11.

ASSO

La notte era liscia e morbida come una coperta di finissimo cachemire. Augustus si era coperto fino al naso e dal tetto della biblioteca del Caius guardava giù la piazzetta sperduta tra il Clare College e la King’s College Chapel. Accanto a lui il camino di mattoncini rossi, solido come un amico, sopra di lui le nuvole lambite dalla luna, sotto di lui ombre e dubbi. Dal funerale si sentiva stranamente dilaniato e commosso, triste e respinto allo stesso tempo. Che razza di famiglia! Che razza di amici! Com’era facile cadere! C’era così poco a cui potersi aggrappare davvero! Vedeva forse solo fantasmi? Se la vita di Elliot era stata deprimente più o meno come il suo funerale – una caduta era davvero così improbabile?

Augustus era salito sui tetti nella speranza che l’aria limpida gli togliesse i dubbi. Ma in realtà stava aspettando. Aspettava un luccichio traditore, un piccolo punto incandescente nella notte. Era arrivato alla conclusione che non aveva molto senso interrogare di nuovo il custode: quell’uomo gli aveva mentito già una volta, avrebbe mentito ancora e, a quanto sembrava, ci provava anche gusto. Ma che succedeva se Augustus osservava dall’alto le sue abitudini di fumatore? Oppure aveva solo bisogno di una scusa per venire a divertirsi sui tetti? Forse il giaciglio nella vasca da bagno alla lunga stava diventando scomodo?

Un sussurro lo strappò ai suoi pensieri. Un sussurro e poi una risatina. Non sembrava proprio il custode! Due voci che bisbigliavano stavano passando nel vicolo sotto di lui. Augustus osò sporgersi ancora un poco da dietro il camino e così riuscì a vedere da dove arrivava la risatina. Apparvero due figure, un poco instabili ma evidentemente di buon umore. Capelli scuri e capelli biondi. Studenti! Il biondo prese la mora per i fianchi e la spinse contro il recinto della cappella. La mora ridacchiò e si avviticchiò al biondo.

Il mormorio divenne più profondo, incalzante, poi cessò del tutto e Augustus sentì un respiro ritmico. Sempre più veloce. Movimenti caratteristici. Da lassù sembrava così poco complicato, ma quando ci si trovava di persona in una situazione simile, gaffe e figuracce erano sempre in agguato. Augustus ebbe la vaga sensazione di essere stato colto in flagrante. Desiderò che quei due sparissero alla svelta. Finché restavano lì a strofinarsi al recinto, di sicuro il custode non si sarebbe fatto vedere!

Elliot con la sua macchina fotografica aveva osservato spesso scene come quella? Si era sentito colto in flagrante? No davvero! Non Elliot! Poi Augustus ebbe una folgorazione e per poco non lasciò la presa sul camino. La macchina fotografica! Dov’era la macchina fotografica di Elliot? Per fare foto notturne così dettagliate, doveva avere avuto una buona attrezzatura! Degli obiettivi! Una grossa reflex! Dov’era adesso? Se Augustus fosse riuscito a metterci le mani sopra, forse avrebbe… scoperto altre foto contenute nella scheda. O forse chi aveva fatto fuori Elliot, chiunque fosse, aveva fatto sparire anche la macchina fotografica? La macchina, ma non le foto? Forse Augustus poteva chiedere alla viscontessa il permesso di rovistare un’altra volta nella stanza di Elliot? La viscontessa era dalla sua parte, lo sentiva… oppure era lui ad essere dalla sua?

Augustus guardò di nuovo in basso, dove la coppia si avvicinava al momento culminante e d’un tratto si accorse di non essere l’unico a osservare quei due. Nel giardino del Clare College, sotto un ciliegio molto bello, notò un’ombra che prima non c’era.

Il biondo emise un gemito, e Augustus stava quasi per gemere con lui. Quand’è che la finivano quei due?

Ma poi la natura fece il suo corso e la coppia si allontanò barcollando, arruffata e quasi di sicuro rosea, mano nella mano, grazie a Dio, e Augustus riuscì finalmente a vedere ciò per cui era venuto: il puntino ardente di una sigaretta, prima sotto il ciliegio e poi – quando il biondo e la mora ebbero svoltato l’angolo – più avanti, accanto al recinto. Gli sembrò perfino di sentire l’odore del fumo: Tony il custode si concedeva la prima cicca del suo turno di notte, dopo nemmeno due ore, proprio come aveva supposto Augustus. Dal punto in cui si trovava, l’uomo avrebbe potuto vedere Elliot morto senza problemi.

Il custode aveva finito di fumare la sigaretta e stava per schiacciarla sul recinto di ferro battuto del College quando d’un tratto si fermò e guardò in alto come se avesse avvertito lo sguardo di Augustus. Istintivamente Huff si ritirò dietro il camino ma ben presto si accorse che l’uomo non stava affatto guardando nella sua direzione, ma un po’ oltre, sull’altro lato del tetto. Augustus seguì il suo sguardo e per poco non si tradì con un forte “Fuck me!” – Gray aveva davvero un brutto ascendente su di lui! Là dietro, nascosto per metà dall’ombra di un altro camino, c’era qualcuno accovacciato, vestito di nero, immobile, lo sguardo rivolto in basso, sul custode.

Augustus sentì un tuffo al cuore. Cosa doveva fare? Correre via? Chiedere spiegazioni allo scalatore notturno? Invece si costrinse a voltarsi e a guardare di nuovo il portiere. L’uomo aveva ormai finito di spegnere la sigaretta e, trascinando i piedi, tornò in portineria.

Augustus rifletteva febbrilmente. Perché oltre a lui c’era qualcun altro che spiava il custode? Che cosa significava? Poi capì e per un attimo gli girò la testa. Il secondo scalatore non stava spiando il custode: spiava lui, forse quella notte lo aveva seguito fin dall’inizio. Il custode gli interessava solo perché lui, Augustus, se ne stava interessando. E adesso? Che fare? Forse l’altro non sapeva ancora di essere stato scoperto – erano piuttosto distanti e con molta probabilità il volto di Augustus, al riparo del camino, era solo un’ombra. Era impossibile dire con esattezza dove stesse guardando. L’altro, per presunzione o curiosità, si era sporto in avanti, così che Augustus per un momento aveva visto qualcosa che assomigliava a un viso. C’era qualcosa che non andava in quel viso. Qualcosa fuori posto. Augustus scacciò quel pensiero. Adesso aveva altre preoccupazioni. Era su un tetto e soltanto un camino lo separava da un… assassino?

Quella conclusione era evidente. Chi avrebbe potuto pedinarlo fin lassù se non l’assassino? L’assassino che aveva capito che Augustus era sulle sue tracce. L’assassino che cercava un’occasione per eliminarlo!

Augustus non aveva molta voglia di azzardarsi a scendere con quella strana ombra sul collo, così scelse una seconda variante: l’attacco! Avrebbe cercato di avvicinarsi il più possibile allo scalatore e scoprire chi era. Forse sarebbe riuscito addirittura a parlargli? Forse c’era una spiegazione ragionevole per tutto ciò? In fondo erano a Cambridge, la città delle spiegazioni razionali!

Prima però Augustus doveva sorprendere l’ombra dall’altra parte del tetto!

Si alzò, fece finta di inciampare e agitò le braccia. Poi si accucciò e fece come se volesse riallacciarsi la stringa di una scarpetta. In realtà, da sotto le palpebre abbassate, osservava l’ombra dall’altra parte del tetto. Fin dal primo movimento di Augustus, l’ombra si era accucciata, pronta al salto, ma più Augustus armeggiava con la scarpa, più l’ombra si rilassava. Augustus fece un respiro profondo e contò mentalmente fino a tre. Poi scattò, piede sinistro avanti, su per il tetto di lamiera e raggiunse la cima aguzza e luccicante. Lì, nel punto più alto, un piede a sinistra, un piede a destra, avanzò meglio e con più sicurezza. Prima che l’ombra si rendesse conto di cosa stava succedendo, Augustus aveva già percorso la metà del tetto. Intuì l’esitazione dello sconosciuto e lo capì fin troppo bene: attaccare o scappare? In un battito di ciglia, l’ombra decise di scappare, si staccò dal camino e scivolò lungo il tetto spiovente fino alla grondaia. Anche lì avanzò sicuro, anche se pericolosamente vicino al bordo argentato del tetto e al baratro sottostante.

L’ombra temeva quel baratro e si muoveva con cautela.

Augustus le era sempre più vicino.

Mentre correva cercò di farsi un’idea del suo pedinatore. Slanciato, questo era sicuro. Come Augustus, anche lui indossava un cappello e una giacca scura che nascondeva la sagoma. Uomo? Donna? Erano possibili entrambe le cose. L’altezza? Poiché l’ombra camminava china, era difficile da stimare. Più basso di lui, supponeva Augustus. E il viso? Lo aveva visto solo per una frazione di secondo e gli aveva dato la spiacevole sensazione che somigliasse a un insetto. Augustus tentò di non pensarci troppo e continuò a correre cercando di tenersi in equilibrio.

Raggiunsero l’estremità della prima parte del tetto. In quel punto l’ombra era avvantaggiata perché, dopo un facile salto, poteva continuare a correre mentre Augustus doveva superare un dislivello più grande. Huff saltò e atterrò in modo brusco e con un gran fracasso sulla lamiera e per un momento perse l’orientamento. Ma si riprese subito e continuò a correre.

Guadagnava terreno. Adesso era completamente assorbito dalla frenesia della caccia.

Arrivò in fondo anche a quel segmento. Questa volta il salto sul tetto successivo gli riuscì meglio. Davanti a lui si delineavano già le torrette in stile Tudor che annunciavano la fine del tetto. Adesso l’ombra era così vicina che Augustus la sentiva respirare e pian piano doveva cominciare a pensare a cosa sarebbe successo quando l’avrebbe raggiunta. Doveva cercare di immobilizzarla o almeno di identificarla? E poi? Non importava. Il suo corpo aveva preso il comando e sembrava sapere cosa fare. Augustus saltò e riuscì ad afferrare una manica. Cadde sul tetto inclinato. Anche l’ombra cadde, si voltò, si dimenò, ma Augustus non mollò la presa. Si sforzava di sbirciare finalmente il volto del suo antagonista, ma all’improvviso l’ombra si girò di scatto e gli tirò un calcio sul viso.

Non lo colpì bene e per fortuna indossava le scarpette da arrampicata con la suola morbida e tuttavia per un momento Augustus rimase così stordito che lasciò andare la manica. D’un tratto l’altro era sparito. Dov’era finito così all’improvviso? Di sicuro non giù per la parete verticale, e non era nemmeno sul selciato. Il suo pedinatore doveva essere riuscito ad arrivare dall’altra parte del tetto! Augustus corse in quella direzione e guardò giù, in un cortile interno. In basso, troppo in basso, c’erano delle auto parcheggiate. E lì dietro, non troppo lontano da lui, c’era una comoda grondaia! Augustus si precipitò da quella parte, si fermò e rimase in ascolto. Niente! L’ombra era già arrivata giù o si era nascosta a metà strada in una delle tante nicchie delle finestre?

C’era solo un modo per scoprirlo!

Con un sospiro, Augustus si inginocchiò, poi si calò con cautela dal bordo del tetto, le mani ben salde sulla lamiera, e con i piedi cercò a tentoni la grondaia. Mentre era sospeso in aria che sgambettava come un gattino, sul tetto d’un tratto si fece scuro. Nuvole? Ci mancava anche questa! Ma un attimo dopo si accorse che non era una nuvola a togliergli la luce. L’ombra! Era tornata, sopra di lui! L’ombra era d’un tratto la sua ombra! Se ne stava lì, immobile, a neppure un metro dal punto in cui Augustus era sospeso in aria, inerme. Un solo passo, un calcio e Augustus sarebbe caduto e con tutta probabilità avrebbe sfondato un parabrezza – una disdicevole porcheria per il povero diavolo che lo avrebbe trovato l’indomani. Era quello che era successo a Elliot?

Augustus sudava. Le mani stavano quasi per perdere la presa senza bisogno di aiuto.

L’ombra adesso era proprio sopra di lui, le braccia conserte. Maligna? Indecisa?

Augustus si agitava come un pazzo e finalmente le gambe trovarono la grondaia. Infilò i piedi nella fessura. Poi la mano sinistra. La destra. Aveva lasciato il tetto! Era al sicuro! Strinse forte la grondaia come un’amante creduta persa a lungo, contò come un invasato fino a tre e ascoltò la notte oltre il battito del suo cuore.

Niente. Proprio niente. Un silenzio di tomba.

L’ombra era ancora lì? Lo stava aspettando lassù?

Che lo aspettasse pure! Dopo che i suoi nervi si furono un poco calmati, Augustus cominciò a scendere. Con molta cautela. Con una lentezza straziante. Passo dopo passo. Mentre scivolava lungo la grondaia come una lumaca, cercò di prendere coscienza di quello che aveva appena visto.

Una silhouette. Un volto che tuttavia non era un volto.

L’ombra portava un paio di occhiali, di quelli grandi, che facevano somigliare a un insetto, che coprivano la metà della faccia e che per lo più venivano usati dai ciclisti. Misterioso, addirittura inquietante! Chi è che di notte aveva bisogno di un simile paio di occhiali?

A parte gli occhiali, in pratica Augustus non aveva visto niente del suo avversario. Il modo in cui si muoveva? La mimica? Nessun particolare gli era familiare, ma naturalmente era stato troppo occupato a cercare con i piedi la grondaia per osservare davvero i particolari.

L’altro era senza dubbio un arrampicatore esperto, ma non così disinvolto come Elliot. La mossa a sorpresa invece faceva intuire una concreta scaltrezza. Si trattava di qualcuno che riusciva a pensare bene in situazioni di stress – senza dubbio una qualità utile quando si voleva far fuori uno studente ad alta quota!

Perché allora l’ombra non lo aveva fatto cadere giù, nel cortile? Per scrupolo? Compassione? Oppure sarebbe stato scomodo per l’assassino se d’un tratto un altro accademico fosse caduto dal cielo, tanto più uno che conosceva bene Elliot? Persino il più lento dei poliziotti si sarebbe insospettito.

Augustus raggiunse l’asfalto del cortile interno e cadde in ginocchio. Le gambe molli come banane troppo mature lo reggevano appena. Al contrario dell’altro scalatore, lui non era uno che dava il meglio di sé quando era sotto stress.

Cosa avrebbe dato adesso per un lavandino e un po’ di sapone, e dopo forse un asciugamano bianco pulito! Invece si mise a cercare con le mani sporche l’uscita del cortile.

Era molto buio. Augustus procedette a tentoni lungo il muro, sbatté la tibia contro un paraurti e inciampò in qualcosa di metallico, forse un cestino della spazzatura. Nel frattempo gli tornò la paura. Forse l’altro lo aveva seguito? E se invece aveva intenzione di farlo fuori e adesso se ne stava in agguato tra due auto armato di un mattone? Con i suoi strani occhiali! Augustus si fermò, si appoggiò con la mano destra al cofano di un’auto e con la mano sinistra si asciugò il sudore sulla fronte. Occhiali notturni! Ecco cos’erano! Augustus stava forse spartendo quel cortile nero come la pece con un assassino con un paio di occhiali notturni?

Solo dopo aver compiuto alcuni giri lungo le mura della biblioteca, Augustus fu sicuro che lì non c’era niente: nessun killer, ma nemmeno un’uscita. Era solo, il cortile ben chiuso di notte e l’unica via di uscita passava per la grondaia e per il tetto, dove forse lo aspettava ancora l’assassino.

Anche se avesse avuto il coraggio di affrontare un’azione così rischiosa, non ce l’avrebbe fatta a risalire. Aveva i nervi a pezzi. Ogni colombo, lassù, lo avrebbe spaventato a morte.

Sapere valutare in modo realistico le proprie capacità, riconoscere i propri limiti, era la dote più importante di uno scalatore. E almeno per quella notte, i limiti di Augustus erano ormai in quello stramaledetto cortile. Quando avrebbero riaperto? Alle sei? Alle sette? Doveva farsi notare oppure lo avrebbero arrestato come un mendicante o un intruso? Vestito in quel modo chi mai avrebbe creduto che lavorava all’università?

Con un sospiro si sedette sulla soglia di una porta, si tirò il cappuccio della felpa sulla testa e chiuse gli occhi. Solo per un momento. O due. Immaginò l’assassino che probabilmente in quel momento si arrampicava da qualche parte, dentro una finestra, in una stanza calda, illuminata, dove poteva lavarsi le mani e sdraiarsi su un letto invitante. Dov’era quella stanza? Chi era lo scalatore? E poi immaginò un piccolo pappagallo grigio che si sarebbe svegliato alle prime luci del giorno e avrebbe trovato la vasca da bagno vuota e, in quella stanza angusta, si sarebbe fatto prendere dal panico…

*

Quando finalmente Augustus passò in tutta fretta davanti a un custode meravigliato, nel suo College, il sole era già alto. Augustus odiava il sole. Si sarebbe nascosto volentieri da qualche parte, in un buco nero, invece di attraversare il prato sacro in piena luce. Gli studenti che, pallidi e sfiniti, si trascinavano a colazione, gli lanciarono delle strane occhiate. Non c’era da meravigliarsi. Indossava ancora il cappuccio. Aveva le mani sporche e graffiate sul dorso, le unghie nere. Da qualche parte, mentre scendeva lungo il tubo della grondaia, si era strappato la giacca. E adesso dallo strappo fuoriusciva l’imbottitura bianca. E poi… puzzava.

Lavarsi le mani. Fare la doccia. Mettersi a letto o nella vasca da bagno.

Ma non appena arrivò al suo piano capì che non se ne sarebbe fatto niente.

“Finalmente!” disse qualcuno.

Davanti alla sua porta si era formato un piccolo grappolo di gente. Frederik sulla sedia a rotelle e in pigiama. Il filologo dirimpettaio in accappatoio. Uno o due studenti del piano di sotto. Sybil in perfetto outfit da yoga, le braccia incrociate sul petto.

E dietro la sua porta c’era il finimondo.

Fuck me! Fuck me! Assassino! La baracca brucia! Una stella del cielo! Problemi psicologici! Problemi! Gaga-Uhlalaa!

“Oh,” disse Augustus. “Ah. Mannaggia. Okay. Okay.”

In base alla sua esperienza più si diceva “okay” e meno la situazione lo era. E Augustus pronunciò una gran quantità di “okay” mentre si avvicinava in tutta fretta alla porta. Gli studenti se la dettero a gambe, forse a causa del suo aspetto trasandato o addirittura del suo odore, ma Frederik, il filologo e Sybil mantennero le loro posizioni.

Frederik lo guardò da sotto in su, pieno di rimprovero. Aveva gli occhi iniettati di sangue. Sembrava invecchiato. “Augustus, ragazzo, finalmente! È così già da ore! Di dormire non se ne parla e di lavorare meno che mai. Le piccole canaglie hanno gli esami, lo sai? E io sono stato metà della notte… In tutta sincerità…” Si interruppe e guardò Augustus intontito come dopo una sbornia. “Va tutto bene, ragazzo mio?”

“Benissimo,” disse Augustus piccato e infilò la chiave nella serratura. “Mi dispiace. Faccio subito in modo che si zittisca.”

“L’uva te la puoi scordare!” si udì da dentro in un tono di scherno.

“Mah.” Frederik girò la sedia a rotelle e senza aggiungere una parola si spinse verso la sua porta. Augustus non lo aveva mai visto così arrabbiato.

Sorry,” mormorò. “Sorry, sorry.”

Dannazione, parlava già come quello stupido uccello. Solo che non faceva tutto quel chiasso.

Il filologo emise un paio di suoni indignati, poi infilò le mani nelle tasche dell’accappatoio e se ne tornò scalzo nella sua stanza.

Sybil invece non si lasciò liquidare così in fretta. Dopo che Augustus ebbe aperto cercò di infilarsi con lui nella stanza. Augustus le sbarrò la strada.

“Non è il momento, Sybil.”

“Non mi importa.” Si piantò nella cornice della porta, così che Augustus non potesse chiudere. Fin quando quella porta non era chiusa, Augustus non poteva aprire quella del bagno. Si dette per vinto.

“Okay. Ma solo un momento. Mi devo occupare di Gray.”

“Sempre quello stupido uccello,” disse Sybil. “Hai un’idea dell’aspetto che hai?”

Adesso in bagno c’era silenzio. Con tutta probabilità Gray si era posato da qualche parte e stava in ascolto.

“Huff,” disse Sybil, non appena la porta si fu richiusa. “Huff, sono preoccupata.”

“Perfetto,” si sentì gracchiare ipocritamente dal bagno.

Augustus fece il finto tonto. “Preoccupata? E perché mai…?” Poi colse la sua immagine nello specchio del guardaroba, e ammutolì. Aveva un aspetto terribile. Peggio di come si sentiva. Trasandato. Sporco. Aveva un bernoccolo all’attaccatura dei capelli. I capelli come un nido di ratti. Era un miracolo che il custode di turno lo avesse riconosciuto.

“Ho passato una brutta nottata,” mormorò. “Non… non succederà più.” Speriamo. Non aveva intenzione di scorrazzare di nuovo sui tetti con degli assassini e di trascorrere le prime ore del mattino pisolando tra le auto in un cortile freddo.

“Non è solo questo…” disse Sybil, ma Augustus si stava già dirigendo verso il bagno. Doveva vedere come stava il pappagallo. Allungò la mano verso la maniglia e si preparò a un altro cazziatone.

“Huff,” disse Sybil con insistenza. “Huff, si tratta di Elliot.” Augustus ritrasse la mano dalla maniglia.

*

Poco dopo erano seduti uno di fronte all’altra, poltrona-pensatoio e sedia degli studenti, tra di loro due tazze fumanti. Sybil aveva fatto il tè perché, a quanto pareva, Augustus sembrava “disidratato”. Disidratato! Quello era il problema minore! Si sentiva la coscienza terribilmente sporca perché non era ancora andato da Gray, ma quella conversazione adesso era importante. Elliot? Che cosa aveva voluto dire di preciso Sybil?

Il tè era troppo caldo per poterlo bere. Impaziente, Augustus girava il cucchiaino nella tazza.

Il silenzio nel bagno la diceva lunga.

Sybil giunse le mani eleganti e lo osservò con uno sguardo indagatore.

“Ti comporti in modo strano, Huff!” disse infine.

Augustus abbassò gli occhi. Lui si comportava sempre in modo strano, in pratica da quando aveva cominciato a pensare. Finalmente se ne era accorta. Ma cosa c’entrava questo con Elliot?

“Fai tutte quelle domande,” continuò Sybil. “Piangi al funerale, anche se so bene che quello stronzetto ti esasperava proprio come faceva con tutti noi. Poi quella foto…” Accennò al punto in cui appena ieri Augustus era stato inginocchiato con le mani insanguinate e la foto del luogo del delitto. “E adesso questo… Sono scarpette da arrampicata, vero?”

“E allora?” disse Augustus risentito. Doveva davvero occuparsi di Gray…

Sybil non gli toglieva gli occhi di dosso. “Se hai fatto qualcosa… qualcosa di stupido, qualcosa di… sbagliato, adesso me lo devi dire, Huff!”

Sybil sospettava di lui! Ecco cos’era! Pensava che fosse stato lui a spingere Elliot giù dal tetto ed era onesta abbastanza da parlargliene prima di andare dal Master e di chiamare la polizia.

“Tu mi piaci, Huff. Mi piaci davvero.” Scosse i capelli. “Ma questo… è troppo bizzarro per i miei gusti.”

Quello era il momento di confidarsi con lei. Di spiegarle tutto. Il sospetto. Le foto ricattatorie. La storia del custode. Lo studente dai capelli rossi. Tutte le incongruenze che si erano accumulate nel caso Elliot.

Invece Augustus si alzò senza dire una parola e andò di là, in bagno.

“Huff! Huff, davvero!”

Non poteva raccontarle niente. Non voleva, forse perché sapeva che non lo avrebbe capito, ma anche perché c’era la possibilità, una piccolissima possibilità, che anche lei non dicesse tutta la verità. Perché proprio come lui, anche Sybil si comportava in modo strano nel caso Elliot…

Aprì la porta.

Il bagno sembrava un campo di battaglia.

Qualcuno aveva giustiziato il suo spazzolino nel lavandino, una morte atroce, fino all’ultima setola. Il tubetto del dentifricio era crivellato di colpi, il dentifricio spalmato su piastrelle e rubinetti. Ogni genere di sapone e bagnoschiuma era per terra, il dopobarba era disintegrato e diffondeva un olezzo maschile addirittura surreale. La carta di giornale sotto il trespolo era stata ridotta in fiocchi minuscoli, il cuscino a brandelli. Ovunque c’erano piume incollate, infilate da qualche parte o sospese in aria. La carta igienica sembrava esplosa, la saponetta sbranata da un lupo mannaro.

“Wow,” disse Sybil che aveva infilato la testa nella porta e sembrava aver dimenticato per un momento il suo sospetto. “Apocalittico.”

Ma il caos non era la cosa peggiore. La cosa peggiore era il pappagallo stesso, che stava immobile sul bordo della vasca e dava le spalle ad Augustus e che neanche si girò a guardarlo.

“Gray,” sospirò Augustus. “Ah, Gray.”

Niente. Gray non muoveva una piuma, e d’un tratto Augustus ebbe davvero paura, paura che il pappagallo non lo avrebbe considerato mai più. Mai più il suo peso piuma sulla spalla, mai più il becco devastante tra i capelli, nessun cicaleccio inopportuno.

“Mi dispiace, Gray,” sussurrò. “Non sono potuto tornare. Sarei tornato se avessi potuto. Io non ti pianto in asso, Gray. Non ti pianterò mai in asso…”

Tutte parole che non riusciva a dire a Sybil – gli vennero fuori così, all’improvviso, e Gray sembrò accorgersi che Augustus era serio. Le penne sulla testa si aprirono a ventaglio.

“Asso?” chiese rivolto alla parete.

“Niente asso,” promise Augustus con ardore. “Mai più in asso.”

Gray si voltò e guardò Augustus con gli occhi verdi, metà arrabbiato, metà speranzoso.

“Biscotto?”

Maledizione, aveva finito i biscotti. Non poteva mentire a Gray subito dopo la loro riconciliazione.

“Non ce li ho i biscotti,” disse mogio mogio.

“Uva! Nocciolina!”

“Le noccioline le ho,” esclamò Augustus euforico e tese a Gray la mano come aveva imparato da Philomene. Il pappagallo lo guardò per un momento pensieroso, poi gli diede un morso profondo sul dito, veloce come il lampo.

“Schifezza!” disse e si arrampicò con tutta calma sulla mano di Augustus.

Augustus non era sicuro se Gray intendesse la sua mano, il porcile nel bagno oppure la decadenza morale del suo custode ufficiale temporaneo. Il sangue gocciolò sulle piume e i pezzetti di carta.

Poi arrivò il dolore.

Nell’altra stanza suonò il cellulare. Augustus gemette.

“Vuoi che risponda io?” domandò Sybil, e un attimo dopo aveva il telefono in mano. “Pronto?”

Silenzio.

“Chiamata personale,” disse Sybil senza espressione. “Sexy Ivy.”

Ad Augustus andò una piuma di traverso.

Gray disse: “Salute.”

Sybil sbatté il telefono sul tavolo e uscì come una furia.