57.
Manhattan, 1928.
Dopo Fred Astaire – che provocò un'eco straordinaria anche sui giornali – fu la volta di Duke Ellington di essere rapito. Durante la trasmissione, prima di esibirsi gratuitamente, disse: «Ehi, a parte la scocciatura del cappuccio, mi piace questa CKC. Qui fanno entrare anche i negri, mica come al Cotton Club. Ce ne sono un paio seduti proprio accanto a me». Cyril gonfiò orgogliosamente il petto, in silenzio. Sorella Bessie, invece, non seppe trattenersi e urlò: «Io ho messo il primo dollaro di questa radio. Ne posseggo un pezzo e tu niente, Duke. Sei tu che stai seduto accanto a me e non il contrario». Cosa che scatenò una risata fragorosa ai microfoni di Diamond Dogs e le fruttò grande popolarità e rispetto in tutta Harlem.
Poi furono rapiti Jimmy Durante, Al Jolson, Mae West, Cab Calloway, Ethel Waters e due giovani attori di Broadway, James Cagney e Humphrey DeForest Bogart, il quale disse di aver partecipato soprattutto per conoscere Christmas. «Perché?» gli chiesero. «Be', sono nato il giorno di Natale. Potevo perdermi un tizio che ha il nome del mio compleanno?» Essere rapiti divenne di moda. Non c'era personaggio pubblico che non volesse partecipare a Diamond Dogs. Essere incappucciati significava far parte di quella fetta di privilegiati che poteva mettere piede nella sede clandestina della radio. «Io sono stato nel covo» si diceva nei ristoranti esclusivi o alle feste o alle prime teatrali o cinematografiche. E non c'era ospite che si ribellasse alla pratica del cappuccio. E così la sede della CKC continuò a rimanere segreta e ad alimentare le leggende popolari. Santo divenne l'autista della Gang, come ormai tutti chiamavano la CKC, e ritrovò la gioia e l'eccitazione dei vecchi tempi, quando lui e Christmas erano gli unici elementi della banda fantasma.
I reporter all'inizio cercarono di pedinare i divi in odore di rapimento, gli si incollarono alle calcagna, con macchine fotografiche e taccuini. E probabilmente prima o poi sarebbero riusciti a scoprire la sede della CKC ma non potevano prevedere che i gangster di New York avevano deciso di non permetterlo. I ficcanaso furono scoraggiati con sistemi convincenti, gli stessi che venivano usati nella vita criminale. Una pallottola sul cruscotto dell'auto, una lettera anonima in cui venivano elencati orari e indirizzi dei familiari, una intimidazione faccia a faccia, se necessario, con relativa distruzione della macchina fotografica.
Il regista di questa rete protettiva era Arnold Rothstein. Ma quando vide che a ogni suo tentativo di scoraggiare un giornalista mosso dal sacro fuoco dell'informazione ne spuntava subito uno nuovo, Mr. Big organizzò una spedizione drastica, che impegnò decine di uomini e dodici macchine. Una mattina, dopo aver studiato ogni dettaglio dell'operazione, Rothstein fece prelevare i direttori del "New York Times", del "Daily News", del "Forward", del "New York Amsterdam News", del "Post" e anche quello del politicizzato "Daily Worker". I sei uomini vennero incappucciati in strada. E, come previsto dal piano di Rothstein, nessuno dei testimoni avvertì la polizia. Al contrario risero, sicuri che si trattasse di un rapimento per Diamond Dogs. E la stessa cosa pensarono i direttori, inizialmente. Ma quando si ritrovarono tutti insieme, riuniti nel Lincoln Republican Club di fronte ad Arnold Rothstein, il loro buonumore svanì all'improvviso e lasciò il posto alla paura.
«Christmas non è un gangster. Ma è come se fosse uno dei nostri» esordì senza preamboli Mr. Big, dopo che i direttori furono fatti sedere con modi rudi su sei sedie appositamente preparate.
«Io sono pronto a scatenare una guerra con voi giornalisti, con tutti voi, se cercate di sputtanare la sede della CKC oppure gettare discredito su quel ragazzo e sulla sua trasmissione a causa di questo nostro colloquio… che non è mai avvenuto. Nessuno deve sapere nulla della CKC e di Diamond Dogs. Istruite i vostri scagnozzi, legate le mani a tutti i cani sciolti che bazzicano in città in cerca di/uno scoop. E non venite a raccontarmi stronzate tipo libertà d'informazione. La vostra libertà del cazzo coinciderebbe con la fine di una delle poche cose divertenti di questa città di merda.» Rothstein si scostò dal suo biliardo e li raggiunse, fissandoli uno a uno. «Rovinate Diamond Dogs e mi vedrete piombare nelle vostre case» disse con una voce cupa. Poi sorrise, mostrando i suoi denti bianchi e affilati, e aggiunse: «Ma ho deciso di farvi un favore». Diede un'occhiata a Lepke e si fece portare un mazzetto di fili di paglia. «Facciamo un gioco, come quando eravamo ragazzini. Quello di voi che pescherà la paglia più corta potrà essere rapito e presenziare a una puntata di Diamond Dogs.
E per non scontentare nessuno non sarà un ospite ufficiale ma semplicemente prenderà nota di tutto e poi passerà le sue informazioni agli altri, in modo che ognuno dei vostri giornali possa uscire con un resoconto dettagliato della trasmissione, come se foste stati tutti insieme ospiti della CKC. D'accordo?» e di nuovo Rothstein sorrise, in quel suo modo speciale, che spaventava ancora di più. «Inutile aggiungere che se da certi indizi farete supposizioni su dove si possa trovare la CKC riterrò infranto il nostro patto.» Allora Mr. Big avvicinò la mano che reggeva le pagliuzze ai direttori. Per primo al direttore del "New York Amsterdam News" e poi a tutti gli altri. E la paglia più corta capitò proprio al direttore del settimanale che si stampava ad Harlem.
«Bene, affare fatto» disse allora Rothstein congedandoli. «Christmas non sa nulla di questa nostra amichevole chiacchierata perciò non mettetevi strane idee in testa. È un bravo ragazzo, pieno di talento.» Li squadrò, uno a uno. «Ed è sotto la mia protezione» concluse facendo segno ai suoi uomini di buttarli fuori. «E adesso levatevi dai coglioni, imbrattacarte.» Il giorno dopo il direttore del "New York Amsterdam News" si fermò sotto il palazzo sulla Centoventicinquesima e guardò in alto, verso l'orologio di Harlem che segnava perennemente le sette e mezzo. Rise e salì al quinto piano dove, come tutti gli abitanti del ghetto nero, sapeva che veniva trasmesso Diamond Dogs.
Come sapeva di dover pescare per primo la pagliuzza e scegliere quella che aveva un impercettibile segno rosso. Perché a Rothstein non piaceva rischiare. Né perdere le scommesse. Il direttore si presentò a Christmas e gli raccontò di Rothstein.
Due giorni dopo tutti i giornali di New York uscirono con un resoconto dettagliato della trasmissione. Nel covo dei Diamond Dogs titolarono quasi tutti i direttori, in prima pagina, firmando personalmente gli articoli per pavoneggiarsi nelle occasioni mondane di quel loro privilegio, come attori e musicisti famosi. E quel giorno gli strilloni vendettero le loro copie per le strade di New York a una velocità mai registrata prima.
E gli ascolti di Diamond Dogs ebbero una ulteriore impennata.
Il fenomeno fu tale che anche i giornali nazionali ripresero la notizia, che viaggiò da una costa all'altra, fino a Los Angeles, e venne alle orecchie di divi e produttori di Hollywood.
«Troppa pubblicità» disse Karl dieci giorni dopo.
«Prima hai rotto i coglioni con quel casino dei manifesti e adesso ti lamenti della troppa pubblicità?» sbottò Cyril.
«Stiamo mettendo le autorità con le spalle al muro» rispose Karl. «Non potranno più fare finta di niente. Ci beccheranno.»
«Che vengano a prenderci» disse Cyril. «Dovranno fare i conti con i miei negri.»
«Ha ragione Karl» disse Christmas.
Karl lo guardò. E Christmas gli restituì lo sguardo, in silenzio.
Dal giorno in cui si erano scontrati, ciascuno dubitando dell'altro, qualcosa si era rotto nel loro rapporto. Come se entrambi si sentissero schiacciati dal sospetto che avevano nutrito nei confronti dell'altro.
«Hai ragione, Karl» gli disse Christmas. «Hai sempre avuto ragione.» Karl lo guardò ancora.
«Mi spiace» disse Christmas.
Lo sguardo di Karl si distese, impercettibilmente. «Spiace anche a me» disse Karl. Fece un passo verso Christmas e gli tese la mano.
Christmas la strinse nella sua e attirò a sé Karl. Poi lo abbracciò.
«Bianchi del cazzo» borbottò Cyril, continuando a sistemare un microfono, a testa bassa, sorridendo.
«Che scenetta patetica» disse sorella Bessie entrando nella stanza. «C'è il direttore dell'"Amsterdam". Lo faccio entrare o aspetto che vi rivestiate, ragazze?»
«Che cazzo vuole di nuovo?» chiese Cyril.
«Pulisciti la bocca, ci sono i bambini in giro» disse sorella Bessie. «Allora, che faccio? È lì fuori che aspetta.»
«Posso?» disse il direttore, infilando la testa nella stanza. Sventolava una busta. «È per Christmas. È arrivata stamattina in redazione. Era indirizzata a me e conteneva una lettera chiusa per Christmas. Mi chiedono di consegnartela.»
«E se tu gliela consegni ammetti di sapere dove ci nascondiamo, testa di cazzo» disse Cyril.
«Cyril!» esclamò sorella Bessie.
«Scusa, sorella Bessie» disse Cyril.
«Capite cosa intendo?» disse allora Karl. «Siamo allo scoperto.»
«Mi spiace» disse il direttore del "New York Amsterdam News". «Viene da Los Angeles…» Christmas impallidì, gli strappò la busta di mano e l'aprì con foga. "Ruth" pensava soltanto. "Ruth." Estrasse il foglio piegato in tre e corse alla firma, col cuore che gli batteva forte in gola. Abbassò la lettera, deluso. «Louis B. Mayer…» disse piano.
«Chi?» chiese Cyril.
Christmas guardò di nuovo la firma. «Louis B. Mayer, MetroGoldwyn–Mayer…» lesse.
«E che vuole?» chiese Cyril.
«Non lo so» disse Christmas e buttò la lettera sul tavolo.
"Ruth" pensava ancora, come schiacciato.
Karl prese la lettera. «Caro mister Christmas, abbiamo appreso dalla stampa del suo successo nel raccontare storie misteriose e realistiche che appassionano la gente» lesse ad alta voce. «Siamo convinti che il suo talento potrebbe essere molto apprezzato qui a Hollywood e vorremmo invitarla nei nostri studi per un colloquio e per studiare possibili soggetti. Mi può contattare ai numeri… bla, bla, bla… spese di viaggio e di alloggio a nostro carico… bla, bla, bla… mille dollari per il disturbo… suo, Louis B.
Mayer…» Seguì un silenzio attonito.
«Il cinema…» disse piano sorella Bessie dopo qualche istante.
«Non me ne frega un cazzo» disse Christmas.
«Dovresti pensarci, invece» disse Karl.
Christmas rimase a testa bassa.
«Dico davvero» fece Karl.
«Non me ne frega un cazzo di Hollywood» ripetè Christmas.
«A Los Angeles non c'è quella tua ragazza?» chiese come casualmente Cyril.
Christmas si voltò a guardarlo.
Ma Cyril aveva già abbassato lo sguardo e si fingeva indaffarato con degli spinotti. «Tra due minuti in onda» disse poi.
Christmas annuì e si sedette al suo posto, di fronte al microfono.
«Io vado» disse il direttore dell'"Amsterdam".
Nessuno gli rispose. Sorella Bessie gli batté una mano sulla spalla, poi lo guidò fuori dalla stanza, richiudendo la porta.
Christmas, Karl e Cyril rimasero in silenzio.
«Trenta secondi» disse poi Cyril.
«Devo parlarvi di una cosa…» fece allora Karl.
«Adesso?» brontolò Cyril.
Christmas non si mosse. Pensava solo a Ruth.
«Con tutta questa pubblicità finiranno per beccarci. E ci faranno chiudere» disse Karl.
«Hai una delle tue idee brillanti?» fece Cyril, scettico. «Venti secondi.»
«La WNYC vuole rilevarci» disse allora Karl, con un enigmatico sorriso dipinto sulle labbra.
Christmas e Cyril lo guardarono.
«Ci lasciano trasmettere sulla nostra frequenza, ci mettono a disposizione i loro mezzi, compresi gli studi, e decidiamo noi la programmazione, senza interferenze» continuò Karl tirando fuori dalla tasca interna della giacca una serie di fogli. «Ecco il contratto.
Rimaniamo soci di maggioranza. Cinquantuno percento a noi.»
«E che vantaggi abbiamo?» chiese sospettoso Cyril. «Dieci secondi…»
«Diventiamo una stazione legale. Potremo fare pubblicità, avere utili…» disse Karl.
«Si prendono la trasmissione più seguita di New York e non ci danno altro che i loro studi?» lo interruppe Cyril. «Tutto qui?» e scosse la testa. «Cinque…» Karl sorrise. «Veramente hanno fatto anche un'offerta per rilevare il quarantanove percento.»
«… quattro…» Karl aprì il contratto accanto alla rudimentale attrezzatura della CKC e puntò un dito su una cifra.
«… tre… due…»
«Vi bastano centocinquantamila dollari per firmare, soci?» disse Karl.
Cyril spalancò la bocca e sgranò gli occhi, pallido in viso. Poi pigiò meccanicamente, come un automa, il tasto di trasmissione.
«Siamo in onda… porca puttana» disse quasi senza voce.
Christmas rise e la sua risata si riverberò nelle radio della città.
«Buonanotte, New York…» disse e poi rise ancora.
E gli ascoltatori poterono sentire distintamente altre due voci ridere insieme a Christmas.