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Elle
«Bonjour, madame.»
Una ragazza di vent’anni mi riporta alla realtà. È la prima persona a mettere piede nel negozio ed esiste un detto a riguardo: il primo cliente influenza la china della giornata. Luis preferisce gli americani che, in bermuda e magliette stampate, non brillano per eleganza però lasciano mance solenni. Al secondo posto ci sono i giapponesi, perché sono educati, e al terzo i russi accompagnati da donne dell’età delle loro figlie. Quando capita un francese, però, solitamente non è una buona giornata. La ragazza mi sorride, elegante nel suo spolverino color carta da zucchero con la gonna coordinata. La osservo: nella sua semplicità, tradisce una certa raffinatezza.
«Dove desidera accomodarsi?»
«Va bene qualsiasi posto.»
Sottobraccio ha una borsa vintage. Si tratta di una preziosa Kelly di Hermès.
«Che borsa meravigliosa!» commento.
«Grazie, apparteneva a mia madre.» Si accomoda, aggiustandosi la gonna. Ora che la osservo con attenzione mi ricorda qualcuno che ho già visto.
«Sa già cosa ordinare o le porto la lista?»
«Veramente volevo parlare di Yves, se può concedermi qualche minuto del suo tempo.»
Ecco chi era! Non ha più la frangia, ma si tratta della ragazza nella foto attaccata al cruscotto del taxi. Per un attimo, vengo presa dal panico: la sua fidanzata sarà venuta per farmi una scenata?
E avrebbe ragione, dal momento che ho baciato due volte il suo uomo. Vista da vicino è ancora più giovane. La pelle tesa tradisce un’età ben diversa dalla mia. Data la situazione, faccio ciò che non farei di solito: mi siedo accanto a lei sul divanetto di broccato rosso e cerco di inspirare profondamente, sebbene io mi senta in estremo disagio.
«Sapevo che sarebbe arrivato questo momento. E mi scuso per quanto accaduto. Avevo il sospetto che Yves avesse una compagna. Avevo perfino visto la sua foto sul taxi, ma lui è stato così insistente… e comunque, è anche colpa mia. Però non accadrà più, glielo garantisco.»
Invece di scoppiare in un pianto a dirotto, al posto di scagliarsi contro di me con gesti e parole, lei sorride. Posa la borsa sulle ginocchia, la apre e mi passa una busta da cui estrae delle foto. Inizia a scorrerle. Riconosco un Yves piccolino che spinge sull’altalena una bambina. Ancora Yves sulla giostra dei cavalli ai piedi del Sacré-Cœur e la stessa bambina sorridente, accanto a lui. Poi quella bambina cresciuta, il viso inquieto da adolescente ribelle, un giubbotto di pelle nera e Yves ancora accanto.
«Me l’aveva detto Yves che non gli avevi creduto. È davvero mio fratello e non mente quando dice di essere single.»
Io rimango a bocca aperta.
«Piacere», mi allunga la mano. «Io sono Camille.»
Sospiro. «Credo di essere invecchiata di dieci anni in pochi minuti.»
«Be’, sei invecchiata bene!» riconosco il taglio degli occhi di Yves e la stessa fessura tra gli incisivi del fratello. «Sai, lui mi protegge come un padre da quando abbiamo perso i nostri genitori.»
«Mi dispiace.»
«Ormai siamo solo io e Chet, la sua famiglia. E lui, da quel maledetto giorno, ha dedicato anima e corpo a noi. Sono fortunata ad avere un fratello così.»
Che persona meravigliosa, penso. Provo imbarazzo per aver sparlato sul suo conto. Ero certa di essere inciampata nel solito piacione irrisolto, annoiato dalla bellezza di una ragazza acerba e pronto a cercare qualcosa di diverso fuori del suo giardino. E invece…
«Ma com’è successo, se posso chiedere?»
«Un incidente stradale sulla périphérique, tre anni fa. Sono morti sul colpo. I paramedici che sono accorsi subito ci hanno garantito che non hanno sofferto, ma io mi sento male ogni volta che ci penso.» Gli occhi si fanno lucidi e mi viene istintivo cingerla in un abbraccio. «Yves ha smesso di fare il deejay e coi soldi che aveva messo da parte e un po’ di quelli della casa che abbiamo venduto si è comprato la licenza e il Blanc Désir. È così che chiama il suo taxi, sai? Lo ha fatto per me e per garantirmi un futuro, in modo che potessi continuare a studiare.»
Camille è un fiume in piena e, mentre Luis ci serve un tè speziato al gelsomino, mi racconta della scelta dell’auto, identica a quella del film Taxxi girato a Marsiglia. La pellicola aveva letteralmente stregato Yves al punto che, dopo essersi reso conto di non poter mantenere la sorella solo facendo serate nei club, aveva deciso d’investire quanto in suo possesso in quella professione. Mi racconta dell’appartamento luminoso in cui vivevano quando erano in quattro e del trilocale pieno di amore e di peli di Chet sui divani e sulle lenzuola in cui vivono adesso, in una viuzza ai piedi del Sacré-Cœur. E con occhi adoranti descrive il fratello: «Ama la libertà, e gli orari se li organizza a sua discrezione. Non sopporta le costrizioni e le cravatte!» Lo descrive come un anarchico refrattario agli obblighi, ma amante dei dischi. Un vagabondo col basco obliquo in testa anche d’estate, che attraversa le vie di Parigi la notte ascoltando musica jazz.
«E fa pure un secondo lavoro in un negozio vintage…»
«Le Temps perdu.»
«Lo conosci?»
«Yves mi ha accennato di quel posto.»
«Perché non ci andiamo insieme, ora? Gli facciamo una sorpresa. Ti ha detto che si fa pagare in vinili?»
«Baratto interessante e proposta allettante, ma purtroppo devo lavorare. Ti prometto, però, che se non si fa tardi, poi faccio un salto», le rispondo, scompigliandole i capelli come se la conoscessi da una vita.
«Rimarrà sorpreso», dice, poi si alza e fa per pagare. Anche se, dopo questo incontro, la più sorpresa sono io.
«Oggi offro io, Camille. Sei mia ospite.»
E mentre la vedo allontanarsi, nella sua gonna a ruota color carta da zucchero, mi viene istintivo pensare a quanto la vita possa sorprenderti quando meno te lo aspetti.