18.

Cilla si concesse il piacere di togliere le vecchie porte danneggiate con le guarnizioni consumate o mancanti, e installarne delle nuove. Tenne quelle vecchie, ma le ripose nella stalla.

Non si sapeva mai: sarebbe sempre potuta servire una porta vecchia.

Aveva optato per il mogano, al diavolo il budget, di uno stile elegantemente semplice. Le due file da tre pannelli di vetro stirato sulla porta d'entrata avrebbero lasciato entrare la luce, e garantito comunque un po' di privacy.

Perfetta contro i seccatori, pensò con piacere Cilla dopo che uno degli operai l'ebbe aiutata a sollevarla e posizionarla. Perfetta come un maledetto sogno.

Aspettò finché non fu da sola per accarezzare il legno e mormorare: «Ciao, bellezza. Sei tutta mia adesso.» Canticchiando a bocca chiusa, cominciò a lavorare alla serratura.

Aveva deciso per il bronzato nero, come in altre zone della casa, e mentre cominciava a installarla, Cilla concluse di aver fatto una scelta perfetta. Le tonalità scure del bronzo risaltavano contro le tenui sfumature rosse del mogano.

«Bella porta.»

Cilla girò la testa e vide suo padre che scendeva dall'auto. Era talmente abituata a vederlo coi suoi tipici vestiti da insegnante, che le ci volle un attimo per abituare il cervello agli attuali jeans, maglietta e berretto.

«Fa una buona impressione» rispose lei.

«Questo è certo.» Gavin si fermò per dare un'occhiata al prato davanti. L'erba era stata accuratamente tosata, le chiazze spoglie riseminate e i teneri germogli protetti da un sottile strato di paglia. C'erano anche nuove piante: giovani azalee e rododendri, un gruppetto di ortensie già cresciute, un sottile acero rosso con le foglie che brillavano alla luce del sole.

«C'è ancora del lavoro da fare, e non pianterò le aiuole di fiori fino alla prossima primavera, a meno che non riesca a mettere qualcosa di autunnale. Ma facciamo progressi.»

«Hai fatto un lavoro sorprendente finora.» Gavin la raggiunse sulla veranda, abbastanza vicino perché Cilla cogliesse un profumo che le sembrò Irish Spring.

Il padre osservò la porta, la serratura. «Sembra solida. Sono contento di vederlo. E cosa mi dici del sistema antifurto? Le notizie corrono» aggiunse, quando lei sollevò le sopracciglia.

«Speravo che questa notizia l'avrebbe fatto. Potrebbe essere un deterrente quanto l'antifurto. Che è stato installato ieri.»

Gli occhi nocciola di Gavin incrociarono seri quelli della figlia. «Avrei voluto che mi chiamassi, Cilla, per dirmi dell'atto di vandalismo.»

«Non avresti potuto farci niente. Dammi un secondo qui, ho quasi finito.» Cilla strinse le ultime viti, poi mise da parte il cacciavite a batterie prima di ammirare il risultato. «Già, è bella. Stavo quasi per scegliere un altro stile, ma ho pensato che sarebbe risultato troppo pesante. Questa è meglio.» Aprì e chiuse la porta un paio di volte. «Bene. Userò lo stesso stile per l'entrata posteriore, ma ho deciso di mettere un atrio... scusa. Forse non sei interessato.»

«Invece sì. Mi interessa quello che stai facendo.»

Un po' sorpresa dal tono ferito del padre, Cilla si girò per concedergli tutta la sua attenzione. «Intendevo solo ai dettagli strani: pomello o maniglia, scorrevole, a battente, con vetro. Vuoi entrare?» Lei riaprì la porta. «C'è rumore, ma è più fresco.»

«Cilla, cosa posso fare?»

«Io... senti, mi dispiace.» Dio, era pessima nel dialogo padrefiglia. Come avrebbe potuto essere altrimenti? «Non volevo insinuare che non ti interessa quello che sto facendo.»

«Cilla.» Gavin richiuse la porta per attenuare il rumore. «Cosa posso fare per aiutarti?»

Cilla si sentì in colpa, e un po' nel panico, perché la sua mente si svuotò.

«Aiutarmi con che cosa?»

Il padre sospirò, mentre infilava le mani in tasca. «Io non sono un esperto del fai da te, ma so martellare un chiodo o stringere una vite. Posso andare a prendere le cose e trasportarle. Posso fare del tè freddo o comprare i panini.

So usare la scopa.»

«Tu... vuoi lavorare alla casa?»

«La scuola è finita per l'estate, e io non ho preso nessun corso estivo. Ho del tempo per aiutarti, e mi piacerebbe farlo.»

«Be'... perché?»

«So bene che hai un sacco di gente, che sa fare il proprio lavoro, pagata per farlo. Ma io non ho mai fatto niente per te. Mandavo gli assegni di mantenimento. Ero obbligato per legge. Spero che tu lo sappia, o che ci creda: te li avrei mandati anche senza quell'obbligo. Non ti ho insegnato ad andare in bicicletta, o a guidare la macchina. Non ho mai preparato i giocattoli per te la vigilia di Natale o per il tuo compleanno... o le poche volte che l'ho fatto eri troppo piccola per poterlo ricordare. Non ti ho mai aiutata coi compiti e non sono rimasto sveglio ad aspettare che tornassi da un appuntamento. Non ho mai fatto niente di tutto questo per te, né centinaia di altre cose. Quindi mi piacerebbe fare qualcosa per te adesso. Qualcosa di tangibile. Se me lo permetterai.»

Il cuore di Cilla palpitava, una stranissima combinazione di piacere e angoscia.

Era fondamentale che pensasse a qualcosa, la cosa giusta, e la sua mente andò alla ricerca disperata. «Hai mai imbiancato?»

Cilla vide la tensione sul volto del padre sciogliersi in un sorriso felicissimo. «In effetti, sono un ottimo imbianchino. Vuoi delle referenze?»

Lei ricambiò il sorriso. «Ti farò fare una prova. Seguimi.»

Cilla lo accompagnò in soggiorno. Non aveva ancora programmato di imbiancare quel locale, ma non c'era motivo per non farlo. «L'intonacatura è finita, e ho rimosso le cornici. Ho dovuto. Alcune dovevano essere tolte, e l'ho fatto. Sto ancora lavorando per riprodurre e sostituire le parti danneggiate, poi metterò il mordente e le sigillerò. Comunque, non devi mettere il nastro adesivo o fermarti quando arrivi alle cornici. Oh, e non preoccuparti neanche del muro di mattoni sul caminetto. Lo coprirò col granito. O marmo. Adesso non ci sono lavori in corso in questo locale, quindi non intralcerai nessuno, e nessuno dovrebbe intralciare te. Possiamo mettere degli stracci sul pavimento e riporre il materiale qui dentro.»

Cilla mise i pugni sui fianchi. «Troverai la scala a libretto, i secchi, i rulli e i pennelli laggiù. La mestica è in quei bidoni da quaranta litri, e c'è scritto sopra. La vernice di finitura ha l'etichetta 'S'di soggiorno. L'ho trovata in saldo da Duron, così l'ho comprata prima. Comunque riuscirai soltanto a iniziare con la mestica.»

Cilla ripassò mentalmente la lista delle cose da fare. «Allora... vuoi che ti aiuti a preparare?»

«Ce la faccio.»

«Okay. Senti, è un lavoro grosso, quindi smetti se ti senti stanco. Io vado a lavorare alla porta sul retro, se hai bisogno di qualcosa nel frattempo.»

«Vai pure. Io sono a posto.»

«Okay. Verrò dopo che avrò finito con la porta della cucina.»

Cilla si allontanò due volte durante il processo di sostituzione della porta, una delle quali per il puro piacere di salire e scendere dalla scala esterna appena terminata. Doveva essere applicato il mordente, sigillata, e il vano d'ingresso aperto nel suo futuro ufficio sarebbe stato chiuso col compensato fino a quando lei non avrebbe installato quella porta. Ma la scala la rese così felice che eseguì un numero di danza improvvisato mentre scendeva, tra gli applausi e i fischi degli operai.

Suo padre e rimbiancatura le sfuggirono di mente per più di tre ore. Con sensi di colpa e di preoccupazione, Cilla si precipitò in soggiorno, sicura di trovare un caos da dilettante del fai da te della domenica.

Invece, vide un locale ben coperto di stracci, due pareti e il soffitto mesticati.

E suo padre, che fischiettava un'allegra melodia, mentre passava la mestica col rullo sulla parete successiva.

«Sei assunto» disse Cilla alle sue spalle.

Gavin abbassò il rullo, ridacchiò e si girò. «Lavorerò in cambio della limonata.» Sollevò un bicchiere grande. «Ne ho presa un po' in cucina. E ho visto il tuo numero.»

«Scusa?»

«La tua Ginger Rogers giù per la scala. Fuori. Sembravi molto felice.»

«Lo sono. La pendenza, i pianerottoli, le rampe. Ecco a voi una prodezza dell'ingegneria di Cilla McGowan e Matt Brewster.»

«Avevo dimenticato che sapessi ballare così. Non ti vedevo ballare da... eri ancora un'adolescente quando venni al tuo concerto a Washington. Ricordo di essere venuto nel backstage prima che si alzasse il sipario. Eri bianca come un lenzuolo.»

«Paura da palcoscenico. Odiavo quella serie di concerti. Odiavo esibirmi.»

«L'hai appena fatto.»

«Esibirmi? No, un conto è esibirsi e un conto è scherzare. Questo era uno scherzo. Cosa che chiaramente non stai facendo tu qui. È davvero un buon lavoro.

E poi?» Cilla si avvicinò per controllarlo più da vicino e... accidenti, riusciva ancora a sentirgli addosso l'odore di sapone. «Hai a malapena una goccia di vernice addosso.»

«Anni di esperienza, tra le scenografie a scuola e l'abitudine di Patty di rimbiancare. Questo locale sembra molto diverso» aggiunse. «Con la porta allargata, la forma della stanza cambia: la apre.»

«Troppo diverso?»

«No, tesoro. Le case sono destinate a cambiare, a rispecchiare le persone che ci vivono. E credo che tu capisca cosa intendo quando dico che lei è ancora qui.

Janet è ancora qui.»

Gavin le toccò la spalla, poi lasciò lì la mano, mantenendo il contatto. «E

anche i miei nonni, mio padre. Perfino io, un po'. Ciò che vedo qui è una rinascita.»

«Vuoi vedere dove porta la scala? La soffitta?»

«Mi piacerebbe.»

Cilla si divertì molto ad accompagnarlo in giro, a vedere il suo interesse per il disegno e i progetti per l'ufficio. Fu sorpresa rendendosi conto di quanto le desse soddisfazione l'approvazione del padre. Come dava soddisfazione mostrare le cose a qualcuno disposto a rimanere colpito.

«Allora continuerai a lavorare con le case» disse lui, mentre cominciavano a scendere i gradini non terminati della soffitta.

«Il progetto è quello. Restaurare per rivendere, o per i clienti. Strutturare.

Forse fare qualche consulenza. Dipende tutto dalla licenza di appaltatore, se la otterrò o meno. Posso fare molte cose senza, ma se la otterrò, potrò fare di più.»

«Come farai a ottenere la licenza?»

«Ho l'esame domani.» Cilla sollevò entrambe le mani, le dita incrociate.

«Domani? Perché non stai studiando? Te lo dico da insegnante.»

«Credimi, l'ho fatto. Ho studiato tantissimo, ho fatto la simulazione dell'esame online. Due volte.» Cilla si fermò vicino al bagno degli ospiti. «Questa stanza è finita... per la seconda volta.»

«È una di quelle danneggiate?»

«Sì. Non si direbbe affatto» disse lei, accovacciandosi e passando le dita sulle piastrelle appena posate. «Credo sia questo che conta.»

«Quello che conta è che non ti abbiano fatto del male. Se penso a quello che è successo a Steve...»

«Lui sta bene. L'ho sentito ieri. La fisioterapia va bene, e questo dipende forse in parte dal fatto che la fisioterapista è una sventola. Pensi che possa essere stato Hennessy?» chiese lei d'impulso. «Ne è capace, fisicamente o per carattere?»

«Per quanto riguarda il carattere, non mi piace pensarlo. Ma il fatto è che nonha mai smesso di odiare.» Dopo una pausa, Gavin sospirò. «Dovrei dire che odia più adesso di quando avvenne l'incidente. Fisicamente? Be', è un tipo forte.»

«Voglio parlare con lui, capire il motivo. Non ho ancora deciso come affrontare la cosa. D'altra parte, se fosse lui, forse questo lo irriterebbe anche di più.

Ormai sono quasi due settimane che non ho problemi. Vorrei che continuasse così.»

«Hennessy è stato fuori città per qualche giorno. Lui e sua moglie sono andati a trovare la sorella di lei. Nel Vermont, credo. Il figlio del mio vicino gli tosa il prato» spiegò Gavin.

Comodo, pensò lei mentre suo padre tornava a imbiancare.

E visto che il soggiorno veniva imbiancato, Cilla decise di sistemare i suoi attrezzi fuori e lavorare alle cornici.

Il mattino seguente, Cilla si disse che era stata sciocca e ottusa a impedire a Ford di restare a casa sua per la notte. Non aveva voluto distrazioni mentre ripassava il manuale, e si era ripromessa di andare a letto presto e dormire otto ore di fila.

Invece si era ossessionata per l'esame, camminando avanti e indietro per la casa e facendo pronostici. Quando si era addormentata, si era agitata e rigirata in preda a sogni ansiosi.

Come risultato, Cilla si svegliò tesa, inquieta e con una leggera nausea da nervosismo. Si sforzò di mangiare mezzo bagel, poi desiderò non averlo fatto, dato che perfino quello si rivoltava senza pace nello stomaco.

Controllò il contenuto della borsa tre volte per essere assolutamente certa di avere tutto ciò che avrebbe potuto servirle, poi uscì di casa almeno trenta minuti prima, se mai avesse incontrato traffico o si fosse persa; se non fosse riuscita a trovare parcheggio, aggiunse mentre chiudeva a chiave la porta d'entrata. O fosse stata rapita dagli alieni.

«Piantala, piantala» mormorò, mentre camminava a grandi passi verso il suo pickup. Accidenti, il destino del mondo non dipendeva certo dal voto del suo esame.

Solo il suo, pensò Cilla. Solo tutto il suo futuro.

Avrebbe potuto aspettare. Fare l'esame più avanti, aspettare solo un altro po'.

Dopo aver finito la casa. Dopo essersi ambientata. Dopo...

Paura da palcoscenico, pensò con un sospiro. Ansia da esibizione e paura del fallimento, tutto stretto in un nastro scivoloso. Con lo stomaco annodato, Cilla aprì la portiera del pickup.

Emise un suono a metà fra una risata e un 'oh'.

Lo schizzo era posato sul sedile, dove Ford l'aveva probabilmente messo la sera prima.

Ritraeva Cilla con gli stivali da lavoro, una cintura degli attrezzi allacciata sui fianchi simile a una fondina, una sparachiodi in una mano e un metro a nastro nell'altra, come appena estratti dalla cintura. Intorno c'erano cataste di legname, rotoli di filo, pile di mattoni. Occhiali di protezione che penzolavano da un cordino attorno al collo, e guanti da lavoro che spuntavano dalla tasca dei pantaloni da falegname. L'espressione del viso era decisa, quasi arrogante.

Sotto i piedi, la didascalia diceva:

LA STRAORDINARIA, L'INCREDIBILE APPALTATRICE

«Non te ne scappa una, vero?» disse ad alta voce.

Guardò dall'altra parte della strada, mandò un bacio dove immaginava che Ford stesse dormendo. Quando salì sul pickup e avviò il motore, tutti i nodi si erano sciolti.

Con lo schizzo sul sedile accanto al suo, Cilla accese la musica e guidò verso il futuro, cantando.

Ford si sistemò nella veranda d'entrata col computer portatile, il blocco degli schizzi, una caraffa di tè freddo e un sacchetto di Doritos da dividere con Spock. Non sapeva quando Cilla sarebbe riuscita a tornare. Il viaggio andata e ritorno da Richmond era un inferno, anche lontano dall'ora di punta. Inoltre, non sapeva quanto sarebbe durato l'esame, o cosa avrebbe fatto dopo Cilla per rilassarsi.

Così, verso le due del pomeriggio, Ford si piazzò dove non gli sarebbe sfuggito il suo ritorno e si tenne occupato. Mandò delle email e rispose ad altre, andò sui blog e i forum che visitava di solito e aggiornò un po' il suo sito web.

Aveva trascurato la sua comunità virtuale nelle ultime settimane, essendo stato assorbito da una certa bionda smilza. Si intrattenne così per due ore consecutive, quando notò che almeno qualche operaio dall'altra parte della strada aveva finito di lavorare.

Matt uscì da casa di Cilla, svoltò sul lato della strada di Ford, poi si sporse dal finestrino. «Stai guardando i siti porno?»

«Giorno e notte. Come va laggiù?»

«Procede. Oggi abbiamo finito di isolare la soffitta. Un lavoro terribile. Già, ehi, Spock, come va?» aggiunse Matt, quando il cane fece un unico latrato profondo per attirare l'attenzione. «Vado a casa e mi faccio una birra fresca.

Vieni da noi a mangiare hamburger e hot dog il quattro?»

«Non me lo perderei per nulla al mondo. Porterò il tuo capo.»

«Immaginavo che le cose stessero così. Ben fatto, figlio di un cane. Non tu»

aggiunse Matt, indicando Spock. «Non so cosa ci trovi in te, ma credo che si sia decisa perché sa che io sono sposato.»

«Già, è andata così. Doveva incanalare la sua frustrazione sessuale da qualche parte.»

«Mi ringrazierai poi.» Con un ampio sorriso e un colpo di clacson, Matt si allontanò.

Ford si versò un altro bicchiere di tè e scambiò il computer portatile col blocco da disegno. Non era ancora soddisfatto dell'immagine del cattivo. Per Devon/Devino si era rifatto in gran parte al suo insegnante di algebra della seconda superiore, ma le modifiche alla storia originaria gli fecero pensare di volere un uomo un po' più... elegante. Un malvagio freddo e distinto funzionava meglio. Giocherellò con vari tipi di visi sperando che ne saltasse fuori uno e dicesse: scegli me!

Dato che non succedeva, meditò di bersi una birra fresca. Ma dimenticò il lavoro e la birra appena il pickup di Cilla entrò nel vialetto.

Ford lo capì ancora prima che lei scendesse. Nonostante gli occhi di Cilla fossero riparati dagli occhiali da sole. L'ampio sorriso diceva tutto. Ford le andò incontro, preceduto di diversi passi da un felice Spock, mentre lei scendeva dal pickup. Si puntellò quando Cilla corse e saltò fra le sue braccia.

«Azzarderò un'ipotesi. Sei passata.»

«Ho spaccato!» Ridendo, Cilla si piegò pericolosamente indietro, e Ford dovette spostarsi e puntare le gambe per non lasciarla cadere di testa. «Per la prima volta in vita mia, sono andata benissimo in un esame. E andata benissimo in strada, oltre i confini della contea e fuori dallo stato. Magnifico!»

Cilla gettò le braccia in aria, poi al collo di Ford. «Sono un'appaltatrice!

Grazie.» Lo baciò così forte da fargli vibrare i denti. «Grazie. Grazie. Ero un disastro, ero nervosa e tremavo, finché non ho visto il tuo schizzo. Mi ha dato una forza enorme. Davvero.» Lo baciò di nuovo. «Lo farò incorniciare. E la prima cosa che appenderò nel mio ufficio. Il mio ufficio da appaltatore abilitato.»

«Congratulazioni.» Ford credeva di aver capito quanto significasse per lei la licenza. E si rese conto di non esserci neanche andato vicino. «Dobbiamo festeggiare.»

«Ci ho pensato io. Ho comprato della roba.» Cilla saltò giù, poi prese un emozionato Spock fra le braccia e coprì di baci la sua grossa testa. Poi lo mise a terra e tornò di corsa al pickup. «Baguette, caviale, un pollo arrosto con contorno, roba, roba, roba, con tanto di biscottini alla fragola e champagne. È

tutto al fresco.»

Fece per tirare fuori a fatica un frigorifero portatile, prima che Ford la spostasse con un colpetto.

«Dio, il traffico era pazzesco. Pensavo che non sarei mai arrivata. Facciamo un picnic. Facciamo un picnic in giardino per festeggiare e balliamo nudi sull'erba.»

La roba che Cilla aveva comprato doveva pesare almeno venti chili, pensò Ford, ma vederla così raggiante la fece sembrare leggerissima. «Mi hai proprio letto nel pensiero.»

Ford trovò una coperta e accese tre torce di bambù per creare l'atmosfera, e tenere lontani gli insetti. Quando Cilla ebbe finito di preparare il banchetto, mezza coperta era occupata.

Spock e il suo orso si accontentarono di un asciugamano logoro e una ciotola di cibo per cani.

«Caviale, caprino, champagne.» Ford si sedette sulla coperta. «Di solito il mio picnic comprende una vaschetta di pollo, una di insalata di patate e birra.»

«Ma sei con la ragazza di Hollywood.» Cilla cominciò a mettere un assortimento di cibi su un piatto.

«Cos'è quello?»

«Bliny, per il caviale. Una cucchiaiata di crème fraìche, uno strato di ladano, e... non l'hai mai mangiato?» disse lei, quando vide l'espressione di Ford.

«Direi proprio di no.»

«Sei spaventato.»

«Spaventato è una parola grossa. Sono un po' preoccupato. E caviale non viene da...»

«Non pensarci, mangia e basta.» Cilla gli portò alle labbra il blin farcito.

«Apri la bocca, vigliacco.»

Ford ebbe un piccolo sussulto, ma diede un morso. La combinazione di sapori -

salato, cremoso, leggermente dolce - colpì le sue papille gustative. «Okay, meglio di quanto mi aspettassi. Dov'è il tuo?»

Lei rise e ne preparò un altro.

«Come pensi di avviarla?» chiese lui, mentre mangiavano. «La tua attività.»

«Mmm.» Cilla mandò giù il caviale con lo champagne. «Little Farm è un trampolino. Attira l'attenzione, solo per quello che è. Migliore è il lavoro che faccio lì, più possibilità ci sono che la gente veda che so cosa sto facendo. E

i subappaltatori che ho assunto ne parlano, e parlano di me. Devo sfruttare il passaparola. Dovrò fare pubblicità, far sapere che sono in affari. Usare le conoscenze. Da Brian al padre di Brian, per esempio. Dio, questo pollo è favoloso. Ci sono due case in vendita a una ventina di chilometri da qui. Due veri e propri ruderi, che secondo me hanno un prezzo eccessivo per la zona e le condizioni in cui si trovano. Le sto

tenendo d'occhio. Potrei fare un'offerta molto bassa per una delle due, vedere cosa succede.»

«Prima di aver finito qui?»

«Sì. Tieni conto che anche se mi accordassi subito col venditore, ci vorrebbero dai trenta ai novanta giorni per il saldo. Io insisterei per i novanta. Così arriverebbe l'autunno prima che io debba cominciare a spendere soldi. E sono sette, otto mesi per Little Farm. Incastro i lavori e i subappaltatori, calcolo un periodo di tempo e un budget realistici. Rivendo la casa in, diciamo, dodici settimane, mantenendo un prezzo realistico.»

Cilla farcì un altro blin per entrambi. «L'avidità e la mancata conoscenza del mercato possono stroncare una compravendita tanto quanto scoprire troppo tardi che le fondamenta sono crepate o che la casa si trova in un inghiottitoio.»

«Quanto conteresti di guadagnarci?»

«Sulla casa che sto tenendo d'occhio? Col prezzo che vorrei pagare, il budget che preventiverei, la proiezione del prezzo di rivendita su questo mercato?»

Cilla diede un morso al blin mentre calcolava. «Tolte le spese, mi aspetterei circa quarantamila.»

Le sopracciglia di Ford si sollevarono di colpo. «Quarantamila, in tre mesi?»

«Spererei quarantacinque, ma già trentacinque andrebbero bene.»

«Però.» Cilla aveva ragione anche sul pollo. «E se io comprassi l'altra? E ti assumessi?»

«Be', Ford, non l'hai nemmeno vista.»

«Tu sì. E tu sai quello che stai facendo... in fatto di case e picnic. Potrei fare un investimento, col vantaggio del fattore divertimento. E poi, potrei essere il tuo primo cliente.»

«Devi almeno vedere la proprietà, calcolare quanto vuoi investire, quanto puoi far durare l'investimento.» Cilla sollevò lo champagne, gesticolò col bicchiere a mo' di avvertimento. «E quanto puoi permetterti di perdere, perché i beni immobili e la compravendita sono rischiosi.»

«Lo è anche il mercato azionario. Riusciresti a occuparti di entrambe le case?»

Lei bevve un sorso. «Sì, potrei, ma...»

«Proviamoci. Trova un momento in cui puoi esaminare la cosa con me, per parlare di potenziale, possibilità, compenso e altre questioni pratiche.»

«Okay. Okay. Purché sia chiaro a entrambi che, una volta vista la proprietà ed esaminato le proiezioni, se tu mi dirai che preferiresti comprare una manciata di biglietti della lotteria che quella topaia, finirà così senza problemi.»

«È chiaro e sono d'accordo. Ora che abbiamo tolto di mezzo le questioni d'affari dal programma di stasera,» Ford si sporse per baciarla «hai in mente qualcosa per il quattro?»

«Il quattro cosa? Vuoi altri bliny?»

«No, Cilla. Il quattro di luglio. Sai, hot dog, torta di mele, fuochi d'artificio.»

«Oh, no.» Mio Dio, pensò lei. Era quasi luglio. «Dove va la gente a guardare i fuochi d'artificio da queste parti?»

«Ci sono alcune opzioni. Ma questo è il fantastico stato della Virginia. Noi facciamo i nostri.»

«Sì, ho visto i segni. Siete tutti pazzi.»

«Comunque sia, Matt farà un barbecue. Casa sua è a quattro passi dal parco dove la Roritan Band suona le marce di Sousa, c'è la gara più famosa del mondo di mangiatori di torte, vinta per quattro anni consecutivi dal Grande John Porter, e vari altri spaccati di cultura statunitense prima dei fuochi d'artificio. Vuoi venire con me?»

«Sì, mi piacerebbe.» Cilla si sporse sopra gli avanzi del picnic, stringendogli le braccia intorno al collo. «Ford?»

«Sì.»

«Se mangio un altro boccone di questa roba, mi sentirò male. Quindi...» Saltò su, gli afferrò le mani. «Balliamo.»

«A questo proposito. I miei progetti erano di stare steso qui come un soldato romano dissoluto e guardarti ballare.»

«No, non lo farai. Su, su, su!»

«C'è solo un problema. Io non ballo.»

«Tutti ballano. Perfino Spock.»

«Non proprio. Be', sì, lui lo fa» ammise Ford, quando Spock si alzò per dimostrarlo. «Io no. Hai mai visto Seinfeld? La serie televisiva.»

«Ovviamente.»

«Hai visto la puntata in cui Elaine è alla festa dell'ufficio e, per far ballare la gente, comincia lei?»

«Oh, sì.» La scena le tornò subito in mente, facendola ridere. «Tremendo.»

«In confronto a me, Elaine è Jennifer Lopez.»

«Non puoi essere così male. Mi rifiuto di crederci. Dai, fammi vedere.»

Negli occhi dai bordi dorati comparve un'autentica sofferenza. «Se te lo faccio vedere, non farai mai più sesso con me.»

«Assolutamente falso. Fammi vedere le tue mosse, Sawyer.»

«Non ho mosse in questo campo.» Ma con un sospiro pesante, Ford si alzò.

«Solo un po' di boogie» suggerì lei. Cilla mosse i fianchi, le spalle, i piedi.

Ovviamente, secondo Ford, con un motore interno ben lubrificato. Stringendo l'orso tra le zampe, Spock gorgogliò la sua approvazione.

«L'hai chiesto tu» mormorò lui.

Ford si mosse, e giurò di sentire ingranaggi arrugginiti con denti sfasati che scricchiolavano e stridevano. Sembrava l'uomo di latta di Oz, prima dell'oliatore.

«Be', non è.., okay, è davvero terribile.» Cilla si sforzò di trattenere uno sbuffo di risata, ma non ci riuscì più di tanto. Dopo l'occhiata offesa di Ford, sollevò le mani e si avvicinò rapida a lui. «Aspetta, aspetta. Scusa. Posso insegnarti.»

Questa volta fu Spock a sbuffare.

«Ci hanno provato altre persone; hanno fallito tutte. Non ho il senso del ritmo.

Sono ritmicamente menomato. Ho imparato a conviverci.»

«Sciocchezze. Chiunque faccia i movimenti che fai tu in orizzontale, può farli anche in verticale. Così.» Cilla gli prese le mani, le mise sui suoi fianchi, poi mise le sue sui fianchi di Ford. «Comincia così. Questa non è una cosa strutturata, come il valzer o il quickstep. È solo movimento. Un po' di movimento di fianchi. No, sblocca le ginocchia, non è neanche il passo dell'oca.

Solo sinistra, destra, sinistra. Sposta il peso a sinistra, non solo il fianco.»

«Mi sento un robot spastico.»

«Invece no.» Cilla lanciò a Spock un'occhiata d'avvertimento, e il cane girò la testa dall'altra parte. «Rilassati. Adesso, continua a muovere i fianchi, ma metti le mani sulle mie spalle. Così. Senti le mie spalle, solo un po' su e giù.

Sentilo, lascia che ti salga nelle braccia, nelle spalle. Solo su e giù. Non irrigidirti, tieni le ginocchia sciolte. Eccoti, ci sei. Stai ballando.»

«Questo non è ballare.»

«Lo è.» Cilla gli mise le mani sulle spalle, poi le fece scivolare lungo le braccia fino a stringergli le mani. «E adesso stai ballando con me.»

«Sono fermo sul posto come un deficiente.»

«Ci preoccuperemo dopo dei piedi. Cominciamo lentamente, e dolcemente. Sarebbe perfino sexy, se ti togliessi dalla faccia quell'espressione sofferente. Non fermarti!»

Cilla fece un rapido giro verso l'interno in modo che la sua schiena premesse contro di lui, e sollevò un braccio per accarezzarlo sulla guancia.

«Oh, be', se questo è ballare.»

Ridendo, Cilla fece un giro per tornare indietro e mettersi di fronte a lui.

«Dondola. Un po' di più.» Gli strinse le braccia al collo, sollevò le labbra a un soffio dalle sue. «Bello.»

Ford ridusse la distanza, scivolando lentamente nel bacio mentre le sue mani correvano lungo la schiena e sui fianchi di Cilla.

«A me questo sembra ballare» sussurrò lei.

Ford riemerse trovandosi rivolto nella direzione opposta, e qualche metro più in là rispetto a dove avevano cominciato. «Com'è successo?»

«Hai lasciato che succedesse. Hai smesso di pensarci.»

«Allora, so ballare, purché lo faccio con te.»

«Solo un'altra cosa.» Cilla indietreggiò ballando e oscillando i fianchi provocante, e cominciò a sbottonarsi la camicia.

«Ferma.»

«Credo che il festeggiamento prevedesse il ballare nudi.»

Ford diede un'occhiata verso la casa dei vicini. Era calata l'oscurità, ma le torce la illuminavano. Abbassò lo sguardo

7RQ

sul cane, che se ne stava seduto, con la testa inclinata, ovviamente affascinato.

«Forse dovremmo spostarci dentro per quella cosa.»

Lei scosse la testa, e la sua camicetta scivolò giù col movimento delle spalle.

«Sull'erba.»

«Ah, la signora Berkowitz...»

«Non dovrebbe spiare il suo vicino, anche se riuscisse a vedere attraverso quel grosso noce scuro.» Cilla slacciò i pantaloni, si tolse con un calcio le scarpe, che Spock recuperò e portò sul suo asciugamano logoro. «E quando avremo finito di ballare nudi, c'è qualcos'altro che ho intenzione di fare sull'erba.»

«Cosa?»

«Farai il sesso migliore della tua vita.» Cilla tolse i pantaloni, continuò a oscillare e a girare, mentre faceva scorrere le mani sul corpo, coperto soltanto da due minuscoli pezzetti di stoffa bianca.

Ford dimenticò il cane, le scarpe, i vicini. Guardò, mentre tutto il sangue defluiva dalla testa e Cilla faceva scattare il gancio anteriore, aprendo il reggiseno centimetro dopo delizioso centimetro. La luce delle torce brillava dorata sulla sua pelle, danzava nei suoi occhi come sole su un limpido mare azzurro.

Quando il reggiseno fluttuò per terra, lei fece scorrere la punta di un dito appena sotto la vita bassa delle mutandine. «Sei ancora vestito. Non vuoi ballare con me?»

«Sì. Oh, sì. Posso dire solo una cosa, prima?»

Cilla passò le dita sul seno, gli sorrise. «Di' pure.»

«Due cose, a dire il vero. Oh, Cristo» riuscì a dire Ford quando lei sollevò i capelli, lasciandoli ricadere sulle spalle splendenti. «Tu sei la cosa più bella che abbia mai visto. E in questo momento sono l'uomo più fortunato nell'universo noto.»

«Stai per essere ancora più fortunato.» Scrollando indietro i capelli, Cilla gli si avvicinò. Premette il corpo nudo contro il suo. «Ora, balla con me.»