col tuo aspetto, il modo in cui ti muovi. Non ci sto provando con te a livello personale.» Ford abbassò lo sguardo. «Ma» puntualizzò «è una richiesta professionale. Sto cercando di creare un nuovo personaggio, il protagonista di un'altra serie, diversa da Seeker. Una donna: potere femminile, vulnerabilità, punti di vista, problemi. E la dualità... non importa per oggi» disse. «Tu sei la mia donna.»
«Come hai detto?»
«Dottoressa Cass Murphy, archeologa, professoressa della stessa materia. Donna imperturbabile, calma, solitaria, il cui cuore è davvero sul campo di lavoro. La scoperta. Il prodigio. Nessuno si avvicina troppo a Cass. E dedita al lavoro. È
stata cresciuta così. È emotivamente repressa.»
«Io sono emotivamente repressa?»
«Non lo so ancora, ma lei sì. Guarda.» Ford tirò fuori il blocco degli schizzi, girò una pagina. Inclinando la testa, Cilla osservò il disegno, osservò sé stessa con addosso tailleur tradizionali, scarpe pratiche e occhiali.
«Sembra noiosa.»
«Lei vuole sembrare noiosa. Non vuole essere notata. Se la gente la notasse, potrebbe esserle d'intralcio, e potrebbe farle provare cose che lei non vuole provare. Perfino durante uno scavo, lei... vedi?»
«Mmm. Non noiosa, ma efficiente e concreta. Forse leggermente sexy, dato il taglio maschile della camicia e dei pantaloni. È più a suo agio così.»
«Esatto. Sei brava con queste cose.»
«Ho letto la mia parte di bozzetti. Non conosco il tuo campo, ma non riesco a vedere una gran storia con questo personaggio.»
«Oh, Cass è a strati» le assicurò Ford. «Dobbiamo solo scoprirli come lei scopre manufatti durante uno scavo. Come scoprirà un'antica arma, simbolo di potere, quando rimarrà intrappolata in una caverna su un'isola immaginaria che devo creare, dopo aver intuito i piani ignobili del miliardario finanziatore del progetto, che è anche uno stregone malvagio.»
«Naturalmente.»
«C'è da lavorare su questo, ma eccola qui. Brid, dea guerriera.»
«Wow!» Fu davvero il massimo che Cilla riuscì a pensare. Era tutta cuoio e gambe, corazza e tette. La donna noiosa e concreta era diventata coraggiosa, pericolosa e sexy. Stava lì, con le gambe piantate dentro stivali alti fino al ginocchio, masse di capelli turbinanti e un martello a doppia testa dall'impugnatura corta sollevato verso il cielo.
«Forse hai esagerato con la taglia della coppa» commentò lei.
«La... oh, be', è difficile da dire. E poi, l'architettura della corazza è destinata a farle sembrare più grandi. Ma hai centrato quello che puoi fare per me. Posare. Posso ottenere quello che mi serve da schizzi senza messa in posa, ma per me sarebbe meglio...»
«Alt!» Cilla sbatté la mano su quella di Ford, mentre lui girava una pagina piena di disegnini che la ritraevano. «Quelli non sono schizzi di un personaggio. Quella sono io.»
«Sì, be', la stessa cosa, sostanzialmente.»
«Te ne sei stato laggiù a osservarmi, a fare disegni su di me senza il mio consenso? Non ti sembra maleducato e invadente?»
«No, lo considero un lavoro. Se mi intrufolassi qui e sbirciassi dalle tue finestre, quello sarebbe maleducato e invadente. Tu ti muovi come un'atleta con un leggero accenno da ballerina. C'è vigore perfino quando stai ferma. È quello che mi serve. Non ho bisogno del tuo permesso per basare un personaggio sulla tua fisicità, ma farei un lavoro migliore se collaborassi.»
Cilla spinse via la mano di Ford per tornare sulla pagina con la dea guerriera.
«Quella è la mia faccia.»
«E anche una splendida faccia.»
«Se ti dicessi che intendo chiamare il mio avvocato?»
Ai piedi di Ford, Spock brontolò. «Sarebbe miope e drastico. E una tua scelta.
Non credo che arriveresti da qualche parte, ma per risparmiarmi la seccatura, posso fare qualche modifica. Bocca più larga, naso più lungo. Posso farle i capelli rossi... i capelli rossi non sono una cattiva idea. Zigomi più affilati.
Vediamo.»
Ford estrasse una matita, girò una pagina nuova. Mentre Cilla osservava, disegnò un rapido schizzo a mano libera.
«Terrò gli occhi» mormorò mentre lavorava. «Hai degli occhi eccezionali. Allargo la bocca, ingrandisco giusto un pelo il labbro superiore, affilo gli zigomi, allungo il naso. È approssimativa, ma anche questa è una splendida faccia.»
«Se pensi di potermi spingere a...»
«Ma preferisco la tua. Dai, Cilla. Chi non vuole essere un supereroe? Te lo assicuro, Brid darà molti più calci in culo di Batgirl.»
Cilla odiava sentirsi stupida, e sentire la collera che avanzava. «Vattene. Ho del lavoro da fare.»
«Lo interpreto come un rifiuto di posare per me.»
«Puoi interpretarlo come: se non te ne vai, prendo il mio martello magico e te lo do in testa.»
Cilla strinse i pugni quando Ford le sorrise. «Così si fa. Fammi sapere se cambi idea» disse mentre rinfilava il blocco degli schizzi nella borsa. «Ci vediamo»
aggiunse, e, mettendo la matita dietro l'orecchio, si allontanò lungo il vialetto col suo brutto cagnolino.
Cilla era arrabbiata per l'accaduto. Lo sforzo fisico l'aiutò a sfogare la furia, ma la parte di rabbia doveva fare il proprio corso. Era davvero una fortuna, davvero una bella fortuna, riuscire a trasferirsi quasi in mezzo al nulla e ritrovarsi con un vicino ficcanaso, assillante e invadente, che non aveva rispetto né per i confini né per la privacy.
I suoi confini. La sua privacy.
Cilla desiderava soltanto fare ciò che voleva, coi suoi tempi, a modo suo, e prevalentemente da sola. Voleva costruire qualcosa li, farsi una vita, guadagnarsi da vivere. Alle sue condizioni.
Non le importavano i dolori e le sofferenze per il duro sforzo fisico. In realtà li considerava un simbolo di onore, insieme a ogni vescica e callo.
Fosse dannata se voleva che un artista dell'inchiostro documentasse i suoi passi e i suoi movimenti.
«Dea guerriera» mormorò sottovoce, mentre ripuliva le grondaie ostruite e incurvate. «Farle i capelli rossi, labbra al collagene e coppe D. Tipico.»
Scese dalla scala allungabile e, poiché le grondaie erano l'ultimo compito ingrato della giornata, si mise lunga distesa per terra.
Le faceva male dappertutto, accidenti.
Avrebbe voluto afflosciarsi in una Jacuzzi, seguita da un'ora di massaggi. E
coronare il tutto con un paio di bicchieri di vino, e possibilmente sesso con Orlando Bloom. Dopo di che, avrebbe potuto sentirsi umana.
Poiché l'unica cosa di quella lista di desideri a portata di mano era il vino, si sarebbe accontentata di quello. Quando sarebbe riuscita a muoversi di nuovo.
Con un sospiro, si rese conto che la parte del programma dedicata allo sfogo della rabbia era finita, e con la mente sgombra e il corpo esausto capì il motivo profondo della sua reazione di fronte agli schizzi di Ford.
Dieci anni di terapia non erano stati uno spreco.
Così gemette, si costrinse ad alzarsi. Ed entrò a prendere il vino.
Mentre Spock e il suo orso russavano solennemente, Ford ripassò con l'inchiostro l'ultima vignetta. Anche se il lavoro finale sarebbe stato a colori, la sua tecnica consisteva nell'affrontare l'inchiostratura quasi come un completamento dell'illustrazione finale.
Aveva già ripassato i bordi della vignetta e i contorni degli oggetti sullo sfondo con la sua Hunt 108. Dopo aver concluso la parte iUuminata dei primi piani, fece un passo indietro, socchiuse gli occhi, esaminò, approvò. Ancora Seeker, con le spalle molli, gli occhi bassi, il viso mezzo girato, rivolto indietro verso le ombre che tormentavano la sua esistenza.
Povero sciocco.
Ford pulì il pennino che aveva usato, lo rimise nel suo scomparto del tavolo da lavoro. Scelse il pennello, lo intinse nell'inchiostro di china, poi cominciò a riempire con linee marcate le zone d'ombra del disegno a matita. Dopo averlo intinto alcune volte, sciacquava il pennello. Il procedimento richiedeva tempo, richiedeva pazienza e mano ferma. Mentre immaginava grosse zone scure per questa cupa vignetta finale, Ford le colorava parzialmente, sapendo che molto inchiostro troppo in fretta avrebbe fatto deformare la pagina.
Quando i colpi alla porta di sotto e i latrati terrorizzati di Spock in risposta lo interruppero, fece ciò che faceva sempre con le interruzioni. Imprecò. Una volta imprecato, borbottò una serie di parole: il suo piccolo incantesimo rituale. Girò ancora il pennello nell'acqua e lo portò con sé mentre scendeva a rispondere.
L'irritazione lasciò il posto alla curiosità quando vide Cilla ferma sulla veranda con la bottiglia di cabernet in mano.
«Calma, Spock» disse, per far tacere i latrati folli del cane che tremava in cima alla scala.
«Non ti piace il rosso?» chiese a Cilla quando aprì la porta.
«Non ho il cavatappi.»
Questa volta il cane la salutò con un paio di saltelli felici, e strofinando entusiasta il corpo contro le sue gambe. «Anch'io sono contenta di vederti.»
«È sollevato che tu non sia una forza d'invasione dal suo pianeta d'origine.»
«Lo sono anch'io.»
La risposta fece sorridere Ford. «Okay, vieni dentro. Troverò un cavatappi.»
Scese un paio di gradini nell'atrio, si fermò, si girò. «Vuoi prendere in prestito un cavatappi, o vuoi che apra la bottiglia per berla insieme?»
«Perché non la apri?»
«In questo caso farai meglio a ripassare. Devo prima pulire il pennello.»
«Stavi lavorando. Allora prendo soltanto il cavatappi.»
«Ritiro tutto. Il lavoro può aspettare. Che ore sono, comunque?»
Cilla notò che Ford non portava l'orologio, quindi controllò il suo. «Più o meno le sette e mezza.»
«Può decisamente aspettare, ma il pennello no. Sapone, acqua, cavatappi e bicchieri, tutto comodamente in cucina.» Le prese il braccio in modo disinvolto, ma abbastanza deciso da portarla dove voleva.
«Mi piace casa tua.»
«Anche a me.» Le fece strada lungo un ampio ingresso con soffitti molto alti incorniciati da modanature color crema. «L'ho comprata quasi tutta così com'è. I proprietari precedenti avevano fatto un buon lavoro di ristrutturazione, quindi ho dovuto soltanto metterci dentro i mobili.»
«Cosa ti ha convinto? Di solito ci sono una o due attrattive principali per un compratore. Questa» aggiunse mentre entrava nell'ampia cucina, col grande bancone bar di granito, che si apriva su un soggiorno informale «sarebbe una delle mie.»
«A dire il vero, la vista, e la luce al piano di sopra. Io lavoro di sopra, quindi è stata quella la chiave.»
Ford aprì un cassetto, trovò il cavatappi in un modo che fece capire a Cilla quanto i suoi spazi fossero organizzati. Mise da parte l'arnese, poi andò al lavandino per lavare il pennello.
Spock eseguì una specie di danza con saltelli e colpetti d'unghie, poi sfrecciò fuori dalla porta. «Dove sta andando?»
«Io sono in cucina, e questo manda il segnale del cibo al suo cervello. Era la danza della felicità.»
«Davvero?»
«Sì, è un tipo piuttosto essenziale. Il cibo lo rende felice. Ha un distributore automatico in lavanderia e una porta per cani. Comunque, la cucina è abbastanza sprecata con me, e anche la zona da pranzo che hanno sistemato laggiù, perché non pranzo seriamente ogni volta che mangio. Sarei un tipo piuttosto essenziale anch'io. Ma mi piace avere spazio.»
Ford immerse le setole del pennello pulito in un bicchiere. «Siediti» la invitò, mentre prendeva il cavatappi.
Cilla si sedette al bancone bar, ammirò il doppio forno in acciaio inossidabile, gli armadietti di ciliegio, il fornello a sei bruciatori combinato con griglia sotto la lucente cappa inossidabile. E, poiché non era accecata dalla stanchezza di fine giornata, il culo di Ford.
Lui prese due bicchieri rossi da una vetrinetta con antine lavorate e versò il vino. Fece un passo avanti, gliene offrì uno, poi, sollevando il suo, si appoggiò al bancone inclinandosi verso di lei e disse: «Allora.»
«Allora. Abiteremo l'uno di fronte all'altra per un bel po', molto probabilmente. È meglio risolvere le cose.»
«Risolvere è positivo.»
«È lusinghiero essere vista come una specie di mitica dea guerriera» cominciò Cilla. «Strano, ma lusinghiero. Potrebbe anche piacermi molto tutto questo: un incrocio tra Xena e Wonder Woman, stile XII secolo.»
«Bello, e non del tutto sbagliato.»
«Ma non mi piace il fatto che tu mi abbia guardata o disegnata quando non ne ero consapevole. È un problema per me.»
«Perché tu la consideri come un'invasione della privacy. Mentre io la vedo come naturale osservazione.»
Cilla bevve un sorso. «Per tutta la vita, la gente mi ha guardata, mi ha fatto fotografie. Mi ha osservata. Facevo una passeggiata, andavo a comprare scarpe, a prendere un gelato: era l'occasione per una foto. Forse era quasi sempre organizzato con quel preciso scopo, ma io non avevo alcun controllo sulla cosa.
Anche se non sono nell'ambiente, resto comunque la nipote di Janet Hardy, quindi capita ancora ogni tanto.»
«E a te non piace.»
«Non solo non mi piace, è un capitolo chiuso. Non voglio portare qui quel sottoprodotto di Hollywood.»
«Posso scegliere la seconda faccia, ma devo tenere gli occhi.»
Cilla bevve un altro sorso. «Qui viene la parte difficile, per me. Non voglio che usi la seconda faccia. Mi sento stupida per questo, ma mi piace l'idea di essere d'ispirazione per l'eroina di un fumetto. Ed è una cosa che non avrei mai pensato di sentirmi dire.»
Ford fece la sua piccola, intima danza della felicità. «Quindi non si tratta dei risultati: è il procedimento. Vuoi qualcosa da mangiare? Io ho voglia di qualcosa da mangiare.» Si girò, aprì un altro armadietto e tirò fuori un sacchetto di patatine Doritos.
«Quello non è cibo vero.»
«È proprio per questo che è buono. Per tutta la mia vita» continuò Ford, mentre infilava le dita nel sacchetto «ho osservato le persone. Ho fatto ritratti...
be', li ho fatti non appena sono stato in grado di tenere in mano un pastello.
Ho osservato come si muovono, gesticolano, come sono combinati visi e corpi. Il portamento. E come respirare. Una cosa che devo fare. Potrei promettere di non osservarti, ma mentirei. Posso promettere di mostrarti tutti gli schizzi che faccio, e cercare di mantenere la promessa.»
Visto che c'erano, Cilla mangiò un Dorito. «E se li detestassi?»
«Non succederà, se hai un po' di buon gusto, ma in tal caso, sarebbe un peccato.»
Riflettendo, Cilla mangiò un'altra patatina. La voce di Ford era rimasta tranquilla, notò, nonostante la rigidità di fondo. «È una linea dura.»
«Non mi definirei una persona flessibile in fatto di lavoro. Ma posso esserlo sulla maggior parte delle altre cose.»
«Conosco il genere. Cosa succede dopo aver fatto gli schizzi?»
«Devi avere una storia. La grafica è solo metà del romanzo. Ma bisogna... Porta il vino. Vieni di sopra.»
Ford recuperò il pennello. «Stavo ripassando con l'inchiostro l'ultima vignetta di Payback quando hai bussato» le disse, mentre la conduceva fuori dalla cucina e verso la scala.
«Questa scala è originale?»
«Non lo so.» Ford corrugò la fronte mentre abbassava lo sguardo. «Forse.
Perché?»
«È un bellissimo lavoro. I pioli, la ringhiera, la finitura. Qualcuno si è occupato di questa casa. Un grosso contrasto con la mia.»
«Be', adesso te ne stai occupando tu. E hai assunto Matt, un mio amico, per fare alcuni lavori di falegnameria. So che ha lavorato a questa casa prima che la comprassi. E ha fatto delle cose per me dopo.» Girò nel suo studio.
Cilla vide il magnifico pavimento di castagno a doghe larghe, le bellissime finestre alte e le larghe cornici lucide. «Che stanza meravigliosa.»
«È grande. Era stata progettata come camera da letto principale, ma non mi serve così tanto spazio per dormire.»
Cilla si sentì di nuovo in sintonia con lui, e con le varie postazioni di lavoro disposte nella stanza. Lungo una parete erano allineati cinque grandi, e bruttissimi, casellari. Un'altra era piena di mensole con quella che sembrava un'organizzazione rigorosa di materiali e strumenti per le arti grafiche. Ford aveva dedicato un'altra sezione alle action figure e agli accessori. Cilla riconobbe qualche pezzo della collezione, e si chiese come mai Darth Vader e Superman sembrassero così amichevoli.
Al centro della stanza era posizionato un enorme tavolo da disegno, sul quale si trovavano quelle che dovevano essere le vignette di cui aveva parlato Ford.
Sparsi da entrambi i lati del tavolo, piani di lavoro e nicchie contenevano una varietà di strumenti, matite, pennelli, risme di carta. Fotografie, schizzi, immagini strappate o ritagliate da riviste che raffiguravano persone, luoghi, edifici. Su un'altra diramazione del piano di lavoro si trovavano computer, stampante, scanner e una action figure di Buffy l'ammazzavampiri.
Di fronte, a formare una grande U, c'era uno specchio a tutt'altezza.
«C'è un sacco di roba.»
«Ci vuole un sacco di roba. Solo per le illustrazioni, che è quello che vuoi sapere, faccio milioni di schizzi, assegnando i ruoli ai personaggi, vestendoli, giocando con lo sfondo, il primo piano, gli scenari... e a un certo punto scrivo il testo, suddividendolo in vignette. Poi faccio delle miniature: piccoli schizzi veloci per aiutarmi a decidere come dividere lo spazio e come comporle.
Quindi disegno a matita le vignette. Poi ripasso le illustrazioni con l'inchiostro, che è esattamente quello che sembra.»
Cilla si avvicinò al tavolo da disegno. «Bianco e nero, luce e ombra. Ma il libro che mi hai dato era a colori.»
«Lo sarà anche questo. Prima coloravo e facevo le scritte a mano. E divertente,»
le disse, appoggiando il fianco su una diramazione della U «e richiede davvero molto tempo. Ma se ti pubblicano all'estero, com'era il mio caso, è difficile cambiare le nuvolette disegnate a mano per farci stare le traduzioni. Quindi ho digitalizzato questa fase. Scannerizzo al computer le vignette ripassate a inchiostro, e coloro con Photoshop.»
«Le illustrazioni sono molto belle» affermò Cilla. «Raccontano quasi la storia senza le didascalie. Sono immagini potenti.»
Ford attese un attimo, poi ancora. «Sto aspettando.»
Cilla girò la testa per lanciargli uno sguardo. «Cosa?»
«Che tu mi chieda perché spreco il mio talento coi fumetti invece di inseguire una regolare carriera artistica.»
«Allora dovrai aspettare parecchio. Non vedo sprechi se una persona fa quello che vuole, e lo fa benissimo.»
«Sapevo che mi saresti piaciuta.»
«E poi, parli con una che è stata protagonista per otto stagioni di una sitcom di mezzora. Non era Ibsen, ma era indubbiamente regolare. La gente mi riconoscerà dalle tue illustrazioni. Non sono più così tanto sotto osservazione, ma somiglio abbastanza a mia nonna, e lei lo è. Lo sarà sempre. La gente farà il collegamento.»
«Per te è un problema?»
«Vorrei saperlo.»
«Hai un paio di giorni per pensarci. Oppure...» Ford si spostò, aprì un cassetto, tirò fuori dei documenti.
«Hai preparato una liberatoria» disse Cilla, dopo un'occhiata ai documenti.
«Mi chiedevo se saresti venuta, oppure no. Nel caso l'avessi fatto, ci saremmo tolti il pensiero.»
si allontanò, andò alle finestre. Le luci scintillavano di nuovo, pensò. Piccoli luccichii diamantini nel buio. Le osservò, e osservò anche il cane che rincorreva le ombre nel giardino sul retro di Ford. Bevve un sorso di vino. Poi girò la testa e lo guardò. «Non poserò con una corazza.»
L'umorismo passò nei suoi occhi un istante prima che Ford sorridesse. «Posso evitarlo.»
«Niente nudi.»
«Solo per la mia collezione personale.»
Cilla si lasciò sfuggire una risatina. «Hai una penna?»
«Qualche centinaio.» Ford scelse una normale roller ball mentre lei attraversava la stanza.
«C'è un'altra condizione. Una piccola richiesta personale. Voglio che dia molti più calci in culo di Batgirl.»
«Promesso.»
Dopo che Cilla ebbe firmato le tre copie, lui gliene porse una. «Per il tuo archivio. Perché non ci versiamo un altro bicchiere di vino, ordiniamo una pizza e festeggiamo l'accordo?»
indietreggiò. Lui non aveva invaso il suo spazio; era stata lei a invadere quello di Ford. Ma il formicolio che sentiva nel sangue la avvertì di mantenere la distanza. «No, grazie. Tu hai del lavoro da fare, e anch'io.»
«La notte è giovane.» Ford uscì con lei dallo studio. «Domani è una giornata lunga.»
«Non giovane come prima, e domani non è mai lungo abbastanza. E poi ho bisogno di tempo in più per fantasticare sull'installazione di una Jacuzzi.»
«Io ne ho una.»
Gli occhi di Cilla scivolarono su di lui mentre scendevano le scale. «Immagino che tu abbia anche un massaggiatore a disposizione.»
«No, ma sono molto bravo con le mani.»
«Ci scommetto. Be', se tu fossi Orlando Bloom, lo considererei un segno divino e verrei a letto con te nel giro di novanta minuti. Ma visto che non lo sei,»
Cilla aprì da sola la porta d'entrata «ti auguro buonanotte.»
Ford rimase fermo, con le sopracciglia aggrottate, poi uscì sulla veranda mentre lei camminava verso la strada. «Orlando Bloom?»
Cilla si limitò a sollevare una mano in un gesto noncurante, e proseguì.