DIARIO DI UNO SVENTATO
18 febbraio: Dell’arte di sparire
Di ritorno dalla parete Nord. I piedi insensibili, le dita intirizzite dal freddo (caro lettore inesistente, perdona la calligrafia orribile). È così freddo lassù. Freddo e meraviglioso. La città silenziosa, le finestre buie. Come se non ci fosse nessuno. Come se fossero tutti morti. Le prime ore del mattino sono quelle che preferisco.
Mia madre ha detto che sono senza cuore. Se è così, allora questo dovrebbe essere un bene per me. Il cuore trascina in basso, nella sporcizia, nella polvere. L’ho sperimentato di continuo, non per ultimo con la cara maman. Senza cuore si sta meglio. Tutto quello di cui ho bisogno è una macchina che mi pompi il sangue nelle vene. Chi pretende di più è un idiota. Sono tutti degli idioti!
A parte il freddo, posso dire che la missione è stata un vero successo. Finalmente ho trovato il mio palchetto da posta, una piccola e perfetta piattaforma dietro il camino dell’ala est. Grande abbastanza per un treppiede – e un thermos, con questo freddo ho bisogno di un thermos. Impossibile che qualcuno mi veda lassù, a meno che non sia sulla St. Mary’s, ma chi è che di notte sale sulla St. Mary’s? Tuttavia sono nervoso. E se invece mi vede, oh, se mi vede…
Macché. È così facile non essere visti se si sa cosa attira lo sguardo. È così facile sparire se lo si può fare verso l’alto, nell’Impossibile.
Torniamo al mio palchetto. Lo ammetto, ha una strana angolazione ma, come ho potuto appurare, la sua stanza è molto facile da individuare attraverso la lente. Riesco a vederla quasi per intero: la scrivania, il lavandino, addirittura metà del letto. Ne sono affascinato.
Ovviamente devo essere prudente. Lui non è una delle solite pecore che attraversano la vita con lo sguardo basso, ammirando l’erba. Non è una formica. Lui è… come me.
Questa volta è tutto diverso. Questa volta non voglio vedere niente. Niente debolezze, nessuna rozzezza, nessuna brutta carnalità umana. Una parte di me spera che lui sia al di sopra delle cose, come me. Una parte di me spera che sia puro e freddo come la neve. E tuttavia… e tuttavia… c’è anche un’altra parte che non vede l’ora di stare a guardare come il cuore trascinerà in basso anche lui. Nella sporcizia.
Nella polvere.
Le dita adesso sono calde, calde e doloranti. Mille aghi sottili. D’un tratto sono stanco. Il calore è traditore. C’è così tanto da fare. L’università, l’altra vita, l’uccello…
Le palpebre sono pesanti, punti scuri danzano sulle pagine del mio diario – del mio “nottuario”, di giorno non succede mai niente che sia degno di nota – e tuttavia non riesco a smettere di scrivere, di conversare con me stesso. C’è un interlocutore più degno? Voglio gridare a me stesso, al mio futuro io. Al mio io trionfante.
Sii prudente, voglio dirgli. Non dare nell’occhio. Fa’ attenzione a non lasciarti sorprendere di nuovo! La faccenda della bambola è stata uno stupido errore. Mai più! Hai imparato la lezione! Abbiamo imparato la lezione! Sii circospetto! Sii brillante! Sparisci! Sorridi! Com’è facile sorridere! È arrivato il momento di dedicarti per intero ai tuoi studi.
Ai tuoi veri studi!
E così adesso a letto…