19.

La mattina del quattro, Ford si alzò dal letto di Cilla. Non lo sorprese che lei fosse già in piedi, perfino in un giorno di vacanza. Lui considerava un suo dovere di cittadino americano dormire fino a tardi, ma evidentemente Cilla non condivideva il suo leale senso di patriottismo. Scese di sotto a tastoni, seguendo l'ormai familiare tramestio fino al soggiorno.

Lei era in piedi su una scala, e sparava chiodi nella cornice della finestra.

«Stai lavorando.» Era un'accusa.

Cilla si girò a guardarlo. «Un pochino. Volevo vedere come sta questo profilo con la vernice, dato che mio papà ha finito. Non riesco ancora a credere che abbia imbiancato tutto questo, e così bene. Se non avesse un lavoro, lo assumerei.»

«C'è del caffè?»

«Sì, ce n'è. Spock è fuori sul retro. Ha paura della sparachiodi.»

«Un attimo.»

Ford sentì ancora un tramestio alle proprie spalle mentre si trascinava in cucina. La macchinetta del caffè si trovava su un quadratino del piano di lavoro non ancora demolito. Riparandosi gli occhi dalla luce del sole che brillava attraverso le finestre, trovò una tazza e la riempì. Dopo i primi due sorsi, la luce sembrò più piacevole, e meno simile a un'arma aliena progettata per accecare tutta l'umanità.

Ford bevve mezza tazza di caffè restando dov'era, e dopo averla finita si sentì abbastanza sveglio. Portandola con sé, tornò in soggiorno e osservò Cilla la vorare per qualche minuto, mentre la caffeina faceva la sua magia.

Adesso era scesa dalla scala, e faceva combaciare i margini diagonali del pezzo inferiore coi lati che aveva già inchiodato. In un tempo che gli parve magicamente veloce, la larga cornice scura contornava la finestra.

Cilla posò la pistola, arretrò di diversi passi. Ford la sentì sussurrare: «Sì, perfetto.»

«Sta bene. Cosa ne hai fatto della cornice che c'era prima?»

«È la stessa che c'era prima. Ho dovuto fare un davanzale in sintonia, perché l'altro era danneggiato.»

«Credevo fosse bianca.»

«Perché a un certo punto qualche idiota ha sbattuto della vernice bianca su questo splendido noce. L'ho tolta. Un po' di pialla, un po' di mordente e un paio di mani di smalto, ed è di nuovo al suo stato originario.»

«Ah. Be', sta bene. Non a vevo colto il colore del soggiorno finora. Pensavo che sembrasse un po' smorto. Ma sembra più caldo vicino al legno. Come una foresta nella nebbia.»

«Si chiama Shenandoah. Mi è sembrato quello giusto. Quando guardi fuori dalle finestre di questa stanza, vedi le montagne, il cielo, gli alberi. È proprio giusto.» Cilla tornò dov'era prima e prese un altro pezzo di cornice.

«Stai lavorando ancora.»

«Non dobbiamo andare prima di...» guardò l'orologio «novanta minuti, più o meno.

Posso continuare ancora un po' con la cornice prima di prepararmi.»

«Okay. Prendo il caffè e il cane, e vado a casa mia. Passo a prenderti tra un'ora e mezzo.»

«Grandioso. Magari potresti metterti i pantaloni, prima.»

Ford abbassò lo sguardo sui boxer. «Giusto. Mi metto i pantaloni, forse le scarpe, prendo il caffè e tutto il resto.»

«Sarò pronta.»

Ford non si aspettava di trovarla pronta. Non perché era una donna, ma perché sapeva quanto spesso succedesse di

?o?

perdersi nel lavoro, anche a lui. Se non metteva una sveglia, fare tardi, o mancare del tutto un appuntamento o un avvenimento, era la norma.

Così fu sorpreso quando lei uscì non appena si fermò davanti a casa sua. E il suo aspetto lo lasciò per un attimo senza parole.

Cilla aveva lasciato i capelli sciolti (cosa che faceva raramente), il cui oro scuro e anticato le ricadeva lungo la schiena. Indossava un vestito bianco con ghirigori rosso vivo, con una leggera gonna svolazzante e spalline sottili che facevano risaltare le spalle forti.

Con le zampe piantate sul finestrino, Spock si sporse. Ford interpretò la sua serie di suoni come la versione canina di un fischio di ammirazione.

Ford scese dall'auto, doveva proprio farlo, e disse «Accidenti!»

«Ti piace? Guarda qua.» Cilla fece un giro, dandogli l'opportunità di ammirare la profonda scollatura sulla schiena coi lacci incrociati.

«Non ti ho mai vista con un vestito, e questo è proprio il massimo.»

Sul volto di Cilla comparve un'ansia improvvisa. «E troppo vistoso per un barbecue nel giardino di casa? Posso cambiarmi in cinque minuti.»

«Primo, dovrai passare sul mio cadavere. Secondo, 'vistoso' è l'ultima parola che userei. È favoloso. Sei sexy ed estiva, fresca come un gelato. Solo che adesso mi pento di non aver pensato a portarti fuori, dove avresti potuto indossare dei vestiti. Sento che arriverà una cena di lusso.»

«Preferisco i picnic nel giardino sul retro.»

«Sono stabili in cima alla mia lista.»

Cilla si aspettava di sentirsi imbarazzata all'inizio: le presentazioni, socializzare con gli altri. Ma conosceva così tanta gente che fu semplice e piacevole, come il giardino di Matt col grande patio e la griglia fumante.

Josie, la bella moglie di Matt all'ultimo mese di gravidanza, la portò via da Ford quasi subito. «Ecco.» Josie porse

una birra a Ford. «Vai pure. Vino, birra, analcolico?» chiese a Cilla.

«Ah, comincerò con l'analcolico.»

«Prova la limonata, è favolosa. Poi ti ruberò per dieci minuti laggiù all'ombra.

Ti consiglierei di ondeggiare così, ma camminare come una papera non è attraente, a meno che tu non sia incinta di otto mesi. Morivo dalla voglia di conoscerti.»

«Sei la benvenuta se vuoi passare a casa mia, in qualsiasi momento.»

«Stavo quasi per farlo un paio di volte, ma con questa...» Accarezzò la pancia mentre camminavano. «E lui.» E indicò un gruppo di bambini fra i giochi del giardino. «Il piccolo coi pantaloncini blu e la maglietta rossa che stringe Spock in adorazione reciproca è mio figlio. Quindi tra i due bambini, e un lavoro parttime, non ce l'ho fatta a venire. Né per darti il benvenuto qui né per curiosare e vedere quello che stai facendo. Che secondo Matt è grandioso.»

«È magnifico lavorare con lui. Ha molto talento.»

«Lo so. L'ho conosciuto quando la mia famiglia si è trasferita qui. Avevo diciassette anni ed ero molto risentita che il lavoro di mio padre mi avesse trascinata via da Charlotte e dagli amici. La mia vita era finita, ovviamente.

Finché l'estate seguente i miei genitori non assunsero un appaltatore locale per fare un'aggiunta alla casa, e nella squadra c'era un giovane bel falegname. Mi ci sono voluti quattro anni,» disse, facendo l'occhiolino «ma l'ho preso all'amo.»

Josie si sedette con un lungo e profondo sospiro.

«Mi toglierò subito il pensiero. Adoravo Katie. Avevo una bambola di Katie. In effetti, ce l'ho ancora. L'ho messa da parte per lei.» Disegnò un leggero cerchio sulla pancia. «Questa volta sarà una bambina. Ho visto quasi tutti, se non tutti, i film di tua nonna, e ho il DVD di Barn Dance. Spero che ci staremo simpatiche perché tu esci con Ford e io gli voglio bene. In effetti, Matt sa che se mai mi stancassi di lui e decidessi di mollarlo, correrei dietro a Ford.»

Cilla sorseggiò la sua limonata. «Credo che tu mi stia già simpatica.»

Nella calura sonnolenta, la gente cercava l'ombra degli ombrelloni del patio o si raggruppava ai tavoli sotto i rami degli alberi. Apparentemente insensibili alle temperature crescenti e all'umidità sempre più densa, i bambini si arrampicavano sui giochi o correvano per il giardino come cuccioli con inesauribile energia. Cilla calcolò che il grosso giardino di Matt, il solido patio e la bella casa coloniale a due piani ospitavano quasi un centinaio di persone, che abbracciavano circa cinque generazioni.

Si sedette con Ford, Brian e un gruppo di altri ragazzi a un tavolo da picnic, i piatti colmi di hamburger, hot dog, un'ampia varietà di insalate estive. Da dov'era seduta, Cilla riusciva a vedere suo padre, Patty e i genitori di Ford che parlavano e mangiavano insieme nel patio. Mentre guardava, Patty rise, posò una mano sulla guancia di Gavin e lo accarezzò. Lui prese la mano della moglie e le baciò delicatamente le nocche mentre la conversazione continuava.

Fu investito da una debole punta di invidia e una profondissima consapevolezza.

Si amavano. Lo sapeva, ovviamente, in un certo senso. Ma ora lo vide, nei gesti distratti che nessuno dei due avrebbe ricordato, l'amore semplice e duraturo.

Non solo abitudine, soddisfazione o dovere, nemmeno un impegno che... da quanto tempo stavano insieme?, si chiese. Ventitré, ventiquattro anni? No, nemmeno un impegno che durava da mezza vita.

Ce l'avevano fatta contro ogni probabilità, avevano vinto il premio.

Angie passò di lì - così giovane, fresca, bella - col tizio allampanato di nome Zach che le aveva presentato. Angie si fermò, e per un attimo Cilla si stupì rendendosi conto di quanto avrebbe voluto essere abbastanza vicina da sentire la rapida e animata conversazione. Poi, con la mano appoggiata sulla spalla della madre, Angie si chinò a baciare la testa del padre prima di proseguire.

Quello diceva tutto, concluse Cilla. Erano un'unità. Angie sarebbe tornata all'università in autunno. Avrebbe potuto allontanarsi migliaia di chilometri a un certo punto della sua vita. E comunque, sarebbero sempre stati un'unità.

Cilla distolse intenzionalmente lo sguardo.

«Credo che andrò a prendermi una birra» disse a Ford. «Ne vuoi una?»

«No, sono a posto. Te la prendo io.»

Cilla lo trattenne con delicatezza mentre lui stava per alzarsi. «Posso prenderla io.»

Passeggiò fino all'enorme secchio zincato pieno di ghiaccio, bottiglie e lattine. Non aveva particolarmente voglia di una birra, ma immaginò di doverla prendere ora. Ne pescò una e, considerandola un sostegno, attraversò il giardino fino a dove Matt presidiava la griglia.

«Non fai qualche pausa?» gli chiese.

«Ne ho fatte un paio. La gente va e viene tutto il giorno, è così che vanno queste cose. Devo tenerla fumante.»

Suo figlio arrivò di corsa, gli strinse le braccia intorno alla gamba e parlò in una lingua infantile che Cilla non riuscì a interpretare. Matt, tuttavia, sembrava capirla molto bene. «Fammi vedere la prova.»

Con gli occhi spalancati, il bambino tirò su la maglietta per mostrare la pancia. Matt le diede un colpetto, annuendo. «Okay, allora, vai a dirlo alla nonna.»

Quando il bambino corse via di nuovo, Matt colse l'espressione perplessa di Cilla. «Ha detto che ha finito il suo hot dog e che può prendere un pezzo gigante della torta della nonna.»

«Non avevo capito che fossi bilingue.»

«Ho molte capacità.» Come a provarlo, girò abilmente tre hamburger. «A proposito di capacità, Ford mi ha detto che hai lavorato un po' alle cornici del soggiorno stamattina.»

«Sì. Se devo proprio dirlo, e lo dico, sono davvero grandiose. Quello è il tuo laboratorio?» Cilla indicò con la birra verso l'edificio di cedro sul retro della proprietà.

«Sì. Vuoi vederlo?»

«Lo sai che voglio, ma faremo il giro un'altra volta.»

«Dove metterai il tuo?»

«Non riesco a decidermi. Sto riflettendo se costruire qualcosa da zero o risistemare una parte della stalla esistente. L'opzione della stalla è più pratica.»

«Ma di certo è divertente costruire da zero.»

«Non l'ho mai fatto, quindi è allettante. Quanti metri quadri ci vorrebbero secondo te?» continuò Cilla, e si immerse nel ritmo rilassato e familiare dei discorsi di lavoro.

A mano a mano che scendeva la sera, le persone cominciarono il breve pellegrinaggio al parco. Si ammassarono sul lato tranquillo della strada, portando sedie da giardino, frigoriferi portatili, copèrte, neonati e bambini più grandi. Mentre si avvicinavano, li accolse il suono vivace e stridulo dei corni.

«Le marce di Sousa,» disse Ford «come pubblicizzato.» Spostò le due sedie pieghevoli che aveva sotto il braccio, mentre Cilla teneva Spock al guinzaglio.

«Ti stai divertendo?»

«Sì. Matt e Josie hanno organizzato un bel barbecue.»

«Mi sei sembrata un po' disorientata prima, solo per un paio di minuti.»

«Davvero?»

«Quando mangiavamo. Prima di alzarti per prendere la birra; poi ti ho persa, tra Matt e le chiacchiere di lavoro.»

«Probabilmente troppa insalata di pasta. Mi sto davvero divertendo molto. È la mia prima festa annuale del quattro luglio in giardino nella Shenandoah Valley.

Finora, è grandioso.»

Il parco si estendeva sotto le montagne, e le montagne erano offuscate dal calore, tanto che l'aria sembrava incresparsi su di esse come acqua. Centinaia di persone si sparpagliarono, stendendosi sui prati. I chioschi erano in piena attività sotto l'ombra dei tendoni; offrivano panini al prosciutto di campagna, sandwich multistrato, torte, bibite analcoliche. Cilla colse i profumi di olio e zucchero, erba e crema solare.

Dagli altoparlanti venne un ronzio da interferenza, poi l'annuncio echeggiante che la gara dei mangiatori di torte sarebbe cominciata trenta minuti dopo davanti al padiglione nord.

«Ti ho parlato della gara dei mangiatori di torte, giusto?»

«Sì, e del quattro volte campione, il Grande John Porter.»

«Disgustoso. Non vorremo perdercela! Prendiamoci un quadratino d'erba, delimitiamo il territorio.» Fermandosi, Ford cominciò a scrutare. «Dobbiamo occupare un po' di spazio, tenere il posto per Matt, Josie e Sam. Ehi, Brian ha già preso possesso del terreno. La ragazza con cui sta è Missy.»

«Sì, l'ho conosciuta.»

«Hai conosciuto mezzo paese oggi pomeriggio.» Ford le lanciò uno sguardo di traverso. «Nessuno si aspetta che ti ricordi i nomi.»

«Missy Burke, perito assicurativo, divorziata, senza figli. In questo momento sta parlando con Tom e Dana Anderson, che possiedono una piccola galleria d'arte a Morrow Village. E Shanna sta passeggiando con Bill il fotografo, di cui nessuno ha detto il cognome.»

«Avevo torto.»

«Spettegolare era uno stile di vita abituale.»

Fecero appena in tempo a sistemarsi, a scambiare qualche parola coi loro amici, prima che Ford la trascinasse alla gara dei mangiatori di torte.

Un gruppo di venticinque concorrenti sedevano pronti, bavaglini bianchi di plastica legati al collo. Andavano dai bambini ai nonni, e c'era il favoritissimo, almeno centoventi chili, il Grande John Porter.

Al segnale, venticinque visi si lanciarono sulla crosta e si immersero nel ripieno di mirtilli. Cilla scoppiò subito a ridere, sommersa da grida e acclamazioni.

«Be', mio Dio! È disgustoso.»

«Ma divertente. Accidenti, ce la fa ancora! Grande John!» gridò Ford, e cominciò a ripeterlo più forte. La folla prese il ritmo, scoppiando in applausi mentre il Grande John sollevava il faccione macchiato di viola.

«Imbattuto» disse Ford, quando Porter venne dichiarato vincitore. «Non è possibile batterlo. È il superman dei mangiatori di torte. Okay, c'è la lotteria nel padiglione sud. Andiamo ad assicurarci qualche probabilità di vincere il premio più brutto e inutile.»

Decisero, dopo una lunga discussione, per un orologio da parete di plastica a forma di gallo, rosso vivo. Una volta scelto l'obiettivo, Ford andò alla biglietteria. «Buongiorno, Cathy. State facendo soldi a palate?»

«Sta andando bene quest'anno. Sento che batteremo il record. Ciao, Cilla. Sei stupenda. Ti stai divertendo?»

«Molto.»

«Sono felice di sentirlo. Immagino che sia un po' banale e campagnolo rispetto alle tue solite vacanze, ma credo che abbiamo organizzato un bell'evento.

Allora, quanto posso estorcervi?» Cathy batté le ciglia in modo esagerato.

«Quanti biglietti volete?»

«Farei venti.»

«A testa» disse Cilla, e tirò fuori una banconota.

«Così mi piace!» Cathy contò i biglietti e strappò le matrici. «Buona fortuna.

Avete fatto appena in tempo. Cominceremo ad annunciare i vincitori dei premi all'altoparlante tra circa venti minuti. Ford, se vedi tua mamma, dille di cercarmi. Voglio parlarle di...»

Cilla smise di ascoltare la conversazione quando vide Hennessy che la fissava dall'altra parte del padiglione. Il suo odio tagliente le graffiò la pelle.

Accanto a lui c'era una donnina, con viso e occhi stanchi. La donna gli tirò il braccio, ma lui rimase rigido.

Sparirono il caldo, la luce, il colore. L'odio, pensò Cilla, toglie la gioia. Ma non distolse lo sguardo, si costrinse a non distogliere lo sguardo.

Così fu lui a girarsi, cedendo infine alle suppliche della moglie e andandosene dal padiglione attraverso la verde erba estiva.

Cilla non disse niente a Ford. Non voleva rovinare la giornata. Alleviò la gola inaridita grazie all'incontro silenzioso con una limonata e passeggiò tra la folla mentre il sole cominciava a calare verso le cime occidentali.

Parlò, rise. Vinse l'orologio da parete a forma di gallo. E la tensione scomparve. Mentre il cielo si scuriva, Sam si arrampicò sulle ginocchia di Ford per fare una strana conversazione elettrizzata.

«Come fai a capire quello che dice?» chiese Cilla.

«È simile al klingon.»

Annunciarono The StarSpangled Banner, e la folla si alzò. Accanto a lei, Ford sollevò il bambino sul fianco. Intorno a loro, sotto un cielo indaco, nel tremolio di tubi fluorescenti e lucciole, si levò un coro di voci. D'istinto, come in preda a un bisogno improvviso, Cilla prese la mano di Ford, stringendola finché l'ultima nota non si smorzò.

Qualche attimo dopo essere tornati a sedersi, esplose il primo rimbombo. A quel rumore, Sam balzò giù dalle ginocchia di Ford e andò su quelle del padre. E

Spock saltò su quelle di Ford.

Al sicuro, pensò Cilla, mentre le luci infrangevano l'indaco. Dove sapevano che sarebbero sempre stati al sicuro.

«Bello?» chiese Ford, mentre guidava per le strade tranquille verso casa.

«Molto bello.» Sorprendentemente bello, disse Cilla. «Inizio, metà e fine.»

«Cosa ci farai con quel coso?» Ford abbassò lo sguardo sull'orologio.

«Coso?» Cilla cullò il gallo tra le braccia. «E questo il modo di parlare di nostro figlio?» Lo accarezzò con delicatezza. «Pensavo alla stalla. Potrebbe servirmi un orologio là fuori, e questo mi sembra adatto. E sono contenta di avere un ricordo del mio primo quattro luglio. Saremo decisamente troppo avanti nell'anno per un barbecue quando casa mia sarà finita. Ma dopo oggi, credo che organizzerò una festa. Una cosa grossa, con tanta gente, la casa aperta. Fuoco nel camino, vassoi di cibo, fiori e candele. Mi piacerebbe vedere com'è avere la casa piena di gente che non ci lavora.»

Cilla allungò le gambe. «Ma per stanotte, basta col divertimento e le feste. E

bello tornare a casa nella tranquillità.»

«Ci siamo quasi.»

«Vuoi condividere la tranquillità con me?»

«Ci stavo giusto pensando.»

Si scambiarono uno sguardo mentre Ford svoltava nel vialetto. Quando lui tornò a guardare davanti, i fanali lampeggiarono sull'acero rosso. «Cosa c'è appeso...»

«Il mio pickup!» Cilla si spostò in avanti, afferrando il cruscotto. «Oh, maledizione, figlio di puttana. Ferma! Ferma!»

Stava già strappando via la cintura e aprendo la portiera prima che Ford si fosse fermato completamente dietro al suo pickup.

Pezzetti sparsi di vetro penzolavano dal lunotto. Altri scintillavano sulla ghiaia, scricchiolando sotto i piedi mentre Cilla correva.

Ford tirò fuori il telefono, digitò il numero della polizia. «Aspetta. Cilla, aspetta un attimo.»

«Tutti i finestrini. Ha sfasciato tutti i finestrini.»

Sul parabrezza si aprivano dei buchi come palle di cannone, esplosi in folli ragnatele di vetro frantumato. Mentre la fredda collera la soffocava, Cilla vide che i fanali erano stati spaccati, la mascherina danneggiata.

«L'allarme è servito a molto.» Avrebbe voluto piangere. Avrebbe voluto urlare.

«Proprio a molto, maledizione.»

«Andiamo dentro, controlliamo l'antifurto. Io controllerò la casa, così poi tu starai dentro.»

«È troppo, Ford. È davvero troppo, accidenti. Cattivo, vendicativo, folle. Quel pazzo, vecchio bastardo dev'essere rinchiuso.»

«Hennessy? È fuori città.»

«No che non lo è. L'ho visto stasera, al parco. È tornato. E scommetto che se avesse potuto usare una mazza o un tubo, o qualsiasi cosa abbia usato qui, su di me al parco, l'avrebbe fatto.»

Cilla si girò di scatto, trasportata dalla furia. E alla luce dei fanali vide quello che aveva visto Ford appeso a un ramo del suo bell'acero rosso.

Ford le afferrò il braccio quando lei fece per avvicinarsi. «Andiamo dentro.

Aspetteremo la polizia.»

«No.» Cilla spinse via la sua mano, attraversò la ghiaia e andò sull'erba.

Aveva sei anni, ricordò, quando avevano messo in vendita quella particolare bambola. I capelli, di un biondo luminoso che non si era ancora scurito, erano legati con nastri rosa in due codini sopra le orecchie. Il nastro che incorniciava i quadretti rosa e bianchi del vestito era intonato. Del pizzo ornava i calzini bianchi sopra il cuoio verniciato e lucente delle Mary Jane. Il sorriso era luminoso come i capelli, dolce come i nastri rosa.

Avevano formato il cappio con la corda del bucato, notò Cilla. Un lavoro accurato e preciso, per impiccare la bambola in terribile effige. Proprio sopra la fusciacca, un pezzo di cartone diceva: PUTTANA.

«Gli accessori di questa bambola, venduti separatamente, includevano il modello in scala di un servizio da tè. Era una delle mie preferite.» Cilla distolse lo sguardo, prese in braccio uno Spock che guaiva e tremava. «Hai ragione. Dovremmo andare dentro, controllare la casa, non si sa mai.»

«Dammi le chiavi. Voglio che aspetti sulla veranda. Per favore.»

Parole gentili, pensò Cilla. Che strano sentire l'autorità assoluta velata di cortesia. «Lo sappiamo che non è in casa.»

«Allora non è un problema per te aspettare fuori sulla veranda.» Per mettere fine alla questione, Ford le aprì la borsa e tirò fuori le chiavi.

«Ford...»

«Aspetta qui fuori.»

Ford lasciò la porta aperta, e questo le fece capire che non aveva dubbi che avrebbe rispettato il suo ordine. Con un'alzata di spalle, Cilla si avvicinò al parapetto, strofinando il naso contro quello di Spock prima di metterlo giù.

Nessuno era stato in casa, quindi non c'era niente di male ad aspettare. E non aveva senso mettersi a discutere.

Inoltre, da lì poteva fissare il suo pickup, riflettere sul suo stato.

Crogiolarsi nella riflessione. Si era sentita benissimo il giorno in cui l'aveva comprato, così piena di aspettative quando l'aveva caricato per il suo viaggio a est.

I primi passi verso il suo sogno.

«E tutto a posto» disse Ford alle sue spalle.

«Non direi proprio, no?» Una parte di lei, una parte maligna e infelice di lei, voleva scrollare via le mani confortanti che lui le aveva posato sulle spalle.

Ma non lo fece.

«Sai come mi sono sentita oggi? Come se fossi in un film. Non in senso negativo, proprio il contrario. Pezzetti e scene di un film di cui volevo davvero far parte. Non ancora partecipe del tutto, ancora nuova sul set. Ma iniziavo a sentirmi... a sentirmi davvero bene nella mia pelle.»

Cilla inspirò profondamente, espirò piano. «E adesso, questa è la realtà. Vetri rotti. Ma la cosa strana, la cosa davvero strana è che oggi ero io. Ero io. E

questo? A chiunque sia diretto questo, è l'immagine, il miraggio. A fumo e gli specchi.»

L'aria era calda e tranquilla mentre lo smog rimaneva sospeso come l'alone di un dito sudato. Le tombe, nelle quali riposavano sia stelle che comuni mortali, si ergevano sul prato come lastre fredde. E tutti i fiori, lacrime in bocciolo versate dai vivi per i morti.

Janet era vestita di nero, il corpo sotto il vestito contratto per il dolore. Un fusto di salice diventato fragile. Un largo cappello nero e occhiali scuri le riparavano il viso, ma il dolore oltrepassava le protezioni.

«Non possono ancora mettere la lapide. Il terreno deve prima assestarsi. Ma riesci a vederla, vero? Il suo nome sul marmo bianco, i pochi anni in cui l'ho avuto. Ho cercato di pensare a una poesia, qualche riga da far incidere, ma come potevo pensare? Come potevo? Così ho fatto incidere 'gli angeli hanno pianto'.

Solo quello. Probabilmente l'hanno fatto, credo. Probabilmente hanno pianto per il mio Johnnie. Vedi gli angeli che abbassano lo sguardo su di lui e piangono?»

«Sì, sono già venuta qui.»

«Allora sai come sarà. Come sarà sempre. Lui era l'amore della mia vita. Tutti gli uomini, mariti, amanti, andavano e venivano. Ma lui? Johnnie. Lui veniva da me.» Ogni parola pronunciata era colma di dolore. «Avrei dovuto... quante cose.

Riesci a immaginare cosa significhi per una madre osservare la tomba del figlio e pensare: Avrei dovuto?»

«No. Mi dispiace.»

«Molte persone sono dispiaciute. Riversano il loro dispiacere su di me, e non mi fa nessun effetto. Più avanti, mi aiuterà un po'. Ma in questi primi giorni, in queste prime settimane, non fa nessun effetto. Io sarò lì.» Janet gesticolò verso il terreno accanto alla tomba. «Lo so già adesso perché l'ho predisposto.

Io e Johnnie.»

«E tua figlia. Mia madre.»

«Dall'altra parte vicino a me, se lo vorrà. Ma lei è giovane, e andrà per la sua strada. Lei vuole... tutto. Tu lo sai, e io non ho niente da darle ora, non in questi primi giorni, in queste prime settimane. Niente da dare. Ma sarò lì abbastanza presto, sotto terra con Johnnie. Non so ancora quando, non so fra quanto succederà. Ma sto pensando di farlo adesso. Ci penso tutti i giorni. Come posso vivere se non può farlo il mio bambino? Sto pensando a come. Pillole?

Rasoio? Immergermi nel mare? Non riesco mai a decidermi. Il dolore annebbia la mente.»

«E l'amore?»

«La apre, quando è reale. È per questo che può ferire così tanto. Ti chiedi se avrei potuto impedirlo. Se non l'avessi lasciato crescere come un selvaggio. La gente dice che l'ho fatto.»

«Non lo so. È morto un altro ragazzo quella notte, e il terzo è rimasto paralizzato.»

«E stata colpa mia?» chiese Janet, mentre l'amarezza copriva il dolore. «Di Johnnie? Sono saliti tutti in macchina quella notte, no? Ubriachi, fatti.

Chiunque di loro avrebbe potuto mettersi al volante, e non sarebbe cambiato niente. Sì, sì, io lo assecondavo, e ringrazio Dio per questo adesso. Ringrazio Dio di avergli dato tutto ciò che potevo nel poco tempo in cui è vissuto.

Rifarei tutto.» Janet si coprì il viso con le mani, mentre le spalle tremavano.

«Tutto.»

«Non te ne faccio una colpa. Come posso? Non lo so. Hennessy te ne fa una colpa.»

«Cos'altro vuole? Il sangue?» Janet lasciò cadere le mani, allungò le braccia. E

le lacrime scivolarono lungo le guance pallide. «Almeno lui ha suo figlio. Io ho un nome inciso sul marmo bianco.» Cadde per terra in ginocchio.

«Credo che voglia davvero il sangue. Credo che voglia il mio.»

«Non ne può più avere. Diglielo.»Janet si sdraiò accanto alla tomba, vi fece scorrere sopra le mani. «C'è stato abbastanza sangue.»