19
Il ristorante Fangshan, scelto da Chen per il pranzo con Diao, si trovava nel Parco del Mare del Nord, che in origine era un giardino esterno alla Città Proibita ma ad essa annesso, celebre per la sua storia imperiale.
Aveva scelto quel locale anche per motivi personali. Durante gli anni dell’università, Chen aveva discusso con Ling l’idea di pranzare lì, ma poi non l’avevano mai fatto, perché non se lo sarebbe mai potuto permettere.
Mancava ancora circa mezz’ora all’appuntamento, così fece una passeggiata lungo il lago. Nonostante il nome del parco, il mare non esisteva: era soltanto un lago artificiale, trasformato in “mare” per compiacere l’imperatore. Tuttavia era un parco fantastico al centro della città, adiacente la biblioteca di Pechino, dove un tempo lavorava Ling, da dove si poteva ammirare il profilo scintillante della Pagoda Bianca.
Arrivò a un ponticello che ricordava dagli anni trascorsi lì a Pechino. Oltrepassato un angolo, vide un negozio di artigianato racchiuso dal fogliame estivo. Entrò, ma gli oggetti in vendita erano troppo costosi. Forse quella sera stessa avrebbe avuto tempo per andare in un grande magazzino nel distretto commerciale di Xidan per scegliere un regalo.
Poi osservò il ponticello. C’era una ragazza appoggiata contro il parapetto, che rimirava le montagne verdeggianti in lontananza, mentre il tubare di una colomba ronzava nell’aria. Venne sopraffatto da una sensazione di déjà vu. La straziante increspatura della primavera / ancora verdissima sotto il ponte, / le onde leggere che riflettevano il suo arrivo / agile, di una bellezza tale / che, per paura di sfigurare, un’oca selvatica sarebbe volata via.
Un pomeriggio, durante il suo ultimo anno di università, Ling si era accordata per incontrarsi in quel punto per dargli certi libri che lui aspettava da molto tempo. Arrivando in tutta fretta, Chen la vide in piedi sulle tavole infangate di un ponticello, il piede appoggiato lieve sul parapetto mentre si grattava la caviglia, il viso incorniciato dai capelli scompigliati dal vento. La scena fu inspiegabilmente commovente: fu come se lei si stesse fondendo nello sfondo dei salici, che per i poeti della dinastia T’ang simboleggiavano una donna dal destino avverso.
Nessuno poteva dire se quella scena dei salici potesse aver fatto presagire qualcosa sulla loro relazione. Ma non era il momento per la nostalgia, si disse, tornando verso il ristorante.
Il Fangshan presentava un frontale dall’aria antica. In un silenzioso cortile lastricato, arrivò una cameriera vestita come una dama di palazzo della dinastia Qing e lo condusse in una saletta privata. Ciò che all’inizio lo colpì fu l’onnipresente colore giallo – quello usato esclusivamente per la famiglia reale. Sullo sfondo delle pareti dipinte di giallo, il tavolo era stato apparecchiato con una tovaglia color albicocca e bacchette dorate e, dietro, un antico stipo su cui erano stati goffrati degli elaborati draghi dorati. Dopo essersi seduto vicino alla finestra, Chen aprì la valigetta e prese il fascicolo con le informazioni su Diao in suo possesso.
Diao era un principiante della scena letteraria: fino alla pensione era stato un insegnante di scuola media che non aveva mai pubblicato nulla a suo nome, fino a quando all’improvviso uscì un bestseller come Nubi e pioggia a Shanghai. In pratica, ciò escludeva la possibilità che Diao riconoscesse Chen: non era iscritto all’Associazione Scrittori, e non potevano essersi conosciuti in precedenza. L’ispettore capo avrebbe interpretato un ruolo simile a quello che lo aveva visto protagonista alla magione di Xie.
La gente attribuiva il successo di Nubi e pioggia a Shanghai al suo argomento, tuttavia esso rivelava l’abilità del suo autore. Chen aveva letto il libro, ed era rimasto colpito dal sottile bilanciamento tra il detto e il non detto all’interno del testo.
Mancavano due o tre minuti all’una quando la cameriera fece entrare un uomo dai capelli grigi e dalla corporatura media, con una fronte increspata dalle rughe e occhi piccoli e vivaci, che indossava una maglietta nera, pantaloni bianchi e lucide scarpe formali.
«Lei deve essere il signor Diao» disse Chen alzandosi dalla sedia.
«Sì, sono io.»
«Ah, è un grande onore poterla conoscere. Io sono Chen. Il suo libro, Nubi e pioggia a Shanghai, è un vero bestseller.»
«La ringrazio per il suo invito a pranzo. Questo è un ristorante imperiale, davvero costoso, e finora ne avevo soltanto sentito parlare.»
«Anni fa ero studente a Pechino, e sognavo di venire qui. Quindi si tratta anche di nostalgia.»
«Non è una cattiva ragione» disse Diao sorridendo, mettendo in mostra denti macchiati di nicotina. «Si ricorda una frase del nostro grande leader, il presidente Mao? “Seicento milioni di persone sono tutti come Sun e Yao, grandi imperatori”. Un’iperbole poetica, certo, anche se però Mao ha ragione su una cosa. Alla gente interessa essere imperatori, o essere come imperatori.»
«Lei ha senz’altro ragione.»
«Questo spiegerebbe la popolarità del ristorante. Qui vengono non soltanto per il cibo, ma anche per i riferimenti all’impero. Anche se per un breve istante, uno può immaginarsi di essere un imperatore.»
Forse era stato vero anche per Shang, forse le era piaciuto immaginarsi come la donna di un imperatore. Chen sollevò la coppa senza fare commenti.
Arrivò la cameriera e offrì loro un piattino di prelibati e dorati ououtou, focaccine al vapore di solito preparate con il mais. Chen ricordava che erano di colore scuro, difficili da mandar giù, quando le aveva mangiate durante gli anni dell’università. Quelle, però, avevano un aspetto molto diverso.
«Sono fatte con una varietà speciale di chicchi» disse la cameriera, leggendo la sua sorpresa. «Super deliziose. Le preferite dall’imperatrice.»
«Magnifico. Le assaggeremo» disse Chen. «Ci raccomandi qualche altra specialità.»
«Per la saletta privata, la tariffa minima è di cento yuan. Dovete comunque spendere quella somma. Per cui vi raccomanderei un menu di delicatezze leggere. Tutti piattini, una ventina, proprio come per l’imperatrice. Anche per lei le portate minime erano quelle. Tanto per cominciare, pesce vivo dal Mare Centrale e Meridionale cotto al vapore con zenzero dolce e cipolle verdi.»
«Bene» disse Chen. Tutti gli avventori avrebbero colto lo stretto legame tra la Città Proibita e il Mare Centrale e Meridionale.
«Qualcos’altro?» chiese Diao, parlando per la prima volta.
«Anatra pechinese arrosto, naturalmente.»
«Anatra proveniente dal palazzo?»
«Vere anatre pechinesi. Alimentazione speciale, dai sei agli otto mesi di età. La maggior parte dei ristoranti al giorno d’oggi usa il forno elettrico. Noi ci atteniamo alla ricetta tradizionale con il forno a legna, e non usiamo legna qualsiasi, ma uno speciale pino in modo che l’aroma penetri nella consistenza della carne. Era una consuetudine unica, usata soltanto per gli imperatori» disse la cameriera con una nota di orgoglio nella voce. «Ah, i nostri cuochi seguono la tradizione di gonfiare l’anatra con la bocca e di cucirle l’ano prima di sistemarla nel forno.»
«Ah, ma quante cose da imparare su un’anatra» esclamò Diao.
«Da noi si possono gustare i cinque modi per cucinare l’anatra: fette di pelle croccante avvolte nella pastella, fette di carne d’anatra fritte con aglio verde, zampe d’anatra marinate nel vino, sauté di ventriglia d’anatra con verdure e zuppa d’anatra, ma la zuppa impiega circa un paio d’ore per diventare bianca e cremosa.»
«Per me va bene. Intendo dire la zuppa» disse Chen. «Prendetevi pure tutto il tempo che ci vuole. Portate tutte le migliori specialità del ristorante. Oggi sono per un grande scrittore.»
«Lei mi sta sopraffacendo, con la sua generosità» disse Diao.
«Sono un uomo d’affari che ha guadagnato un mucchio di soldi, e con questo? Tra cent’anni quel denaro sarà ancora mio? In realtà, come diceva il nostro grande maestro, il Vecchio Du, soltanto la letteratura dura migliaia di autunni. È giusto e necessario che un novizio come me offra un pranzo a un maestro come lei.»
Il discorso di Chen assomigliava a quello di Ouyang, un amico che aveva conosciuto a Guangzhou. Poeta dilettante ma anche imprenditore di successo, aveva fatto un’affermazione simile durante un pranzo a base di dim sum.
In campo saggistico, però, Chen si poteva considerare un novizio, quindi poteva davvero imparare qualcosa da Diao.
«Il suo libro ha avuto un enorme successo» proseguì Chen. «La prego, mi racconti come è arrivato a scriverlo.»
«Ho insegnato alle scuole medie per tutta la vita. Di regola, iniziavo le lezioni citando un proverbio. Ora, affinché un proverbio si tramandi di generazione in generazione, deve contenere qualcosa, qualcosa che appartenga alla nostra cultura. Un giorno citai la frase hongyan baoming, “avverso è il destino di una bella donna”. Quando i miei allievi insistettero perché facessi un esempio, pensai al tragico destino di Shang. Poi cominciai a pensare al progetto di un libro, ma ebbi qualche incertezza nel focalizzarlo su Shang, per ragioni che lei potrà immaginare. Durante le ricerche, venni a sapere del destino ugualmente tragico della figlia, Qian. E allora qualcosa scattò nella mia mente. Fu così che scrissi il mio libro.»
«Ma è fantastico» disse Chen. «Lei deve aver svolto moltissime ricerche su Shang.»
«Un po’, ma non molte.»
«È come un libro dietro un libro. Tra le righe dedicate alla figlia, le persone possono leggere la storia della madre.»
«Ognuno legge secondo la propria prospettiva, ma è un libro su Qian.»
«Mi parli della storia dietro la storia. I dettagli reali mi affascinano.»
«Di ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere» disse Diao in tono circospetto. «Cosa è vero e cosa non lo è? Lei apprezza Il sogno della camera rossa, quindi ricorderà senz’altro il distico sopra l’arco del cancello della Grande Illusione: Dall’apparire l’essere / dall’esser l’apparire; / Dal nulla viene l’uno, / dall’uno viene il nulla.»
Come Chen aveva previsto, Diao non era molto disposto a parlare liberamente con uno sconosciuto, e neppure ad ammettere che fosse una storia vera, nonostante quel pranzo al ristorante Fangshan.
«Le persone della mia generazione hanno sentito ogni genere di storia riguardo quegli anni» proseguì Diao, sorseggiando il tè. «Fintanto che l’accesso all’archivio ufficiale rimane vietato al pubblico, non saremo mai in grado di dire se una storia è vera o falsa.»
«Ma lei deve avere raccolto molte più informazioni di quante poi ne ha usate per il libro.»
«Ci ho messo dentro solo quello che ho considerato attendibile.»
«Avrà comunque intervistato tantissime persone.»
Diao non rispose. Da un altoparlante esterno cominciò a suonare una canzone tratta da Romanzo dei tre regni, una popolare serie televisiva. Quante volte, con il rosso sole calante, / un uomo dai capelli bianchi pesca, tutto solo, nel fiume / in cui ribollono storie da tempo immemorabile… La serie tv era basata sul romanzo storico che parlava delle vicissitudini degli imperatori e dei pretendenti al trono vissuti nel terzo secolo. L’autore aveva terminato il libro con una poesia declamata da un vecchio pescatore.
«Si ricorda della poesia Neve, di Mao?» chiese invece Diao.
«Sì, in particolare la seconda strofa. Fiumi e montagne tanto belli / innumerevoli eroi si inchinarono a gara. / Ahimè, il primo imperatore dei Qin e l’imperatore Wu degli Han / mancavano di cultura letteraria; / nei cuori dell’imperatore Tai dei Tang, e dell’imperatore Tai dei Song / non c’era poesia a sufficienza; / Gengis Khan, / il superbo figlio del Cielo, / sapeva soltanto tender l’arco per colpire le aquile. / Sono tutti scomparsi! / Per trovare uomini veramente eroici, / volgiti a guardare il nostro tempo.»
Il ritorno della cameriera interruppe la loro chiacchierata. Posò un grande piatto sulla tavola. «Pesce vivo dal Mare Centrale e Meridionale.»
«Ho dovuto scegliere ciò che poteva essere pubblicabile e ciò che invece non lo era» disse Diao dopo essersi servito un grosso filetto di pesce.
«Allora mi parli delle sue ricerche.»
«A che scopo? Ho soltanto bussato a una porta dietro l’altra. Godiamoci il pranzo. Devo essere onesto con lei, io sono un gourmet dai mezzi molto limitati.»
«Suvvia, un pranzo sarà una cosa da nulla, per un scrittore di successo come lei. Ecco perché ho deciso di abbandonare la mia attività.»
«Lei continua a parlare del mio libro come di un bestseller. Certo, se ne sono vendute molte copie, ma io ci ho ricavato molto poco.»
«Ma signor Diao, questo è incredibile.»
«Si scordi di guadagnare tanti soldi scrivendo libri. Se è quello che vuole, si tenga stretta la sua attività. Se le può essere d’aiuto, potrei anche dirle quanto ho guadagnato. Meno di cinquemila yuan. A sentire l’editore, lui ha corso un grosso rischio con la prima tiratura di cinquemila copie.»
«Ma che ne è stato della seconda e della terza? Il suo libro avrà avuto più di dieci ristampe.»
«Non c’è mai stata neppure la seconda. Non appena si sparge la voce che un libro ha successo, vengono immesse sul mercato le copie pirata, da cui non si ricava neppure un centesimo.»
«Che vergogna! Soltanto cinquemila yuan» disse Chen. Alcune delle sue traduzioni meglio pagate gli avevano fruttato la stessa cifra soltanto per una decina di pagine, anche se sapeva che gli erano state assegnate perché era un ispettore capo. Diede un’occhiata alla sua valigetta di pelle. Conteneva almeno cinquemila yuan, che aveva portato con sé per comprare un regalo di nozze per Ling. Ma poi ci aveva ripensato, quando la sera prima l’aveva vista andar via su quella limousine di lusso. Per lui era una grossa somma, ma per lei non era nulla.
Prese la valigetta, la aprì e ne tirò fuori una busta rossa. «Una piccola “busta rossa” di circa cinquemila yuan, signor Diao. Non esprime neppure lontanamente il mio rispetto, è soltanto un segno della mia ammirazione.»
Era una busta rigonfia, aperta, con una banconota da cento yuan che faceva capolino, con il ritratto di Mao che dichiarava alla Cina, in qualità di supremo leader del Partito, “Più si è poveri più si è rivoluzionari”.
«Che intende dire, signor Chen?»
«A dire la verità, a me interessa scrivere qualcosa su Shang, che sia pubblicabile o meno. Quindi la busta è per ricompensare le sue inestimabili informazioni. Per un uomo d’affari come me si tratta di un investimento, ma è anche un segno del mio rispetto per lei.»
«Signor Chen, un vecchio come me non ha nulla di cui vantarsi, però credo di saper valutare bene un uomo. Qualunque siano i suoi scopi, di certo non è il denaro che la interessa.»
«Qualunque cosa mi dirà non sarà né “bianca” né “nera”. Né qualcuno sarà mai in grado di provare che proviene da lei, signor Diao. Fuori da questa saletta, può anche dire di non avermi mai conosciuto.»
«Non è che fossi restio a raccontarle la storia di Shang, signor Chen» disse Diao svuotando la coppa, «ma ciò che ho raccolto potrebbero essere soltanto dicerie. Non le può prendere alla lettera.»
«Capisco. Ma io non sono un poliziotto, quindi non devo basare ogni mia frase sui fatti.»
«Io non ho scritto un libro su Shang, ma ciò non significa che non debba essere scritto. Tra dieci o quindici anni certi aspetti della Rivoluzione Culturale potranno essere totalmente dimenticati. Ah, ma lei non sta registrando questa conversazione, vero?»
«No, certo.» Chen aprì di nuovo la valigetta, mostrandone i contenuti.
«Mi fido di lei. Dunque, da dove devo cominciare?» chiese Diao, ma non attese la risposta. «Bene, non meniamo il can per l’aia. Per quel che riguarda Shang, non ci crederà, ma mi è capitato di conoscere un venditore ambulante il cui banchetto del pesce è stato schiacciato dal suo corpo caduto da una finestra del quinto piano…»
L’anatra pechinese arrosto arrivò con la cameriera e anche il cuoco vestito di bianco con il cappello, il quale sbucciò la pelle croccante dell’anatra davanti al loro tavolo con gesti teatrali.
«Le fette di pelle croccante, avvolte nella pastella sottilissima con salsa speciale e cipolle verdi, erano le preferite dell’imperatrice» disse la cameriera. «Quanto al piatto speciale di lingue d’anatra fritte ammantate di peperoni rossi, come colline ricoperte di aceri, indovinate quante anatre sono servite?»
«Le posso chiedere un favore?» disse Chen. «Sono tutti manicaretti fantastici, ma potreste servirceli tutti insieme? Stiamo per iniziare un’importante conversazione.»
«Lo dirò al nostro chef» disse la cameriera, inchinandosi come una ragazza manciuriana prima di dirigersi verso la porta.
«La prego, prosegua.»