MAGNUS
Una volta acceso il camino nella baita e quando l’ambiente inizia a riscaldarsi, con le candele che tremolano tutt’intorno, noi quattro ci sediamo intorno al tavolino da caffè di legno grezzo, che quasi sicuramente mio nonno ha intagliato dal tronco di un albero qui dietro l’angolo. Di fatto, penso che tutta la baita sia stata costruita con alberi caduti qui vicino.
Al centro del tavolino ci sono bottiglie di acquavite, scotch, vino, birra e un mazzo di carte. Persino Einar beve, una birra leggera, ma pur sempre una birra, dato che non deve davvero fare la guardia qui su. Penso che sia per questo che gli piace venire alla baita. Può finalmente rilassarsi un po’.
E ci sentiamo tutti piuttosto rilassati con il passare della serata. Ella è a fianco a me sul divano e mi sto comportando in modo piuttosto adolescenziale, perché sto occupando gran parte dello spazio in modo che lei non abbia altra scelta se non stringersi a me. Comunque, non mi sembra che le dispiaccia e, quando ride particolarmente forte, si poggia addosso a me.
Gesù. Mi sembra di avere di nuovo quindici anni e di flirtare con delle ragazze a una festa, concentrandomi su ogni sguardo, su ogni tocco. Non c’è più il Magnus che non doveva mai scegliere perché le donne si gettavano ai suoi piedi. Adesso Magnus deve lavorare sodo per ogni singolo centimetro.
«Allora, Ella», le dice Viktor. «Magnus mi ha detto che ti occupi di problemi ambientali e cose del genere».
«Esatto», risponde. «Spero di avere una mia organizzazione no profit un giorno… magari qui in Norvegia». Sembra speranzosa. «Qualcosa per responsabilizzare i governi, per coinvolgere la gente in ciò che accade alle risorse e all’ambiente».
Viktor si preme le labbra con aria impressionata. «Considerando quanto alcool abbiamo bevuto, è impressionante che tu abbia fatto un discorso tanto eloquente».
Lei fa spallucce e gli rivolge un lieve sorriso. «Forse l’alcool ti spinge a credere che ciò che ho detto abbia senso».
Tuttavia, ho guardato Ella e, anche se sembra che stia bevendo tanto quanto noi, sta bevendo molto lentamente e, tra un bicchiere e l’altro, spesso beve dell’acqua. Non è ubriaca, sta fingendo.
Poi, neanche a farlo apposta, Einar si alza e getta le due lattine di birra vuote nella spazzatura, cosa che induce Ella ad alzarsi in piedi.
«Che stai facendo? È così che si ricicla?».
Einar la guarda divertito, come se stesse parlando in una lingua aliena, ma io so che il suo inglese è abbastanza buono. «Chiedo scusa?».
Ella va spedita verso il cestino e tira fuori le lattine. «È disgustoso separarle dopo. Avete una busta?»
«Ella», le dico. «Lascia le lattine sulla cucina. Ce ne occuperemo la prossima volta che Viktor e io verremo qui su. Torna qui e unisciti alla festa».
Lei si addolcisce e sospira e poi si rimette a sedere come se non fosse successo niente.
«Principessa Planet», inizio a cantare sottovoce appoggiandomi a lei. «È l’eroina più potente».
«Che combatte il prepotente», finisce Viktor sorridendo come un maniaco.
«Perché continui a cantarla?», mi chiede Ella. È vero, la canticchio nei corridoi quando la incrocio.
«È la tua canzone».
«Ah sì? Be’ anche tu hai una tua canzone».
«Era di qualche cartone degli anni novanta?»
«Principe sbronzo», inizia a cantare bevendo la birra, «oooh sì, è proprio uno stronzo».
«Questa», inizio a dire per farle notare che non si tratta nemmeno di una canzone, ma poi continuo: «è stata piuttosto bella».
«Principessa Planet e Principe Sbronzo», dice Viktor annuendo con approvazione. «Mi piace questa coppia».
«Sta zitto, dannato svedese», gli dice Ella con un sorriso audace.
«Cazzo, è la cosa più sexy che tu abbia mai detto», le dico mentre l’uccello mi si fa duro. Devo aggiustarmi e sperare che non lo noti. Con il suo viso angelico, le imprecazioni non mi sono mai sembrate così belle.
E poi, ovviamente, passiamo a una lunga lezione di parolacce in norvegese in cui le insegno l’importanza di queste imprecazioni:
Ronketryne = faccia da sega
J’vla bonde = bifolco del cazzo
Kuktryne = faccia di cazzo
Jævla hore kuk = puttana del cazzo
Jeg driter i melka di = cago nel tuo latte
Dopo quest’ultima, quando tutti hanno smesso di ridacchiare, Einar urla all’improvviso: «Jeg har runka bestefaren din!».
Viktor e io ci guardiamo scioccati prima di scoppiare a ridere.
«Einar!», esclamo. «Non sapevo che ne fossi capace».
«Che significa?», strilla Ella. «Dimmelo!».
«No, no», dice Einar rapidamente e, roba da non credere, penso che stia diventando tutto rosso. «Non è roba per lei».
«Riguarda me?». Ha gli occhi spalancati.
«Decisamente no», le assicuro. Tuttavia, posso capire perché Einar potrebbe sentirsi in imbarazzo se la Principessa del Liechtenstein sapesse che ha detto: «Ho fatto una sega a tuo nonno».
Einar, ti conosco appena. Devo ricordarmi di tenermelo buono.
«Okay, vado a fare pipì», dice Ella prendendo una torcia e dirigendosi verso la porta. «Se non torno entro cinque minuti… aspettatemi un po’ di più».
La porta si chiude dietro di lei e Viktor mi guarda con un sopracciglio alzato.
«Ha appena citato Ace Ventura?»
«Penso di sì».
A poco a poco, Ella si sta svelando a me, a tutti; sta mostrando la sua vera essenza, quella che nasconde alla gente perché si sente a disagio, quella che sotterra perché prova a impressionare, ad essere inclusa, a sentirsi approvata. Se si sente già così con me, penso che sto vincendo.
«Penso che tu abbia finalmente incontrato la tua metà», mi dice Viktor. «Sono contento per te».
Lo guardo mentre bevo un lungo sorso di scotch. «Non c’è niente di cui essere contenti».
«La sposerai».
Guardo Einar e lui distoglie lo sguardo, perché non vuole essere coinvolto, anche se mi piacerebbe sapere la sua opinione su tutta la faccenda. Lui vede tanto e dice poco. Anche se, quando parla, può essere fin troppo esplicito.
«Non è detto», ricordo a Viktor. «Credo che abbia ancora due o tre giorni per decidere se vuole andare avanti oppure no».
«È una follia», dice Viktor. «Perché non dovrebbe?»
«Be’, non mi ama e penso che io non le piaccia neanche molto».
«Le piaci», ribatte Viktor. «Te lo dico io. Einar, tu cosa ne pensi?».
Einar si schiarisce la voce. «Be’…penso che, forse, lei abbia ragione, Altezza. Ma il fatto che lei sappia che le piace, il fatto che voglia che le piaccia, è un’altra storia». Poi mi guarda e solleva la sua birra. «Però lei, Principe Magnus, è innamorato perso di lei. Se mi è consentito dirlo, ovviamente».
«Non correrei troppo», gli dico, sentendomi leggermente in imbarazzo.
«Non si preoccupi», risponde lui rapidamente. «Lei non lo sa, se è questo che la preoccupa. Mi ricorda quando ero piccolo. Quando ero un bambino».
«Cioè quando, nel 1900?», domanda Viktor ridacchiando mentre beve l’acquavite.
«Divertente», dice Einar senza umorismo, trafiggendo Viktor con lo sguardo, incurante del fatto che sta guardando in malo modo il Principe di Svezia. «Quando ero piccolo, se c’era una ragazzina che mi piaceva, facevo di tutto per renderle la vita difficile. Le tiravo i capelli. Le mettevo una puntina da disegno sulla sedia. La insultavo. Solo perché volevo una sua reazione. Perché mi piaceva. Signore, con il dovuto rispetto, mi ha ricordato che lo facevo anche io».
Riesco solo a fare spallucce perché ciò che ha detto è vero. Se non mi importasse di Ella, non mi sarei dato tanto da fare. Non l’ho mai fatto con nessun’altra donna prima, non mi era mai importato come adesso.
Ora, però, lo so, lo riconosco, so che non posso continuare a farlo. Devo dirle come mi sento. Che mi piace e che voglio che questa storia funzioni. E vorrei solo che tutta la faccenda del matrimonio non esistesse, vorrei poter fare tutto in maniera naturale, come accade a chiunque altro. Provo sentimenti veri in una situazione forzata e diventa più complicata ogni secondo che passa.
Ella ritorna poco dopo, sana e salva dalla seduta nel bagno esterno, e ricominciamo; questa volta Viktor distribuisce le carte e facciamo un gioco in cui si beve.
Ella beve un po’ di più stavolta, abbastanza da farle diventare le guance rosse e il collo chiazzato, e ben presto si alza e dice che dentro fa troppo caldo e che ha bisogno d’aria.
Ovviamente, vado fuori e la seguo.
La luna è quasi piena e illumina la baita con la sua luce fredda. Si gela, probabilmente ci sono solo cinque gradi, ma è ristoratore dopo il caldo della baita.
«Stai bene?», le chiedo seguendo la sua silhouette illuminata dalla luna, mentre cammina lungo un lato della baita.
Poi mi viene in mente che la baita è costruita lungo una parete di roccia e, se continua a camminare, farà una brutta caduta.
Corro subito verso di lei e le afferro un braccio, tirandola indietro qualche attimo prima che cada.
«Ehi!», urla lei, ma faccio un passo indietro e la tiro appresso a me, senza lasciarla andare.
«C’è una scarpata qui», le dico. «Stavi per cadere».
«Merda», impreca aggrappandosi ai miei bicipiti. «Non lo sapevo».
«È difficile capirlo al buio». Muovo la testa all’indietro. «Il bagno è di là. Spero che tu non abbia provato a fare pipì dal bordo del precipizio».
Ella ride debolmente, anche se capisco che è ancora senza fiato. «No. Grazie a dio. Volevo solo camminare un po’».
«Quindi stai bene?», ripeto.
«Sì», risponde. «Insomma, meglio del finire giù dal dirupo». Solleva lo sguardo verso di me, abbassando lentamente le mani lungo le mie braccia. «Grazie. Per essere qui».
«Se non lo avessi notato, sono stato qui nelle ultime due settimane».
Si morde il labbro e sembra pensarci su. «Sì. Tranne quelle volte in cui andavi via».
«E ora sai che andavo in un bar insieme a un gruppo di vecchi. E che parlavo di te».
«Davvero?». Nella debole luce lunare, i suoi occhi sembrano brillare. Non riesco a non guardarla.
«Ella…», inizio a dire, poi faccio un respiro profondo. Le prendo le mani e la tengo ferma lì davanti a me. «Non so se lo hai notato, ma ho sempre avuto qualche problema a concentrarmi sulle cose giuste. Per me è stata dura cercare di prestare attenzione ad alcune cose della vita, come fa gran parte delle persone. Ho lottato per dare un senso al modo in cui vedo il mondo. Ma… quando ti vedo, sei tutto ciò che vedo». Le fisso le labbra. «Lo so che non sembra tanto ma, per me, significa tutto. Inizi a essere tutto per me».
Le sue labbra si aprono mentre cerca di capire ciò che ho detto. Non sto facendo il simpatico, non sto facendo il coglione: sto solo dicendo la verità. Lei mi sta mostrando alcuni lati di lei, io le sto mostrando alcuni lati di me.
«Quiz time», canto a bassa voce, facendo scivolare una mano sulla parte bassa della sua schiena, premendo le dita contro la felpa.
Lei non si tira indietro. La prendo come una vittoria.
«Adesso?», mi chiede.
Io mi limito a sorridere. «Abbiamo solo adesso».
Lei ci pensa un attimo, sfregandosi le labbra. «Non è una canzone? All we have is now?»
«Sì, una davvero strana».
Sorrido e mi chino di qualche centimetro. «Allora, la mia domanda è, Ella… se ti baciassi, ricambieresti il bacio?».
Lei muove la testa solo quel tanto per guardarmi. I suoi occhi cercano i miei, forse per capire se sono sincero, forse per vedere se vuole farlo. Deglutisce.
«No», risponde.
Sul mio volto si distende lentamente un sorriso.
«Bugiarda».
Apre la bocca. Poi la richiude. Lo sguardo le si riempie di paura. Perché sa che sta mentendo, sa che l’ho capito.
E sa che glielo proverò.
«Non sto mentendo, Magnus. Io…», dice lasciando in sospeso la frase mentre mette le mani sul mio petto, pronta a respingermi.
Ma sono stanco del tira e molla.
Voglio solo attirarla a me, ancora e ancora.
Voglio che lei allontani tutto il resto, proprio come faccio io quando sono vicino a lei, quando il mondo e il rumore svaniscono e rimane solo lei.
«Sei una bugiarda», mormoro di nuovo.
Poi mi chino.
E la bacio.
Le sue labbra sono morbide, più morbide di quanto immaginassi, e appena appena umide. Nella fredda aria di montagna, sembrano bollenti sulle mie, come due fiamme che si attorcigliano, e all’improvviso vengo colpito dall’immediatezza di quel momento, come se per una volta stessi vivendo tutto ciò che c’è da vivere.
Ella si irrigidisce contro il mio bacio, contro la mia stretta, e so che vuole provarmi qualcosa, che non vuole ricambiare il bacio. Ma non so il perché.
Io bacio molto bene, cavolo.
Tuttavia, per quanto prema le labbra contro le sue, lei non cede.
E per quanto vorrei avere ragione, non voglio costringerla.
Inizio a tirarmi indietro sconfitto, ma poi le sue labbra si aprono sulle mie, la sua mano scivola sulla mia guancia e le nostre bocche sono una sull’altra.
Sono fregato. Totalmente fregato.
Un bacio e mi sembra che il mondo si stia aprendo.
All’improvviso sento solo questa voglia disperata e fremente, quella che ti trascina via. Sono duro come il marmo e mi premo contro i suoi fianchi e ora sollevo le mani verso i suoi capelli, facendole sparire tra quelle ciocche setose che brillano alla luce della luna.
«Cazzo», mormoro contro la sua bocca, senza fiato mentre la sua lingua scivola contro la punta della mia. Mi sento di nuovo un adolescente, pronto a sborrare nei pantaloni dopo un semplice bacio.
Tuttavia, non è un semplice bacio, no. È tutt’altro che semplice. Questo è il bacio che potrebbe aprire la porta alla relazione più complicata della storia.
Lei geme dolcemente e questo mi distrugge, come se stesse per tirare quell’unico filo che mi disferà tutto. Il bacio si fa più profondo, le nostre labbra trovano il ritmo le une contro le altre e il bacio diventa semplice e appassionato come i nostri sfottò.
Avrei dovuto baciarla il primo giorno.
Per tutto questo tempo avrei potuto avere questa lingua dolce, calda e umida ad agitarsi contro la mia e adesso, adesso potrebbe essere troppo tardi.
Lei si ritrae leggermente, con il respiro affannato, e le sento il battito sulla gola mentre la mia mano scivola fino alla base del suo collo. Sta battendo a mille e la pelle è bollente. So che le sue guance sono rosa. «Magnus», sussurra deglutendo a fatica, mentre solleva lentamente lo sguardo dalle mie labbra agli occhi.
«Sono qui», sussurro con voce roca. «Sono sempre stato qui».
«Suppongo di essere una bugiarda», dice con un sorriso timido e malizioso allo stesso tempo, come se si vergognasse per ciò che ha fatto e allo stesso tempo ne fosse contenta.
Ne vuole ancora.
«Non mi dispiacciono queste bugie», le dico accarezzandole i capelli. «Purché non ti dispiaccia quando vado in cerca della verità».
Mi chino di nuovo, ma lei mi mette una mano sul petto.
Ancora tira e molla.
«Probabilmente dovremmo tornare dentro», mi dice a voce bassa, cercando di sembrare fredda e composta. «Sai, prima che pensino che ci abbia mangiati un orso. O che siamo caduti nel gabinetto».
«O giù da un dirupo. Ma ti giuro che non lo stanno pensando». Si sfrega le labbra, pronta a protestare, e io le afferro la mano. «Andiamo. Stavolta non ti lascio andare».
La guido verso la baita. Prima di entrare, lei mi dice: «Ti dispiace se tu e Viktor dormite in soffitta e io prendo il letto di sotto?».
Mi fermo e la fisso per un attimo. Per qualche ragione, mi ero aspettato che le cose andassero diversamente, forse perché vanno sempre diversamente per me. Anche se con noi dovrei imparare a non sapere cosa aspettarmi.
Cosa mi aveva detto mio padre? Trova qualcuno che ti tenga sulle spine.
«Certo. Einar dormirà sul divano».
Lei mi stringe la mano e mi guarda. «Non è che… non è che non voglia dormire con te stanotte. Solo non… sono un po’ ubriaca. E quello è stato un bacio fantastico. E non mi fido di me stessa quando sono vicino a te… non sarebbe appropriato. Soprattutto qui».
Oh.
Stava quasi per farmela. Sembra avere più autocontrollo di chiunque io conosca.
«Okay», le dico annuendo. «Non è un problema».
Ovviamente mi chiedo se avrebbe detto la stessa cosa se non ci fossero stati Viktor ed Einar e all’improvviso inizio a maledire Einar e quel dannato svedese.
Tuttavia, le cose stanno così.
E con Ella accetterò con piacere tutto ciò che potrò avere.
Le apro la porta e rientriamo nella baita, sorridendo a Einar e Viktor come se la mia vita non fosse affatto cambiata lì fuori.