13.
FAIRBANKS
Augustus tornò al College con Gray sulla spalla, eccitato e frustrato al tempo stesso. Finalmente aveva qualcosa di simile a un indiziato che, tuttavia, sembrava essere stato inghiottito dalla terra. Con esattezza, com’era caduto Elliot dalle guglie della cappella? Qual era il movente? Perché Crissup si era eclissato all’improvviso, e dove si nascondeva? L’organista borsista sembrava introvabile – peggio ancora: sembrava che sapesse che Huff era sulle sue tracce.
Augustus si accorse che stava mormorando tra sé. Gli studenti si voltavano a guardarlo. Negli ultimi giorni l’atmosfera al College era cambiata, era diventata più leggera, rilassata. Gruppetti di studenti ciondolavano esausti ma sollevati sotto gli archi dei portoni o sulle scale. Per molti il periodo degli esami era già finito e la loro più grande preoccupazione adesso era decidere che cosa avrebbero indossato all’imminente ballo studentesco.
Al contrario di Augustus. Huff passò in punta di piedi davanti alla Master’s Lodge, sgattaiolò con discrezione su per la scala e sparì con un certo sollievo nel suo appartamento. Sybil era già andata a raccontare il suo sospetto al Master, o addirittura alla polizia? Augustus doveva trovare delle prove a sostegno della sua teoria prima che, disgustati, lo allontanassero dal College scuotendo la testa in segno di disapprovazione o che lo arrestassero addirittura. E c’era anche un’altra cosa che lo preoccupava: era già da un po’ il custode ufficiale temporaneo del pappagallo cavia Gray. Per quanto tempo era inteso quel “temporaneo”? A chi apparteneva Gray in realtà? Il pensiero che potessero togliergli il pappagallo gli fece venire il mal di stomaco, e nemmeno la prospettiva di una scrivania perfetta e immacolata e di comode notti in un letto caldo riusciva a confortarlo.
Augustus si sorprese ad allineare i suoi fermacarte ancora e ancora. Pietra. Vetro. Rana. Dama di ottone. Pietra. Vetro… Che cosa ne sarebbe stato dell’uccello e chi avrebbe deciso del suo destino? Gray non doveva finire in una gabbia da qualche parte! Aveva bisogno di una spalla da cui osservare il mondo! Aveva bisogno di conversazioni interessanti e di stimoli spirituali, di noccioline, uva e discussioni su forme rotonde e quadrate! Gray non era abituato a trascorrere ore noiose in una gabbia!
Questo indusse Augustus a riflettere su qualcos’altro. Come diavolo aveva fatto Elliot a condurre una normale vita da studente? In fondo era sempre venuto agli incontri con il Tutor e alle cene senza il pappagallo. Doveva quindi esserci un metodo per lasciare Gray da solo ogni tanto!
Augustus smise di armeggiare con i fermacarte, fece un numero e rimase impaziente all’ascolto.
“Bad romance!” lo avvertì Gray, ma ormai non era più possibile tornare indietro.
*
Rispose subito dopo il primo squillo, come se stesse aspettando la chiamata.
“Dott. Huff?”
“Augustus,” disse Huff in modo automatico e si sentì subito uno stupido. A una dama come Lady Fairbanks non ci si presentava semplicemente per nome – e come si chiamava lei? Estella? Sì, Frederik aveva detto qualcosa a proposito di Estella.
Un’esitazione nella linea e un ticchettio come quello delle unghie sul piano di un tavolo. Con molta probabilità adesso la Lady stava aggrottando la fronte aristocratica. Forse i suoi occhi chiarissimi mandavano lampi di rabbia.
Ma poi prevalse la curiosità. “Augustus. E va bene. Cosa posso fare per lei?”
“Tutto, tutto tranne questo,” si lamentò Gray mentre Augustus raccoglieva i pensieri.
“Vorrei vedere ancora una volta la stanza di Elliot,” disse poi. “Io… io vorrei chiarirmi le idee su un paio di cose. In modo ufficioso. Il Master…” Si interruppe.
“Capisco.”
Augustus si accorse di essersi avvicinato alla finestra dove c’era ancora il portaspazzolino con i resti della cenere. Nell’aria aleggiava il fantasma del fumo di sigaretta, pungente ed elegante.
“Credo di sapere chi è stato,” proruppe. In realtà era più di quello che avrebbe voluto dire.
Dall’altro capo del filo si sentì un sussurro di sorpresa.
“È al College?”
Augustus rispose di sì.
“Bene. Non si muova. Sono lì tra un quarto d’ora.”
Un clic e poi il segnale della comunicazione interrotta, accompagnato da una riuscita improvvisazione di bip da parte di Gray.
Augustus tornò alla scrivania e si dedicò di nuovo ai fermacarte.
Pietra. Vetro. Rana. Dama di ottone. Pietra. Vetro. Rana. Dama di ottone.
Dama di ottone.
Dama di ottone.
Dama di ottone.
Bussarono.
Era davvero già passato un quarto d’ora? Huff aprì la porta e Lady Fairbanks scivolò nella stanza come un cane da caccia dal pelo di seta. Doveva aver corso. Un delicato rossore le coloriva le guance. Sangue e latte. Niente tailleur questa volta. Jeans grigi e una camicetta di seta grigia. Scarpe sportive di pelle scamosciata. I capelli erano raccolti in un foulard di seta luccicante che con tutta probabilità era costato più soldi di quelli che Augustus riceveva ogni anno per l’acquisto dei libri.
“Mi vuoi bene?” domandò Gray.
La viscontessa non disse nemmeno salve, ma sventolò sotto il naso di Augustus una vecchia chiave.
“Il Master…?” domandò Augustus con cautela.
La Lady scosse impaziente la testa. “Nessun problema. Questa faccenda non lo riguarda.”
La viscontessa gli fece un cenno con la mano e uscì. Augustus la seguì, chiuse a chiave la porta, e continuò a seguirla. Lady Fairbanks era già nella stanza di Elliot. Augustus si dette un’occhiata veloce alle spalle. Si sentiva osservato. C’era qualcuno che lo stava spiando? Frederik? Frederik lo spiava per conto del Lord? Sgattaiolare in quel modo dietro una porta con Lady Fairbanks non sembrava in ogni caso… corretto.
Poi entrò anche lui nella stanza di Elliot. La porta si richiuse. La Lady era a qualche passo da lui in una pozza di luce e si guardava intorno stordita. Era mai stata lì prima? Augustus restò a guardarla mentre si avvicinava esitante alla scrivania e appoggiava una mano sul tavolo, nel punto in cui i gomiti di Elliot avevano tirato a lucido il legno.
“Allora forza,” disse piano senza voltarsi. “Cerchi pure! Scopra quello che vuole sapere!”
Ma fu Gray che si mosse per primo. Veleggiò sicuro dalla spalla di Augustus, atterrò con una certa eleganza sul tappeto persiano e avanzò un po’ impacciato verso il camino.
“Mi vuoi sposare?” trillò di buon umore.
La viscontessa trasalì quando sentì la voce di Elliot, ma non si voltò e continuò ad accarezzare sovrappensiero il piano del tavolo. Augustus si scosse dal suo immobilismo e cominciò. La teoria! Le indagini!
Dov’era il cellulare?
La macchina fotografica?
Aprì i cassetti. Guardò sugli scaffali, dietro e tra i libri. Frugò nell’armadio. Niente. Niente di rilevante almeno, solo le biro, scarpe da ginnastica e mutande che ci si aspettava di trovare.
“Posso chiederle cosa sta cercando?”
“Il cellulare,” disse Augustus. “Non ce l’aveva quando… Sa cosa intendo. E sembra che non sia nemmeno qui.” Indicò un cassetto. “Ecco. Qui c’è il caricabatteria. Ma non riesco a trovare il cellulare corrispondente.”
La viscontessa lasciò stare la scrivania e aggrottò la fronte. “Questo è davvero strano.”
“Se non lo aveva con sé e non è qui allora… allora qualcuno deve averlo preso, vero?”
“L’assassino?” domandò la viscontessa senza fiato. “Non vuole dirmi finalmente chi…?”
Augustus scosse la testa. “Potrò dirle qualcosa solo quando sarò sicuro al cento per cento. Lei certamente mi capisce.” E quando accadrà? Probabilmente mai! “Al momento mi preoccupo solo di capire il perché. Sul cellulare c’erano forse dei messaggi compromettenti? Elliot ha telefonato al suo assassino prima di essere ucciso? Ci dovrà pur essere un modo per scoprirlo!”
Lady Fairbanks annuì, poi scrisse qualcosa sul suo telefono.
“E cerco anche la macchina fotografica!”
“La macchina fotografica?”
“Credo che Elliot possedesse un’attrezzatura fotografica. Ma è sparita anche quella!” Augustus ritenne che fosse meglio non raccontare alla Lady degli esperimenti perversi del suo rampollo.
“Ma non c’è un caricabatteria,” lo contraddisse la viscontessa osservando il caos tentacolare nel cassetto di elettronica di Elliot. “Ci sono quelli del telefono, del computer, dell’iPod – ma niente che faccia pensare a una macchina fotografica. Sono piuttosto grandi, vero? Per quanto ne so Elliot non si è mai interessato di fotografia.”
Augustus sospirò. Che cosa ne sapeva lei degli interessi di Elliot? Voyeurismo sui tetti! Perversi esperimenti etici! Wagner!
“Schifezza!” aggiunse Gray che adesso si era appollaiato confortevolmente sul pezzo d’arredamento più comodo – un divano di velluto – e osservava gli sforzi di Augustus con un’espressione di sufficienza.
L’uccello aveva ragione! Finora nessuno aveva esaminato il cestino dei rifiuti!
Augustus si preparò ad affrontare quel compito così poco igienico, si inginocchiò e cercò di non spiare le caviglie slanciate e il cigno tatuato di Lady Fairbanks. Carta di giornale e ancora carta di giornale. Vecchie bustine di tè. La confezione di una barretta di cioccolato. Un… che schifo! Quello non era un preservativo?
“Possiamo anche guardare nel suo computer,” disse la viscontessa mentre Augustus frugava nella spazzatura di Elliot trattenendo il fiato.
Sollevato, Huff lasciò cadere un torsolo di mela mezzo marcio. I moscerini della frutta vorticarono in aria. Poi scoprì qualcosa, proprio in fondo al cestino. Qualcosa che sembrava l’angolo di una fotografia. Il cuore cominciò a battergli forte. Era quello l’anello di congiunzione che stava cercando? La fotografia che spiegava tutto? Ma quando l’ebbe pescata dalle profondità del cestino vide che non si trattava di un’immagine ricattatoria. Anzi, era proprio il contrario!
Avevano tutti un aspetto molto distinto, in particolare la Lady ovviamente, ma anche Fairbanks e i due mocciosi biondi in frac. Ed Elliot. Stava dritto e serio, la mano sul fianco come un principe del rinascimento, con Gray sulla spalla. Gray faceva del suo meglio per interpretare un nobile rapace. Elliot aveva lo sguardo soddisfatto, così soddisfatto come di rado gli era capitato di vederlo. Sullo sfondo si innalzava un castello, con tutta probabilità la residenza di famiglia. In primo piano sonnecchiavano dei cani da caccia. La foto sembrava lo stadio iniziale di qualcosa di più ufficiale, forse di un dipinto a olio.
Augustus si alzò in piedi con la foto in mano.
“Ha delle salviettine?”
La viscontessa scosse la testa, lo sguardo fisso sul sottile laptop di Elliot. Le mani della Lady danzarono brevemente sulla tastiera, si fermarono, danzarono ancora. E ancora.
“Non conosco la password,” sibilò infine.
“Non credo sia importante,” disse Augustus. Elliot non era un amante del digitale. Piuttosto il tipo “caccia con il falco”. Vecchio stile. Troppo riservato. Troppo discreto. Era uno che preferiva lavorare con le foto in bianco e nero piuttosto che con i file digitali. Augustus non credeva che sul laptop avrebbero trovato qualcosa di più delle solite cose da studenti.
Quella invece… Con cautela tolse macchie di tè e di muffa dalla foto di famiglia. Come diavolo era finita sul fondo del cestino?
“Me la dia!” La viscontessa gli strappò la foto di mano e d’un tratto Augustus si sentì come un ladro. Chi gli dava il diritto di grufolare tra i lasciti del figlio morto come un maiale da tartufi?
Forse la sua teoria.
Forse la verità.
“Mi chiedo soltanto perché l’abbia buttava via,” disse mogio mogio.
“Non l’ha buttata via,” ribatté la Lady tagliente. “Non può averla buttata via!”
Augustus alzò le spalle e si rivolse al bovindo. C’era ancora una cosa da chiarire prima di ritirarsi una volta per tutte dal territorio di Elliot.
“Sta’ al gioco! Prendi ’sta nocciolina! L’uva te la puoi scordare!” Gray saltò giù dal divano pieno di aspettative e dondolò verso la porta del bovindo. Probabilmente si ricordava che lì un tempo c’erano stati noccioline e pellet. Augustus gli tenne la porta aperta come un maggiordomo e lo seguì nella stanza.
Gray rimase per un momento compiaciuto sul pavimento, poi perse la testa.
“Assassino! Assassino! Fuck me! Problemi! Problemi!”
L’uccello faceva salti sempre più grotteschi da terra cercando di levarsi in volo. Sbatté contro una parete, gracchiò roco e continuò a saltellare. Finalmente riuscì a staccarsi da terra e gridando si mise a volare in cerchio per poi rifugiarsi sul punto più alto della stanza: la testa di Augustus.
“Bad romance! Assassino! Salute! La baracca brucia!”
Tra i colpi d’ala frenetici del pappagallo, Augustus si accorse che la viscontessa aveva infilato la testa nel bovindo.
“Che diavolo sta succedendo!”
“Diavolo! Diavolo! La baracca brucia!” spiegò Gray.
“Non lo so,” disse Augustus che, con Gray sulla testa, cercava di stare fermo il più possibile. “C’è qualcosa che non va.”
“Lo credo anch’io.”
Augustus rifletté. Non era il primo attacco di panico di Gray, e l’ultima volta quello spettacolo era stato causato da una sedia fuori posto. Quindi…
“Qualcosa non è al suo posto,” disse. “C’è qualcosa che non è dove dovrebbe essere.”
La Lady si appoggiò alla cornice della porta come un punto interrogativo elegantemente arcuato, mentre Augustus esaminava la stanza con quel copricapo che sbraitava.
La gabbia era dove era sempre stata.
La finestra era chiusa come Augustus l’aveva lasciata dopo la sua ultima visita.
La parete di fronte…
Fermi tutti! Sul pavimento, davanti alla finestra, c’era qualcosa. Un’ombra con gli angoli. Augustus si inginocchiò e riconobbe una cornice, un grande portaritratti d’argento. Il sostegno sporgeva dal dorso come un’unica gamba. Augustus lo girò – e vide il volto della ragazza della piazza del Mercato. Questa volta sembrava felice, spensierata e innamorata, con i capelli spettinati dal vento e i ridenti occhi scuri.
Quella foto era l’esatto contrario della foto di famiglia un po’ austera che Augustus aveva trovato nella spazzatura. Ma il formato era lo stesso.
Gli strilli di Gray raggiunsero un altro apice e il pappagallo si placò solo quando Augustus portò la foto in soggiorno e la mise sulla scrivania insieme alla cornice.
“Ecco. Deve stare qui!”
“Sorprendente,” disse la viscontessa.
“Perfetto!” pigolò Gray sollevato.
Lo sguardo di Augustus oscillò tra la cornice e la foto di famiglia nelle mani della Lady. Non c’era alcun dubbio: Elliot aveva tolto il ritratto di famiglia dalla cornice abituale e lo aveva buttato via e poi aveva piazzato Fawn sulla scrivania. Si era trattato di un atto simbolico, senza dubbio. Un cambiamento di direzione, un esorcismo. In fondo Elliot era una persona all’antica. Strano che Augustus non lo avesse notato prima. Il tipo di persona che appendeva un gobelin alla parete della sua stanza da studente. Il tipo che credeva al potere delle immagini. Il tipo che compiva gesti romantici…
“Lei sapeva che Elliot aveva una ragazza?”
La viscontessa sbuffò. “Ma certo. Il grande amore.” La Lady alzò gli occhi al cielo con disprezzo. “A quell’età naturalmente tutte sono il grande amore. Poi passa. Scordatelo, gli abbiamo detto. Tu sei un Fairbanks. Non porterai all’altare la prima che capita.”
La viscontessa lanciò un’occhiata velenosa all’immagine felice di Fawn. “Non deve stare in quella cornice! Questa è argenteria di famiglia!”
Con grande inquietudine di Gray, Lady Fairbanks prese Fawn dalla scrivania e cercò di togliere la foto dalla cornice. Sembrava una cosa difficile. Augustus si chiese se non fosse il caso di aiutarla. No. Aveva la sensazione che quella cornice fosse proprio il posto dove doveva stare Fawn.
Poi la Lady lanciò un gridolino e, pallida di rabbia, esaminò l’unghia rotta. La foto di Fawn cadde sulla scrivania e rimase rovesciata, il sostegno teso verso l’alto come una gamba, proprio come Augustus l’aveva trovata sotto la finestra.
Come era finita per terra laggiù?
Ce l’aveva gettata Elliot? Forse perché con Fawn qualcosa era andato storto? Oppure era stato qualcun altro? La donna delle pulizie? Una storia di gelosia? Augustus si domandò di nuovo se l’interesse di Elena per il letto di Elliot fosse sempre stato di natura professionale. Chi altro aveva accesso a quella stanza? Lo stesso Elliot. Gray – ma per il pappagallo la cornice d’argento era troppo pesante. E poi c’era il misterioso visitatore che aveva frugato nella stanza di Elliot. Era stato lui a scaraventare a terra la fotografia? Oppure a farla cadere? Quando si era calato in tutta fretta dalla finestra per sfuggire ad Augustus Huff che stava cercando un trespolo per il pappagallo? Forse non si trattava di ricatto ma di gelosia? Di chi? Per chi?
“Bad romance,” mormorò Augustus.
“Sesso,” confermò Gray. Questa volta erano d’accordo. Il pappagallo scese con cautela dalla testa di Augustus e tornò sulla abituale spalla sinistra. Questo riportò Augustus alla domanda che in origine lo aveva condotto nel bovindo. La gabbia di Gray. Un breve sguardo confermò ciò che Augustus già supponeva: sembrava troppo nuova. Troppo pulita e luccicante. Non proprio come se qualcuno ci avesse fatto alloggiare un pappagallo, meno che mai Gray il cui hobby preferito era spiaccicare banane e sbriciolare matite.
Augustus guardò con più attenzione, ma anche dopo un’ispezione molto accurata non constatò nessuna traccia del pappagallo, nemmeno la più piccola piuma. La gabbia era finta! Inutilizzata. Gray non ci aveva mai abitato, con molta probabilità si trattava soltanto di una direttiva del College che esigeva che Gray avesse una gabbia. Che cosa ne aveva fatto quindi Elliot del pappagallo quando non ce l’aveva sulla spalla?
“Deve essere riuscito a lasciarti da solo in qualche modo!” mormorò tra le piume del petto di Gray. “Ma come?”
“Aveva una persona che glielo guardava,” comunicò la voce fievole della viscontessa dalla stanza accanto.
“Una persona? E chi?” Se Augustus fosse riuscito a rintracciarla e ad assumerla, alcuni dei suoi problemi pappagalleschi forse si sarebbero risolti!
“Uno studente,” disse Lady Fairbanks con indifferenza. Rise ma la sua risata suonò infelice. “Hanno litigato per quello. Da non crederci.”
“Per lo studente?” Augustus tornò in soggiorno e si accorse che con la mente la Lady era già altrove. Aveva smesso di ridere e fissava cupa il gobelin. Se il cavaliere non fosse stato di tessuto, con molta probabilità se la sarebbe data a gambe da un pezzo insieme al falco, sotto lo sguardo penetrante della dama. Così invece resistette, filo dopo filo, e d’un tratto Augustus capì un paio di cose.
“Per il gobelin? Chi?” Ma in realtà conosceva già la risposta. All’improvviso si ritrovò in mano una nuova tessera del puzzle, inaspettata, ma dalla forma perfetta. La rivoltò indeciso qua e là e aspettò.
“Lionel lo voleva indietro.” Lady Fairbanks scosse arrabbiata la testa.
“Il gobelin?” ripeté Augustus come uno stupido.
Lord Fairbanks! Ovvio!
Proprio nel momento meno opportuno qualcuno bussò.
Una volta. Due volte. Tre volte.
Augustus andò alla porta e afferrò la maniglia. La Lady scosse la testa ma era troppo tardi. Augustus aveva già aperto e stava guardando il volto arrossato di Frederik.
“Ragazzo mio!” gracchiò Gray. “Perfetto!”
“Augustus?” Frederik era sorpreso di vederlo lì, o per lo meno faceva finta di esserlo. Il suo sguardo si spostò qua e là tra Huff e la Lady, poi il matematico sollevò con eloquenza le sopracciglia.
“Io… ehm noi…” Augustus si accorse che stava arrossendo.
La viscontessa scivolò verso Frederik e troncò la parola in bocca ad Augustus.
“Frederik, ma che sorpresa.” Gli tese la mano in maniera esageratamente cortese.
“In effetti.” Frederik prese la mano candida e accennò un baciamano. Aveva ancora un’espressione interrogativa ma la Lady non gli dette importanza.
“Cosa posso fare per te, Frederik?”
Augustus la invidiava. Lui si sarebbe impantanato da un pezzo in un mare di spiegazioni e scuse e così, con tutta probabilità, avrebbe fatto la figura del pesce lesso. Si domandò che sensazione si provasse a vivere in un mondo in cui non si deve dare spiegazioni a nessuno.
“Oh niente, proprio niente. Solo scambiare un paio di parole forse. Lionel è preoccupato per te, lo sai.”
“Sì certo.” La Lady strinse impaziente il foulard con cui si era legata i capelli. “Pranzo? Vi invito io!”
“In realtà avrei preferito parlarti a quattr’occhi…” cominciò il professore, ma Lady Fairbanks era già scivolata in corridoio lasciando ad Augustus il compito di spingere Frederik e la sua sedia a rotelle. Non desiderava davvero pranzare con lui, supponeva Augustus. Era solo che la viscontessa non voleva fare nessuna concessione a Frederik – nemmeno la più piccola.
Tuttavia, a essere sinceri per Augustus un pranzo capitava proprio a proposito. Quand’era stata l’ultima volta che aveva mangiato qualcosa di decente? Non riusciva a ricordarlo – e questo, senza dubbio, non era un buon segno.
Mentre era in ascensore con il professore, la dama e lo stomaco che borbottava, Augustus rifletté febbrilmente su come riallacciare il filo del discorso appena perduto. Il litigio di Elliot con il padre non era una banale coincidenza, ne era sicuro! Il loro litigio poteva essere determinante nel caso Elliot, forse era stato una sorta di causa scatenante. Se solo…
Erano già usciti dal College. Erano già per strada. Frederik sferragliava sul selciato.
“L’uva te la puoi scordare!” disse Gray, rivolto a chi lo voleva ascoltare, mentre la viscontessa svoltava stoicamente un angolo dietro l’altro fino a quando si diresse decisa verso una porta nera dall’aspetto molto costoso.
*
E dopo Augustus si ritrovò seduto in un ristorante semplice ma elegante e qualcuno gli mise davanti un consommé con dentro delle verdurine indefinite. Per il pappagallo che gracchiava sulla sua spalla fu servito un piatto di spicchi di mela.
Il consommé era buono! Augustus mangiò sforzandosi come poteva di non fare rumore. Per quel che riguardava le buone maniere a tavola doveva darsi da fare per compensare il comportamento del pappagallo che si gettò sui pezzi di mela sbrodolando alla maniera ormai collaudata. La viscontessa gli sedeva di fronte, di tanto in tanto beveva un sorso di gin tonic e aveva l’aria di chi avrebbe preferito fumare una sigaretta. Frederik aveva già il secondo bicchiere di vino davanti a sé, ignorava la coscia di pollo nel suo piatto e cercava di persuadere Lady Fairbanks.
“Non si tratta di perdonarlo, Estella, si tratta di riconoscere che non c’è niente da perdonare. Lionel ha fatto tutto il possibile affinché l’incidente – non puoi davvero dare la responsabilità a Lionel di quel che…”
“No,” disse la viscontessa con dolcezza. “Non di questo. Non più.”
In realtà Augustus si era ripromesso di riportare la conversazione su Elliot e sul gobelin. Invece si accorse che gli sarebbe bastato stare ad ascoltare. Quindi il vecchio matematico era stato inviato da Lord Fairbanks per mettere pace. E la Lady voleva la pace. Ma non subito. E non da Frederik.
Probabilmente il professore aveva poca esperienza con le donne e non sapeva che in certe situazioni è meglio tenere la bocca chiusa. In situazioni come quella.
“Be’, allora,” disse il matematico soddisfatto, si versò dell’altro vino e continuò indefesso ad argomentare. “Torna a casa. Lionel ha bisogno di te. Elliot era anche suo figlio.”
Ecco.
Silenzio. Un silenzio abissale. Augustus vide letteralmente la viscontessa rintanarsi nel suo guscio di madreperla luccicante, come una chiocciola.
Le parole di Frederik sembrarono risuonare a vuoto.
Aha.
Non era suo figlio.
Alcuni sentieri della mente si diramarono davanti a lui. Tessere del puzzle si incastrarono con un clic. Newton aveva scoperto la forza di gravità sotto un albero, a poche miglia dal posto in cui stavano pranzando adesso. Una mela non cade lontano dall’albero, ma questa mela era caduta invece lontano. Troppo lontano. Troppo in profondità.
Non cademus.
La Lady si alzò lentamente, come sovrappensiero, afferrò la borsa e uscì dal ristorante senza degnare Augustus e Frederik di uno sguardo.
“Ma io devo molto…” Gli occhi della vecchia volpe scintillarono. Sapeva ciò che aveva appena detto? Lo aveva detto apposta?
“Sbagliato di poco è sempre sbagliato,” avvertì Gray, ma Augustus era già saltato in piedi, e stava correndo dietro alla Lady e piantando lì Frederik.
Senza il luccicante foulard di seta probabilmente Augustus l’avrebbe persa tra il brulichio della folla, così invece, dopo un breve inseguimento, riuscì a raggiungere la viscontessa. Si era fermata su un ponte e respirava con affanno guardando le barche.
Augustus si unì a lei.
“Prendi ’sta nocciolina!” fu il consiglio di Gray.
Lady Fairbanks dette a entrambi un’occhiata a metà tra l’arrabbiato e il sollevato.
“Che disfatta!” Voleva ridere ma la risata le morì in gola. “Cosa ci fa ancora qui, dott. Huff? Il consommé non le è piaciuto? Forse non ha ancora sentito abbastanza?”
“Sì e no,” disse Augustus. “Quindi Elliot non era… Poco fa abbiamo parlato del gobelin…”
La viscontessa gli fece intendere di lasciar perdere. “Un antichissimo pezzo di famiglia. Lionel lo ha regalato a Elliot all’inizio degli studi…”
“E poi?” Augustus voleva sentirlo.
La viscontessa sospirò esausta, dimenticò ogni risposta pungente. “Elliot voleva regalare il gobelin a quella donna. Allora Lionel ha preteso di riaverlo indietro, ma Elliot non voleva più restituirglielo. Un regalo è un regalo, ha detto, e aveva tutto il diritto… E così Lionel ha perso le staffe e gli ha detto che lui non aveva nessun diritto…”
“Perché non è un Fairbanks?” Augustus aveva finalmente messo la tessera del puzzle al posto giusto e adesso aspettava con impazienza. La rabbia del visconte. La sepoltura lontana dalla tomba di famiglia. I capelli biondissimi di Elliot. Elliot che all’improvviso volta le spalle alla sua famiglia. D’un tratto era tutto chiaro.
La Lady rise piano. “È così evidente? Lionel ha sempre avuto paura che la gente se ne accorgesse. Cerca di controllarti, gli dicevo. Non se ne accorgerà nessuno. Nessuno oserà vedere qualcosa!”
“E lo stesso Elliot…?”
La viscontessa scosse la testa. Sotto di loro scivolò silenziosa una coppia di sposi.
“Era di buona famiglia, non doveva sapere altro! Lei non ha idea di quanto sia duro essere di buona famiglia. Ma io per un’estate non lo sono stata, appunto. Per una breve, meravigliosa estate… Non è giusto essere perseguitati così a lungo da un’unica estate…”
Augustus pensò al cigno tatuato sulla sua caviglia e annuì. Come doveva essere stata giovane la viscontessa.
“E il… visconte?”
“Oh, Lionel lo sapeva. Ha promesso che avrebbe accettato Elliot e che gli avrebbe dato il suo nome. Non voleva scandali.” La Lady sbuffò con disprezzo. “I bei vecchi tempi. Allora nessuno voleva uno scandalo. Era la condizione per cui ho accettato la sua proposta di matrimonio. E adesso è venuto meno alla parola data, ma la mia vita è stata…”
Con un gesto impaziente tirò fuori una sigaretta dalla borsa.
“E lei ha pensato che Elliot si fosse buttato dal tetto della cappella perché non era un Fairbanks? Ha creduto che suo marito lo avesse spinto alla morte?” Augustus le avrebbe dato volentieri da accendere ma la viscontessa non voleva fumare. Voleva solo qualcosa da tenere in mano.
“Questo non l’ho pensato! Non volevo pensarlo. Elliot era più forte di… una cosa così. E io non avrei mai potuto perdonare Lionel, ma… ma io… voglio perdonarlo! Voglio sapere che non è andata così! Non credere, dubitare e poi di nuovo credere. Sapere.”
La viscontessa osservò la coppia di sposi sotto di lei con una rabbia gelida negli occhi.
“Mi porti l’assassino, Augustus,” disse con una voce fievole, ardente. “Mi porti l’assassino e io gliene sarò grata in eterno. Mio figlio è un Fairbanks ed è morto da Fairbanks! Tutto il resto non sono altro che ombre.”
Gettò la sigaretta ancora intatta nel Cam e se ne andò. Questa volta Augustus la lasciò andare. Quindi Elliot era stato il risultato di un errore di gioventù della viscontessa e invece di nasconderlo sotto il tappeto come faceva altra gente, Lady Fairbanks aveva deciso di nobilitarlo, di legittimarlo. E il Lord era stato al gioco – fino a poco tempo prima. Doveva essere stato uno shock incredibile per Elliot. Non cademus… e poi d’un tratto non era più un Fairbanks. Fallibile. Vulnerabile. Augustus capiva perché la viscontessa si era preoccupata. Ma Elliot aveva un’altra corda al suo arco: Fawn dagli occhi scuri. Era molto probabile che Fawn l’avesse salvato in quel momento di crisi della sua giovane vita. Aveva segnato anche lei il destino di Elliot? Alla fine la caduta di Elliot non era stata provocata da un dramma familiare ma da una storia di gelosia? Che relazione c’era tra Crissup e Fawn? Doveva esserci una relazione!
“Fairbanks,” ripeté Gray triste.
Tutto, tutto tranne questo.
D’un tratto Elliot era stato libero. Libero di sposare chi voleva. E questa libertà forse gli era costata la vita. Augustus ne era quasi sicuro: la causa scatenante degli avvenimenti che quella notte avevano condotto Elliot sul tetto della cappella era lì. Lui – e il suo assassino.
E all’improvviso Augustus ricordò dove aveva già sentito il nome Crissup. Gettò un’ultima occhiata alla coppia di sposi che radiosi sparirono sulla loro barca sotto il ponte successivo, e corse via.