Quando c’è la crisi economica il Paese diventa povero e i poveri diventano, se possibile, ancora piú poveri. Questa è la storia di una famiglia che non aveva un soldo, nemmeno per uscire a mangiarsi una pizza, per un gelato, un giro in macchina visto che la macchina non ce l’avevano. Erano delle brave persone, non si lamentavano, stringevano i denti e andavano avanti sperando che i governanti che decidevano del loro Paese si interessassero anche a loro. I due figli, Mario e Luisina, i giocattoli se li costruivano da soli e si divertivano con Soriano, il gatto di casa. A scuola, per fortuna, nessuno li prendeva in giro perché avevano toppe e buchi perché tutti avevano toppe e buchi.

Quando Natale si fece vicino, la signora Roberta, la mamma di Mario e Luisina, parlò con suo marito: – Senti Giovanni, i bambini non chiedono mai niente, non vogliono nemmeno i regali di Natale, però la vigilia dobbiamo fare una bella cena di pesce. Quei due ragazzini, al massimo, conoscono il tonno in scatola. Quindi, per favore, vendi questa –. Gli diede una collanina con una medaglietta della Madonna. – E compra un po’ di pesce e delle vongole.

Giovanni era disperato, senza lavoro e senza soldi, doveva vendersi la collanina di sua moglie, il suo unico bene prezioso, per dare un po’ di gioia ai suoi cari. Ma alla fine che c’è di piú bello di una famiglia che festeggia il santo Natale? Uscí di casa ma sulla strada incontrò due ladri. Cominciò a scappare. Ma i due erano giovani e lui aveva una gamba che non funzionava bene. Lo acchiapparono e dopo avergli dato un po’ di calci gli presero la collana. Quando si rialzò da terra iniziò a piangere. E ora? Come avrebbe fatto? Come poteva presentarsi a casa senza un accidente di niente? Andò lo stesso al mercato del pesce. C’erano banchi pieni di calamari, ostriche, sogliole e tutto il bendidio che ci offre il mare. I prezzi però erano altissimi e solo i ricchi potevano permetterselo. Spesso durante le crisi economiche i ricchi diventano ancora piú ricchi. Giovanni pregò i pescivendoli di dargli qualcosa. Gli andavano bene pure le interiora e le teste dei pesci che non mangia nessuno, tranne i gatti e i cani randagi. Niente. Lo cacciarono come fosse un barbone.

Il pover’uomo vide su un bancone un enorme pesce spada. Doveva pesare cinquanta chili. Era bellissimo con la sua spada affilata, la pelle azzurra e un occhio grande come un uovo al tegamino. Sarebbe stata una sorpresa meravigliosa portarlo a casa. Avrebbero mangiato per sei mesi mettendolo dentro i barattoli con l’acqua e il sale. Doveva rubarlo. Lui non aveva mai rubato nulla in vita sua, era onesto e sapeva che Non rubare è uno dei dieci comandamenti. Ma forse Dio, per una volta, avrebbe chiuso un occhio e se non lo chiudeva non importava. Giovanni aspettò che fosse il momento giusto, che nessuno lo vedesse e corse verso il pesce velocissimo nonostante la gamba zoppa. Afferrò il pescione per la coda e con uno slancio violento se lo gettò sulla spalla pronto a scappare, ma un dolore terribile, come una pugnalata, gli strappò il respiro. Fece finta di niente e cominciò a correre verso le stradine del quartiere vecchio dove era facile far perdere le tracce. Avanzava a denti stretti, il pesce sulla spalla. Il dolore nella schiena era cosí forte che gli veniva da vomitare. Sentiva dietro di sé i pescivendoli che gli urlavano di fermarsi, che era un maledetto ladro. S’infilò in un vicolo e poi in un altro e in un altro ancora. Era solo. Era riuscito a disperdere gli inseguitori. Si fermò senza fiato e lasciò cadere a terra il pesce. Si toccò la schiena, lí dove gli faceva piú male. Era tutto bagnato e aveva un taglio profondo. Si guardò le mani, impastate di sangue. Si era pugnalato da solo quando si era buttato il pesce sulla spalla. La lunga spada lo aveva infilzato nella schiena. Giovanni sentí una cosa salata che gli saliva su per la gola. Sputò uno spruzzo di sangue. La punta doveva avergli bucato lo stomaco. Non importava, sicuramente non era niente di grave e poi aveva la sorpresa per la sua famiglia. Con fatica prese il pesce da terra, questa volta stringendolo tra le braccia come fosse un bambino e si avviò verso casa. Piú camminava e piú si sentiva debole e piú il pesce pesava. Gli girava la testa e tutto, le case, le strade, gli alberi gli si sfocavano davanti. Nelle orecchie aveva un ronzio ma riusciva a sentire la gente negli appartamenti che festeggiava la nascita di Cristo. – Adesso arrivo! Vedrete come sarete contenti, – disse, ma le gambe gli erano diventate dure come legno e la testa infuocata. Finí a terra diverse volte ma continuò fino a casa, lasciandosi dietro una striscia rossa. Arrivato davanti alla porta fece cadere il pesce e si accorse che non ce la faceva a bussare. Cadde in ginocchio e con le ultime forze rotolò dietro un mucchio di spazzatura. Stava morendo, vedeva l’angelo della morte nella sua tunica nera che attendeva pazientemente che il suo cuore smettesse di battere.

– Possiamo aspettare ancora un attimo? Un attimo solo, – supplicò Giovanni.

La morte, arrotando la falce, fece segno di sí.

Steso nell’immondizia vide che la porta si apriva e usciva Luisina. Cominciava a saltare felice e chiamava la mamma e il fratellino. I tre portavano dentro il pesce e dopo un po’ avvertí un odore cosí buono e fresco che gli sembrò di essere dentro il mare.

Stavano preparando la cena.

Giovanni sorrise, guardò la morte e sospirò. – Adesso possiamo andare.

– Ti porto in Paradiso, amico mio.

E il cuore di Giovanni, senza piú un goccio di sangue, si fermò.

(2012)