ELLA

«Dobbiamo proprio andare a casa?», piagnucolo.

Non avrei mai pensato di essere così piagnona e detesto di essere diventata una moglie da poche settimane prima di iniziare a esserlo, ma la verità è che…

Davvero non voglio tornare a casa.

Adesso in Norvegia fa freddo e c’è la neve e qui sullo yacht ancorato al largo di Tenerife nelle Isole Canarie fa caldo, c’è il sole ed è fantastico.

Certo, questa luna di miele è stata particolarmente giustificata perché è stata un po’ rimandata. Dopo il matrimonio, è arrivato il Natale e quindi abbiamo passato un sacco di tempo con la nuova famiglia tra la nostra tenuta e il palazzo reale mentre festeggiavamo le vacanze.

Adesso siamo finalmente a gennaio ed è tutto pronto per un nuovo inizio.

Di sicuro aiuta il fatto che il mio principe nonché marito reale e super sexy abbia bighellonato sul ponte insieme a me quasi con niente addosso e con la pelle tutta oliata e lucente per il sole.

Dio, amo quest’uomo.

Amo il fatto che ci siamo avvicinati tantissimo da quando ci siamo sposati. È come se avessimo passato finalmente l’esame e adesso possiamo rilassarci e goderci la relazione che coltiviamo per noi stessi e non quella che il pubblico conosce.

Non mi dà neanche più fastidio il modo in cui abbiamo cominciato. Per come la vedo io, è solo il modo in cui ci siamo incontrati, un modo estremamente poco convenzionale. Magari non è il modo che conoscono tutti, ma è il nostro ed è valido. Ciò che conta adesso è ciò che proviamo l’uno per l’altra.

E ciò che provo in questo momento è, be’, qualcosa di vivace.

Magnus è steso sulla schiena, con il viso coperto da un asciugamano per evitare il sole e con il corpo in bella mostra. Da quando siamo sullo yacht, non si sono visti paparazzi in giro. Penso che sia dovuto al fatto che lo yacht reale si trova a largo delle coste greche, con a bordo Cristina e il suo fidanzato che, da lontano, somigliano a me e Magnus. Sono un diversivo perfetto e ha funzionato per tutta la luna di miele, dandoci la privacy di cui avevamo tanto bisogno.

E ne abbiamo bisogno. Standomene distesa qui a fissare mio marito in tutta la sua gloria scolpita, muscolosa e baciata dal sole, mi risulta difficile tenere le mani a posto.

Mi avvicino a lui di soppiatto.

«Magnus», sussurro per non spaventarlo.

«Mmmm?», chiede pigramente da sotto l’asciugamano.

Metto le dita sul petto duro e teso e le faccio scendere lentamente e in modo seducente verso il basso, finché non scivolano sugli addominali rigidi per via della lozione solare che gli rende unta la pelle.

«Ti va di fare una nuotata?», gli domando con voce gutturale, desiderandolo. Penso che il matrimonio e questo sole siano una combinazione letale.

Lui si schiarisce la voce. «Mi sto accendendo, penso».

La mia mano scende ancora, scivola sulla protuberanza nel costume e sento il suo cazzo sussultare e farsi più duro sotto il mio palmo.

«Penso proprio di sì».

Si toglie l’asciugamano dalla testa e inclina il capo verso di me, mentre la mia sfrontatezza si riflette nei suoi occhiali da aviatore. «Dov’è Einar?».

Dalla cabina di pilotaggio qualcuno si schiarisce la voce. «Proprio qui, signore».

Ah sì. È proprio per questo che volevo andare a farmi una nuotata. Di sotto fa troppo caldo e quando siamo sul ponte, be’, Einar sembra essere ovunque.

Magnus solleva la testa e lo guarda. «Sì. Eccoti qui». Mi guarda. «Andiamo?».

Ci alziamo entrambi e, prima ancora di riuscire a pensare a cosa fare, Magnus si mette a correre sul ponte e si lancia fuori bordo, facendo una capriola prima di entrare nell’oceano con un tuffo perfetto.

Esibizionista.

Vado al bordo e guardo giù. «Eri un ginnasta in un’altra vita?».

Sta nuotando nell’acqua azzurra, con i capelli attaccati alla fronte, e solleva lo sguardo verso di me. «Non lo so». Solleva lo sguardo sullo yacht e su Einar. «Che voto gli daresti?!», gli urla.

«Otto su dieci, signore», dice Einar.

«Solo otto?», si lamenta Magnus. «L’entrata in acqua è stata perfetta».

«Si è tuffato con gli occhiali, signore, che senza dubbio stanno arrivando sul fondo adesso».

«Merda», impreca Magnus. Mi guarda. «Ella, vieni qua prima che ti faccia lanciare fuori da Einar».

«Non oseresti mai!», gli dico.

«Einar», ordina lui.

Einar si alza e inizia a venire verso di me.

«Okay, okay, vengo», dico rapidamente, facendo attenzione mentre scavalco la balaustra. Non mi faccio lanciare fuori da quell’uomo neanche per sogno.

Mi metto in piedi sul bordo, faccio un respiro profondo e salto.

L’acqua è più fredda di quanto si pensi, soprattutto visto che la temperatura esterna è così calda, ed è uno shock per il mio corpo. Penso anche che sto affondando più del previsto, ma poi sento la mano di Magnus sul mio braccio che mi tira su verso la superficie.

Quando emergo, strillo e sputo l’acqua. «Aah, è fredda!».

«Smettila di fare la smidollata», dice Magnus.

«Non sono una smidollata», protesto galleggiando vicino a lui. «Tu hai sangue norvegese, cavolo».

«E ho anche un cazzo folle e norvegese», mormora lui stringendomi un braccio intorno alla vita e attirandomi a sé. Da che era spensierato e dispettoso, il suo sguardo ha iniziato ad accendersi per il desiderio.

Gli rivolgo un gran sorriso. «Ti sei lasciato scappare un bel gioco di parole sui pesci norvegesi. Mi deludi molto».

«Hai ragione. Suppongo che fossi un po’ distratto». Guarda da sopra la mia spalla fino alla barca, cercando di capire se Einar riesce a vederci oppure no. Per stare sicuri, anche se mi tiene ancora per la vita, inizia a nuotare all’indietro finché non ci troviamo vicino all’ancora di prua.

«Allora, dov’ero rimasto?», dice facendo scendere lo sguardo fino alle mie labbra.

È buffo come basti un suo sguardo per mandarmi il corpo su di giri. Mi aggrappo con le gambe alla sua vita e lui fa scivolare le dita sulla parte anteriore del mio costume, strusciandole su di me.

«Qui?», chiedo guardandomi intorno. Anche se Einar non può vederci, non significa che non ci riescano le barche di passaggio. So che i paparazzi non ci hanno ancora scoperto alle Isole Canarie, ma basta una foto.

Detto ciò, sono sicura che una coppia che fa sesso durante la luna di miele verrà perdonata.

«Reggiti alla catena», sussurra avvicinandosi e prendendo il mio labbro inferiore tra i denti per tirarlo.

Un breve gemito mi sfugge dalle labbra mentre la pressione delle sue dita si fa più forte. Abbassa l’altra mano per liberare il pene dal costume mentre io afferro la catena dell’ancora.

«No, più in alto», mi dice.

Sollevo le braccia sopra la testa e mi reggo alla catena.

«Dio, quanto sei sexy», borbotta fissandomi i seni mentre il mio petto viene spinto all’infuori. Poi afferra la catena con una mano, proprio sotto al punto in cui mi sto reggendo io.

«Ci sei?», gli domando mentre le sue labbra si poggiano sul mio collo e succhiano l’acqua salata che ho addosso.

«Mmm». Magnus spinge di lato il pezzo inferiore del bikini e struscia su e giù la punta del pene sulla mia fessura, stuzzicandola mooolto lentamente.

Non ho mai fatto sesso in acqua prima d’ora – prima di Magnus, non avevo mai fatto sesso in piedi, figurarsi in pubblico – e sono felice che mi faccia diventare così bagnata e vogliosa in poco tempo perché, quando inizia a spingersi dentro, sento tutto. Trattengo il fiato e serro le dita intorno alla catena nel tentativo di reggermi.

«Mi stai facendo vedere le stelle», mi dice leccandomi un lobo. «Andrò piano finché non mi dirai di accelerare».

Annuisco ed espiro, sentendomi allargare intorno a lui. La pressione delle sue dita sul clitoride mi fa sentire dolorosamente vuota, come se avessi bisogno di sentirlo ancora di più dentro di me, come se non ne avessi mai abbastanza di lui.

«Ecco qui», geme, con la bocca sul mio collo. «Cazzo, sì. Oh, Ella. Dimmi ciò che provi. Quanto è duro e spesso il mio uccello? Vuoi che entri ancora di più?».

Non riesco a trovare le parole. Faccio un verso d’incoraggiamento stupefatto e cerco di respirare e rivolgo la testa verso il cielo azzurro sopra di noi. Lui inizia a spingere sempre di più, sempre più in profondità, e i suoi fianchi toccano i miei con colpi controllati. La frizione dell’acqua sembra rallentare il tempo, facendomi sentire ogni suo centimetro mentre si spinge dentro e fuori.

Non so se sia l’acqua turchese dell’Atlantico che ci circonda o il forte sole che illumina tutto, ma non mi sono mai sentita così viva, libera e selvaggia. Mio marito, il mio mondo, mi sta scopando per bene e penso che a ogni spinta stia imprimendo se stesso dentro di me.

Magnus alza lo sguardo dal mio collo, mi fissa dritto negli occhi, con i capelli tutti bagnati e scivolosi. Ha il respiro corto e irregolare mentre entra ed esce da dentro di me, seguendo il ritmo. Tuttavia, quegli occhi castani non si staccano mai dai miei e li guardo mentre il fuoco aumenta dentro di loro, così come aumenta dentro di me.

Non riesco a resistere ancora. O cerco di controllarmi o mi reggo alla catena. «Oh cazzo, Magnus», gemo a bassa voce. «Sto venendo».

«Cazzo», impreca lui serrando gli occhi mentre spinge sempre più forte, sempre più in profondità e le sue dita strusciano sul clitoride completando l’opera. Le mie dita scivolano dalla catena e mi aggrappo disperatamente a lui, agitando le gambe per non affondare mentre mi lascio andare, e lui spinge dentro di me finché non grugnisce e impreca contro la mia spalla, liberandosi a sua volta.

Quando finalmente riprendo fiato, sollevo la testa e gli rivolgo un sorriso sbilenco. «Buona luna di miele a me».

Lui mi bacia con dolcezza sulle labbra prima di uscire lentamente da dentro di me. «Buona luna di miele a noi». Rimette tutto dentro il costume. «Che voto mi dai?».

Io sorrido felice. «Dieci su dieci».

«Hai sentito, Einar?!», grida. «Dieci su dieci!».

Anche se siamo stati via solo una settimana, mi sento una persona diversa da quando sono tornata a Thornfield Hall. Non solo Magnus e io siamo entrambi belli abbronzati (okay, io sono ancora un po’ pallida con l’aggiunta di qualche lentiggine), ma mi sento come se mi fossi tolta un peso enorme. Adesso, se mi guardo attorno in questo posto, sento che è nostro e nostro solamente.

Be’, a parte il fatto che lo dividiamo con Jane, Einar, Ottar e uno stormo di cuochi, autisti e domestici. Anche così, però, è nostro e stiamo dando il nostro stile alle cose. Tra l’altro, abbiamo anche avuto il nostro francobollo ufficiale dopo il matrimonio, per non parlare della moneta.

Ho tanti programmi da mettere in atto. Voglio prendere un cane, voglio iniziare a ridipingere alcune stanze, voglio iniziare a prendere lezioni di equitazione, voglio iniziare a pianificare la mia organizzazione no-profit. Voglio gettarmi a capofitto in questa nuova vita.

Oggi, però, passerò la giornata in salotto con Magnus a vedere i regali per il matrimonio e a scrivere bigliettini di ringraziamento.

Con la neve che cade leggera fuori, le cioccolate calde vicine a noi e il fuoco scoppiettante, è piuttosto piacevole, a dire la verità.

Per me, per lo meno. So che dover stare seduto qui a fare tutto questo per Magnus è noioso da morire.

«Possiamo renderlo un gioco», gli dico. «Per renderlo più interessante e divertente».

Lui fa un sospiro drammatico. «No. Va bene così». Fa una pausa. «Non puoi falsificare la mia firma e basta?»

«No», rispondo e poi lo guardo mentre allunga una mano dietro un cuscino del divano e tira fuori una bottiglia di qualcosa e ne versa un po’ nella sua cioccolata. «Che cos’è?»

«Una medicina», dice. «Per evitare di morire di noia». Io alzo gli occhi al cielo. Riesco a sentire l’odore di whisky da qui.

Solleva da dentro una scatola una specie di corona di cartapesta e guarda il biglietto. «Insomma, ma che cos’è? E perché mai il Duca di Cornopaglia dovrebbe mandarcela?».

Gli prendo la roba di cartapesta dalle mani. «È il Duca di Cornovaglia. Ovvero, il Principe Carlo, coglione. Abbi un po’ di rispetto».

«Rispetto? Sei tu quella che mi ha appena dato del coglione».

«Come faccio sempre».

Lui sospira e scarabocchia qualcosa sul biglietto prima di passarmelo. «Eccezionalmente suo?», leggo ad alta voce.

«È il mio biglietto da visita».

«Potevi scrivere solo “grazie”».

«Sì, però così suona meglio, non trovi? Eccezionalmente suo, Sua Altezza Reale il Principe Ereditario Magnus di Norvegia».

«È lunghissimo».

Muove su e giù le sopracciglia e mi guarda con un sorriso lascivo. «Sai che ce l’ho così».

All’improvviso, una forte bussata alla porta ci fa saltare tutti per lo spavento, incluso Einar, che se n’è rimasto seduto in un angolo della stanza a fare del suo meglio per ignorare i nostri battibecchi.

«Aspettiamo qualcuno?», domando mentre Einar attraversa a grandi passi la stanza e sparisce nell’ingresso. Jane è andata in città con Ottar, ma non dovrebbero tornare prima di qualche ora.

«Dio, spero che non sia il Duca di Cornopaglia», dice Magnus alzandosi in piedi. «Con quelle orecchie scommetto che ha sentito tutto».

Sento la porta d’ingresso aprirsi ed Einar parlare con qualcuno in norvegese. Sembra piuttosto rude e arrabbiato e non riesco a capire cosa stia dicendo.

«Che dice?», chiedo a Magnus, ma lui si sta già dirigendo nell’ingresso. Mi accorgo della paura nel suo sguardo.

Non è niente di buono.

Mi alzo dal divano e mi affretto a seguirli.

Giro l’angolo dell’ingresso e rimango pietrificata quando vedo chi c’è alla porta.

Quella Heidi Lundström del cazzo.

Se ne sta lì con addosso un grosso cappotto di pelliccia, che mi fa rabbrividire al solo pensiero di quanti orsi sono morti per farla, e con una busta da lettere in mano. Dietro di lei nel vialetto c’è una macchina con il simbolo del primo ministro che la aspetta.

Ha gli occhi feroci e cupi mentre guarda Magnus sventolandogli davanti la busta e, nel momento in cui mi vede, sembrano farsi ancora più malvagia.

«Suppongo che anche tu debba sentire», dice in inglese.

Magnus mi guarda con occhi spalancati e la mascella serrata, scuotendo la testa per dirmi di stare indietro, ma non succederà mai.

Mi avvicino a loro. «Che c’è? Che succede?».

Heidi guarda Einar. «Non penso che tu debba rimanere. A meno che non pensi che sia una minaccia».

Einar guarda Magnus in attesa delle sue istruzioni.

Magnus si limita a fargli un solenne cenno della testa.

Einar se ne va, anche se so che non andrà molto lontano.

Il che mi fa pensare che la gente che dice di non essere una minaccia di solito lo è. Porta con sé un coltello?

«Come hai fatto a entrare?», le chiedo.

«Ho preso la macchina di mio padre», dice scrollando le spalle. Poi il suo sguardo si fa di nuovo acceso e si rivolge a Magnus. «Tua madre è stata gentile a invitarmi al matrimonio. So che tu non c’entravi niente».

«Che cosa vuoi, Heidi?», dice Magnus incrociando le braccia e allargando le gambe con fare serio.

Lei non si intimidisce. «Cosa voglio? Cosa voglio?». Fa una risata sarcastica. «Voglio un palazzo, proprio come questo. Magari proprio questo. Voglio il prestigio e soldi e adorazione. Voglio la mia faccia su una moneta. Voglio un titolo. Voglio il potere che mio padre si rifiuta di darmi. Voglio ogni singola cosa che la Principessa Ella ha. Incluso te, Magnus. Soprattutto te».

Questa ha già un biglietto di sola andata per la Città dei Matti. La fermata successiva è Delusionville.

Guardo Magnus con le sopracciglia alzate e la bocca spalancata. Vorrei ridere ma c’è qualcosa in ciò che dice, qualcosa nel fatto che sia qui, dopo aver praticamente rubato la macchina del padre, che mi fa riflettere.

Non è divertente.

E non finirà neanche bene.

«Heidi», dice Magnus con un tono più gentile e più fermo possibile, «lo sai che tra noi è finita. Adesso sono sposato con Ella. È mia moglie. Siamo molto felici. Lo so che tendi a, ehm, farti prendere dalle cose e dalle emozioni, so che hai dei problemi da affrontare, ma ti giuro che questa non è la soluzione. Ci siamo divertiti. È passato ormai. Io sono andato avanti e devi farlo anche tu».

Lei lo fissa con sguardo assente e il labbro inferiore le trema per un attimo.

Poi inclina la testa e dice: «No».

«Devi andartene», esclama Magnus dopo un attimo, sembrando un po’ sorpreso della sua reazione, proprio come me. «Se non te ne vai, dovrò farti cacciare».

«Non me ne andrò finché non saprai la verità», dice e poi mi guarda. «Finché lei non saprà la verità».

Sbatte la busta sul petto di Magnus.

«Che cos’è?», domanda lui.

«Un test di paternità».

Lo stomaco mi sprofonda.

Oh mio dio.

No.

«Un… cosa?», chiede Magnus rovistando velocemente nella busta per tirar fuori i fogli.

«Un test di paternità», risponde lei. «Sono incinta, Magnus. E tu sei il padre».

No.

Non può essere.

«Sta mentendo», riesco a dire con voce strozzata e la mano sul petto, come per tenere intatto il mio cuore. «È impossibile».

Heidi mi rivolge un sorriso scaltro. «Non è impossibile. Abbiamo fatto sesso a metà settembre. Quattro mesi fa». Allunga una mano e tamburella le dita sulla busta. «Questo prova tutto».

Non riesco a credere che stia succedendo.

Non può succederci questo.

Sento il petto comprimersi, penso di non riuscire a respirare.

Magnus sembra totalmente esterrefatto e la faccia gli sta diventando pallida. «Non ti ho mai dato il mio DNA».

«Se pensi che mio padre non abbia il tuo DNA da qualche parte, ti sbagli di grosso».

«Non si vede…», dico ma poi mi fermo quando si apre il cappotto e solleva la felpa che indossa. È una ragazza magra, ma la pancia è sporgente e bella tonda, molto di più di una gravidanza allo stato iniziale.

Porca troia.

Riesco solo a scuotere la testa e cerco di digerire l’idea.

Ma non ci riesco.

Non posso.

Non può succedere davvero.

Questo cambierà ogni cosa.

Tutto quello che ho scomparirà.

«Stai mentendo», le dico di nuovo, ritrovando la voce con l’ultimo barlume di speranza a cui posso aggrapparmi. «Stai mentendo, come hai mentito sul video porno. L’hai fatto trapelare tu, sei stata tu a pubblicarlo. Volevi pubblicità. Ora è la stessa cosa. Be’, ascoltami bene, non funzionerà».

Lei mi mostra i denti in un sorriso malevolo. «Funzionerà perché è la verità. E ben presto tutti sapranno che aspetto il figlio del Principe, un bambino concepito mentre voi due avreste dovuto essere insieme. Se pensi che lascerò che Magnus se la cavi con poco, oh, ti sbagli di grosso, povera ragazzina».

Magnus rimane in silenzio, fumante di rabbia. Negli occhi ha un baluginio misto di rabbia e vergogna. «Che cosa vuoi?».

Lei ride. «Non è ovvio? Te». Indica me. «Lei. Voglio la sua vita. E voglio che si tolga di mezzo».

«Questo non succederà mai», le dice Magnus con tono calmo e misurato. «È mia moglie».

«E io creerò un casino che neanche immagini, quindi meglio che la lasci andare prima che lo faccia».

«Non la lascerò andare», dice Magnus. «Dobbiamo… dobbiamo solo capire come fare. Soldi. Ecco cosa vuoi, i soldi».

«Voglio te. I soldi ce li ho».

«Ascolta, Heidi. Mi dispiace…».

«Mi stai dicendo che il Principe Ereditario non riconoscerà suo figlio? È questo il genere di padre che vuoi essere? Il mondo ti giudicherà per questo, ma dovresti essere tu a giudicare te stesso. Questo bambino crescerà senza l’amore di un padre».

Oh mio dio. Sto per vomitare.

Sta succedendo davvero.

Sarà padre, il padre del bambino di un’altra.

Non riesco a sopportarlo.

«Heidi, abbi un po’ di pietà», le dice Magnus, con la voce ridotta a un sussurro. Sta perdendo la battaglia e lo sa.

Lo so anch’io.

Oh dio.

«Sei tu che devi avere pietà di me», ribatte Heidi. «Ti lascerò tenere queste analisi, nel caso tu non mi creda. Fidati, ho abbastanza copie a casa, sai, nel caso in cui mio padre o la stampa le vogliano vedere. Magari anche tuo padre, eh?».

«Senti», dice Magnus respirando profondamente in cerca di aria mentre si passa le mani tra i capelli e li tira per la frustrazione. «Facciamo… Ho bisogno di digerire la faccenda. Anche Ella. Dacci qualche giorno per capire cosa fare».

Heidi incrocia le braccia e ci guarda, sorridendo per le nostre espressioni stupite e spiazzate. Sorride perché sta vincendo.

«Okay. Tornerò. Ma giusto perché tu lo sappia, non c’è niente da capire, Magnus. Da adesso in poi ogni cosa riguarderà me e te. È semplice».

Poi si volta ed esce con sicurezza dalla porta, scendendo le scale.

Magnus ha a stento la forza di chiudere la porta dietro di lei e poi ci si accascia contro, fissando stordito il pavimento piastrellato. «Non sta succedendo davvero», dice. «Non può succederci una cosa del genere. Non adesso. Cazzo, non adesso!». Urla e sbatte i pugni contro la porta.

Dovrei calmarlo, ma sono arrabbiata anch’io e, più passano i secondi, più mi ritrovo a essere arrabbiata con lui.

«Di’ qualcosa», dice Magnus guardandomi attraverso i capelli che gli ricadono sugli occhi. «Per favore. Ella. Di’ qualcosa».

Apro la bocca, tentando di trovare le parole. Nei miei occhi inizia ad accendersi la collera. «Non riesco a crederci».

«Lo so…».

«Non riesco a crederti».

Lui mi guarda in modo aggressivo. «Che c’entro io?»

«Perché, tra tutte le persone, hai dovuto dormire proprio con lei? Non sei esigente neanche un po’? Non hai degli standard?».

Lui si acciglia, incredulo. «Che cosa c’entra questo?»

«C’entra, perché hai dormito con lei e probabilmente sapevi che portava guai. Adesso lei è qui e tenta di rovinarci la vita. Oh mio dio, Magnus. Ci siamo appena sposati. Abbiamo appena… non è giusto. Io non… non posso farlo», gli dico, facendo di tutto per trattenere le lacrime. «No, non posso sopportarlo, non adesso».

«Ella, per favore. Non fare niente».

«Ho bisogno di pensare. Ho bisogno di… Magnus. Non capisci in che posizione mi trovo?».

«Non capisci in che posizione mi trovo io?».

«Sì. Sei un padre. Perché raccogli quello che hai seminato», dico amaramente, in pratica sputando le parole.

«Scusami?»

«Mi hai sentita. Te la sei scopata, ripetutamente, fregandotene del fatto che è pazza. Hai fatto quel dannato video porno. Fai tutte queste cose perché non hai un cazzo di cervello, perché sei incosciente, sei irresponsabile, sei egoista». So che quello che sto dicendo lo ferisce, ma non riesco a fermarmi, la frustrazione e la paura sono troppo forti. «È la tua incapacità di pensare alle conseguenze che ci ha messi in questo casino!».

Magnus mi fissa come se gli avessi appena dato uno schiaffo in faccia. Le narici gli si allargano quando inspira. «Vai. A. Fanculo».

«È la verità, Magnus. Se ci avessi pensato anche solo per un attimo, non sarebbe mai successo».

«Se non avessi mandato tutto a puttane e non mi fossi messo in questo casino, tu non saresti qui!».

«Sì, e magari sarebbe stato meglio».

Lui mi fissa sbalordito. «Che cosa stai dicendo?».

Devo smettere di parlare. Devo riprendere il controllo. Sono ferita e confusa e spaventata. Tanto spaventata dalla piega presa dalla situazione, spaventata dal fatto che alla fine verrò messa da parte. Non importa che siamo sposati, potrebbe comunque scartarmi, potrebbe comunque mettersi con lei.

Serro le labbra per paura di dire qualcosa di cui poi mi pentirei, ma inizio a tremare e a fremere come un vulcano pronto a esplodere.

«Che cosa stai dicendo?», mi chiede di nuovo. «Non dirmi che stai prendendo in considerazione quelle clausole. Non dirmi che è così che gestirai la faccenda. Trasformandoti in una ragazzina e scappando via».

«Non sono una ragazzina! Sono tua moglie e stai per avere un bambino con un’altra donna. Come cazzo pensi che mi senta? Come pensi che dovrei reagire?»

«Non è una mia scelta, Ella! Anch’io sono bloccato in questo cazzo di problema. Che cosa vuoi che faccia? Che volti le spalle a mio figlio? Che la scacci via, quando anche io sono responsabile per quello che è successo?».

Sì. È proprio questo che voglio che accada.

E detesto dirlo, detesto essere questo genere di persona.

Sarebbe meglio se potessimo fingere che Heidi non esista, che non ci sia nessun bambino in arrivo.

Tuttavia, se Magnus lo facesse, se scegliesse di non essere parte di questa cosa, allora non sarebbe la persona che pensavo di aver sposato. L’uomo che ho sposato fa sempre la cosa giusta, a prescindere da quanto sia dolorosa.

Qualsiasi cosa ci accada, perderemo.

Più sto qui a pensarci e più mi sento come se il mio cuore venisse annullato.

Non posso gestire questa storia qui, con lui.

Non andremo da nessuna parte.

Mi volto e mi dirigo in camera nostra.

«Dove vai?», mi urla dietro Magnus.

Non gli rispondo. Afferro la borsa e mi assicuro che ci sia l’essenziale e poi scendo di nuovo di sotto.

Einar è alla porta e Magnus cammina verso di me.

Sbianca quando vede la borsa.

«Dove stai andando?», mi chiede afferrandomi il braccio.

Io mi divincolo, perché non voglio più guardarlo.

«A casa!», gli dico. «Vado a casa».

Supero Einar nell’ingresso. «Quando vedi Jane, dille che manderò qualcuno a prenderla tra qualche giorno».

Lui mi rivolge un sorriso di scuse. «Sì, signora».

Scendo le scale ed entro in macchina mentre un autista corre fuori dalla casa per venirmi dietro, affrettandosi a sedersi sul sedile anteriore.

«Dove la porto?», mi domanda.

«All’aeroporto», rispondo.

Mi dico che non piangerò nella proprietà. Non lascerò che le mie lacrime macchino la tenuta. Non lascerò che questo seppellisca la vita che ho costruito qui.

Tuttavia, nell’istante in cui la macchina supera i cancelli, scoppio a piangere.

Piango e piango e piango, come se il mio cuore venisse svuotato.

E rimane solo la bugia su cui abbiamo costruito il nostro amore.