Luoghi comuni

 

Sono la maledizione della lingua: dalla loro comoda posizione di eufemismi, dissimulano ignoranze madornali. Mi spiego: un paio di giorni fa seguivo con attenzione un programma radiofonico durante il quale un noto e brillante giornalista si collegava con un inviato che dava notizia in situ dei preparativi delle nozze reali. A un certo punto, il corrispondente interpellato ha fatto riferimento alla mancanza di accessi per disabili su molti marciapiedi di Madrid e, per nascondere la sua ignoranza delle normative spagnole ed europee che prevedono tali accessi, ergo leggi che devono essere rispettate, ha preferito riferirsi a quei marciapiedi con un «roba da terzo mondo». È così che, disgraziatamente, un modo di nominare i paesi in via di sviluppo, o con uno sviluppo frenato dall'ingordigia delle nazioni più potenti, è divenuto un luogo comune per riferirsi a quanto i nuovi ricchi considerano brutto, sporco, sgangherato, grottesco o offensivo.

Qualche tempo fa, un poeta che ho ammirato per anni ha pubblicato un'antologia della sua opera e quando un lettore gli ha chiesto perché mancassero alcune poesie del suo periodo antifranchista, ha risposto che le aveva eliminate perché erano «roba da terzo mondo». Nessun abitante di Haiti, della Liberia o del Mozambico aveva alcuna colpa se le sue poesie erano pessime, brutte, sporche, sgangherate, grottesche per le leggi della poesia.

Quando un terrorista palestinese, «roba da terzo mondo», commette un attentato chiaramente riprovevole e uccide vari civili in Israele, paese del primo mondo, il suo atto è seguito dall'atroce luogo comune della «decisa condanna», ma se uno Stato terrorista come Israele uccide in via preventiva e mirata una dozzina di bambini o di vecchi palestinesi, «roba da terzo mondo», si ascolta il perverso luogo comune della «profonda preoccupazione».

Ma nemmeno il terzo mondo è al sicuro dai luoghi comuni. Alcuni mesi fa sono stato a un convegno sull'ambiente a cui hanno partecipato delegati di vari paesi ispanofoni. All'improvviso, un delegato spagnolo ha fatto riferimento al luogo comune della «punta dell'icebem», e le sue parole hanno ammutolito gli interpreti simultanei di varie lingue. Ovviamente si riferiva alla punta dell'iceberg, la cui pronuncia suona più o meno così: «aisberg». Un delegato uruguaiano ha chiarito il malinteso con un altro luogo comune di comodo: «Roba da spagnoli». Amo la Spagna, per questo soffro quando vado al cinema in compagnia di altri latinoamericani e dobbiamo mandar giù, oltre ai pessimi doppiaggi, «da roba da spagnoli per eccellenza», la deplorevole pronuncia dei nomi inglesi: non c'è sceneggiatura che resista a un William che diventa Guilian.

Conosco molti paesi «da terzo mondo» e posso assicurare che la loro cultura sociale non consente di abbandonare un nonno alla sua sorte, in un miserabile campo di concentramento con giardino, legato al letto perché non dia fastidio d'ora della telespazzatura. Al contrario, i nonni muoiono nelle loro povere case, ma circondati dall'amore dei parenti, perché quella gente «da terzo mondo» apprezza l'utile esperienza degli anziani.

È curioso, ma la gente «da terzo mondo» di lingua spagnola nomina le cose con una singolare ricchezza di sostantivi e di solito è abile e precisa con gli aggettivi. Disgraziatamente non si può dire lo stesso degli ispanofoni del primo mondo che, ad esempio, per descrivere una bella passeggiata primaverile in mezzo al profumo di mille mandorli fioriti, preferiscono dire: «Carino, no? Gli alberi e tutto il resto».

Sarebbe molto sano se chi si occupa di comunicazione abbando-nasse la pigrizia dei luoghi comuni e riflettesse sul significato delle parole che usa. Non fa male acquisire come patrimonio personale un vocabolario ben scelto, soprattutto in un'epoca cervantina come quella in cui viviamo.

La lapidazione di una donna accusata di adulterio in un paese «da terzo mondo» è un crimine che scandalizza le coscienze del primo mondo, ma l'assassinio con la complicità del potere di migliaia di spagnole viene celato sotto il luogo comune della «violenza di genere». Come dicevamo, i luoghi comuni sono una maledizione.