12.

SESSO

Fresco di doccia, con il dito fasciato e il pappagallo in spalla, Augustus attraversò di corsa la città. Si sentiva di nuovo abbastanza umano, anche se Gray continuava a ignorarlo più che poteva.

Il tempo stringeva. Sybil si era insospettita ed era solo una questione di tempo prima che il Master o addirittura la polizia bussassero alla sua porta per fargli domande spiacevoli. Prima di allora doveva avere qualcosa di concreto in mano sul caso Elliot.

Prese la scorciatoia che passava da Christ’s Pieces per raggiungere il più in fretta possibile il Midsummer Common dove, a quanto pareva, l’amica di Philomene lo stava aspettando su una panchina per raccontargli qualcosa di Elliot e del sesso mercenario. Augustus arrossì al solo pensiero. Chi è che si annuncia al telefono con il nome di “Sexy Ivy”? Com’era? E che cosa le mancava?

Quando arrivò alla panchina descritta da Ivy, seduto lì c’era già un pensionato con un cane. Il cane abbaiò a Gray. Gray gli abbaiò di rimando. Per un attimo il cane fece un’espressione sorpresa, poi mise la coda tra le gambe e si infilò mogio mogio sotto la panchina. Gray continuò ad abbaiare fino a quando il pensionato trascinò fuori il cane da sotto la panchina brontolando e si allontanò.

Augustus si lasciò cadere sulla panchina. Era così stanco. Il vantaggio di un Gray imbronciato era che adesso poteva godersi il silenzio del parco, forse addirittura chiudere gli occhi per un momento…

Qualcuno lo tirava per la manica.

“Huff?”

“Non adesso, Gray,” mormorò Augustus. Anche con gli occhi chiusi riusciva a vedere il sole, arancio infuocato e caldo. Sopra di lui cantava un uccello. Le foglie sussurravano nel vento.

“Augustus Huff?”

Lo strattone alla manica divenne più energico e Augustus aprì gli occhi controvoglia, all’inizio solo di una fessura. Attraverso il velo luccicante delle ciglia vide che lì c’era qualcuno.

“Una nottataccia?”

Augustus strizzò gli occhi e annuì. Davanti a lui c’era una ragazza sgraziata che gli tese una mano sgraziata. La mano sinistra. Fin qui tutto bene.

“Io sono Ivy.” Persino la voce era sgraziata.

Augustus strizzò gli occhi ancora di più e si tirò su. Quella era Ivy? Si era aspettato una dea del sesso tutta curve, non di certo una venticinquenne goffa con i capelli tinti e una postura sbagliata. Ivy faceva del suo meglio, non c’era dubbio. Indossava stivali con il tacco, orecchini lunghi fino alle spalle e una scollatura che permetteva allo sguardo di spingersi in profondità. Eppure, era lontana mille miglia da “Sexy Ivy”.

La prima sensazione di Augustus fu di sollievo.

Poi arrivarono i dubbi. Quella era la ragazza che Elliot aveva scelto per delle prestazioni amorose a pagamento? Proprio lei? Da non crederci!

“Mi dispiace di aver fatto così tardi. Non ti immagini cosa mi è successo poco fa.”

Ivy si lasciò cadere con un tonfo sulla panchina, troppo vicina per i gusti di Augustus, e gli raccontò una storia strampalata, in cui un postino, due apprendisti muratori e una confezione di latte avevano un ruolo inverosimile. Augustus l’ascoltò distratto. C’era qualcosa che non andava in questa Ivy, nel modo in cui stava seduta e in cui si muoveva. Si agitò qua e là in preda a un certo nervosismo e così sfiorò la manica di Ivy e d’un tratto seppe che cosa le mancava: una mano!

La manica destra era vuota. Era importante? Per Elliot? Per il caso? Almeno adesso era sicuro che Ivy non aveva niente a che fare con le arrampicate!

“L’importante è che adesso sei qui,” disse infine Augustus, quando Ivy cominciò a perdere il filo del discorso.

La ragazza alzò le spalle. “Philo mi ha detto che è importante. Philo ed io frequentiamo lo stesso corso.”

Augustus decise di non domandarle di quale corso si trattava.

“In realtà non volevo parlarne più,” disse Ivy sottovoce.

Augustus frugò nel sacco delle sue perle di saggezza da Tutor. “Qualche volta parlare fa bene,” disse infine.

“Ma qualche volta no.” Ivy gli lanciò un’occhiata di sfida. Si era presa il disturbo di attraversare il Midsummer Common sui tacchi e in mezzo all’afa. Le colava il trucco. Adesso voleva essere corteggiata.

Augustus si chinò e la guardò intensamente negli occhi.

“Non te lo chiederei se non fosse davvero importante.”

“Perché è importante? Pensavo che fosse morto.”

“È morto,” confermò Augustus. “Voglio solo sapere… che tipo di persona era.”

“Era uno stronzo.”

Augustus tacque. Se aveva ben inquadrato Ivy, il silenzio era per lei un capitolo difficile. La sua pagina otto personale, per così dire. E infatti. Ivy resistette appena cinque secondi e poi gettò arrabbiata i capelli all’indietro.

“Il sesso è stato buono,” disse provocante.

“Sesso,” ripeté Gray interessato. “Sesso. Sesso.”

Per poco Augustus non cadde dalla panchina. Proprio adesso Gray aveva deciso di rompere il silenzio! E proprio con quella parola!

Ivy fece un debole sorriso. “Mi ricordo anche di lui.”

“E che cosa non è stato buono?” Augustus non voleva che la ragazza perdesse di nuovo il filo del discorso.

Il sorriso di Ivy si sgretolò.

“Tutto. Niente. Niente è stato buono, proprio niente.”

Augustus tacque un momento per riflettere.

“Non avete fatto sesso,” disse poi. Questo si toccava con mano. Con la destra per così dire. Quella mancante. Secondo le sue esperienze più recenti, ogni approccio amoroso era praticamente impossibile in presenza di un pappagallo che gridava di gelosia e che cercava di infilarsi tra le parti interessate. Fare sesso con Gray nella stessa stanza apparteneva alla sfera dell’impossibilità, lui e Sybil lo avevano sperimentato sulla loro pelle.

“All’inizio lui voleva farlo,” disse Ivy arrabbiata.

Augustus annuì. Era ovvio che Elliot aveva fatto solo finta di essere eroticamente interessato a Ivy per attirarla nella sua stanza. Ma in realtà… cosa?

“E poi?” domandò.

“Poi no.” Ivy dondolava le gambe avanti e indietro e fissava nel vuoto. Con i tacchi sollevava la polvere.

“Sporcizia!” avvertì Gray. “Sta’ al gioco!”

Ivy esplose. Si voltò di scatto verso Augustus, la bocca truccata di rosso contratta, gli occhi tondi lampeggianti. Per la prima volta ad Augustus non sembrò una bambina.

“Mi ha fatto delle domande, okay? Delle domande di merda. Mi ha detto che ne aveva bisogno per l’università. Un gioco, ha detto. Sta’ al gioco. Ero in grado di mentire? Oppure di rubare? O di uccidere qualcuno? No, ho detto. Certo che no. E poi… sapeva delle cose su di me. Che avevo rubato dei soldi dalla cassa del negozio. Solo una volta, ma lui lo sapeva. Ha detto che sono una bugiarda. Una bugiarda e una ladra e quindi perché non anche… Avrei ucciso qualcuno sapendo che nessuno lo avrebbe mai saputo? Senza un motivo, premendo soltanto un pulsante? Lo avrei fatto affinché nessuno venisse a sapere che sono una ladra? E poi ha messo sul tavolo un pulsante. Schiaccialo, ha detto. Se lo schiacci, qualcuno morirà. Schiaccialo e nessuno verrà mai a sapere che hai preso quei soldi. E poi… alla fine… l’ho schiacciato perché era solo uno stupido pulsante e non è successo niente. Proprio niente. E perché mai? Solo uno stupido pulsante. E poi Elliot ha domandato all’uccello: buona o cattiva? E l’uccello ha detto ‘cattiva’. E lui gli ha dato una nocciolina. E io mi sono sentita di merda. In vita mia non mi ero mai sentita così…” Si interruppe.

“Cattiva,” disse Gray serio. “Nocciolina.”

Ivy si alzò, quasi con cautela, come se rischiasse di cadere. Lacrime nere di mascara le colavano sul viso.

Augustus la guardava affascinato. “E, ehm, quanto ti ha pagata?”

“Un cinquantone.” Ivy si passò il dorso della mano sinistra sul viso. “Perché non lo raccontassi a nessuno. E io non l’ho raccontato a nessuno – o almeno non come è andata veramente. Basta adesso? Posso andare?”

Augustus, che con il pensiero era già altrove, annuì. L’incontro di Elliot con Ivy era stato un esperimento. Forse parte di una ricerca. Un esperimento morale, simile all’esperimento di Milgram in cui i soggetti sottoposti al test erano indotti ad assestare ad altri delle presunte scosse elettriche. Solo che Elliot prima aveva spiato i suoi soggetti e poi con le conoscenze in suo possesso aveva fatto pressione su di loro. Disgustoso. Che senso aveva la faccenda del pulsante? Era ovvio che nessuno moriva solo perché qualcuno premeva un pulsante… o invece sì?

“Hai creduto alla faccenda del pulsante?” domandò Augustus.

Ivy annuì. “Dopo no e ovviamente adesso per niente, e poi non è morto nessuno. Solo lui, lo stronzo. Ma in quel momento… in quel momento gli ho creduto. E lui sapeva che gli credevo.”

E con questo si voltò e senza salutare si allontanò sui tacchi, stranamente impacciata e vulnerabile. Augustus la guardò allontanarsi.

“Grazie, Ivy,” disse piano, ma forse la ragazza non lo sentì più.

“Sesso?” domandò Gray.

“Non adesso,” rispose Augustus.

Il sole splendeva. Il vento soffiava. Taccole dagli occhi di ghiaccio si litigavano chiassose il contenuto di un sacchetto di patatine dimenticato.

Augustus sedeva lì come fulminato. Quindi era andata così! Ivy aveva inventato la storia del sesso mercenario solo a posteriori, per sentirsi meglio e rendere tutta quella faccenda un po’ più glamour e impudica. Per sentirsi integra… Che razza di esperimento diabolico! A cosa mirava Elliot con esattezza? E cosa c’entrava Gray con quel bizzarro esperimento?

“Sesso!” ripeté Gray provocante.

“No, appunto!” lo contraddisse Augustus. Nonostante lo sdegno, Huff provava una certa curiosità. Erano queste le “strane domande” che a quanto pareva Elliot aveva fatto a tutti? Come aveva concepito esattamente l’esperimento? C’era stato un gruppo di controllo? Quante persone avevano partecipato? E quanti di loro avevano premuto il pulsante alla fine?

Le sue cavie erano state tutte così vulnerabili come la dott.ssa Turbot o Everding o Ivy a cui mancava una mano? Elliot aveva cercato con intenzione i loro difetti? È per questo che era salito sui tetti? E che cosa sarebbe successo se poco dopo l’“esperimento” uno di loro si fosse dovuto confrontare davvero con la morte di qualcuno? Si sarebbe sentito colpevole, non c’era dubbio, e forse avrebbe ritenuto colpevole anche Elliot di quella morte. Forse qualcuno si era voluto vendicare? Qui gli si presentava un ampio e promettente spettro di moventi!

Augustus si alzò e scosse via la polvere dai pantaloni.

“Sesso!” lo punzecchiò Gray.

Un jogger che passava di lì lo guardò in modo strano, così Augustus se la svignò tra i cespugli dietro la panchina, trovò un sentiero e lo seguì per tornare verso il fiume.

Due madri con le rispettive carrozzine incrociarono il suo cammino.

“Sesso,” gracchiò Gray a squarciagola.

“È stato il pappagallo,” gridò Augustus e accelerò il passo.

Sybil era a conoscenza degli esperimenti di Elliot? Non gli sembrava possibile. D’altra parte quei dati sarebbero stati del tutto inutili per Elliot se non avesse potuto farli confluire nella sua tesi di dottorato. Sybil aveva fatto solo finta di non sapere niente? C’era stato tra i due un accordo segreto?

Augustus uscì dal parco e si immerse nel viavai di gente in Bridge Street. Gray aspettò di trovarsi proprio in mezzo al brulichio dei passanti e poi attaccò.

“Sesso! Sesso! Sesso!”

La gente si girava a guardarli. Ovvio. Quando si trattava di sesso la gente guardava sempre.

“Dovrebbe vergognarsi!” brontolò un signore con il cappello. Augustus alzò le spalle e il pappagallo e proseguì, piede sinistro avanti. Appena un paio di giorni fa sarebbe sprofondato per la vergogna, ma oggi? Quella situazione era spiacevole, di sicuro, ma Augustus aveva di meglio da fare che nascondersi in un angolo rosso di vergogna. Mentre attraversava di fretta la città con un uccello ossessionato dal sesso sulla spalla, Augustus rifletté sull’abitudine di Gray di afferrare al volo le parole e ripeterle. Era chiaro che l’improvvisa predilezione del pappagallo per “sesso” non era un caso. Aveva capito che era una parola particolare e adesso la ripeteva perché si divertiva a osservare le reazioni della gente – e soprattutto perché godeva dell’imbarazzo di Augustus.

Questo portò Huff a chiedersi quali fossero le altre parole che l’uccello ripeteva di preferenza.

Problemi psicologici.

Conseguenze.

Professore.

Spiaccicato.

Tutte parole che pronunciava con una particolare intonazione.

Tutte parole che nel momento in cui erano state pronunciate per qualcuno erano in un certo senso importanti.

Parole emozionali.

E prima? Quali parole aveva portato Gray da prima che Augustus lo adottasse?

Ovviamente c’era un vocabolario razionale che comprendeva noccioline e uva, Salute, avanti e scusa. Parole quotidiane che Gray aveva fatto sue probabilmente attraverso una mera ripetizione.

Poi c’erano le parole per gli oggetti. Carta. Lana. Rettangolare. Rotondo. Legno.

Elliot doveva averle insegnate all’uccello con la pazienza di un santo.

Ma c’era anche Sta’ al gioco.

Mi vuoi sposare?

Una stella. Una stella del cielo!

Tutto, tutto tranne questo.

Mostro.

E poi c’era Bad Romance. Chissà quante volte Gray aveva sentito quella canzone per poterla riprodurre alla perfezione! Quella canzone aveva un significato particolare? Lady Gaga non sembrava andare molto d’accordo con Elliot e la sua fissa per Wagner.

Senza dubbio era venuto il momento di fare un’altra visita alla stanza di Elliot. Ed era venuto il momento di analizzare con attenzione i commenti di Gray.

Augustus passò a fatica tra i turisti e andò all’All Saints Garden dove c’era un po’ più di tranquillità, si fermò e su un foglietto annotò “sesso”. Da quel momento in poi avrebbe fatto più attenzione a quello che diceva il pappagallo.

Si infilò il biglietto in tasca, sovrappensiero dette a Gray un seme di girasole e stava per proseguire quando d’un tratto si accorse che proprio accanto a lui un ragazzo dai capelli rossi lo stava guardando. Aveva le braccia conserte, delle imponenti canne d’organo dorate alle spalle ed era appeso un po’ storto al recinto di ferro battuto della piazzetta. Un manifesto. Il cuore di Augustus si mise a battere forte. Si avvicinò.

“Bach. Concerto d’organo con James Crissup. Passacaglia in do minore, BWV 582.”

Sotto, a caratteri piccoli, si leggeva che James Crissup, l’organista borsista del King’s College, era un nuovo talento, molto promettente, di cui il mondo avrebbe presto sentito parlare. Augustus ebbe un capogiro. Un organista borsista! Un borsista del King’s! Lì c’era qualcuno che forse aveva accesso alla cappella a ogni ora del giorno e della notte! In fondo, un borsista del genere doveva pur esercitarsi! E dalla cappella, una porta conduceva a una scala a chiocciola. E la scala a chiocciola conduceva sul tetto della cappella!

James Crissup era il suo pel di carota, lo studente che due giorni prima aveva caparbiamente cercato di parlargli e che poi era sparito all’improvviso! Doveva essere lui!

Era così semplice! Così logico! Augustus sentì che alcune tessere cominciavano a incastrarsi, a combinarsi tra loro! Non sapeva ancora come, ma lì c’era una connessione! Finalmente aveva trovato il filo rosso; l’unica cosa che doveva fare adesso era sbrogliarlo!

Si avvicinò al manifesto per guardare James Crissup con attenzione. Sulla foto sembrava un ragazzo gentile e un po’ svagato. Come se si vergognasse di tenere le braccia conserte in quel modo drammatico. Simpatico. Uno che, nonostante i capelli rosso fuoco, si sforzava di essere poco appariscente.

Era James Crissup che Augustus aveva incontrato ieri notte sul tetto?

Era James Crissup l’assassino?

Comunque fosse era senz’altro arrivato il momento di saperne di più sull’organista borsista del King’s. Augustus guardò la data. Maledizione, si era perso il concerto di poco! Era stato ieri! Questo non andava molto d’accordo con la sua nuova teoria. Forse Crissup, subito dopo il concerto, si era messo un paio di occhiali notturni per spiare Augustus sui tetti? Ma dopo un concerto i musicisti non erano esausti e allo stremo delle forze?

Huff staccò il manifesto dal recinto.

“Carta,” disse Gray esitando.

Finalmente niente sesso!

Per ricompensarlo Augustus gli concesse di rosicchiare il manifesto, che era infilato in una cartellina di plastica trasparente per proteggerlo dalla pioggia, e pertanto il pappagallo non sarebbe riuscito a fare grandi danni tanto in fretta.

La cartellina di plastica spiazzò Gray.

“Plastica. Carta. Plastica.”

“Carta,” decise alla fine e ricevette un altro seme di girasole.

Augustus tolse il manifesto dalla cartellina, lo ripiegò con cura e lo infilò nella tasca della giacca.

*

Poco dopo Augustus Huff era di nuovo all’ombra della cappella. Guardò in alto, deglutì. Diavolo, quanto era alta! Cercò di non pensare a come ci si doveva sentire lassù. In preda al panico. Meravigliosamente. Varcò il cancello di ferro battuto e si avvicinò al gabbiotto di legno dove i turisti dovevano sborsare una bella somma per la visita. In quanto membro dell’università Augustus aveva diritto all’ingresso gratuito, tuttavia si fermò e salutò il vecchio signore seduto alla cassa.

“Ho una domanda. Sul concerto d’organo.”

L’uomo sbuffò sprezzante. “Non mi dica che anche lei è venuto a lamentarsi!”

“Lamentarmi? No, io… Perché lamentarmi?”

“Quando l’ingresso è gratuito, non c’è nessun motivo di lamentarsi se un concerto salta. Io la vedo così!” Dall’interno del suo gabbiotto il vecchio signore lo guardò con una certa aggressività.

“E, ehm, il concerto… è saltato?”

Il vecchio alzò le spalle. “Quando uno suona l’organo in quel modo… Il giovane James ha gli esami. Il giovane James non può essere dappertutto nello stesso momento…”

No, pensò Augustus. James Crissup non poteva nello stesso momento dare un concerto e la caccia a qualcuno sui tetti. Pian piano il giovane James gli sembrava sempre più sospetto.

“E adesso è tornato?” domandò Huff.

Dietro di lui si stava formando una fila di turisti. Due cinesi. Una coppia con cappellini da sole. Una comitiva di francesi.

Ma il signore dentro il gabbiotto non perse la calma. “Non lo so. È probabile. Se vuole saperlo per certo deve chiedere a Lukas.” L’uomo gli indicò la porta della cappella.

Lukas? Era un qualche santo famoso? Probabilmente no.

“E, ehm, chi è Lukas?”

Di fronte a tanta ignoranza il suo interlocutore scosse la testa. “L’altro organista borsista, naturalmente. Sebbene, se vuole il mio parere, non c’è paragone con il giovane James.”

Augustus annuì distratto, gli mostrò il tesserino dell’Università e stava per passare oltre quando il signore nel gabbiotto indicò il pappagallo che taceva in modo irreprensibile.

“E lui… Se si mette a strillare, vola fuori di qui!”

Augustus annuì con enfasi. Non si aspettava che gli consentissero di entrare con Gray. Un pappagallo e un Rubens nello stesso luogo – sarebbe finita bene? Huff fece ancora in tempo a sentire l’uomo alla cassa che chiedeva alla coppia dopo di lui di togliersi il cappello da sole, poi la cappella lo ingoiò insieme a Gray.

Ovviamente non era la prima volta che Augustus entrava lì e tuttavia senza volerlo trattenne il fiato. Gli archi. Le proporzioni.

Le volte a ventaglio.

Piegò la testa all’indietro. La luce colorata si riversava all’interno attraverso le vetrate enormi e al tempo stesso filigranate, blu, verde smeraldo e rosso porpora. Oro e viola. E sopra di lui… la volta era un vero capolavoro. Leggera e delicata. Tutte quelle tonnellate di pietra sospese sulla sua testa quasi senza sforzo. Quasi organiche. Come cresciute. Come il ventre di un pesce gigantesco. Oppure come un…

“Albero,” disse Gray piano e con riverenza. Quello era un grosso complimento per la cappella.

Augustus distolse controvoglia lo sguardo dal soffitto e si guardò intorno alla ricerca di una chioma rossa. In fondo non era lì per divertirsi e poi non aveva voglia che James Crissup lo cogliesse di nuovo alla sprovvista. Lo sguardo si spostò sull’organo.

Imponente.

Legno nero e canne dorate, coronato da due angeli con i tromboni. Uno strumento enorme, grande quasi come una villetta unifamiliare.

C’era qualcuno seduto lì? Da là sotto era difficile capirlo.

Augustus fece un incerto passo avanti.

In quel momento l’organo attaccò come tante campane, tuoni e vento, forte e minaccioso.

Augustus si fermò, all’inizio vagamente spaventato, poi incantato.

La cappella faceva con i suoni quello che faceva con la luce, li levigava e li arrotondava, li colorava d’oro. Con cautela Augustus lanciò uno sguardo al pappagallo sulla sua spalla: adesso non era davvero il momento adatto per un intermezzo canoro.

Ma Gray, che alle prime note dell’organo si era rannicchiato sorpreso proprio come Augustus, adesso se ne stava lì, silenzioso e ben diritto, le ali leggermente allungate, le pupille guizzanti e il becco semiaperto come se facesse il bagno.

Huff non riuscì a trattenere un sorriso. Anche lui si sentiva leggero e quasi trasparente, come se la musica fluisse attraverso di lui. L’organo tacque all’improvviso proprio come aveva cominciato e Augustus si avviò deciso verso le canne dell’organo.

Poi, con un misto di delusione e di sollievo, vide che il giovane seduto là sopra che allargava le dita muscolose con una certa rabbia non aveva i capelli rossi.

L’organista alzò lo sguardo, vide Augustus e aggrottò la fronte.

“Cosa c’è? Mi sto esercitando! Non sa leggere?”

Indicò il cartello Non disturbare che Augustus, nell’impeto del momento, non aveva davvero visto.

“Scusi,” disse Augustus senza molti rimorsi. “Pensavo…”

I tratti del volto dell’organista si illuminarono all’improvviso in un sorriso che andava da orecchio a orecchio. “Ah, scusi scusi. Lei è il nuovo solista? Io sono Lukas.”

“Dott. Huff,” disse Huff e si avvicinò esitando. “Non sono il nuovo solista.”

Quello era quindi il secondo organista borsista. Quello che, a quanto pareva, non reggeva il confronto con James Crissup. Con le orecchie grandi, la barbetta ispida da capretta e gli occhi penetranti e molto ravvicinati, Lukas ricordava un poco un giovane pipistrello.

Un pipistrello un po’ maniacale.

“Che cosa c’è allora?” Lukas si ostinava a sorridere. “Purtroppo al momento non ho molto tempo, dott. Huff.”

Come per dimostraglielo appoggiò di nuovo le mani sui tasti. La musica si riversò su Augustus e Gray come acqua.

Gray cominciò a battere le ali furiosamente. Forse in quel punto la musica era troppo forte per il pappagallo – oppure aveva paura dell’organo che, osservato da vicino, sembrava davvero un mostro con i denti d’oro.

“Sto cercando James,” urlò Augustus tra le onde dell’organo. “James Crissup.”

L’organo tacque con uno strano accordo malriuscito.

“James?” Lukas emise un suono snervato. Il sorriso era ancora incollato sul viso ma ormai non era più gentile. “James è all’inferno! E sa una cosa: può anche rimanerci! Glielo dica quando lo avrà trovato!”

“Ma io…”

“La faccenda del concerto di ieri… una vergogna per il King’s. E adesso? Mi sono dovuto accollare già due messe a causa sua. Sa cosa significa questo? Due messe in più! James crede di essere speciale, ma non è poi così speciale da potersi permettere di piantarci in asso! Glielo dica!”

Persino la parlata di Lukas era cambiata e Augustus riconobbe l’ombra di un accento operaio. Uno per cui Cambridge non era un dono di natura, qualcuno che si era fatto strada lavorando. Un accento del genere non ti abbandona mai del tutto. Puoi cercare di soffocarlo ma non te lo scrolli mai di dosso. Augustus lo sapeva per esperienza personale. Quando parlava senza rifletterci, un ascoltatore allenato riusciva a sentire le caprette belare in sottofondo.

Sorrise comprensivo.

“Io… ehm, e lei non ha davvero idea di dove può essere?”

Lukas scosse le orecchie a sventola.

Non aveva davvero un bell’aspetto, con le ombre scure sotto gli occhi e le guance pallide, preoccupate. Un pipistrello sfinito dal superlavoro.

“Lo abbiamo cercato ovunque. Nelle biblioteche. Nella sua stanza ovviamente. Al museo degli strumenti musicali. Addirittura in quel dannato nightclub. Io non c’ero ancora mai stato al nightclub degli studenti!”

Augustus annuì con indulgenza. Anche lui non era ancora mai stato al nightclub degli studenti.

“Se James fosse qui al King’s lo avremmo trovato. Ma non c’è. E sa una cosa? Mi sta bene anche così! Per lo meno adesso il direttore capirà com’è in realtà!”

“E com’è?”

“Vuoto,” disse Lukas con un sorriso ostile. “James è completamente vuoto. E adesso mi scusi, per favore. Non immagina quanto lavoro abbia all’improvviso.”

Fece un cenno ad Augustus con il mento irsuto e mise di nuovo mano ai tasti. Gray era sempre più agitato, così Augustus tornò indietro e attraversò il sagrato della chiesa dove pochi giorni prima giaceva il corpo sfracellato di Elliot.

“Mostro! Tutto spiaccicato!” se ne uscì Gray non appena furono fuori dalla cappella.

Augustus dovette dargli ragione. James Crissup era adesso il sospettato numero uno. Forse dopo l’omicidio gli avevano ceduto i nervi e si era nascosto da qualche parte? E dove si era nascosto? Lo sguardo di Augustus si spostò di nuovo in alto, sul tetto della biblioteca dove ieri sera aveva duellato con il suo inseguitore incappucciato.

Il pensiero che fosse ancora lassù, in agguato da qualche parte, lo inquietava. E mentre con le mani in tasca se ne ritornava adagio verso il suo College c’era anche un’altra cosa che non gli dava pace: era sicuro di aver già sentito il nome Crissup, non molto tempo prima.