3.
FETENTE
Cambridge dava il meglio di sé. Le pietre del selciato aderivano l’una all’altra docili, morbide e dorate, i merli si allungavano ambiziosi verso il cielo, il fiume Cam era liscio come luce colata. Le mucche sul Common, placide nel loro primo bagno di sole, erano avvolte in una nuvola di mosche ronzanti e pigre. Sarebbe diventata una giornata calda, ma adesso, in quel preciso istante, la temperatura era perfetta: una promessa di calore sotto il respiro fresco della notte appena trascorsa. Ovunque si vedevano persone risolute, a piedi e in bicicletta, dirette al lavoro o all’università o, più semplicemente, verso una buona colazione. Augustus, nel suo cardigan, sudava.
Svoltò in Trinity Lane, un vicolo stretto che per via dei comignoli appuntiti gli ricordava sempre un poco le fauci pronte ad azzannare di un predatore, e intorno a lui d’un tratto calò il silenzio. Augustus si avvicinò alla King’s College Chapel di lato, quasi di soppiatto, circospetto come un ladro. Come un ladro con un pappagallo che cantava allegro sulla sua spalla! Gray sembrava godersi un mondo la passeggiata mattutina e gli gorgogliava all’orecchio “Raa-raa-uh-la-laa”. Un branco mattiniero di turisti giapponesi li notò, li indicò, si mise a gesticolare, fece guizzare i cellulari e le macchine fotografiche. D’un tratto Augustus desiderò che il cardigan avesse un colletto bello spesso, da tirare su, nonostante il caldo. Per fortuna i giapponesi avevano una severa tabella di marcia da rispettare e furono spinti senza pietà dentro la chiesa da una guida inclemente prima che riuscissero ad accerchiare Augustus.
All’improvviso si ritrovarono soli davanti al recinto della cappella. Altro che cappella, “cattedrale” sarebbe stato molto più adeguato! La King’s College Chapel era, persino per Cambridge, maestosa, filigranata e massiccia al tempo stesso. Una costruzione aggraziata di belle proporzioni e numeri eleganti: 500 anni. 45 metri. Se si cadeva da lassù…
“Bad romance,” sospirò Gray.
Augustus piegò indietro la testa e guardò in alto.
Fin lassù? Davvero?
Da bambino aveva fatto acrobazie sulle scogliere del suo paese natale e più tardi, nel tempo libero, si era cimentato in arrampicate in Galles e in Scozia e sul Rio delle Amazzoni aveva addirittura scalato un tepui – e si era sentito molto di più che un po’ temerario. Ma arrivare fin lassù, sulle pietre calcaree, lisce, tra doccioni e cornicioni, senza imbracature e attrezzatura, era davvero una bella performance! Huff esaminò con rispetto le mura abbaglianti. Se in quell’angolo là ci si aggrappava al parafulmine, forse era possibile – con molta fortuna e nervi ben saldi. E ovviamente Elliot non si era accontentato di arrampicarsi sul tetto, no, il suo obiettivo era stato di sicuro una delle quattro torri gotiche e zuccherine. Da lassù, in una chiara notte estiva, il panorama doveva essere meraviglioso. Era questa l’ultima cosa che Elliot aveva visto di questo mondo? Era morto cadendo da una vertiginosa torre di zucchero?
Se era così, allora la teoria di Augustus si scontrava con un problema pratico: nessuna delle persone nelle foto sembrava in grado di sfidare Elliot in un duello di arrampicata notturno sui merli della King’s College Chapel. Il professore di chimica in sovrappeso? La bibliotecaria gracilina? Frederik sulla sedia a rotelle? Ridicolo! Sybil? Sybil era una sportiva. Vogava, giocava al Jeu de Paume e praticava alcune delle altre discipline sportive chic che lì a Cambridge erano parte del bon ton. Ma così sportiva non lo era neanche lei. O invece sì?
Se Elliot era stato spinto da lassù, c’era soltanto una ristretta cerchia di persone che sarebbe stata in grado di farlo. E se invece non era stato…
E se Elliot non era caduto mentre si arrampicava? Il fatto che fosse un famoso scalatore di facciate non doveva indurre a conclusioni affrettate! Forse qualcuno lo aveva invitato, accompagnato, gli aveva aperto la porta del tetto. Per quel che ne sapeva Augustus, diverse persone avevano la chiave del tetto della cappella e di sicuro ancora di più sapevano come procurarsela di nascosto.
Qualche rampa di scale, forse un po’ di fiatone, ma poi sarebbe bastato oltrepassare la porta e dare una spintarella a Elliot che si sporgeva sicuro di sé dal parapetto: questo di certo erano in grado di farlo molte più persone! Che cosa indossava quella notte Elliot? Scarpette da arrampicata e pantaloni da ginnastica – o forse abiti normali? Questo sarebbe stato un buon indizio a sostegno della teoria di Augustus. Nemmeno Elliot sarebbe stato in grado di arrampicarsi sui merli della cappella con scarpe normali! Augustus doveva supporre che Elliot fosse stato trovato con le scarpette da arrampicata. Ogni altra possibilità sarebbe stata stupida e nel frattempo una cosa era chiara: l’assassino non era stupido. L’assassino era intelligente, freddo e calcolatore.
A ogni modo, presto Augustus si sarebbe dovuto occupare di un aspetto abbastanza sgradevole dell’indagine: il cadavere. Era stata fatta un’autopsia? Qual era esattamente la causa della morte? Avevano verificato se Elliot aveva assunto alcol o droghe?
Augustus conosceva qualcuno che forse poteva rispondere alle sue domande. Ma per questo gli serviva un dolce… e una buona dose di coraggio!
Accanto a lui Gray era silenzioso e aveva abbassato le piume. D’un tratto sembrava magro, piccolo e mogio. La piazza davanti alla cappella era all’ombra e lì, sulle pietre del selciato si intuivano ancora delle macchie scure che forse… Augustus rabbrividì. Un soffio freddo lo sfiorò come un respiro, proveniente forse dall’interno della cappella che stava digerendo i turisti giapponesi.
“Vattene!” fu il consiglio di Gray. “Assassino! Tutto tranne questo!”
Augustus si mosse. Lasciò il cortile silenzioso, passò davanti all’ingresso del Clare College, e poi di nuovo lungo il vicolo dentato, svoltò l’angolo ed eccolo – finalmente – il centro assolato e vivace di Cambridge. Alcuni studenti gli passarono accanto schiamazzando, un ciclista per poco non lo investì e i primi acchiappaturisti cercarono di rifilargli una gita in barca sul Cam. Luce! Vita! Pappagallo e portatore di pappagallo si rilassarono.
Attraversarono piazza del Mercato dove gli ambulanti stavano montando i loro banchi. Augustus aveva bisogno di una colazione come si deve, in un posto dove il pappagallo non desse troppo nell’occhio. Ma poi ricordò quale sarebbe stata la mossa successiva e cambiò i suoi programmi. Meglio non fare colazione – certe cose si sopportavano meglio a stomaco vuoto!
Si lasciò quindi piazza del Mercato sulla sinistra e si diresse verso King’s Parade. Di nuovo fu additato dai turisti, di nuovo furono estratte le macchine fotografiche. Huff accelerò il passo. Passò davanti al Corpus Christi College, dove la cavalletta di metallo dai denti aguzzi dell’orologio divorava il tempo e attirava i turisti, e poi alla cieca, su per la strada.
Il “netturbino”, un musicista di strada la cui specialità era suonare dentro un bidone della spazzatura, era di nuovo in attività. Dal bidone fuoriuscivano soltanto le mani e il manico della chitarra. Che schifo! Augustus rabbrividì. Gray di buon umore fischiò con lui un paio di battute.
Al Fitzbillies Café comprarono il dolce più burroso tra quelli esposti e poi proseguirono in St. Mary’s Lane dove dirimpetto a un cimitero ricoperto di verde c’era una fila di casette curiose.
Augustus si diresse con decisione al numero 24 e per sicurezza sfiorò tre volte il telaio della porta. Sospirò. Lì, neppure quello scongiuro gli sarebbe stato d’aiuto.
Bussò.
Niente.
Bussò di nuovo. Gray fischiò estasiato, poi cominciò a imitare i colpi alla porta, con precisione e a volume altissimo.
“Shh…” fece Augustus, ma Gray continuò a riprodurre senza pietà i colpi fino a quando la porta si aprì. Il corridoio che si intravedeva subito dietro era buio, pieno di angoli e forme strane e al centro c’era qualcuno che nella penombra ricordava tantissimo un cinghiale in pigiama. Un cinghiale in pigiama di cattivo umore.
“Cosa diavolo…” grugnì il cinghiale.
Una zaffata di aria viziata piena di odori indicibili investì Augustus.
Contò mentalmente fino a tre e mantenne la posizione.
“Ciao Kenny! Sono io, Augustus. Ti ho portato un dolce!”
“Ciao, fetente!” tuonò Gray e per sicurezza aggiunse un paio di colpi alla porta.
Augustus sudava. Chiudi il becco, Gray!
Il cinghiale grugnì, poi fece un gesto vago con la mano, si voltò e sparì tra gli angoli sporgenti e le varie forme che affioravano nell’oscurità. Augustus prese fiato, sollevò il piede sinistro e si immerse stoicamente nel corridoio.
Era l’inferno.
Scaffali a sinistra e scaffali a destra. Scaffali fino al soffitto. Scaffali pieni di vecchie lampadine, tastiere per computer, macchine per scrivere e lattine di Coca-Cola. Scaffali zeppi di cataloghi e di vuoti a rendere e babbi natale di cioccolata, tutto nero di polvere e peggio ancora. Per terra c’erano pentole e vasetti di yogurt pieni di viti e tappi a corona e bollini del supermercato e dio sa cos’altro. Cavi simili ad antenne cercavano di afferrare le braccia di Augustus, sacchetti di plastica vuoti gli avvolgevano le caviglie.
L’Amazzonia non era niente al confronto. Augustus strizzò gli occhi e continuò ad avanzare.
“Kenny?”
Qualcosa nelle profondità della casa tintinnò.
Caos! Augustus sudò ancora di più. Non guardare. Non ci pensare! Aveva la nausea per lo sforzo di concentrazione. Persino Gray sembrava intimidito. Aveva abbassato le penne e per una volta teneva il becco chiuso.
“Per di qua, August!”
Pochi passi più avanti, Huff intravide la cornice di una porta e dietro un po’ di luce. Doveva arrivare fin lì – ma come? Si spinse con cautela oltre un manichino senza braccia. Qualcosa finì a terra con un tintinnio e mise in moto una piccola reazione a catena di oggetti che rovinarono sul pavimento.
Augustus preferì non guardare. Con coraggio scavalcò una vasca da bagno per bambini piena di palline da tennis sporche e poi si ritrovò in soggiorno – riconoscibile dalla presenza di un divano i cui contorni si delineavano vagamente sotto uno strato di vecchie riviste.
Kenny lo stava aspettando. Da vicino sembrava ancora scontroso, ma meno cinghialesco. Non rasato. Grasso. Piccoli occhi sorprendentemente innocenti. Pantaloni del pigiama sottili, a righe. Maglietta macchiata.
Accese una lampada e con il braccio spazzò via una piccola valanga di riviste che cadde a terra.
“Siediti, August!”
Preferisco stare in piedi, stava per dire Augustus, quando capì di trovarsi su qualcosa di morbido, cedevole, peloso. Fuggì dalla parte di Kenny e si sedette con circospezione in un angolo del divano.
“Sei venuto davvero! Non lo avrei mai creduto, accidenti!” Kenny lo guardava dall’alto, commosso. Augustus aveva la coscienza sporca perché non era andato lì per una visita di cortesia. Gli consegnò il dolce.
“Fitzbillies, vero? Accidenti, questo riceverà un posto d’onore!”
Due, tre bocconi veloci e il dolce sparì. Kenny osservò con tenerezza la scatola vuota, si fece largo con grazia tra tappetini arrotolati e scatole di frutta vuote e la poggiò con cautela sul davanzale della finestra, dove legioni di altre scatole di dolci dall’aria muffita salutarono burbere la loro nuovo compagna. Huff teneva nervosamente le mani sulle ginocchia – non toccare niente per carità! Era contento di non aver ancora fatto colazione!
“Posso offrirti qualcosa?” domandò Kenny come se gli avesse letto nel pensiero.
Per carità! Augustus scosse la testa con decisione.
Kenny si passò la mano tra i capelli ispidi. “Scusami se prima sono stato sbrigativo quando ho aperto la porta. Stavo andando a letto. Non ero del tutto sveglio. Una lunga notte. Ma mi fa piacere che tu sia qui, accidenti!”
Huff sorrise imbarazzato. Aveva conosciuto Kenny in occasione di alcune ricerche – era il tipo che rispondeva ai questionari, faceva i test o ingoiava pillole con entusiasmo e Augustus, che era a capo del gruppo di ricercatori, lo aveva preso in simpatia. In un certo qual modo strambo. In un certo qual modo, sincero fino a ferire. E molto più intelligente di quello che sembrava a un primo sguardo. Kenny faceva la guardia notturna e di giorno aveva quasi sempre tempo, e così Augustus lo aveva reclutato per altre due o tre ricerche. E poi una notte di capodanno così fredda da tagliare la faccia erano finiti letteralmente l’uno nelle braccia dell’altro. Era saltato fuori che entrambi non avevano piani per la serata. Così erano andati in un pub. E poi in un altro pub. L’orologio aveva suonato la mezzanotte, erano esplosi i petardi, la gente per strada si era abbracciata e Kenny era così ubriaco da non reggersi in piedi. Augustus lo aveva portato a casa. In quella casa piena di oggetti abbandonati, avariati e inselvatichiti! Raccapricciante! In quell’occasione più umida che allegra, Augustus era venuto a sapere per caso dove Kenny faceva la guardia notturna: all’obitorio. Potrei raccontarti delle cose, accidenti!
Per questo Augustus si trovava lì, per questo aveva affrontato l’orrore di quegli oggetti inselvatichiti: voleva che Kenny gli raccontasse qualcosa di Elliot. Ma: come poteva fare senza che il sensibile Kenny si accorgesse che quella non era solo una visita di cortesia?
Gray, che nonostante l’ambiente bizzarro aveva ritrovato il suo solito carattere e aveva di nuovo gonfiato le penne, gli venne in aiuto.
“Fetente! Fetente! L’uva te la puoi scordare!”
Kenny ne fu deliziato. “Accidenti, com’è carino! Accidenti, ma sa parlare!”
Si avvicinò – troppo per i gusti di Huff – e allungò una mano robusta e grassottella verso Gray.
“Ti ci voleva un uccello per quel nido che hai sulla testa!”
Augustus cercò di non prendersela.
“Non è mio. Ce l’ho solo in custodia. Uno dei miei studenti ha avuto un incidente. Elliot Fairbanks.”
Augustus fece guizzare il nome sulla lingua come un’esca.
Kenny abboccò. “Fairbanks, aspetta? Fairbanks? Accidenti, lo conosco! Biondo, vero? Accidenti, pensa che ero presente quando l’hanno portato!” Agitò eccitato le braccia avvicinandosi ancora di più. Augustus e Gray non si mossero.
“Davvero?” Augustus cercò di sembrare indifferente – indifferente e turbato al tempo stesso. Un compito per niente facile. “Che cosa è successo con esattezza? Io so soltanto che si è trattato di un incidente.”
“Incidente? Puoi dirlo forte! Visto da davanti sembrava normale ma di lato – tutto spiaccicato!” Kenny batté le mani. Gray si assottigliò e per quel che poté si nascose dietro l’orecchio di Augustus.
“Spiaccicato!” schiamazzò.
Kenny tubò. “Niente paura, uccellino. Papà Kenny non ti farà niente! Vuoi mangiare qualcosa? Aspetta, guardo se ho qualcosa di buono per te.”
Cominciò a rovistare nella scatola ai suoi piedi. Ad Augustus si rivoltò lo stomaco.
“Sai a che ora l’hanno trovato?”
“Chi?”
“Elliot Fairbanks!”
“Ah, lui!” Kenny lasciò perdere la scatola e socchiuse gli occhi. “Aspetta, lo hanno portato alle cinque e mezzo. Fresco fresco, è raro che arrivino così. Lo ha trovato il custode del Clare College. Ha sentito un grido, sai, e bum, se l’è visto lì per terra. Ha subito chiamato un’ambulanza, ma ovviamente non c’era più niente da fare.”
“Allora è caduto intorno alle cinque?”
“Quattro e mezzo, cinque.” Kenny alzò le spalle. “Ehi uccellino!”
“Ehi fetente!” tuonò Gray da dietro l’orecchio sinistro di Augustus.
Alle cinque del mattino quindi. Era già chiaro. Dunque per Elliot non era stata una notte d’estate, piuttosto un’alba, forse rosea e avvolta nella nebbia mattutina e da lassù di sicuro un vero spettacolo. Un po’ tardi per un’arrampicata notturna. Elliot aveva messo in conto che qualcuno avrebbe potuto vederlo mentre scendeva, e che in tal caso sarebbe stato cacciato dall’università per sempre! Che cosa lo aveva spinto a fare acrobazie sulla cappella a quell’ora?
Kenny ridacchiò. “Gentile non lo è davvero!”
Augustus rinunciò a fare il disinvolto e con la punta delle dita tirò Kenny che ridacchiava a sedere sul divano. Le riviste frusciarono, le molle cigolarono.
“Ascolta Kenny, è importante. Io sono il suo Tutor, sai? Il suo consigliere. Ero il suo Tutor. È probabile che presto debba parlare con i familiari e più ne so più sarò in grado con delicatezza…”
Augustus si interruppe.
“Oh merda!” disse Kenny.
“Oh merda!” ripeté Gray, mandando quell’uomo corpulento in un brodo di giuggiole.
Kenny ghignò e tentennò il mignolo in direzione di Gray.
“Non ne so molto nemmeno io!”
“Causa della morte?”
“La caduta, appunto. Spiaccicato.”
“Tutto spiaccicato!” confermò Gray.
“È questo il risultato dell’autopsia?”
Kenny scosse la testa. “Nessun risultato. Non ancora. L’autopsia è prevista per oggi, alle…” gli occhi cercarono l’orologio rotto che era appoggiato di traverso alla parete e che indicava tutto – indifferenza, mancanza di igiene e cattivo gusto – tranne l’ora. “Proprio adesso!”
“Ah,” disse Augustus deluso. Aveva sperato di venire a sapere qualcosa di più sul cadavere. “E nient’altro?”
Kenny si passò la mano tra le setole e rifletté. “Aspetta. Aspetta. Ah ecco: l’inventario dei vestiti – quello l’ho fatto io.”
“E quindi?” Augustus si sporse curioso in avanti dimenticando per un momento ogni precauzione.
Le dita sfiorarono il divano e incontrarono qualcosa di appiccicoso. Che schifo!
Gli occhi di Kenny si ridussero di nuovo a due fessure. “Pantaloni. Maglietta. Giacca. Biancheria intima di lusso.”
“Scarpe?” domandò Augustus.
“Delle strane scarpe di gomma.”
Scarpetta da arrampicata quindi!
“Che tipo di pantaloni?” Augustus stava lottando contro un travolgente bisogno di lavarsi le mani.
“Un paio di pantaloni appunto. Neri, mi pare.” Kenny alzò le spalle. Augustus si accorse che quell’argomento lo stava annoiando. “Non credi che ai familiari non importi cosa…”
Augustus lo interruppe. “Ci sono delle foto? Cioè, hanno fatto delle foto prima…” Adesso poteva solo sperare che quella domanda non sembrasse perversa.
“Ovvio. Routine.” Kenny lo guardò perplesso.
“Potrei… voglio dire: tu potresti… mi sarebbe davvero di grande aiuto vedere quelle foto. Perché… ehm, perché allora potrei dire ai genitori che aveva un’espressione pacifica o una cosa simile.” Ad Augustus formicolavano le mani. Aveva ricominciato a sudare.
Kenny lo guardò comprensivo. “Potrei fare delle copie stanotte. Tanto non c’è niente da fare! Un po’ scorretto ma in tutta sincerità: a chi interessa? Finché non le mostri a nessuno…”
“Sarebbe fantastico!” Augustus guardò Kenny con autentica riconoscenza. “Promesso!”
Si alzò e si strofinò le mani sui pantaloni. Strofinò e strofinò.
“Devo andare, Kenny. Ho un appuntamento. Sono solo passato a portarti il dolce.”
Kenny annuì, sbadigliò e si grattò la pancia, tutto nello stesso tempo. “Ti accompagno alla porta.”
In qualche modo riuscirono a ripercorrere il corridoio. Kenny aprì la porta e agitò di nuovo il dito in direzione dell’uccello.
“Ti faccio avere le copie delle fotografie. Ciao, uccellino! Era un tipo strano questo Fairbanks, vero?”
Augustus, il cui piede sinistro era già sospeso sulla soglia, si bloccò.
“Cosa te lo fa pensare?”
“Be’, aveva delle cose strane nelle tasche. Semi di girasole. E niente telefono. Per quel che ne so, la gente che non ha il cellulare è sempre un po’ strana. Io non ce l’ho.” Kenny ghignò.
“Bad romance,” zufolò Gray.
Huff si mise in salvo scavalcando con decisione la soglia, evitò con abilità una stretta di mano e scansò all’ultimo momento un abbraccio.
“Ciao Kenny. A presto!”
“Ciao August!” Kenny agitò la mano.
Quando Augustus, ormai in fondo alla strada, si voltò, Kenny era ancora sulla porta – a quella distanza di nuovo più cinghialesco – e continuava a salutarli ostinato con la mano.
“Fetente,” commentò Gray.
“Forse,” disse Augustus. “Ma non è colpa sua, davvero. Qualche volta… qualche volta non si riesce a fare diversamente. Problemi psicologici, sai?”
Un momento, stava forse parlando con Gray di problemi psicologici? E a proposito di problemi: se non trovava alla svelta un posto dove lavarsi le mani… Augustus passò davanti a Fitzbillies e risalì di corsa la strada dove lo aspettavano le toilette di un centro commerciale.
“Problemi psicologici,” ripeté Gray pensieroso.
Fantastico! Adesso non solo se ne andava in giro parlando con un uccello appollaiato sulla spalla, ma per di più con uno che gracchiava “problemi psicologici”. Più chiaro di così! Augustus si domandò se non fosse il caso di investire qualche soldo in un berretto da buffone e in una camicia di forza e per poco non fu travolto da un’auto che usciva dal parcheggio sotterraneo del centro commerciale.
Sulle scale mobili ripensò alle parole che Gray aveva imparato da quando Augustus ne era diventato il custode temporaneo:
Problemi psicologici.
Conseguenze.
Tutto spiaccicato.
Oh merda.
Questo diceva tutto.
Dall’altra parte c’erano le parole che Gray aveva ereditato da Elliot:
Chiudi il becco.
Prendi ’sta nocciolina.
Biscotti.
Grazie.
Prego.
Avanti.
Tutte con il chiaro e meraviglioso accento di Elliot – il vocabolario giudizioso di un pappagallo beneducato.
Tuttavia, se ci pensava bene, c’erano altre parole dove il raffinato accento di Elliot non era riuscito a imporsi. Scusa suonava insincero, Sta’ al gioco e L’uva te la puoi scordare avevano addirittura una inflessione proletaria. Anche il tono era diverso, beffardo e scaltro e in un certo senso spiacevole. Elliot aveva posseduto forse qualcosa di simile a una doppia personalità? Un Elliot che si esprimeva con eleganza e portava avanti i suoi studi in modo esemplare, e un altro, più rozzo, che si arrampicava sui tetti e spiava la gente. Elliot-Jekyll ed Elliot-Hyde? Due anime? La sua seconda anima aveva messo Elliot nei guai?
Per lo meno era una teoria.
Augustus raggiunse i bagni degli uomini e si lavò le mani a volontà, fino a quando si accorse che l’uomo che si stava lavando i denti accanto a lui lo guardava in modo strano. Con le mani gocciolanti voltò le spalle al suo vicino. Niente asciugamani di carta. Augustus preferiva la carta, ma volente o nolente se le lasciò asciugare dal getto d’aria dell’apparecchio elettrico. Gray si spaventò e si arrampicò sulla testa di Augustus per mettere la maggiore distanza possibile tra sé e l’aria calda.
Adesso sì che l’uomo lo guardava.
Augustus fuggì dai bagni degli uomini con il pappagallo in testa e per poco non andò a sbattere contro un tizio con una camicia a righe. Il tizio sparì in uno dei gabinetti e Augustus si bloccò. Dove lo aveva già visto? A una conferenza? A una cena di gala? Poi d’un tratto seppe dove aveva visto quel tizio con la camicia a righe: in una foto. In bianco e nero. Senza camicia a righe, anzi, senza alcun vestito, tra le braccia di una prosperosa moretta anche lei senza vestiti. Quel tizio era una delle persone delle foto! Se solo Augustus fosse riuscito a scoprire chi era…
Ma come? Non poteva certo tornare nel bagno e chiedergli come si chiamava! Forse avrebbe trovato un modo per coinvolgerlo in una conversazione e poi…
Mentre Augustus stava ancora riflettendo sul da farsi, l’uomo con la camicia a righe ricomparve – a quanto pareva non aveva indugiato a lungo a lavarsi le mani. Augustus ricevette di nuovo uno sguardo confuso, forse perché si aggirava davanti al bagno degli uomini a bocca aperta e con un pappagallo sulla testa, poi il tizio gli passò davanti e si diresse verso John Lewis.
Augustus lo seguì.
Una volta dentro il grande magazzino, l’uomo tirò dritto davanti al reparto di elettronica e prese la scala mobile che portava al reparto di abbigliamento.
“Ga-ga-uhh-la-laa.” A Gray piaceva la scala mobile. Augustus cercò di mantenere una certa distanza senza perdere di vista il tizio a strisce. L’uomo si fermò nel reparto calzature, scelse un paio di scarpe da ginnastica e le provò. Augustus e Gray poco più in là finsero di interessarsi alla biancheria da uomo.
Il tizio a strisce si rivelò un cliente esigente, provò un secondo paio di scarpe, poi un terzo e infine un quarto. Pian piano Augustus stava finendo la biancheria. Mentre l’uomo si allacciava il quarto paio, Augustus notò qualcosa che gli brillava al dito. Un anello! Una fede? Augustus supponeva che la moretta della foto non portasse una fede… o per lo meno non quella corrispondente!
“Ha bisogno di aiuto?”
Un commesso si era avvicinato da dietro di soppiatto e guardava con fare gentile Augustus attraverso le spesse lenti degli occhiali.
“Ehm,” disse Augustus che aveva in mano un paio di enormi boxer rossi. “Ehm, grazie, credo di riuscire a sbrigarmela da solo.”
“Prendi ’sta nocciolina,” disse Gray con generosità.
Il commesso strabuzzò gli occhi dietro le lenti e batté in ritirata.
Quando Augustus si voltò di nuovo, l’uomo a strisce era sparito. Dov’era andato? Alla cassa? No, anche il quarto paio di scarpe sembrava non aver soddisfatto le sue aspettative. Augustus si precipitò alla scala mobile e fece ancora in tempo a vedere due gambe sospette sparire verso l’alto.
“Ga-ga-uh-la-laa.”
Al piano terra l’uomo provò diversi dopobarba e annusò qualche candela profumata mentre intorno ad Augustus e a Gray si radunava un grappolo di commesse del reparto cosmetici, deliziate e tubanti.
“Ah, che carino!”
“Sa parlare?”
“Loreto, dov’è Loreto?”
Augustus aveva i nervi a pezzi. Pedinamento con pappagallo – un incubo!
L’uomo a strisce, che come per miracolo non li aveva ancora notati, tornò dalla cassa con un sacchetto e passò risoluto davanti ad Augustus diretto all’uscita. Senza dubbio stava pensando a qualcos’altro. A cosa? Alla moretta? Alle lettere ricattatorie? O addirittura all’omicidio che aveva commesso due giorni prima?
L’uomo sparì in direzione del parcheggio sotterraneo e Augustus accelerò per non farsi seminare. Quando stava per svoltare un angolo sentì una voce, agitata ma sommessa. Si fermò e rimase in ascolto.
Sì, c’era qualcuno che parlava a frasi mozze e con lunghe pause. Ad Augustus giungevano soprattutto “sì” e “no” e di tanto in tanto un implorante “Darling”.
Augustus dette un’occhiata dietro l’angolo. Proprio come aveva pensato: l’uomo a strisce stava parlando al telefono! Un rossore che non gli donava molto si era diffuso sul suo viso e sul collo. La mano che non era occupata dal telefono si apriva e si chiudeva nervosamente. Una mano robusta, pensò Augustus.
“Ma te l’ho detto, devo andare all’allenamento.”
Augustus drizzò le orecchie. Quale allenamento? C’era solo da sperare che Gray tenesse la bocca chiusa per qualche minuto!
“Domani, Darling, te lo prometto, domani! Darling, tu lo sai che abbiamo questo importante…”
Proprio in quel momento il cellulare di Augustus squillò.
Il tizio sollevò lo sguardo e vide Augustus e Gray che lo osservavano con aria complice da dietro l’angolo. Nemmeno un attimo ed era diretto verso di loro, ancora rosso in viso, la mano nervosa stretta a pugno.
“Ehi tu, pagliaccio!”
“Problemi psicologici!” spiegò Gray.
L’uomo a strisce aveva abbassato il cellulare e Augustus sentì una voce che schiamazzava dal ricevitore. “Michael? Michael, che significa…”
Una voce maschile.
D’un tratto l’uomo a strisce fu solo a un passo di distanza. Augustus fece dietrofront e corse via.