19.

MOSTRO

Augustus si avvicinò con cautela. James Crissup non si mosse. Giaceva supino e fissava il tetto. Troppo silenzioso per essere uno che dormiva.

Silenzioso come una tomba.

Per un momento la teoria di Augustus rimase davanti a lui come un perfetto castello di carte: l’omicidio per gelosia, i rimorsi della coscienza, i tentativi di cancellare ogni traccia e di intimidire Augustus. Il tentato omicidio di Gray. Disperazione. Forse James con il passare del tempo aveva capito che non voleva vivere senza Elliot. E quindi il suicidio lassù, nella cappella, quasi sul luogo del delitto. Forse Crissup aveva avuto intenzione di buttarsi e all’ultimo momento non aveva osato.

E invece… che cosa?

Augustus si avvicinò ancora un po’.

Uh-la-la,” sospirò Gray disgustato.

Il piede di Huff urtò qualcosa di duro e il castello di carte venne giù.

Augustus illuminò per terra.

Un mattone.

Un mattone insanguinato.

La luce si spostò di nuovo su James. Anche lì c’era del sangue – a causa dei capelli rossi e della luce scarsa Augustus non lo aveva visto subito. Ma più si avvicinava, più l’immagine diventava rossa. James giaceva sulla schiena, con gli occhi spalancati, in un’aureola rossa. Qua e là, sul pavimento, c’erano pezzettini di roba che non doveva esserci. Quella scena ricordò ad Augustus qualcosa. Gli ricordò Elliot ai piedi della cappella. Solo che James era più vicino, prossimo e a colori. Fin troppi colori. Il tempo del bianco e nero era finito.

Augustus restò immobile e muto a fissare quell’orrore. Ci volle un po’ prima che la testa riuscisse a riordinare tutte quelle immagini sgradevoli, ma in linea di massima Augustus sapeva già che c’era qualcosa che non andava.

Qualcuno aveva fracassato il cranio di James con un mattone, un metodo difficilmente praticabile per suicidarsi. Quello che Huff aveva lì davanti non era un suicidio, ma un omicidio! E questo a sua volta significava che d’un tratto James non era più l’indiziato principale. Certo, sussisteva ancora la possibilità che qualcun altro lo avesse smascherato e si fosse vendicato – l’appassionata Fawn forse? O addirittura la viscontessa? Augustus fu sorpreso dalla facilità con cui riteneva entrambe le donne capaci di una simile azione.

Superò la ripugnanza e fece un passo avanti, poi un altro e si accucciò.

Uh-la-laa.

Non c’erano dubbi: James puzzava.

“Tutto spiaccicato!” fu l’analisi di Gray.

Su questo non c’era niente da eccepire.

Qualcuno aveva spappolato la testa di James. Quando? Perché?

Era successo lassù? Probabilmente. Augustus non riusciva proprio a immaginare che qualcuno potesse aver trascinato James insanguinato su per la scala a chiocciola e poi lungo l’angusta galleria senza lasciare dietro di sé un’enorme porcheria.

Da quanto tempo James era lì? Nella volta sopra la chiesa c’era un fresco insolito per la stagione e tuttavia la pelle di James pareva già di cera, macchiata. Artificiale. Non c’erano dubbi: non era fresco. Augustus pensò al concerto andato a monte; adesso sapeva perché James non si era presentato a suonare l’organo. Pippa aveva avuto ragione a preoccuparsi.

Il suo sguardo si fermò sulla mano pallida e ricurva. Era sottile, esile e perfetta, come scolpita nell’avorio. Persino nella morte la pelle sembrava morbida, e d’un tratto Augustus seppe che cosa lo aveva infastidito per tutto quel tempo nella teoria in cui James era il maggiore indiziato.

La crema per le mani! La crema per le mani nel cassetto! Era solo un dettaglio, ma Augustus sapeva che in questa vita tutto, tutto, tutto è nei dettagli. Un uomo – no, un organista! – che teneva la crema nel cassetto della scrivania… Le mani di James non erano semplicemente due mani, no, erano i suoi strumenti e l’organista le aveva curate con ossessione, proprio come aveva fatto con tutto quello che riteneva importante per lui. Era probabile che se le spalmasse di crema con la stessa frequenza con cui Augustus se le lavava. Forse addirittura più spesso. Un musicista con la musica nel sangue come James non avrebbe mai messo a repentaglio i suoi preziosi artigli con uno sport rude come l’arrampicata! D’un tratto era chiaro come il sole.

Questo significava che lo scalatore che aveva spiato Augustus la notte prima sul tetto della biblioteca del Caius non poteva essere stato James! James con molta probabilità era già morto!

Augustus pensò a un altro paio di mani che aveva visto non troppo tempo prima, mani che, a un esame più attento, non sembravano appartenere al loro proprietario. O alla loro proprietaria? Quando? Dove? Un’immagine lampeggiò davanti al suo occhio interiore, ma fu oscurata troppo alla svelta dalla schifezza rossa.

“Vattene!” gli consigliò Gray. Probabilmente era un buon consiglio.

Tuttavia Huff non voleva lasciare James Crissup lì a marcire da solo, lontano dalla vita, senza luce, musica e con solo i lievi battiti delle ali impalpabili dei colombi a fargli compagnia.

Non lo aveva conosciuto. Non lo aveva mai sentito suonare l’organo. Ed era stato ingiusto con lui.

Augustus si sedette per terra accanto al defunto James, quasi come un amico.

I suoi sentieri mentali si erano ristretti fino a diventare gole anguste, profonde e obbligate che Augustus percorreva di corsa.

Perché James si era preso un mattone sulla testa? Per lo stesso motivo per cui qualcuno aveva scagliato una rana di ferro contro Gray! James era a conoscenza di qualcosa in grado di smascherare l’assassino. Forse aveva cercato di condividere con qualcuno ciò che sapeva. Prima con Pippa che, stressata per gli esami, non aveva avuto tempo per lui; poi con Huff che, con un pappagallo sulla spalla, stava svolgendo le prime indagini e non si trovava nella sua stanza. James lo aveva aspettato, per ore, ma alla fine ci aveva rinunciato. Forse aveva avuto paura. Forse aveva supposto che l’assassino lo stesse già spiando. E adesso era morto. Al contrario di Gray, James non aveva trovato nessun tomo come I sentieri della mente sotto il quale nascondersi. E proprio come Gray, aveva permesso al suo assassino di avvicinarsi molto. Era qualcuno di cui si fidava. Qualcuno di cui si erano fidati entrambi!

Chi?

“Acqua,” disse Gray maligno. “Acqua!” E poi chiaro e con la voce nasale e la bella pronuncia di Elliot: “Mi vuoi sposare?”

“Non adesso,” mormorò Augustus.

“Sta’ al gioco!” lo lusingò Gray insensibile. “Una stella. Una stella del cielo.”

Augustus si irrigidì. Conosceva quella voce! Se non fosse stato già seduto, sarebbe crollato.

D’un tratto capì! D’un tratto capì praticamente tutto!

La famiglia, gli esperimenti, le foto ricattatorie, Fawn… quel puzzle aveva molte tessere che si incastravano male. E se le informazioni che aveva non fossero state poche ma troppe? E se alcune di quelle tessere non fossero appartenute al puzzle di Elliot? E se invece fossero stati due puzzle?

Augustus lo aveva sperimentato sulla propria pelle: non appena si aveva un pappagallo sulla spalla per la gente si diventava quasi invisibili. L’unica cosa che le persone notavano era l’uccello. Philomene aveva pensato subito che Augustus fosse Elliot. Addirittura Fawn, da dietro, lo aveva scambiato per Elliot. L’unica cosa a cui la gente prestava attenzione era il pappagallo! Ovviamente Augustus avrebbe dovuto chiedere ulteriori spiegazioni, ma non lo aveva fatto. Anche lui, proprio come tutti gli altri, aveva ritenuto che “il tizio con il pappagallo” fosse una descrizione sufficiente di Elliot. Ma era davvero così?

Due anime – ah! Ma non abitavano nello stesso petto!

Elliot non aveva sofferto di sdoppiamento della personalità, e neanche Gray. Gray aveva due modi diversi di parlare perché li aveva imparati da due persone diverse: Elliot – e il Parrot-sitter! La persona a cui Elliot affidava il pappagallo quando non poteva tenerlo con lui.

Il Parrot-sitter era stato finora del tutto invisibile sebbene avesse avuto un ruolo importante nella vita di Gray, e probabilmente anche in quella di Elliot. Il Parrot-sitter aveva potuto andare in giro con Gray negli orari più diversi e nessuno ci aveva fatto caso. Il volatile sulla spalla lo aveva reso invisibile!

Cosa sapeva Augustus di questo tizio che aveva condotto perversi esperimenti di schiaccia-il-pulsante con sexy Ivy e probabilmente anche con altri? In pratica nulla, a parte che aveva Gray sulla spalla! Avrebbe potuto essere chiunque – e meno dava nell’occhio, tanto meglio era per lui. A una riflessione più attenta c’erano molti argomenti a favore della tesi che gli esperimenti non fossero stati condotti da Elliot, ma dal Parrot-sitter!

Per questo Gray aveva permesso all’intruso di avvicinarsi tanto! Augustus ripensò alle parole del microbiologo. Si adattano. Loro sono noi. Il killer si era adattato, era talmente normale che nessuno lo notava. Era una persona che rimaneva volentieri nell’ombra. Qualcuno che si divertiva a osservare la gente di nascosto mentre svolgeva le sue faccende più intime. Con molta probabilità era proprio il suo voyeurismo che lo aveva condotto sui tetti.

Lì un giorno doveva aver incontrato Elliot. Elliot che scalava gli edifici spinto soltanto da un desiderio di libertà e ribellione; Elliot che pensava di aver trovato qualcuno simile a lui. Devono essere diventati compagni di scalate. E a un certo punto Elliot gli aveva proposto di badare di tanto in tanto al pappagallo. Di sicuro gli aveva offerto del denaro, ma Elliot non sarebbe stato Elliot se per sicurezza non avesse fatto anche un po’ di pressione, forse sfruttando le informazioni che aveva sul suo hobby di scalatore. Al College certe buffonate potevano forse passarle a un Fairbanks, ma con un povero mortale erano molto meno tolleranti. Elliot glielo aveva fatto capire e il Parrot-sitter aveva accettato un po’ per ammirazione e un po’ per risentimento. Le ore trascorse con regolarità a fare da balia a Gray dovevano avergli permesso di apprendere molto sulla giornata di Elliot. “Prenditi la serata libera.” Libera da cosa? Libera da Gray! Il messaggio nella testa di Beethoven non era destinato a James, ma al Parrot-sitter!

“Vuoi sposarmi?” insistette Gray conducendo così Augustus a un altro pensiero: Fawn pensava che la relazione con Elliot fosse segreta, ma naturalmente era difficile mantenere un segreto con qualcuno che ti spia dai tetti. E poi il Parrot-sitter era venuto a sapere che Elliot stava preparando una proposta di matrimonio – perché Gray, con il suo cicaleccio, glielo aveva rivelato!

Doveva essere stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Non gli era molto chiaro in che modo le cose fossero connesse, ma era probabile che anche in questo caso ci fosse di mezzo la gelosia. Nei confronti di Elliot? Di Fawn? Forse di entrambi!

Se il killer aveva cercato di somigliare a Elliot – scalando gli edifici e facendo esperimenti con il pappagallo – forse aveva anche desiderato avere quello che aveva Elliot: Fawn.

C’era una sola possibilità per accertarsene: Augustus doveva domandarglielo!

E poi d’un tratto seppe chi aveva spinto Elliot giù dal tetto della cappella e spaccato la testa a James – lo sapeva così bene come se fosse stato presente. Ma nessuno gli avrebbe creduto.

L’alter Ego. Qualcuno che, in caso di necessità, poteva chiudere Gray in una stanza insonorizzata. Qualcuno con due mani robuste in modo sconveniente. L’unica persona che aveva ignorato il pappagallo sulla sua spalla!

Augustus si alzò in modo così repentino che Gray lanciò un gridolino. A Huff girava quasi la testa. Avere finalmente la certezza era meraviglioso.

Spense la torcia e aspettò impaziente che i suoi occhi si riabituassero all’oscurità e che dalle tenebre intorno a lui si stagliassero i contorni grigi.

Aveva bisogno di una prova!

Se solo avesse avuto una prova!

Augustus si voltò.

Ecco, lassù c’era una porta. Non quella da cui era entrato. Un’altra porta.

Era aperta e conduceva in cielo. O così almeno sembrava da là sotto.

Augustus aveva la strana sensazione che quella porta non dovesse essere aperta. Lo era per errore.

“La baracca brucia,” mormorò Gray.

Augustus Huff se ne infischiò. Sapeva chi, ma non sapeva ancora con esattezza come. E c’era solo un modo per scoprirlo. Si mise in movimento e con la sicurezza di un sonnambulo si diresse verso la porta del cielo.

*

Augustus uscì in una tiepida notte estiva, molto diversa da quella che aveva lasciato là sotto poco prima. La notte là in alto era opprimente e carica di significato. La notte aspettava Augustus. Che Augustus facesse qualcosa. Così Augustus, ancora un po’ stordito dall’orrore della soffitta, camminò lungo il parapetto di pietra, attraversò il tetto di lamiera e arrivò dall’altra parte, alla torre orientale. La torre orientale che sovrastava il sagrato della chiesa. Era la torre da cui doveva essere caduto Elliot.

Augustus si fermò e guardò in alto. Eccola lì. Delicata come un dolce di zucchero. Appuntita come un ago. Incuteva rispetto. Ma dal punto in cui si trovava Augustus l’arrampicata fino alla punta della torre non sembrava presentare problemi. Augustus si sporse oltre il parapetto. Era lì che doveva essersi trovato Elliot quando aveva pianificato la salita.

Ma perché?

Una stella. Una stella del cielo!

Augustus aveva un sospetto.

Vide che il College aveva messo intorno alla torre una specie di collare di punte di metallo, forse proprio per impedire quel genere di avventure, ma si accorse anche che due di quelle punte mancavano. Uno spazio vuoto. Non molto grande, ma abbastanza per uno scalatore abile come Elliot – o Augustus.

Come in trance, gettò le gambe oltre il parapetto e cominciò ad arrampicarsi, con Gray che, muto in modo sospetto, gli premeva sulla tempia sinistra come uno scalda-orecchie. L’ascesa sembrava facile nonostante il baratro profondo sotto di lui. Solo qualche metro verso l’alto. Tutto lì. Ogni scalatore con un po’ di esperienza sarebbe riuscito ad arrivare lassù, se evitava di guardare giù. Augustus raggiunse il varco tra i denti di ferro e ci passò attraverso.

Raggiunse la cima della torre senza incidenti. Lì, infilato in una fessura nella pietra, c’era qualcosa che luccicava. Luccicava perfino nel debole riverbero della città.

Una stella. Una stella del cielo.

Augustus tolse l’anello di fidanzamento dalla fessura e se lo infilò pensieroso in tasca. Elliot aveva avuto intenzione di chiedere la mano di Fawn lassù. L’avrebbe condotta fin lì – probabilmente stanotte, durante il ballo, con la musica e i fuochi di artificio – e poi si sarebbe arrampicato fino alla cima della torre. Quindi avrebbe fatto finta di cogliere qualcosa dal cielo.

Un po’ arrogante, un po’ kitsch e un po’ commovente. Fawn avrebbe di sicuro risposto di sì. Maledizione. Gli avrebbe detto di sì persino se Elliot le avesse chiesto di sposarlo alla discarica comunale!

Ma il Parrot-sitter glielo aveva impedito. Aveva interpretato in modo corretto il cicaleccio di Gray e indovinato il piano di Elliot. Conosceva il momento giusto perché Elliot lo aveva incaricato di badare al pappagallo. E quando Elliot era andato fin lassù per sistemare l’anello, il Parrot-sitter gli aveva teso una trappola.

Ma dov’era la trappola? Non sulla strada verso l’alto, questo era poco ma sicuro: Elliot era riuscito a nascondere l’anello.

La trappola doveva essere sulla via del ritorno.

Con il cuore pieno di angoscia, Augustus cominciò a scendere.

Nessun pappagallo si muove volentieri verso il basso e, a dire il vero, neanche Augustus Huff. Scendere era sempre più complicato che salire e così gli ci volle un po’ prima di lasciarsi alle spalle la piccola cupola rotondeggiante della torre. Adesso si trattava di superare un lungo tratto verticale e Huff si ritrovò tra due rose di pietra.

Il silenzio di Gray gli rimbombava nell’orecchio.

La trappola era vicina. Lo sentiva. Ma cos’era? E dove?

Il pappagallo sembrò sentire la sua agitazione e si strinse ancora di più alla guancia sinistra.

“Sbagliato di poco è sempre sbagliato!”

Una trappola mortale.

L’ultima caduta.

E Augustus si era arrampicato per pura curiosità!