27
Elle
«Non vorrai mica fare la coda. Siamo dello staaafff», urla Georgette e io vorrei sprofondare.
Spero che Edoardo non sia nei paraggi. Se mi vedesse in coda in mezzo a queste creste colorate, mi toglierebbe il saluto per una settimana. Accanto a nerboruti con testa rasata e giubbotti di pelle usciti da un video dei Pet Shop Boys ci sono ragazze con le chiome ossigenate e le giacche dalle spalle voluminose. Mai nome fu più adatto di Material Shop. Palmer avvista la mia amica e, scansando un crocchio di persone fermo davanti all’ingresso, ci trascina dentro. Nel vero senso della parola, visto che afferra Georgette per un braccio e issa me sulle spalle.
«Ti ricordo che non sono un sacco di patate», gli dico.
«Lo so, darling. Ma non volevi mica fare quella coda, tu sei dello staff.»
Georgette mi dà di gomito. «Poi non dire che non te l’avevo detto.»
Volgendo gli occhi al cielo, penso che questa sarà una lunga serata. Molto, ma molto lunga.
I manichini sono il primo dettaglio su cui mi casca l’occhio. Ce ne sono di tutti i colori, poggiati su una pedana argento. Quando Palmer mi riporta a terra con la stessa delicatezza con cui mi ha preso sulle spalle, mi accorgo che i segnali sono discordanti: tra le gambe di un manichino c’è un rigonfiamento, il che evocherebbe un uomo, ma per contro sotto la camicia di satin nera di pizzo che indossa s’intravedono altri due rigonfiamenti, proprio all’altezza del petto. Peculiarità che farebbe invece pensare a una donna.
La domanda sorge quindi spontanea. Batto con un dito sulla spalla di Palmer e lui, scuotendo la parrucca, questa volta biondo platino, mi frusta coi capelli.
«Palmer, scusa, ma la tua moda è per uomo o per donna?» gli domando, evitando di proposito il riferimento ai manichini.
«Uomo? Donna? Come sei all’antica, darling…»
«Mi stai dicendo che è unisex?»
Osservo un paio di pantaloni di pelle con un’inquietante presa d’aria sul retro. Costano «solo» 199 euro, precisa un cartellino collocato, appunto, in una delle prese d’aria.
«Dio mio, no! Questa definizione fa troppo anni Novanta. Oggi la moda è multisex…»
«Ovvero? Come i cinema multiplex? Un abito con più sale?» Poso la mia testa contro la sua spalla guardandolo dal basso verso l’alto.
«No, oggi siamo tutti almeno metrosexual», concorda Georgette.
«E tu cosa ne sai?» chiedo.
«Ma i giornali li leggi? Il metrosexual è il dandy 3.0: un uomo con la sensibilità di una donna.»
«Sarà, ma detto così mi sembra il fratellino minore di Frankenstein», commento buttandomi su una tartina di pane scuro sulla quale è adagiato un bottone rosa di salmone.
«L’emblema del metrosexual è David!»
«Di Donatello?» domando.
«Macché, David Beckham! Il David di Donatello è sinonimo di maschio alfa, quello che rilascia feromoni al suo passaggio e profuma di testosterone.»
«Efficace come immagine», dico, ormai alla terza tartina.
Georgette ne sovrappone una col pâté di olive a un’altra spalmata di formaggio e le mangia in un sol boccone. «Sì, be’, una volta andava.»
«Be’, insomma, c’è comunque di molto peggio in giro», sospiro addentando un cubetto di formaggio.
«Il metrosexual si depila le ascelle e ruba le pinzette per le sopracciglia dalla trousse della fidanzata», insiste Georgette.
«Molto maschio: comprarsene una sua, no?» commento ironica.
«Ha ragione la tua amica Georgette, darling. Sei antica, tu. Perfino più della mia amata regina! Quanto al mio negozio, è aperto a tutti. Senza distinzione di sesso!» continua Palmer porgendoci due calici e svuotando il proprio alla goccia. Il tempo di afferrarne un secondo e i bicchieri, rigorosamente di vetro fucsia, tintinnano. L’aria che si respira è molto anni Ottanta, colonna sonora compresa. Su Crocodile Rock di Sir Elton, le luci si abbassano e un occhio di bue rosa si posa sull’ingresso della sala da cui entrano tre ragazzi statuari a torso nudo. In mano reggono altrettanti piatti coperti da cloche d’argento.
Palmer sale su una pedana, aiutato da due body-guard in abito scuro, e batte sul microfono per vedere se è acceso. La luce rosa abbandona i tre bronzi e illumina la sua parrucca color platino.
«Unooooo, dueeeeee, treeeee. Provaaaaaa. Mi sentiteeeee?» Sull’ultima parola il livello audio s’impenna e uno stridore improvviso costringe i presenti a tapparsi le orecchie.
«Oggi si realizza un mio sogno, anzi il Sogno. Quello con la s maiuscola. Desideravo aprire una mia boutique e poterlo fare qui, nell’ombelico della moda, è veramente un’emozione. Vedo alcune facce amiche. Ad esempio Lisa, che mi ha aiutato con la ricerca delle scarpe vintage che vedete indosso ai miei manichini. Vorrei che la salutaste in modo caloroso, lei e il suo God Save the Heels di Londra.»
Mi chiedo quanto tempo abbia impiegato a prepararsi questo discorso, visto che è a suo agio come una rockstar o come un politico. Ed è perfino convincente, visto che al suo comando si attiva uno scroscio di applausi tra il pubblico.
«Vorrei ringraziare tutti i presenti, la stampa e gli amici.»
C’è chi fotografa i vinili di Madonna, tutti autografati, e chi si perde nella collezione di parrucche che rivestono le teste nude dei manichini.
«E poi, last but not least, voglio ringraziare Luis con cui oggi comincio una vita nuova.»
In prima fila, il ragazzo lo fissa adorante.
«Ce ne sono voluti di anni per arrivare a questa collezione, ma io e la tigre Sofia siamo lieti di accogliervi al Material Shop.»
La musica ricomincia. Questa volta sulle note dell’omonima canzone di Madonna. Georgette mi dà di gomito. «Credo di aver fatto colpo sulla tartaruga ninja là in fondo.» Con fare lubrico e occhio lucido, punta il ragazzo in questione, un marcantonio alto due metri con un vassoio d’argento in mano che non sfigurerebbe su una spiaggia della California con una tavola da surf sottobraccio.
La guardo interrogativa.
«Ha degli addominali da paura. Per non parlare del didietro», continua lei.
«Mio Dio, Georgette, avrà diciannove anni!»
«E allora? L’età è uno stato mentale e poi guardalo: vedi come mi sta guardando?» La cosa incredibile è che il ragazzo, ancora con la cloche riposta sul vassoio, si avvicina a noi.
«Ci avrà prese per due milf in cerca di compagnia.»
«Impossibile», replica Georgette, ormai con un sorriso stampato in faccia. «Le milf devono avere almeno quarant’anni e un figlio.»
«Ma per favore, tu e il tuo slang!»
Il ragazzo, che pare si sia rovesciato addosso una spremitura di olio novello per quanto è lucido, le strizza l’occhio invitandola a sollevare la cloche. Cosa che Georgette fa con zelo, trovandovi sotto una splendida alzata di fragole. Lui, con la bocca, ne afferra una dal picciolo e invita lei a mordere dall’altra parte.
«Eloisa, puoi lasciarci soli? Credo di essermi innamorata.»
«Ma non mi dire!»
«Tesoro, perché non vai di là?» m’invita indicando il retro del negozio da cui una consolle continua a mixare le tracce musicali. «Magari trovi qualcosa d’interessante anche tu.»
Non faccio in tempo a chiedere a Georgette cosa intende che si è già tuffata nella bocca del surfista della Senna, divorando perfino il picciolo che lui teneva tra le labbra. Il locale è stipato di gente e faccio fatica a raggiungere il retro. In realtà, non ci vado perché me l’ha suggerito Georgette, ma semplicemente perché la folla lì è meno fitta. Controllo che non mi veda nessuno e mi sfilo le scarpe, sospirando: aveva ragione Georgette, più che un chilometro dobbiamo aver fatto una minimaratona.
«Dalida!» Sento urlare alle mie spalle. Mi isso sulle punte spaventata.
«Blanc Désir», rispondo, cercando di occultare il mio imbarazzo.
«Sei comoda?» commenta guardando a terra, mentre io vorrei sprofondare. «Non preoccuparti.» Si china, si slaccia le sneakers e se le sfila, quindi fa partire una nuova traccia. Un sax incide le prime note di una musica calda, poi lui si avvicina e mi porge un braccio.
«Permette, mademoiselle?»
Annuisco, così lui mi cinge la schiena con le braccia. Avverto il suo respiro sul mio collo, ma al secondo passo mi pesta un piede. «Ahi!»
«Scusa, non sono un ballerino come quelli che abbiamo visto all’Opéra.» E mi strappa un sorriso.
«Non l’avrei mai detto, guarda. Sembravi così agile!»
«Sei proprio simpatica», dice, questa volta pestandomi volontariamente ma in modo leggero un piede.
E all’improvviso quel magazzino stipato di pelle e scarpe vintage si trasforma in un luogo meraviglioso. Dove siamo solo io e Yves e una stellata sul velluto blu del cielo. Il sax si cheta e cede il posto agli archi che introducono la voce di Sinatra.
Some day, when I’m awfully low
When the world is cold
I will feel a glow just thinking of you…
And the way you look tonight.
E di nuovo le nostre labbra, come già era accaduto al cospetto dei ballerini di tango, si posano con desiderio le une sulle altre. Poi un neon ci abbaglia e sentiamo la voce di Palmer.
«Ops, scusate, darling. Non sentivo più cantare Luisa Veronica e mi ero preoccupato, ma continuate pure.» E sbatte la porta di quello sgabuzzino che racchiude il cielo più emozionante della mia vita.