56.
Manhattan, 1928.
«Questo microfono è una merda» scattò Christmas, seduto alla sua postazione clandestina della CKC e guardò nervosamente l'orologio.
«Che ha?» disse Cyril.
Christmas non rispose. Guardò di nuovo l'orologio. Le sette e venti. Solo dieci minuti alla diretta. E l'ospite ancora non si vedeva. Chissà che faccia avrebbero fatto Karl e Cyril trovandoselo davanti. Ma il piacere di pregustare la scena era rovinato da quel misto di livore e incredulità che gli covava dentro da quando aveva saputo di Karl. Karl il traditore. Karl il bastardo. Ma era arrivata anche la sua ora. Aveva alimentato la sua rabbia per una settimana intera, senza lasciarsi scappare una sola parola. Era arrivato il momento della resa dei conti. Con uno scatto isterico smontò il microfono e frugò in un cassetto.
Karl lo guardava con un'espressione accigliata.
«Che stai cercando?» chiese Cyril pazientemente.
Christmas di nuovo non rispose. Imprecò a bassa voce e buttò all'aria cavi e spinotti. Poi guardò ancora l'orologio.
«Che ha che non va questo microfono?» disse di nuovo Cyril, esaminandolo.
Christmas si voltò e glielo strappò sgarbatamente di mano. «È robaccia, non vale un soldo» bofonchiò con astio.
«Ha ragione, Cyril. Per un divo come lui ci vuole solo il meglio» disse Karl, in tono sarcastico.
Christmas lo fissò con occhi bui.
Karl resse lo sguardo, poi si girò verso la finestra e scostò il panno nero per guardare fuori.
«Chiudi» ordinò Christmas. «La luce mi dà fastidio, lo sai.»
«Sono tante le cose che ti danno fastidio, ultimamente» gli rispose Karl, riaccostando il panno.
«Già, hai ragione» disse cupo Christmas. «E in cima alla lista ci sei tu.»
«Ma si può sapere che vi prende?» intervenne Cyril alzandosi in piedi e mettendosi come casualmente tra i due. «Mancano meno di dieci minuti. Vediamo di calmarci» disse in tono conciliante. «È la fama che vi fa litigare come due donnette isteriche?» e rise, scuotendo la testa.
«Quando uno viene dal niente gli basta poco per montarsi la testa» disse Karl fissando Christmas.
«E quando uno fa il leccapiedi dei capi vende la gente come se fossero i chiodi della sua ferramenta di merda. Un tanto al chilo» sibilò Christmas guardandolo con aria di sfida.
Cyril li guardò sbigottito. «Mi dite che cazzo succede?» chiese duro. Guardò l'orologio. «Ma spiegatemelo in fretta perché io fra otto minuti vado in onda.» Christmas rise gelido. «Dai, Karl. Spiegalo a tutti quelli che ci ascoltano che vuoi venderci per due soldi.»
«Sei patetico» fece Karl scuotendo la testa. «Almeno abbi i coglioni di dirlo.»
«Dire cosa?» chiese Cyril sospettoso.
«Il ragazzo si vende ai pesci grossi. Molla me, te e tutta la baracca. Ha deciso di volare alto e al diavolo quelli che hanno creduto in lui» disse con disprezzo.
«Bella questa storiella» Christmas gli puntò un dito contro, voltandosi verso Cyril. La sua voce vibrava di rabbia. «Lo sai cosa sta combinando? È andato dai papaveri della N.Y. Broadcast per vendere la nostra baracca a niente, in cambio di un posto al sole per la sua scrivania!»
«Che cazzo stai dicendo?» scattò Karl afferrandolo per il bavero.
«Che cazzo stai dicendo tu!» gridò Christmas liberandosi con un gesto brusco.
«Fatela finita.» La voce di Cyril, simile a un ringhio, fece scendere nella stanza un silenzio teso, rotto solo dai respiri affannati dei due. «E adesso spiegatemi di che cosa state parlando» disse poi.
«È stato alla N.Y. Broadcast» sibilò Karl.
Cyril guardò Christmas. «È vero?» chiese con voce pacata.
Christmas rimase in silenzio.
Karl fece un sorriso amaro. «Quanto ti hanno offerto?»
«Più di quanto hai chiesto tu per vendermi» rispose duro Christmas.
«Non dire stronzate» Karl prese per le spalle Cyril e lo voltò verso Christmas. «Guardalo il tuo ragazzo. Guardalo. È già diventato uno squalo. Ma che potevamo aspettarci da uno che frequenta solo delinquenti? Guardalo. Se ne va. Diglielo, avanti, diglielo che te ne vai, Christmas.»
«È vero?» chiese di nuovo Cyril.
Christmas lo guardò. In silenzio. Poi gli chiese: «Gli credi?».
Cyril lo fissò. «Io credo a quello che vedo» disse.
«E che vedi?» fece Christmas.
«Vedo che mancano cinque minuti alla trasmissione. Vedo che tu continui a guardare l'orologio come un condannato a morte» disse Cyril. «E soprattutto vedo due galletti che s'azzuffano nel pollaio, che si riempiono la bocca di parole. Ma non vedo un solo fatto.» Christmas si voltò verso Karl. Si alzò in piedi e gli andò vicino.
Così vicino che i loro visi quasi si toccavano. «Sei stato anche tu alla N.Y. Broadcast…»
«No» disse Karl.
«Prima di me, prima che mi chiamassero…»
«No.»
«Volevi vendergli il programma. E hai detto a quella merda di Howe che mi avresti convinto a lavorare per pochi dollari.» Karl lo guardò in silenzio. Senza abbassare gli occhi, senza arretrare di un solo passo. Senza un'ombra di cedimento o di incertezza. «Ti hanno fottuto» disse poi con voce ferma. «Non ho fatto nulla di tutto questo.» Christmas misurò lo sguardo di Karl, colpito dalla sua sicurezza. E, nello stesso tempo, spiazzato dalle proprie contrastanti emozioni. Da un lato ancora l'eco della rabbia per il tradimento, dall'altro la sensazione che Karl stesse dicendo la verità. Da un lato il rancore ingiustamente covato per giorni, dall'altro una nuova rabbia mista a vergogna per essere stato scoperto da Karl.
E mentre si dibatteva tra queste forze opposte, senza riuscire a parlare – reggendo lo sguardo severo di Karl, nel quale leggeva il suo stesso rimprovero e disprezzo, la stessa accusa e condanna dall'ingresso sentì provenire un gran trambusto.
«Chi siete?» chiedeva sospettosa e impaurita sorella Bessie.
«Christmas mi aspetta, mi faccia passare, è tardi!» E poi si sovrapponeva un'altra voce, indistinta, come di qualcuno che parlasse con una mano davanti alla bocca.
«Che succede?» disse Cyril che stava per affacciarsi alla porta.
In quel momento un ragazzo e un uomo incappucciato, con un elegante cappotto scuro di cachemire, entrarono nella stanza seguiti da sorella Bessie.
«Levami quest'affare. Sto soffocando» disse l'incappucciato.
Cyril guardava a occhi spalancati.
Sorella Bessie chiese: «Li conosci, Christmas?».
«Levagli il cappuccio, Santo» disse Christmas senza smettere di fissare Karl.
E Karl non distoglieva gli occhi da Christmas.
Santo levò il cappuccio all'uomo.
«Ma lei è Fred Àstaire!» esclamò sorella Bessie.
«È stato divertente ma non ne potevo più» disse Fred Astaire, passandosi una mano sui capelli. Poi vide Christmas e Karl che si fissavano in silenzio, i visi a non più di un palmo di distanza tra loro. «Cos'è? Un duello?» chiese ridendo.
Né Christmas né Karl gli risposero. Né voltarono il capo. Continuavano a fronteggiarsi in silenzio.
«Allora?» disse Karl, duro. «Ti sei venduto?»
«Gli ho detto di no. Ieri» rispose Christmas con voce decisa.
Cyril buttò fuori un lungo, sonoro fiato, come se fino ad allora avesse trattenuto l'aria, senza respirare. «Scusate se disturbo» intervenne pratico, «ma vi ricordo che avremmo una trasmissione da mandare in onda, che mancano trenta secondi e che Fred Astaire è arrivato a casa di sorella Bessie incappucciato.» Scuotendo il capo si avvicinò alla strumentazione e cominciò ad armeggiare. «Io non ci capisco più niente…» borbottò.
Christmas si voltò verso Fred Astaire. Recuperò il controllo e gli sorrise. «Grazie, mister Astaire» disse e con un gesto teatrale lo indicò a Cyril. «Mister Astaire è il primo ospite di Diamond Dogs.» Batté una mano sulla spalla di Santo e gli strizzò l'occhio.
«E lui è Santo, l'altro membro dei Diamond Dogs nonché il nuovo direttore del reparto abbigliamento di Macy's. E guadagna così tanti soldi da possedere una macchina, cosa che ci ha permesso di rapire mister Astaire.»
«Sempre agli ordini, capo» disse Santo.
«Voi siete pazzi» brontolò Cyril accendendo una serie di pulsanti. «Trenta secondi…»
«Si ricorda come iniziare, mister Astaire?» gli chiese Christmas.
«Ho fatto i compiti, sì» rispose Fred Astaire.
«Venti…» e intanto Cyril guardò burbero Karl e Christmas.
«Voi due avete finito di graffiarvi, ragazze?» Christmas si voltò verso Karl. I loro occhi, incrociandosi, erano ancora carichi di tensione.
«Dieci…» Fred Astaire si sedette e prese il microfono in mano.
«Pensavo che ti fidassi di me» disse Christmas, teso.
«Cinque…»
«Anch'io» fece Karl con uno sguardo duro.
«In onda» fremette Cyril e pigiò un pulsante.
Christmas e Karl si fissavano con un'espressione glaciale.
«Buonanotte, New York…» disse una voce.
Tutti si voltarono a guardare.
«Lo so, non è la voce del vostro Christmas. In effetti sono Fred Astaire…» Christmas staccò lo sguardo da Karl e si sedette a fianco dell'attore.
«Vi parlo dalla sede clandestina della CKC, amici» continuò Fred Astaire. «Ma non chiedetemi come ci sono arrivato. Mi hanno rapito. Mi hanno ficcato un cappuccio in testa, mi hanno buttato in una macchina e fatto girare a vuoto per mezz'ora, per confondermi le idee…»
«E ci siamo riusciti, mister Astaire?» chiese Christmas nel microfono.
«Puoi giurarci» rise Fred Astaire. «Non sono male i sistemi di voi gangster.» Rise anche Christmas. Ma non cercò Karl con lo sguardo, come faceva sempre, per leggere nei suoi occhi il consenso. E Karl rise ma senza guardare Christmas, per non dovergli negare il suo sostegno, come invece aveva sempre fatto. Tutti e due sapevano che qualcosa si era incrinato.
«Ma non preoccuparti, New York» continuò allegro Fred Astaire.
«Sono sano e salvo. Appena finita la trasmissione torno libero e vi aspetto tutti a teatro, stasera… in fondo, stavo riflettendo, non è che gangster e attori siano poi così differenti. Ho un paio di storielle piuttosto interessanti da raccontarvi. Anche noi abbiamo i nostri metodi per far fuori un collega…» E Christmas, Karl, Cyril, Santo e sorella Bessie risero. E gli ascoltatori che erano sintonizzati risero. E i gangster risero. E Cetta rise portandosi le mani alla bocca per l'emozione. E Sai ridacchiò, borbottando: «Finocchio».
«C'è solo una razza peggiore di gangster e attori» riprese la voce di Fred Astaire. «Sto parlando degli avvocati, naturalmente.»