31.Arrivo ai bivacchi e cena

Fabrizio Ciba e Larita si stavano baciando accanto al cadavere dell’elefante, quando i lampioni del sentiero si spensero. Lo scrittore aprì gli occhi e si ritrovò immerso nel buio completo. – Le luci! Le luci si sono spente!

– Oddio – . Larita abbracciò impaurita Fabrizio. – E ora? Che facciamo?
Lo scrittore ci mise un po’ a capire l’entità del problema. Quel bacio appassionato lo aveva stordito. La rabbia era sbollita e una strana sensazione di benessere lo illanguidiva tutto. Adesso che, finalmente, aveva trovato l’amore, tutto il resto gli sembrava cosa di poco conto. Desiderava solo lavarla, curarla, disinfettarle le ferite e farci l’amore. La corsa sull’elefante nel bosco, il volo, la certezza della morte e la sorpresa di essere vivo, quella miscela di paura, di rabbia e di morte, lo avevano parecchio eccitato.
– E adesso come facciamo? – Lei gli si strinse addosso.
Fabrizio sentì il cuore di Larita che batteva deciso dietro le tette. – Non lo so… Scusa ma… Non possiamo rimanere qua? Che ci importa? – Si era scordato l’antico piacere di sentire la consistenza di un paio di tette non rifatte.
– Sei impazzito?
– Perché? Aspettiamo l’alba. Ci potremmo nascondere nelle fratte e come esseri primitivi e senza regole… –Se quella non fosse stata la vita reale, ma un suo romanzo, il protagonista ora avrebbe preso Larita e senza troppe chiacchiere l’avrebbe denudata e poi l’avrebbe posseduta sulla carcassa dell’elefante e il sangue, lo sperma e le lacrime si sarebbero confuse in un’orgia ancestrale. Sì, nel nuovo romanzo avrebbe messo una bella scena di sesso di questo genere. In Sardegna, da qualche parte vicino Oristano.
Larita interruppe i suoi pensieri. – Il parco è pieno di animali feroci. La tigre… I leoni…
Si era completamente dimenticato delle bestie selvatiche. Le strinse la mano. – Sì, hai ragione, dobbiamo muoverci. Ma non si vede nulla. Speriamo che il guasto venga riparato presto.
– Dobbiamo andare sul sentiero.
– Ma da che parte è la villa? A destra o a sinistra?
– A sinistra, penso. Spero…
– Va bene. Andiamo sul sentiero. È a pochi metri
– . Fabrizio tirò fuori un tono deciso. Nonostante la paura delle fiere, avere vicino quella donna da proteggere lo faceva sentire forte e impavido. Si alzò e aiutò Larita a tirarsi su. – Attaccati alla cinta e stammi dietro – . Allungò le braccia come un sonnambulo, e barcollando tra le rocce fece qualche passo incerto nel buio. – Cosi però ci facciamo male. È meglio a quattro zampe.
E così, carponi, i due avanzarono fino a che non sentirono la ghiaia sotto le palme delle mani.
Lì al centro della gola, dove non arrivavano gli alberi, il cielo rifletteva le luci della città e si riusciva a scorgere una staccionata che delimitava il fosso in mezzo alla strada.
– Eccoci! – Fabrizio si rimise in piedi. – Reggiamoci alla staccionata e proseguiamo. Ma prima voglio una cosa, se no non so se riesco ad andare avanti.
– Cosa?
– Un altro bacio.
Aprì la bocca e sentì la lingua di lei che scivolava sulla sua e si muoveva lambendogli il palato e le tonsille. Lui la strinse, se la premette addosso, ma si trattenne dal farle sentire l’erezione.
Sì, erano veramente una bella coppia.
Io questa me la sposo…
Che fortuna averla incontrata. Ed era merito di quel buffone di Salvatore Chiatti e della sua merdosa festa.
Vabbe’ Sasà ti salvo. Non ti scrivo contro.

32.

– Vai! Zombie, sei un grande! – aveva urlato il leader delle Belve di Abaddon sollevando i pugni quando sulla Villa erano calate le tenebre.

Era ora che qualcosa girasse per il verso giusto. Adesso doveva beccare la cantante.
Mantos puntò la torcia intorno a sé per capire dove si trovava. La strada che stava percorrendo si inoltrava in una specie di gola che divideva in due il bosco. Dallo zaino tirò fuori la mappetta di Villa Ada e la studiò attentamente.
– Perfetto! – Era nella direzione giusta, doveva percorrere tutto quel canyon e sarebbe arrivato dritto dritto al lago dove avevano organizzato il bivacco per i partecipanti alla caccia alla tigre. Li avrebbe trovato la cantante insieme agli altri ospiti, tutti spaventati. Nella confusione e con il favore delle tenebre sarebbe stato uno scherzo anestetizzarla e rapirla.
Tutto contento cominciò a correre, la Durlindana nella sinistra, la torcia nella destra e l’adrenalina che gli ingolfava le arterie. Che fenomeno singolare, ora che stava per morire si sentiva vivo come non si era sentito in tutta la vita, capace di fare qualsiasi cosa. Satana era finalmente dalla sua parte. Lui era un battitore libero, uno spirito anarchico, un segugio del caos. E Zombie era il suo naturale partner satanico. Uno che come lui non temeva la morte e dava il suo meglio dove regnava il caos.
Vedrai con chi hai a che fare, caro il mio Kurtz Minetti.
Mentre faceva un salto per superare una pozzanghera, un bagliore alle sue spalle rischiarò la stradina. Il leader delle Belve spense la torcia, si gettò a lato della strada e si nascose dietro una quercia.
Stava arrivando un’automobile. Vedeva le luci anteriori farsi più vicine, ma non sentiva rumore. Doveva essere una di quelle macchinette elettriche che usavano per spostarsi nella Villa.
Si immobilizzò e aspettò che passasse. Sopra la decapottabile c’era solo il guidatore.

E se mi prendessi la macchina? Potrei usarla per caricare Larita e portarla sul luogo del sacrificio.
Senza starci troppo a pensare si lanciò, a testa bassa, all’inseguimento della macchinetta.

33.

Fabrizio Ciba, felice, pensò che tra qualche giorno sarebbe stato con la sua bella a Maiorca, a Capdepera, a casa sua. Ma poi ricordò l’umidità, i ragni morti nella vasca da bagno, i termosifoni spompati. E il tavolo con il romanzo che lo aspettava. Doveva reimpostare tutta la trama, tagliare pers…

Il cervello dello scrittore andò per un istante in stallo e si resettò, cancellando l’ultimo pensiero.
Come si chiamava quell’albergo cinque stelle con la spa…?
Dovevano farsi una vacanza come Dio comanda, partire per un posto lontano dove staccare con la testa e viversi la loro storia d’amore. Poggiò un braccio sulle spalle di Larita come se fossero vecchi compagni. – Senti, ma una bella vacanzetta per riprenderci? Che ne so, alle Maldive? Sai quei bungalow sul mare, le notti afose circondati da una cupola di stelle, i letti con le zanzariere.
– Certo che mi piacerebbe – . Larita rimase un attimo in silenzio. – Senti, Fabrizio…
– Dimmi.
Ci mise qualche secondo di troppo a fargli la domanda. – Tu sei fidanzato?
– Io? Ma che scherzi! – si affrettò a rispondere Ciba.
– Ti fa schifo?
– No, assolutamente. È che sono uno scrittore… Be’ tu sei una musicista, forse mi puoi capire. Ho un po’ paura dei sentimenti, se sono troppo forti temo che mi prosciughino. È una paura irrazionale, lo so, ma ho la sensazione che vivendo un amore non me ne resti abbastanza da dare ai personaggi dei miei libri – . Le stava rivelando una cosa che non aveva mai raccontato a nessuno. – Con questo non voglio dire che non sono pronto a provarci. E tu? – Avrebbe voluto guardarla, ma il buio lasciava intravedere solo la sua sagoma.
– Sono uscita da una storia difficile con un tipo che si voleva male. In altre parole, uno stronzo. E io dietro a lui ho rischiato di morire. Mi hanno salvato la comunità di don Tomolo e la fede.
Mentre Larita parlava, Fabrizio si ricordò di aver letto da qualche parte che lei era stata fidanzata con un cantante tossico e che per poco non erano morti di overdose.
– E poi una volta tornata alla vita non ho avuto il coraggio di farmi altre storie. Ho paura d’incontrare un altro stronzo. Anche se stare soli, alle volte, è un po’ triste.
Fabrizio la tirò a sé e le cinse la vita. – Noi due potremmo stare bene insieme. Me lo sento.
Larita rise. – Chissà perché, ma ero sicura che fossi fidanzato. Dopo il pranzo nella villa ho cercato il mio agente per scoprirlo, ma aveva il cellulare staccato. Senti, ma tu ci credi al destino?
– Credo ai fatti. E i fatti dicono che siamo due sopravvissuti. E dicono che dobbiamo provarci – . Lui la strinse con forza, come se potesse scappare via, e la baciò. Che peccato essere al buio, avrebbe voluto guardarla negli occhi.
Lei, improvvisamente, si staccò. – E se invece ce ne andassimo a Nairobi?
– Vuoi andare in Kenya? Ci sono stato una volta. A Ma–lindi. Il mare non è male, ma vuoi mettere con le Maldive?
Ripresero a camminare.
– No… No… Che hai capito? Nelle baraccopoli di Nairobi a vaccinare i bambini. Io lo faccio ogni anno. È una cosa importante. Se ci venissi pure tu, uno scrittore famoso, gli faresti un grande regalo. Aiuteresti i missionari a gettare luce su una situazione terribile.
Fabrizio tirò su gli occhi al cielo. Ma porca la puttana, lui voleva farsi una tranquilla settimana di riposo e lei, per risposta, gli proponeva un incubo umanitario. – Be’ sì… Certo… Si potrebbe… Però…
– balbettò.
– Però cosa?
Fabrizio non riuscì a non essere sincero. – Ecco… Io pensavo a una vacanza. Cinque stelle. Colazione a letto. Quelle cose così.
Lei lo carezzò sul collo. – Vedrai, sarà mille volte meglio… Sono sicura che quest’esperienza ti aiuterà anche a scrivere. Non sai quante idee ti vengono stando accanto a tutto quel dolore.
Lo scrittore rimase in silenzio. Se voleva avere una relazione seria con una donna doveva cominciare a prendere in considerazione i suoi desideri e provare a darle fiducia. E Larita era speciale, aveva una forza che non avrebbe mai immaginato, era un tifone che spazza tutto ciò che gli si para davanti e nello stesso tempo aveva qualcosa di vulnerabile e ingenuo che ti metteva completamente in discussione.
– Sì, – disse Fabrizio. – Va bene, vengo. Mi porto il computer e così la sera, dopo i vaccini, scrivo.
Larita gli strinse forte la mano e con voce emozionata disse: – Dài, usciamo da questo posto. Il mondo vero ci aspetta.

34.

Per fortuna quel trabiccolo era lento.
Mantos, senza più fiato, allungò una mano, si aggrappò al portellone posteriore e con un salto maldestro ci montò sopra. L’autista non si era accorto di nulla.
Nel cassettone erano stipate delle grandi pentole da cui usciva un intenso odore di curry.
Ora doveva mettere fuori gioco il guidatore. Tirò su il cappuccio, si contrasse come un gatto e cacciando un ruggito alla Sandokan si lanciò sull’uomo, che sentendo quell’urlo bestiale e credendo fosse la tigre, inchiodò d’istinto.
Il leader delle Belve di Abaddon, spada nella mano, proseguì invece il volo, planò oltre il cofano della macchina e si schiantò a pelle di leone in mezzo alla strada. La Durlindana gli volò via. Il paraurti si fermò a venti centimetri dai suoi piedi.

Mbuma Bowanda, originario del Burkina Faso, dove aveva fatto per anni il pastore, aveva visto una strana creatura librarsi sopra la sua testa, superarlo e scomparire davanti, al muso della macchina.

Nel suo piccolo villaggio vicino Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, c’era l’antica credenza che nelle nottate di luna piena dal fango dei fiumi si formassero dei demoni alati, neri come la pece, che si rubavano le pecore e le vacche. Li chiamavano Bonindà. Lui non credeva a queste favole folcloristiche, eppure quell’essere era proprio tale e quale ai mostri di cui gli parlava sua nonna quando da bambino lo addormentava.

Si sollevò tremante sul sedile. Il demone era ancora steso davanti alla macchina. Sembrava morto.
Ora gli passo sopra…
Ma non lo fece. Intanto non era sicuro che i demoni si potessero uccidere così, e comunque le ruote della sua automobile erano troppo piccole per potergli passare sopra.
Ingranò la retromarcia quando il demone nero si sollevò da terra, a testa bassa, poggiò le mani sul cofano e cacciò un urlò terrificante.
A Mbuma avevano raccontato che la gente si piscia addosso per la paura, ma gli era sempre sembrata un’esagerazione. Si dovette ricredere. Se l’era appena fatta nelle mutande.
Con un salto uscì dalla macchina e a gambe larghe cominciò a correre verso la villa.

Nonostante le mani e i gomiti grattugiati dal brecciolino, il leader delle Belve di Abaddon ebbe una sorta di orgasmo vedendo quel poveraccio correre via terrorizzato.

L’urlo alla Sandokan faceva veramente paura. Aveva scoperto di avere un talento naturale per gli urli. A saperlo lo avrebbe usato contro Serena per spaventarla a morte quando le si era presentato in camera nudo e armato di spada.

Zoppicando raccolse la Durlindana che era finita nel prato e sali sulla macchinetta. Stava per partire quando si accorse che qualcuno gli urlava di fermarsi. Non riusciva a vederli, ma non dovevano essere lontani.

Paura, eh?

Mantos si fece una bella risata e decise di andare a recuperare Zombie. In due sarebbe stato sicuramente più facile rapire Larita, e gli avrebbe evitato tutta la camminata fino a Forte Antenne.