20.
UNA STELLA
È così vicino al cielo e il cielo è meraviglioso, intenso, vellutato e nero come un calamaio. Sotto, le nuvole galleggiano come pigri lamantini, illuminate d’oro dal chiarore della città giù in basso.
Cambridge. Cittadella della scienza. Luce nell’oscurità.
Un fiume. Una città. Un paio di mucche. Molti accademici. Un labirinto di College. Un labirinto di sapere e ignoranza.
Così tanto passato.
Così tanto futuro – se solo fosse possibile impadronirsene.
Al momento, per quanto riguarda il futuro le cose si mettono piuttosto male.
È sospeso nel nulla, a quaranta metri da terra, premuto contro una torre, i piedi infilati in una sporgenza ridicola, le braccia allargate come su una croce. Le mani stringono forte due rose di pietra. La guancia destra sfiora la ruvida pietra.
Così fredda. Così antica. Così indifferente.
La sua missione è stata un trionfo. Ma adesso?
Ciò che da sotto sembrava semplice, a un secondo sguardo si rivela tecnicamente impegnativo. Adesso deve superare un pezzo di pietra liscia, per raggiungere uno stretto cornicione più in basso. Si allunga tra le due rose di pietra, con il piede sinistro tasta con cautela.
Per la prima volta è consapevole di quanto sia alto da terra. Alto da morire.
Le mani sono umide di sudore. Dà un’altra occhiata in basso, sul sagrato della cappella e sui College e i giardini. Dietro, in lontananza, il fiume è un nastro scintillante.
Così lontano. Così profondo. Piccolo come un giocattolo.
Un filo d’aria gli sfiora la guancia come un bacio.
Ce l’ha quasi fatta! Non è poi così lontano!
Un allungamento, una presa – è tutto.
Prima però deve lasciare l’appiglio su una delle rose di pietra, allungarsi nell’aria nuda e affidare tutto a un’unica sporgenza, a un’unica mano. Un odore spiacevole gli arriva al naso. Un soffio carico di putrefazione. Ha sentito dire che qualche volta i colombi finiscono negli interstizi delle torri, dove poi muoiono e si decompongono. Un cimitero di colombi di prima categoria, forse soltanto a un centimetro dalla sua testa, dietro l’antica pietra gialla. Morte e decadimento. Generazioni di penne grigie. Generazioni di ossa sottili, bianche. Lui non ha nessuna voglia di diventare una di quelle carcasse. Deve tornare alla vita!
Allunga la mano, ancora e ancora, e tuttavia non riesce a raggiungere la sporgenza della salvezza. Con cautela allenta anche la presa della mano sinistra. Così ha un po’ più di spazio di manovra e finalmente, dall’altra parte, sente sotto le dita la pietra, prima soltanto il freddo, poi anche l’umidità e la struttura.
Simile alla pelle di un rospo.
Con la sicurezza di questo nuovo appiglio adesso può allungarsi e con il piede sinistro…
Ma poi… il vuoto!
Un piede scivola dalla sporgenza.
La mano sinistra si agita nel nulla.
La destra scatta disperata in avanti – e afferra il vuoto.
“Assassino!” inveisce una voce come in lontananza.
“Assassino! Assassino! Assassino…”
*
Come per miracolo Augustus riuscì ad afferrare una delle due rose di pietra e si tirò di nuovo su.
Piedi sulla sporgenza.
Uno. Due.
Mani sulla rosa.
Uno. Due.
Il cielo sopra di lui esplose di luce colorata.
Dov’era il tre? Dov’era Gray? In ogni caso non più sulla sua spalla. Augustus ricordò vagamente che la sua mano era scattata verso l’alto per un dolore improvviso e così aveva allontanato il pappagallo dalla spalla. Cercò di pensare ma i pensieri arrivavano con lentezza e isolati.
Una ruota verde girò nel cielo, poi una gialla, poi una di fuoco. Scoppiarono dei petardi. Scintille blu piovvero su di lui.
I fuochi di artificio. Augustus fissò i cerchi colorati senza capire.
Qualcosa di caldo gli scorreva sulla tempia sinistra. Sangue. Si sarebbe macchiato e poteva considerarsi fortunato se quelle macchie sarebbero rimaste le uniche della serata.
Mentre sopra di lui infuriavano i fuochi di artificio, Augustus sedeva stordito sulla sporgenza e cercava di schiarirsi le idee. Perché le mani gli tremavano tanto? Perché il cuore gli batteva così forte?
Perché diavolo?
Tuttavia era incredibile che Gray…
Era quella la trappola?
Il killer di Elliot era quel poco di piume e vocabolario sulla sua spalla?
Augustus fece un respiro profondo e cercò in quel groviglio qualcosa di simile a un sentiero della mente. Ecco, era là dietro, sassoso, buio e sconfortante.
Era possibile che il Parrot-sitter avesse addestrato il pappagallo a volare da Elliot e a morderlo proprio al momento giusto… oppure in quello sbagliato. Un morso ben assestato in quella situazione precaria sarebbe bastato a far perdere l’equilibrio persino a un campione come Elliot – ed Elliot non aveva riportato anche dei graffi su una tempia? Ferite che nello “spiaccicamento” generale non si sarebbero notate?
Era Gray l’arma del delitto?
GRAY?
Era un piano semplice, freddo e diabolico che si incastrava alla perfezione nei solchi di quel sentiero della mente.
E tuttavia qualcosa in Augustus si ribellava a questa teoria.
Forse era possibile addestrare Gray e farlo diventare un killer volante, ma non era pensabile. Perché il piccolo uccello grigio era molto più di una semplice risposta a uno stimolo, del risultato di prove ed errori. Gray formulava di continuo piccoli pensieri grigi e dal becco affilato. Non era immaginabile che avesse aggredito Elliot, il suo padrone. Era una cosa sbagliata.
Cos’è buono? Cos’è cattivo?
Augustus pensò al loro primo incontro: Gray agitatissimo sotto la coperta, la finestra aperta di Elliot – anche Gray non aveva un alibi per la notte dell’omicidio! Dopo il delitto poteva essere rientrato con facilità nella stanza di Elliot volando attraverso la finestra.
Altro che supertestimone! Gray era il colpevole!
“Perfetto!”
Augustus guardò in alto e vide il pappagallo che si era rifugiato sulla testa di un mostro gotico di pietra e da lì fissava Augustus con gli occhi luccicanti.
Augustus distolse lo sguardo e fissò giù, il baratro. Per la rabbia aveva la nausea. Come? Perché? Cosa passava per quel piccolo cervello da volatile? Il sudore gli colava sulla fronte, dentro la ferita lasciata dal morso sulla tempia. Bruciava, ma non quanto il suo cuore. Dannazione, Gray significava molto per lui! Augustus era il suo custode ufficiale temporaneo! E adesso questo! Avrebbero rinchiuso il pappagallo? Lo avrebbero addormentato? Sentì una stretta allo stomaco.
“Perché Gray? Perché?”
Il pappagallo lo guardava bieco dall’alto. Era una domanda per la quale non aveva imparato nessuna risposta.
“Asso!” si lamentò.
Era solo una parola, ma riportò Augustus dai suoi cupi sentieri mentali alla realtà. La realtà da lassù sembrava abbastanza cupa, e tuttavia c’erano dei fatti. Lo scalatore sul tetto della biblioteca era un fatto. L’attentato a Gray era un fatto, proprio come il mattone accanto al cadavere di James. Dietro queste cose c’era qualcuno – e non era Gray. Accidenti!
Augustus sentì la travolgente necessità di lavarsi le mani. D’un tratto si rese conto della strana sensazione che aveva sulla destra: la mano non era solo umida di sudore, ma addirittura appiccicosa. Viscida. Oleosa.
“Ehi Huff! Prendi ’sta nocciolina!”
Augustus fece un profondo respiro e sentì, con infinita lentezza, una pietra staccarglisi dal cuore e cadere.
La pietra cadde in profondità e anche il velo che aveva davanti agli occhi, mentre lo spettacolo pirotecnico intorno a lui si avvicinava al momento culminante per poi terminare in una cacofonia di colori. Applausi e grida di giubilo salirono verso l’alto trasportati dal vento. Mancò poco che Augustus si unisse a loro.
Era quella la trappola! Non Gray! Al contrario: probabilmente Gray gli aveva appena salvato la vita!
La trappola era un lubrificante oleoso sul naso di pietra! Il Parrot-sitter si era accorto che quel naso era essenziale per passare tra le punte di metallo durante la discesa. Per salire non era necessario, ma per scendere era la prima opzione di ogni scalatore!
Gray aveva visto la trappola e osservato la caduta e questa volta lo aveva avvertito – e come ringraziamento aveva ricevuto uno schiaffo!
“Asso!” mormorò Augustus turbato.
“Bad romance!” confermò Gray con aria di rimprovero.
Augustus abbracciò la rosa di pietra e inviò i suoi pensieri su tre diversi sentieri.
Il primo si occupava quasi en passant di teoria, casualità, causa ed effetto. Lubrificante! Così semplice, così efficace! Era per questo che l’assassino aveva corso il rischio di tornare sul sagrato della chiesa, dal cadavere: aveva dovuto togliere il lubrificante dalla mano di Elliot. Un’autopsia ben eseguita forse avrebbe rilevato dei resti sotto le unghie; ma era ovvio che non era stata fatta un’autopsia approfondita. Questa volta non si sbagliava! Augustus provò una vaga sensazione di trionfo – persino lassù, ad alta quota.
Il secondo sentiero cercava di capire come fare a staccarsi da quella stramaledetta rosa di pietra e ritornare sano e salvo a terra. Una questione di non poco conto. La trappola era ancora tesa e funzionava benissimo!
Il terzo sentiero della mente riguardava il problema di fare pace con Gray che lo guardava dalla gargouille profondamente deluso. Di tutte le questioni questa era forse la più importante!
“Ehi Gray!” provò Augustus.
Il pappagallo tacque e lo fissò. Se non fosse stato per una leggera brezza che gli smuoveva le piume sul capo si sarebbe detto che fosse di pietra anche lui.
Augustus deglutì. Aveva sospettato di Gray. Che cosa c’era da dire in proposito? Prendi ’sto biscotto?
“Asso,” ammise Augustus. “Asso, asso, asso.”
Il pappagallo lo osservava con uno sguardo senza espressione.
“Sbagliato di poco è sempre sbagliato,” disse infine. Suonava conciliante.
Timoroso, Huff staccò la mano sinistra dalla rosa e la tese verso Gray, il palmo rivolto verso il basso come aveva imparato da Philomene.
Gray inclinò la testa ed esaminò la mano, prima con un occhio, poi con l’altro.
“Bad romance,” disse dispiaciuto.
“Lo puoi dire forte!” sospirò Augustus. “Ma credo che sia finita, Gray.”
“Finita?”
Con il fiato sospeso, Augustus osservò Gray staccarsi dalla gargouille e svolazzare goffamente verso di lui. Un attimo dopo avvertì il familiare peso piuma, prima sulla mano e poi sulla spalla. Gray gli mordicchiò amichevolmente l’orecchio. Huff si accorse che le mani avevano smesso di tremargli. Ora si sentiva completo. Di nuovo in equilibrio. Adesso poteva tornare a dedicarsi al problema di come scendere da quella maledetta torre.
Attraverso le punte di metallo non era possibile, questo era poco ma sicuro. Quindi doveva trovare un’altra strada, un passo dopo l’altro, sinistro avanti.
Cominciò a spostarsi sulla sporgenza seguendo la corona dentata intorno alla torre. Forse quei due denti non erano gli unici a mancare! Quella strada lo condusse lontano dalla sicurezza del tetto, sulla parte esterna della torre, ma ormai non poteva più farci nulla. E infatti, sul lato dalla parte del fiume c’era una punta che era piegata, così che un abile scalatore avrebbe potuto calarsi da lì. Augustus era abile abbastanza? Lo avrebbe capito subito!
Augustus deglutì, sotto di lui nient’altro che l’aria di una notte d’estate. Una gran quantità d’aria di una notte d’estate. Il tetto salvifico della cappella sembrava lontano mille miglia. Le barche sul Cam si staccavano lentamente una dall’altra, il sentiero che aveva condotto Augustus al King’s College stava sparendo. Gruppetti di studenti si spostavano sull’erba, sullo sfondo pascolavano le mucche. Huff non aveva voglia di finire come una macchia sul selciato e rovinare loro la serata.
Si aggrappò di nuovo a due rose di pietra. E di nuovo tastò con il piede in cerca di un sostegno. E dopo aver tastato con cautela affidò di nuovo il suo peso a un naso di pietra. Si aspettava che Gray sbottasse una seconda volta – questa volta era preparato – ma il pappagallo restò calmo.
“Tutto spiaccicato!” lo avvertì.
“Chiudi il becco!” sussurrò Augustus.
“Fetente!” ribatté Gray.
Poi si calarono entrambi attraverso il varco e giunsero sani e salvi su una delle sporgenze più in basso. Adesso Augustus doveva continuare a girare intorno alla torre e riuscire in qualche modo a tornare sul tetto.
Giunto dall’altra parte della torre, Augustus si accorse di essere finito più in basso di quello che era stata sua intenzione. Per saltare sul tetto doveva arrampicarsi di nuovo sul parapetto dall’esterno.
Di per sé non era un’impresa difficile perché il parapetto era traforato da centinaia di finestrelle, torrette e ornamenti che gli offrivano un appiglio.
Non era un’impresa difficile se non fosse stato per…
C’era qualcosa che non andava nella sagoma di torrette e gargouille.
Non c’era simmetria.
Non poteva essere. La simmetria era essenziale.
Quando Augustus guardò con maggiore attenzione, notò che una nuova gargouille si era inserita nella comunità di pietra sopra di lui: Lukas, secondo organo, Parrot-sitter e pluriomicida, stava aspettando muto Augustus e Gray.
Il dott. Augustus Huff, Fellow e antropologo, tastò la rana di ferro nella sua tasca e cominciò ad arrampicarsi.