48.
Manhattan, 1927.
«Siete licenziati» disse Neal Howe, direttore generale della N.Y.
Broadcast, seduto dietro la scrivania di ciliegio intarsiato, lucidando gli occhialetti tondi con un immacolato fazzoletto di lino sul quale spiccavano le sue iniziali. Aveva un viso affilato, con sottili venuzze che formavano una impercettibile ragnatela sulle guance. E la pelle del cranio – sotto i capelli radi – era arrossata.
Indossava un vestito grigio di sartoria impeccabilmente stirato e sul risvolto della giacca erano appuntate delle decorazioni militari. Quando fu soddisfatto della pulizia degli occhiali li inforcò e fissò Christmas e Karl, in piedi di fronte a lui. «Vi domanderete perché mi sono preso il disturbo di comunicarvele personalmente» e sorrise con malanimo. Gli puntò contro un dito secco, con l'unghia a punta. «Perché quello che avete fatto, se fossimo in guerra, si chiamerebbe insubordinazione. E verrebbe punito con la corte marziale.»
«Vuole farci impiccare?» chiese Christmas, ficcandosi le mani in tasca, con uno sguardo strafottente. Guardò Karl con la coda dell'occhio e si stupì di quanto il suo viso apparisse pallido e immobile.
Il direttore generale ebbe un moto di stizza. «Non fare lo spiritoso, giovanotto» disse con una voce tagliente. «E quando sei davanti a me leva le mani dalle tasche.»
«Altrimenti che fa?» disse Christmas. «Mi licenzia?» Il viso antipatico del direttore generale si fece livido.
«Signor Howe, mi ascolti, la prego» intervenne Karl con voce debole. «Il ragazzo non c'entra niente. È stata una mia idea. Lui non sapeva nemmeno che l'avrei mandato in onda… non può prendersela anche con lui…»
«Non posso?» rise il direttore generale.
«Quello che volevo dire, signore, è che…»
«Lo lasci perdere» Christmas interruppe Karl poggiandogli una mano sul braccio. «Vuole costringerci a pregare per poi licenziarci lo stesso. È questo il suo gioco. Non capisce? Non lo fa per un senso di giustizia. Gli piace umiliarci. Non perda tempo e non gli dia questa soddisfazione. Venga via…»
«Come ti permetti, ragazzo?» scattò il direttore generale, alzandosi in piedi, rosso in viso.
«Falla finita, vecchia muffa» gli rise in faccia Christmas e si voltò per uscire. «Lei viene, mister Jarach?» Karl lo guardò con occhi appannati, come se facesse fatica a rendersi conto di quello che stava accadendo.
«Turkus! Turkus!» urlò il direttore generale.
Nella stanza comparve un uomo con la faccia segnata dai pugni. Indossava la divisa della sicurezza.
«Buttali fuori a calci in culo!» urlò istericamente il direttore generale.
L'uomo della sicurezza allungò una mano verso Christmas.
«Tu sfiorami solo con un dito e Lepke Buchalter ti ficca un rompighiaccio in gola» fece Christmas, con un'espressione feroce.
L'uomo ebbe un'incertezza nello sguardo e fermò il gesto a mezz'aria.
«Ti va che domattina i poliziotti trovino il tuo cadavere in una macchina abbandonata in un lotto in costruzione a Flatbush?» disse ancora Christmas all'uomo della sicurezza. Poi si voltò verso Karl. «Andiamo, mister Jarach.» Lo prese con decisione per un braccio e lo trascinò verso l'uscita, superando la guardia, immobile e impacciata.
«Turkus!»
«Addio, vecchia muffa» rise Christmas uscendo dall'ufficio, seguito da Karl.
«Jarach, farò in modo che nessuna radio la assuma, glielo giuro!» urlò paonazzo il direttore generale. «Turkus, prendili a calci o sei licenziato anche tu!» L'uomo della sicurezza uscì e raggiunse Christmas e Karl agli ascensori. «Non fatevi vedere mai più» ringhiò.
«Okay, bravo, hai salvato la faccia. Adesso levati dalle palle» fece Christmas entrando nell'ascensore e chiudendo le grate.
«Pianoterra» disse al manovratore.
E mentre l'ascensore scendeva cigolando, Karl si concesse di formulare il pensiero che aveva cercato di tenere distante. Era finita. Il suo ufficio al settimo piano avrebbe ospitato un altro dirigente. Le scale che aveva faticosamente salito, negandosi una vita privata, divertimenti e distrazioni, dedicando tutto se stesso alla sua ascesa, al lavoro, alla radio, era tutto finito. Karl Jarach sarebbe tornato quello che doveva essere per nascita.
«Sta bene, mister?» chiese Christmas vedendolo barcollare quando uscirono dall'ascensore.
Karl annuì, senza parlare.
«Grazie per quello che ha fatto» disse Christmas. «È stato bello credere che il mio sogno si avverasse.» Karl annuì ancora, cercando di sorridere.
«Venga» gli disse Christmas e invece di dirigersi verso l'uscita prese la porticina che si apriva sul seminterrato.
«Hanno annullato la trasmissione?» chiese Cyril comparendo più in basso, sulla porta del magazzino. «Coglioni. Non capiscono un cazzo, ragazzo…» guardò Karl, che si era fermato a metà delle scale, e fece per tornare nel suo regno.
«Mi hanno licenziato» disse Christmas.
Cyril si voltò. «Cosa?»
«E anche mister Jarach ha perso il posto. Insubordinazione.» Cyril lanciò un'occhiata a Karl, che si era fermato a metà delle scale, appoggiandosi contro il muro, e scosse il capo per qualche istante, sbuffando dalle narici larghe. Poi afferrò la porta con le sue mani nodose e la sbatté con violenza. La aprì e la sbatté di nuovo.
E poi ancora, con forza e rabbia, finché l'intonaco del montante si crepò e si sbriciolò sul pavimento. «Coglioni!» urlò verso l'alto.
«Che succede?» chiese il guardiano, affacciandosi dal pianoterra.
«L'hai sentita la trasmissione di questo ragazzo?» disse Cyril, con gli occhi sbarrati dalla rabbia.
«Che trasmissione?»
«Diamond Dogs» disse Cyril.
«Eri tu?» fece l'uomo, meravigliato, puntando un dito verso Christmas. «Uno spasso.»
«Be', l'hanno licenziato» ringhiò Cyril.
«Licenziato?»
«Licenziato. Sì. Insubordinazione.»
«Insubordinazione?»
«È inutile che ripeti tutto quello che dico» brontolò Cyril. Prese fiato. «Sono dei coglioni!» urlò.
Il guardiano si chiuse la porta alle spalle, preoccupato. «Non fare casino, Cyril» disse.
«Che cazzo vuol dire insubordinazione?» continuò Cyril. «Sono dei coglioni!»
«Cyril, falla finita» lo ammonì ancora il guardiano. «Avranno avuto… io non ci capisco niente di queste cose però… be'… insomma, avranno avuto le loro ragioni. Cioè, dico…»
«Dici cazzate, ecco cosa dici» lo interruppe Cyril.
«Falla finita» fece duro il guardiano. Poi indicò Christmas. «E tu ragazzo non puoi stare qui, se ti hanno licenziato.»
«Prendo le mie cose e me ne vado» disse Christmas avviandosi verso il magazzino.
«Vaffanculo» bofonchiò Cyril all'indirizzo del guardiano che se ne stava andando. Poi lasciò passare Christmas e lo seguì nel magazzino.
Karl era sempre immobile. E si reggeva con una mano al muro.
Tutto il peso di quello che era appena successo gli schiacciava le spalle e gli pigiava come una piastra sui polmoni. Era finita. Karl Jarach sarebbe tornato da dove era venuto, pensava. Sarebbe tornato a essere un polacco, figlio di immigrati. Sarebbe tornato a frequentare la comunità, i balli e le feste nei capannoni e avrebbe sposato una brava ragazza del suo paese. "Chiodi senza testa, chiodi da tappezziere, chiodi a testa larga, chiodi a muro…" «Mister Jarach» lo chiamò Christmas, affacciandosi sulla porta. «È sicuro di stare bene?» Karl annuì con faccia tirata, scese le scale ed entrò nel magazzino. "Viti a ferro, viti a legno, viti a tassello…" pensava.
«Hai talento, ragazzo» stava dicendo intanto Cyril. «Non dar retta a questi coglioni. Hai talento da vendere, porca troia. Così tanto talento che… ah, vaffanculo, vaffanculo e vaffanculo un'altra volta. Paese di merda… il sogno americano questo cazzo. Se non sei uno di loro il sogno te lo ficchi in culo… ma tu non mollare» e Cyril prese Christmas per le spalle e gliele scosse. «Guardami. Guarda questo negro e ascoltami bene: tu hai i numeri, ragazzo. Tu puoi farcela. Mi hai capito?»
«Sì» sorrise Christmas.
«Dico davvero» e Cyril lo scosse ancora per le spalle, con vigore affettuoso. «Non mollare o l'avrai data vinta a dei coglioni. Mi hai capito?»
«Sì, Cyril» disse Christmas. «Grazie.» Karl era sulla porta. "Lima a ferro, lima a legno, martello da carpentiere, martello da ciabattino, martelletto da orologiaio, cacciavite spaccato lungo, cacciavite spaccato corto, pinza a molla, pinza a pappagallo…" continuava a elencare mentalmente mentre guardava quei due. Gente da magazzino. Gente da seminterrato, non da settimo piano. Un negro e un italiano. Due immigrati. Come lui. E si sentì solo, non semplicemente vinto perché per salire le scale che lo avevano portato in cima al palazzo della N.Y. Broadcast aveva trascurato quello che c'era tra quei due. Amicizia, solidarietà. Tutto ciò a cui lui aveva rinunciato per la sua scalata. "Sega a legno a denti larghi, sega a legno a denti fini, sega per traforo, sega a ferro con lama intercambiabile, sega da scasso, seghetto per cornici…" E adesso era di nuovo al punto di partenza. In un seminterrato. Senza possibilità di salire. E in più era solo.
«Vi lascio» disse allora, perché si sentiva di troppo.
Christmas e Cyril si voltarono a guardarlo.
E Karl vide nei loro occhi che non avrebbero avuto parole d'incoraggiamento per lui. Né solidarietà. Perché lui era stato superbo. Perché Karl Jarach aveva creduto di potercela fare da solo. E ora, da solo, sarebbe tornato a fare quello a cui era destinato.
"Sgorbia dritta, sgorbia inclinata, sgorbia ad angolo retto, sgorbia tonda larga, sgorbia tonda stretta…" «E lei che farà ora, mister Jarach?» gli chiese Christmas.
«Occhiello a vite, occhiello passante, occhiello con dado…» disse Karl, con uno strano sorriso dipinto sulle labbra.
«Come?» fece Christmas aggrottando le sopracciglia.
«Niente» disse Karl scuotendo il capo. «Pensavo ad alta voce» e si avviò verso la porta del magazzino che dava sul vicolo dal quale sarebbe tornato al mondo al quale apparteneva.
«Non mollare, ragazzo» sentì che Cyril diceva a Christmas.
«Non mollare, porca troia.» E Karl sperò che qualcuno dicesse anche a lui di non mollare.
E sentì un immenso vuoto dentro perché sapeva che nessuno gliel'avrebbe detto.
«Se non fossi un negro morto di fame te la costruirei io la radio, cazzo» continuava Cyril.
"Cazzuole, stecche semplici, stecche con manico, mazzuole…" «Te la costruirei con le mie mani e tutta New York ti ascolterebbe, alla faccia di quei coglioni» diceva la voce appassionata di Cyril.
"Trapano a mano, fresa, punte per ferro, punte per legno, punte per muro…" «Sai che cazzo ci vuole per costruire un trasmettitore come si deve?» insisteva Cyril mentre Karl apriva la porta del magazzino e si sentiva investire dall'aria fredda e umida della città. «Tecnicamente sarebbe una cazzata per me…» "Traverse, putrelle, dadi, bulloni, fili cerati…" «… ma ci vogliono i soldi…» "Rivetti a strappo, rivetti in alluminio a testa larga, supporto per trave aperto, supporto per trave chiuso…" pensava Karl ossessivamente, mentre abbandonava la maniglia della porta che lo espelleva definitivamente dalla N.Y. Broadcast riconsegnandolo al suo destino. Alla fiorente ferramenta del padre.
«… un sacco di soldi…» "Fascette stringitubo, fascette di cablaggio, morsetti, fune d'acciaio…" continuava a pensare Karl, ma rallentando la sua uscita, perché improvvisamente quello che stava dicendo Cyril aveva un senso coerente ai suoi pensieri.
«Se solo avessi un po' di soldi te la costruirei io la radio e tu potresti far sentire a tutti i newyorkesi la tua trasmissione…»
«Io ho i materiali!» esclamò all'improvviso Karl, rientrando nel magazzino. «Io ho i materiali!» Christmas e Cyril si voltarono a guardarlo sorpresi.
Karl richiuse la porta e li raggiunse. Si sentiva eccitato. E di nuovo pieno di vita. «Non dobbiamo mollare» disse a Christmas.
E dicendolo fu come se qualcuno lo stesse dicendo a lui. «Non dobbiamo mollare» ripetè, perché quella semplice frase ora lo faceva sentire meno solo. «Ho io i materiali per costruire la radio.
Mio padre ha una ferramenta. Una grande ferramenta. Ci darà tutto quello che ci serve» fece rivolto a Cyril. «Davvero sei sicuro di poter costruire una stazione radio?» Christmas guardò Cyril.
«Credo…» disse il magazziniere.
«Credi?» fece Karl.
«E quella che hai costruito a casa tua?» disse Christmas.
«Quella… sì, be', è un trasmettitore artigianale… copre solo un isolato…» farfugliò confuso Cyril.
«Puoi costruirla o no?» lo incalzò Karl.
Cyril si grattò la testa, pensando.
«Cyril…» disse Christmas.
«Non mettermi fretta, ragazzo!» scattò Cyril. Poi voltò le spalle ai due e cominciò a camminare su e giù per il magazzino. Ogni tanto si fermava davanti a uno scaffale, prendeva un pezzo in mano e lo esaminava, borbottando. Lo rimetteva al suo posto e riprendeva a camminare a testa bassa.
Christmas e Karl lo osservavano tesi, in silenzio.
Alla fine Cyril si fermò e incrociò le braccia in petto, con un'espressione indecifrabile in volto.
«Allora?» chiese Christmas.
«Risparmia il fiato per la tua trasmissione, ragazzo» disse Cyril.
«Ce la puoi fare?» chiese Karl.
«Lei pensa di potermi procurare quello che mi serve?»
«Tutto quello che vuoi» disse Karl.
Cyril ciondolò la testa in su e giù, con un'aria sorniona. «Per essere un bianco non è male, mister Jarach» disse.
«Chiamami Karl.» Cyril sorrise con una fierezza soddisfatta. «Il succo non cambia. Non sei male per essere un bianco.»
«Allora? Si può fare?» chiese Karl.
«Sì» disse Cyril.
«Si può fare davvero, Cyril?» chiese al colmo dell'eccitazione Christmas.
«Si può fare, sì, si può fare!» rise Cyril.