MAGNUS
Dopo il gala siamo stati riportati tutti al palazzo per la notte, incluse le mie sorelle. Di solito, dopo questo genere di eventi in cui partecipiamo come famiglia, le mie sorelle e io rimaniamo alzati fino a tardi e ci mettiamo in salotto a parlare, a bere caffè e liquore di camemoro e a mangiare della torta.
Tuttavia, anche se siamo andati tutti direttamente nel salotto per onorare la tradizione, Ella e io siamo stati esonerati.
Grazie a dio.
La scopata che abbiamo fatto nel museo era necessaria da tempo ma, invece di provare sollievo per essere stato finalmente dentro di lei, adesso la voglio ancora di più. Per il resto della serata non sono riuscito a smettere di toccarla, di pensare a lei, di sentire il suo odore sulle mie dita.
E anche se non c’è niente di più sexy dell’averla scopata in piedi in quella sala d’arte, con le sue gambe aggrappate a me e l’adrenalina che mi scorreva dentro per il fatto che in qualsiasi momento qualcuno sarebbe potuto entrare e sorprenderci, non è abbastanza.
La voglio nel mio letto.
Voglio spogliarla tutta e passare la lingua su ogni centimetro del suo corpo.
Voglio affondare lentamente dentro di lei e guardare l’espressione nei suoi occhi cambiare mentre mi accoglie.
L’abbiamo fatto di fretta e in maniera turbolenta. Adesso voglio farlo dolcemente e lentamente.
Okay, magari di nuovo in modo un po’ turbolento.
La mia famiglia mi saluta con espressione un po’ maliziosa e sorride mentre Ella e io ce ne andiamo, mano nella mano. È una situazione davvero strana, ma va bene così.
Attraversiamo il palazzo e prendiamo l’ascensore fino al terzo piano e sono davvero tentato di afferrarla e premerla contro il muro, ma riesco a trattenermi.
«Non stiamo andando davvero a letto, vero?», mi domanda Ella mentre superiamo la stanza blu, dove dorme solitamente quando è qui.
Le rivolgo un sorriso sardonico, stringendole di più la mano mentre la guido verso la mia vecchia stanza. «Adoro quando fai l’ingenua».
Il suo sguardo brilla. «Pensavo che adorassi quando faccio la cattiva».
Penso di adorarti quando fai qualsiasi cosa.
Merda.
Per fortuna non l’ho detto ad alta voce.
La tiro dentro la stanza e, come se non le fossi già saltato addosso prima nel museo, le sfilo il vestito dalla testa mentre mi strappo i vestiti di dosso.
La attacco, con la lingua, con le labbra, con la bocca, con i denti, con le mani, vagando sul suo corpo nudo per la prima volta, famelico e ingordo e un tantino disperato.
«Stenditi», le dico e riesco a tirarmi indietro. «Mettiti sul letto e lascia che ti guardi tutta».
Non prova più imbarazzo per questo genere di richieste. Si mette sul letto e io la guardo, la divoro con lo sguardo. La osservo mentre si stende sul materasso: tutto, dal rosa perfetto della sua fica alle punte dure dei capezzoli e ai seni vivaci, è messo in bella mostra per me.
Non riesco a credere alla mia fortuna.
Non riesco a credere che sposerò questa donna.
Qualsiasi cosa abbia detto a mio padre a proposito del fare sesso con una sola donna per il resto della mia vita… be’, è chiaro che non avessi idea che si sarebbe trattato di questa donna.
Questa donna è la mia regina e non me lo scorderò mai e poi mai.
«Se solo sapessi quanto sei bella per me», mormoro mentre salgo sul letto e la guardo. «Potrei dirtelo ma non penso che sarebbe abbastanza. L’unica cosa che, penso, potrebbe funzionare, è mostrartelo». Mi fermo. «Vuoi che te lo mostri?».
Lei non risponde. Mi rivolge un sorriso malizioso e apre le cosce.
Helvete.
Mi muovo tra le sue gambe aperte. È quasi doloroso questo desiderio, questo bisogno di farle vedere cosa mi fa, come mi fa sentire. Vedere il mio cazzo nudo, duro e pronto e la sua fica aperta, rosa e morbida… mi sento come se stessi per impazzire per il desiderio.
Lentamente, molto lentamente, entro dentro di lei mentre solleva i fianchi, spingendosi verso di me, perché vuole sentirmi in profondità. La sua bocca si apre sempre di più man mano che entro, la sua pelle scivola contro la mia come seta.
È così bello, cazzo.
Troppo perfetto.
La bacio, fondendo la bocca con la sua, perché voglio starle il più vicino possibile.
«E il preservativo?», sussurra lei.
«Mi toglierò prima».
«Mi verrai addosso?». Solleva un sopracciglio.
Cazzo, non potrebbe suonare più sexy.
Le nostre facce sono a pochi centimetri l’una dall’altra mentre mi tiro fuori lentamente per poi muovermi di nuovo dentro di lei. Il nostro contatto visivo non si rompe mai. Il suo sguardo è carico di desiderio e meraviglia, come se mi stesse vedendo per la prima volta. Nel museo era tutto buio ed è stato veloce, ma adesso siamo nell’intimità, adesso possiamo davvero goderci a vicenda. Posso solo sperare che le piaccia ciò che vede, che io sia abbastanza per lei.
Farò di tutto per essere il suo re.
Quando i nostri fianchi si incontrano, mi fermo e devo trattenere il respiro per riprendere il controllo. C’è qualcosa in lei che mi fa desiderare di perderlo completamente e, in tutta onestà, penso di averlo perso dal primo momento in cui l’ho vista.
Ella attorciglia le gambe intorno alla mia vita e muove i fianchi e ogni movimento mi spinge sempre più dentro di lei. Ha le mani sulla mia schiena e si aggrappa ai miei muscoli. La nostra pelle si muove come se fossimo una cosa sola.
«Cazzo, Ella», gracchio succhiandole il collo, i seni. La mia lingua le stuzzica la punta dura del capezzolo e lo prendo in bocca tirandolo forte e a lungo. Il suo gemito è così forte, così disinibito, che mi fa sentire come il re che voglio essere e, per una volta, non dobbiamo trattenerci. Gemo ad alta voce, abbandonandomi in quel calore inebriante dell’essere veramente dentro di lei, del sentirla in ogni modo possibile.
«Più forte», dice inarcando la schiena. «Per favore».
Per favore? Gesù, è così carina, cazzo.
«Il tuo desiderio è un ordine», le dico con voce tesa. «Anche se dovresti chiamarmi Vostra Altezza».
«Per favore, Vostra Altezza. Scopami più forte».
Porca puttana.
Spingo i fianchi per entrare di più dentro di lei e mi muovo sempre più velocemente. I suoi seni perfetti rimbalzano a ogni spinta e all’improvviso non ci sono più pensieri. Ci sono solo emozioni. Mi sento cadere, capisco quanto possa essere bello voler davvero bene a qualcuno.
Non ho mai fatto sesso con una donna per cui provavo dei sentimenti.
E questi non sono sentimenti semplici, c’è molto altro.
«Magnus», sussurra. «Di più».
La guardo sorpreso.
Vuole di più?
Le darò di più, cazzo.
L’afferro per la vita e mi giro in modo che adesso sia lei sopra di me, a cavalcioni. La stringo più forte mentre affonda sul mio pene e grugnisco forte per trattenermi.
«Dio, sei fantastica». Inizia a muoversi avanti e indietro su di me, trovando il ritmo. «Cavalcami, Principessa. Voglio veder rimbalzare quelle tette».
Ella si morde il labbro mentre mi guarda, chinandosi sul mio petto per un attimo prima di riprendere a montarmi, muovendo i fianchi avanti e indietro su di me.
«Dio, sì, guarda la tua fica come cola tutta sul mio uccello», gemo con gli occhi incollati al punto in cui la mia verga bagnata entra dentro di lei. «Cazzo, continua così, non fermarti».
Sulla faccia inizia a comparirle un rossore che si diffonde fino al petto e le gambe le tremano intorno alla mia vita. Inarca la schiena, i capezzoli sono puntati verso il soffitto e la testa è rivolta all’indietro mentre si arrende a me.
Le metto una mano sul clitoride per darle la spinta finale, ma non ce n’è bisogno. Grida forte, muove di colpo i fianchi verso l’alto e il suo corpo trema come un terremoto. È incredibile quando viene, questa creatura pulsante, agitata, sensuale, e sono io la causa di tutto questo. Sono io quello che ha portato oltre il limite questa Principessa.
Mentre viene, i suoi movimenti rallentano e io mi trattengo solo quel tanto per capovolgerla sulla pancia sfilandomi da dentro di lei. Mi metto a cavalcioni sulle sue cosce, mi afferro l’uccello e me lo meno un po’ prima che l’orgasmo mi invada e il mio mondo esploda.
«Ella», grido. «Oh, cazzo».
Queste parole mi vengono strappate con violenza.
Riesco a guardare mentre vengo, eiaculandole su tutta la schiena, su tutto il culo tondo, e il cuore mi martella nelle orecchie. Continuo a muovere il polso finché non esce anche l’ultima goccia, poi collasso sul letto di fianco a lei.
«Helvete», riesco a dire dopo alcuni minuti. Mi sembra di essere stato investito da un autoribaltabile.
«Puoi dirlo forte», dice lei. «Qual è la parola norvegese per “scopata per bene”?».
Anche se so che siamo nel cuore della notte e il mio corpo è sfinito per gli orgasmi, non riesco a dormire. Tutta la concentrazione e la pace trovate mentre stavo dentro Ella sono sparite e la mia mente non smette di vagare. Quando è così, è come se avessi nel cervello una corsa di macchine con i freni di una bicicletta. Niente riesce a rallentarlo.
Il fatto che Ella dorma vicino a me, dandomi le spalle, non mi aiuta. Anche se era da tanto che desideravo dormire nello stesso letto con lei, per qualche ragione mi sento freddo e solo.
Odio sentirmi così. Se fossi uno stronzo, sveglierei Ella solo per parlare con lei, solo per distrarmi un po’ da questa sensazione, ma non lo farò. Siamo entrambi esausti, non solo per il gala ma anche per la settimana trascorsa, e lei ha bisogno di dormire.
Esco lentamente dal letto e vado alla finestra, scostando le tende e sbirciando fuori nella notte buia. Questa è la mia vecchia stanza, quella che avevo da piccolo, e la vista è rimasta inalterata. Da qui posso vedere la lunga piazza del palazzo, la statua del Re Carl Johan illuminata al centro dai lampioni. Di giorno la piazza è affollata di turisti, ma adesso vedo solo una persona sola che spinge un carrello.
Quella vista mi fa sentire ancora più solo e, come al solito, la testa inizia a girarmi per via di queste sensazioni.
Non dovrei sentirmi così.
Che c’è che non va in me?
Ho una fidanzata bellissima in quel letto.
La persona con cui passerò il resto della vita.
È questo? È la minaccia di una vita intera che mi sta uccidendo?
È l’essere legato a lei?
Oppure è il fatto di provare per lei qualcosa che non ho provato mai per nessun altro?
Non so cosa aspettarmi.
Non so cosa aspettarmi da lei.
Non so come gestire la faccenda.
Come essere un buon marito.
Come essere un buon re.
Come essere una buona persona.
È fuori dalla mia portata.
Fuori dal mio controllo.
Non ho più alcun controllo.
Sono qui a stento.
Non sono qui.
Ho solo bisogno di concentrarmi.
Non riesco a concentrarmi.
Non ci riesco.
Non ci riesco.
Non ci riesco.
Aiuto.
«Magnus».
Sento delle parole, ma non sono qui, io non sono qui; sto passando in rassegna i canali della vita alla velocità della luce e non c’è passato né futuro e c’è a stento un adesso.
«Magnus».
La voce è più ferma adesso e c’è una mano sulla mia spalla e una pressione familiare e mi sta riportando alla realtà.
Mi fermo, realizzando solo in quel momento che stavo camminando avanti e indietro davanti alla finestra.
Fisso Ella che sta davanti a me con un accappatoio appena chiuso, con gli occhi spalancati per lo spavento, alla luce debole che entra attraverso le finestre.
«Magnus», mi dice di nuovo. «Ti senti bene? Mio dio, sei tutto sudato».
Mi guardo. Non solo sono completamente nudo, ma sono zuppo di sudore. Ho ciocche di capelli tra le mani, come se me le fossi strappate mentre camminavo avanti e indietro come un pazzo.
Porca puttana.
Non volevo che mi vedesse in questo stato. Sono stato così bene fino ad ora, cazzo.
«Vieni qui», mi dice prendendomi per un braccio e guidandomi verso un divano nell’angolo della stanza. Mi fa sedere, poi va nel bagno, ritorna con un accappatoio e me lo lancia. «Mettitelo».
Sparisce di nuovo nel bagno e sento l’acqua scorrere. Porta fuori un bicchiere d’acqua e un asciugamano umido e si siede vicino a me sul divano, dandomi l’acqua e passandomi il panno freddo sulle spalle, sul petto, sulla fronte.
«Bevi, sei disidratato», mi dice gentilmente indicando il bicchiere.
Ora che il battito ha rallentato e il respiro sta tornando normale, bevo il bicchiere d’acqua in un unico sorso.
Ella non dice niente, continua a passarmi addosso l’asciugamano. La guardo con aria nervosa, temendo il suo giudizio.
Tuttavia, stiamo parlando di Ella. Lei non mi ha mai giudicato. Tranne quando ho detto qualcosa di terribilmente stupido. Il che capita spesso.
Questa è un’altra cosa, però. Non penso di essermi mai sentito così esposto e vulnerabile prima d’ora. È come se avesse finalmente visto il vero me e… me ne vergogno.
«Pensi che io sia pazzo, vero?», le chiedo a voce bassa.
Lei mi sorride. Il suo sguardo è gentile. «Per niente».
«Forse sono malato. Di sicuro mi sento come se avessi la febbre».
Lei si appoggia allo schienale e mi guarda per qualche secondo, poi dice: «Non sei malato, Magnus. Penso che ti sia già capitato prima».
«Non molto ultimamente…», ammetto.
«Sei sottoposto a tanto stress, è normale».
Annuisco. «Sì. Non sono molto bravo in queste cose. Soprattutto con lo stress emotivo».
Lei a questo punto quasi trasalisce. «Spero che non sia colpa mia».
Le prendo la mano e le bacio le nocche, incrociando intensamente il suo sguardo affinché capisca. «Non sei tu. Tu sei l’unica cosa che ha senso in questo momento. L’unica cosa che mi fa concentrare. È tutto il resto intorno a noi. Il fidanzamento, le nozze, diventare re. Essere pronto a farlo. Non sono pronto per questo».
«Lo sarai».
Scuoto la testa. «Non quando mi sento così».
«Allora, che cosa è successo?»
«Quello che succede sempre. A volte non riesco a dormire. Non riesco a spegnere il cervello. È come se mi tenesse in ostaggio e mi mettesse sul sedile del passeggero. Mi incatena lì. Poi inizia a guidare sempre più veloce nel buio, nella pioggia, senza fari. Senza tergicristalli. E alla fine mi schianto».
Ella mi guarda e osserva ogni dettaglio del mio viso nella stanza buia. Alla fine dice: «Adesso ti farò una domanda e non voglio che tu ti offenda».
Le faccio un mezzo sorriso. «Lo sai che è abbastanza difficile offendermi».
«Lo so. Ma questo non vuol dire che tu non sia sensibile. So che alcune cose ti scivolano addosso e non ci presti minimamente attenzione. Ma per altre… be’, penso che ti colpiscano nel profondo e che restino lì, che tu lo voglia ammettere oppure no».
Deglutisco con difficoltà. Forse su questo ha ragione.
«Okay allora. È una domanda da quiz time?»
«È una domanda da “sarò tua moglie e ho il diritto di sapere”».
Oh merda. Sono le domande peggiori.
«Okaaaay».
Il cuore ha iniziato ad accelerare di nuovo.
«Ti hanno mai diagnosticato qualcosa? In particolare qualche disturbo da deficit di attenzione?».
La fisso con sguardo assente. «No».
«Ti sorprende il fatto che te lo stia chiedendo?».
Non devo neanche pensare alla risposta. «No…».
«Hai mai provato a indagare?». Mi stringe la mano. «Non sono un medico, ovviamente. Quasi svengo quando vedo il sangue. Ma a scuola conoscevo delle persone che ce l’avevano e non erano di quelli che fingevano per farsi prescrivere della roba, ma ce l’avevano veramente. Dal modo in cui descrivi il tuo cervello e per il fatto che ti concentri solo quando sei pieno d’adrenalina, mi sembra che potresti averlo. È comune e so che è poco diagnosticato negli adulti. Non è niente di cui preoccuparsi».
Scrollo le spalle. Non sono sicuro se dovrei dirle che si sbaglia o che mi sembra impossibile o che non è possibile che io abbia una cosa del genere, ma tutto ciò che ha detto ha senso. «Quando ero piccolo, ero decisamente iperattivo e storcevo sempre il naso alle autorità. Pensavo che fosse la mia personalità».
«Questa è la tua personalità, Magnus», mi dice. «Probabilmente da piccolo eri un po’ drittsekk». Io rido. «Ma forse ti risultava difficile concentrarti a scuola, sulla matematica, sui libri. Sarebbe dovuto al disturbo. È una cosa complessa e fa parte di ciò che sei».
«Suppongo che il soprannome “Magnus il Matto” sia piuttosto accurato».
Lei fa una risatina. «Solo perché è classificato come un disturbo, non vuol dire che tu sia pazzo. Non deve neanche essere per forza un disturbo, dipende da come lo vedi».
«Come fai a sapere tutte queste cose?»
«L’anno scorso avevo un professore che mi piaceva molto e che ce l’aveva. E ne parlava apertamente. In realtà, insegnava le lezioni migliori e più interessanti. Non c’era niente di noioso nel modo in cui si approcciava alla vita. Lo stesso vale per te».
«E quindi pensi che debba vedere un medico e prendere delle medicine?». Il solo pensiero mi fa digrignare i denti.
«Penso che tu debba fare quello che vuoi», mi dice. «Se ti fa stare male, allora sì. Devi chiederti se sei felice per come vanno le cose nel tuo cervello. Se lo sei e senti che la vita ti va bene così, allora continua ad andare avanti e io sarò al tuo fianco. Se, però, senti che ci possa essere qualche miglioramento, se avrai bisogno di aiuto per concentrarti sulle cose in futuro, se odi il modo in cui si sente il tuo cervello, soprattutto in nottate come questa, allora forse vale la pena indagare».
«Non voglio essere una persona diversa», le dico.
«Non penso che funzioni così, Magnus. Saresti sempre tu. Saresti sempre divertente, bizzarro, intelligente… e sorprendentemente bello».
Le faccio un gran sorriso. «Sai proprio quali sono le cose giuste da dire».
«Lo spero», risponde. «È per questo che sono qui. Ora, c’è qualcosa che posso fare per aiutarti a dormire?».
Dal luccichio malizioso nei suoi occhi, so che intende qualcosa di sessuale. Tuttavia, per la prima volta in tutta la mia vita, non è quello che desidero in questo momento. Non è ciò di cui ho bisogno. Ho bisogno di qualcosa di più intimo e significativo di una scopata, se è possibile.
«Potrebbe solo eccitarmi ancora di più», le dico. «Però c’è una cosa che potresti fare».
Mi alzo e vado fino alla libreria in cui ci sono gli stessi libri di quando ero piccolo e prendo la versione da tre libri e con copertina rigida de Il Signore degli anelli.
«Vieni», le dico dirigendomi verso il letto. Accendo la luce sul comodino e mi metto sotto le coperte.
Lei mi guarda con espressione curiosa e poi si alza e si mette a letto vicino a me, prendendo il libro che ho in mano. «È in inglese», nota girandolo.
«Mi ci sono voluti degli anni per leggere la trilogia quando ero piccolo», le dico. «Anche se sono i miei libri preferiti, non riuscivo a capire perché fossi così lento. Forse ora lo so. Comunque, quando alla fine ci sono riuscito, ho deciso di rileggerli con gli audiolibri. È andata molto meglio». Tamburello con il dito sulla copertina. «Ho comprato la versione inglese quando sono usciti i film. Ti dispiace?».
«Vuoi che legga per te?».
Annuisco e, all’improvviso, mi sento stranamente timido. «Penso che mi aiuterebbe. Andare in quel mondo per un po’». Faccio un respiro profondo. «Voglio addormentarmi al suono della tua voce».
Ed ecco qua. Penso di aver pronunciato le parole più vulnerabili e più nerd che mi siano mai venute. Il Magnus di qualche mese fa mi avrebbe fatto il culo per questo. Ma quel Magnus non era un uomo che si stava innamorando.
Ella mi fissa, non con compassione ma con una dolcezza che mi fa qualcosa al cuore, me lo scioglie dieci volte di più. «Certo, leggerò per te». Si schiarisce la voce e inizia a sfogliare le pagine. «Prologo. Riguardo agli Hobbit…».
E mentre Ella legge, gli occhi mi si chiudono e mi perdo.
Non in un cervello in corsa.
Non nel mondo della terra di Mezzo.
Mi perdo nei miei sentimenti per lei.
E per la prima volta, non voglio essere trovato.