ELLA

Faccio di nuovo quel sogno.

Quello di sempre.

Quello delle balene pilota spiaggiate.

Della spiaggia desolata.

Del vento freddo.

Dell’uomo.

Ancora non riesco a vedere la sua faccia, riesco solo a farmi una vaga idea di lui e, ogni volta che penso di stare per capire chi sia, i suoi lineamenti mi sfuggono dalla mente come acqua.

Questa volta, però, non cammina verso di me.

Cammina dritto nel mare.

Supera le balene ed entra nell’olio.

E capisco che non ha mai avuto intenzione di salvarmi.

Ero io che dovevo salvare lui.

Quando mi sveglio, sento delle risatine.

Curiosa, apro gli occhi e mi aspetto di avere il cervello rallentato e la testa pulsante. Sono due notti di fila che bevo molto più di quanto faccia normalmente. Tuttavia, con mia somma sorpresa, mi sento bene. So di non aver bevuto tanto quanto la serata al bar, ma forse ha qualcosa a che fare con la frizzante aria di montagna.

Mi metto lentamente seduta sul letto e mi alzo, non sapendo minimamente che ora sia. C’è una finestra nella stanzetta e mostra un leggero strato di neve all’esterno. La vista di quel velo di un bianco puro sugli alberi mi fa sorridere. Sarà bello vedere come sarà con la luce piena del sole. Mi sono addormentata con addosso i leggings termici e strati di top, quindi mi metto solo una felpa e sto abbastanza calda.

Apro lentamente la porta della stanza e vedo Magnus e Viktor, vestiti di tutto punto, vicini a un Einar praticamente svenuto. Magnus ha un pennarello in mano e ha appena finito di disegnare un mezzo baffo arricciato sulla faccia di Einar.

«Ragazzi!», sibilo.

«Shhhh!», mi dice Viktor agitando le mani. «Abbiamo quasi finito».

Scuoto la testa e li raggiungo. Il naso di Einar trema un po’ ma ancora non è sveglio.

«Siete così immaturi, ragazzi», sussurro. «E pensare che un giorno sarete i re dei vostri rispettivi paesi».

«Se pensi che non disegnerò baffi sulla gente quando sarò re, ti sbagli di grosso», dice Magnus tutto concentrato mentre finisce il resto dei baffi.

«Voilà», esclama Viktor sorridendo. «Sembra il cattivo di un film».

È vero. Sembra il personaggio di un cartone. Cerco di non ridere.

«Vi ammazza quando si sveglia, ragazzi», dico incrociando le braccia. «E com’è possibile che dorma ancora? Pensavo che Einar non battesse neanche le palpebre, figurarsi dormire».

«Succede ogni volta», mi spiega Viktor. «Beve un paio di birre e poi crolla».

«E che succede se qualcuno prova a rapirvi e lui è svenuto?».

Viktor e Magnus si guardano sorpresi e poi Magnus dice: «Faremmo come Kevin McCallister. Sai, di Mamma, ho perso l’aereo».

«Però con le pistole», aggiunge Viktor. «Abbiamo i fucili. Io ero nell’esercito. Non ti preoccupare, Principessa, sei ben protetta».

Sollevo un sopracciglio. Non ne sono convinta.

Ora che lo scherzo a Einar è finito, Magnus guarda orgoglioso la sua opera, rimette il tappo al pennarello con un clic trionfante e mi sorride. «Allora, come hai dormito?»

«Bene», rispondo mentre i miei occhi si spostano sulla finestra principale per la prima volta. «Oh mio dio, che vista!».

Vado alla finestra e sbircio fuori. Ora ho capito perché sono quasi finita nel precipizio ieri sera. La baita è stata costruita proprio sopra l’orlo di una parete rocciosa, il che permette di vedere senza impedimenti la valle che sta sotto. Si vede il limite delle nevi perenni a metà del pendio della montagna vicina, come se Dio avesse deciso di smettere di dipingere. Le montagne sono spoglie, con pochissimi alberi, e sembrano irreali.

«Eccezionale», dice Magnus dietro di me, con voce così bassa e roca che dubito che stia parlando del paesaggio. Si ferma proprio dietro di me e sento il suo respiro caldo sulla pelle.

Deglutisco a fatica e sento rizzarmi i peli sul collo. Ogni ricordo di ieri sera mi inonda, anche se in realtà non li ho mai dimenticati. Ho solo avuto troppa paura per pensarci.

Ora, però, con il calore del grosso corpo di Magnus dietro di me, riesco a pensare solo a questo. Esige la mia attenzione.

Il modo in cui mi teneva.

Il modo in cui mi guardava.

Il modo in cui mi ha baciata.

Le cose che mi ha detto.

Volevo e non volevo che mi baciasse. È l’unica cosa a cui ho voluto pensare dalla serata al bar, quando vederlo nel suo elemento con i suoi amici, vecchi e bizzarri, mi ha fatto capire che ci sono tante cose in quest’uomo per cui dovrei dargli merito. E quando mi ha preso la mano, ho capito quanto mi manchi l’affetto fisico.

Quanto l’abbia desiderato inconsciamente.

Tuttavia, sapevo anche che, se mi avesse baciato, sarebbe cambiato tutto. Sarebbe stato più difficile prendere una decisione senza essere influenzata dai miei ormoni. Sarebbe stato più difficile rimanere razionale e logica. Sarebbe stato più difficile non innamorarmi di quest’uomo.

E avevo ragione.

Forse mi ha salvato impedendomi di cadere giù nel dirupo, ma il suo bacio mi ha fatta cadere ugualmente.

Forse ho ancora del tempo per salvarmi.

Mi volto e la faccia di Magnus è proprio qui, con quelle labbra piene curvate in un sorriso malizioso e quegli occhi scuri e magnetici che mi guardano nell’anima, che vedono ogni mio pensiero e ogni mia intenzione. Sa ciò che sto per fare. Che ho intenzione di respingerlo finché non avrò le idee di nuovo chiare.

Mi sta quasi sfidando a farlo.

Che Dio mi aiuti se deciderà di fare il “quiz time” proprio adesso.

«Sarà meglio che vada a mettermi qualcosa di più caldo», gli dico evitando il suo sguardo mentre lo supero rapidamente per andare in camera. Dietro di me Viktor dice che accenderà il fuoco e poi andrà a correre.

Chiudo la porta della stanza e cerco di pensare. Abbiamo ancora un’altra giornata qui nella baita e non ho idea di quali siano i programmi e…

La porta della stanza si apre.

Mi volto, colta di sorpresa, e vedo Magnus entrare e chiudere la porta dietro di sé. «Non si bussa?», lo sgrido.

«Voglio parlarti», dice senza essere minimamente imbarazzato per la sua irruzione.

«Di cosa?»

«Di ieri sera», risponde. Abbassa la voce. «Ti ho baciata. E sono sicuro che, nonostante le tue obiezioni, tu abbia risposto al mio bacio».

Lo fisso mentre si avvicina. Il modo in cui si muove, così calmo, così sicuro di sé, mi ricorda un predatore. Ha fin troppa esperienza con queste situazioni e il solo pensiero mi dà sui nervi.

«E quindi?», riesco a dire. Non posso andare da nessuna parte. Dietro di me c’è il muro.

Si ferma davanti a me, vicinissimo, quasi mi tocca i piedi con le scarpe. Abbassa lo sguardo su di me e, d’istinto, trattengo il fiato.

«Quindi?», ripete fissandomi le labbra. «Lo dici come se non avesse significato niente per te».

«Cosa doveva significare?»

«Che sei attratta da me».

Distolgo lo sguardo e fisso la finestra e gli alberi innevati fuori. All’improvviso la baita sembra piccolissima. «Penso che sia abbastanza ovvio», ammetto con calma.

Lui ridacchia piano. «Ovvio? Ella… io non riesco a capirti, per quanto ci stia provando».

Riporto lo sguardo su di lui, sapendo che adesso sarà ancora più difficile distoglierlo. C’è qualcosa di così onesto nei suoi occhi che mi disarma. D’altro canto, sono giorni ormai che mi disarma.

«Non penso che sia vero», gli dico. «Ieri sera mi hai capita piuttosto bene».

«Potrebbe essere stata semplice fortuna il fatto che tu abbia ricambiato il bacio. Oppure sono un bravo baciatore».

Non riesco a non sorridergli. «Sei un bravo baciatore».

Non che abbia chissà quale esperienza, ma di sicuro è stato il bacio più bello che io abbia mai avuto. Baciarlo è stato semplice e naturale come respirare.

Lui mi studia da vicino. «Allora perché ho l’impressione che tu ti stia comportando come se non fosse mai successo?».

Dannazione.

«Ella?», aggiunge. «Non farmelo chiedere di nuovo».

Lo guardo con espressione dura. «Cerchi di comandarmi a bacchetta? Sarai anche un principe, ma questa principessa è padrona di se stessa».

Lui sorride. «Cazzo, sei sexy quando mi rimproveri».

«Non ti stavo proprio rimproverando».

«Allora sei sexy quando fai qualsiasi cosa. Allora dimmi», dice spostando lo sguardo sul mio naso, sulle mie labbra. «Di cosa hai paura?».

Mi schiarisco la voce cercando di mettermi dritta. «Non ho paura».

«Hai paura che tra un giorno o due dirai di sì?»

«No».

Ovviamente, è proprio di questo che ho paura.

«Ella», dice con dolcezza mettendomi una mano sulla guancia. Il suo palmo è così caldo, così forte, che i miei occhi si chiudono automaticamente e mi abbandono. «Se dirai di no…».

Quel pensiero mi provoca una fitta.

Perché se dirò di no, lui dovrà trovare qualcun’altra.

A poco a poco, giorno dopo giorno, sono passata dal volere indietro la mia libertà e la mia vita all’università al non riuscire a immaginare il mio futuro senza Magnus al mio fianco in qualche modo.

Insomma, non lo amo. In gran parte delle giornate, neanche mi piace. Tuttavia, a prescindere dal nostro umore o da chi siamo l’uno per l’altra, c’è sempre una costante. Mi fa sentire qualcosa, come non ha mai fatto nessuno, anche solo il fatto che il mio corpo ha iniziato a desiderare il suo.

E questo è il motivo per cui portare il sesso e l’aspetto fisico in questa faccenda rende le cose ancora più confuse.

«Vuoi che dica di sì solo perché devi sposarti con qualcuno», gli dico. «E io sono comoda. Sono qui. Hai investito il tuo tempo. Tanto vale che sia io».

Lui non risponde e quindi so di avere ragione. Se tutta questa faccenda del matrimonio fosse annullata e lui fosse libero di fare ciò che vuole, verrei messa da parte e dimenticata, come al solito.

Alcune cose non cambiano mai, almeno non per me.

Lui sospira e toglie la mano dal mio viso. Ora sento la pelle esposta.

«Ella, se non mi vuoi adesso, mi risulta difficile credere che cambierai mai idea», mi dice. Dal modo in cui sta aggrottando le sopracciglia, sembra davvero ferito.

«Non ho detto che non ti voglio. Solo… è una cosa grossa».

Ora gli è tornato il sorriso impudente che ha di solito. «Lo so. È quasi troppo grossa».

«Sai cosa intendo». Gli do un debole pugno sul petto, cercando di riportare la leggerezza che c’era prima tra noi. «Ho solo bisogno di spazio per chiarirmi le idee».

Lui si acciglia, come se non capisse, e poi annuisce. «Okay. Posso darti spazio. Per quel poco tempo che ci rimane». Fa un passo indietro e si allontana. «Che cosa vuoi fare oggi? C’è un laghetto non lontano da qui e di solito Viktor e io andiamo a pescare».

Sembra così rilassato e così perfetto mentre si passa una mano tra quei capelli attraenti che è difficile credere che mi abbia appena detto che ieri sera per lui sono stata tutto.

È difficile ignorare il modo in cui mi ha fatta sentire.

Voluta. Indispensabile.

Desiderata.

Faccio un respiro profondo. «La pesca non è male».

«Perfetto, vestiti calda, metti gli stivali e…».

Viene interrotto da Einar che urla qualcosa in norvegese.

Magnus e io ci guardiamo sorpresi e corriamo alla porta, la apriamo e vediamo Einar che si fissa nello specchio con un’espressione di orrore puro, mentre Viktor è piegato in due dalle risate. Einar inizia a urlargli di nuovo contro, infuriato e con la faccia tutta rossa, e questo fa solo ridere Viktor ancora di più. È difficile prendere Einar sul serio con quei baffi.

«Che sta dicendo?», chiedo a Magnus.

«Oh, sta dicendo un paio di quelle parolacce che hai imparato. Sarà meglio che Viktor e io dormiamo con un occhio aperto stanotte».

«Ti è permesso fare quel gioco di domande con me?», mi chiede Jane.

Sollevo lo sguardo dal libro, una copia de Il giardino segreto, e vedo Jane in piedi sulla porta. Sembra sia appena tornata dalla stalla e ha qualche pagliuzza tra i capelli. Mentre Magnus e io eravamo via per conto nostro, ha iniziato a interessarsi all’equitazione, uno sport che faceva da piccola.

«Intendi il quiz time?».

Attraversa il salotto e si siede di fronte a me. Non mi disturbo a farle notare che ha lasciato una scia di pezzetti di legno e sporcizia dietro di lei. È passata da Lady Jane a Lady Porcilaia.

«Ella, ancora non mi hai detto cosa è successo alla baita. Domani sarà il nostro ultimo giorno qui. Devi prendere una decisione».

Mi metto seduta dritta e mi guardo intorno, assicurandomi che Magnus o Ottar non siano a portata d’orecchio.

«Rilassati», mi dice lei. «Magnus è andato a correre. Lo sentiresti se tornasse. Quell’uomo non riuscirebbe a essere silenzioso neanche se volesse».

«Dov’è Ottar?»

«Anche lui è andato a correre».

«Ed Einar?».

«Proprio qui», dice Einar con la mano alzata, apparendo improvvisamente in un angolo della stanza, dove a quanto pare se n’era rimasto seduto per chissà quanto tempo.

«Gesù, Einar», impreco, innervosendomi ogni volta che lo scopro da qualche parte all’improvviso. «Era più facile avvistarti quando avevi quei baffi».

A quel punto lui solleva un sopracciglio ma non dice niente mentre esce dalla stanza. C’è voluto un bel po’ di sapone e lo struccante extra-forte di Jane per togliere quella roba.

Jane lo guarda finché non sparisce e poi riporta lo sguardo su di me. «Allora, cosa è successo?»

«Chi ti dice che sia successo qualcosa? Insomma, a parte i baffi di Einar».

«Prima della gita tu e Magnus eravate tutti romantici e civettuoli; adesso vi evitate come se aveste la peste».

«Non siamo mai stati romantici e civettuoli».

«Tu pensi di no, ma io lo so. Ella, tutta questa storia è successa davanti ai miei occhi come se stessi guardando una versione dal vivo di Downton Abbey. È stato magnifico».

Metto i piedi sotto le gambe e mi metto più comoda sul divano. «Be’,
mi fa piacere che per te sia stato uno spasso».

«È successo qualcosa. Hai bisogno di parlarne».

Alzo gli occhi al cielo. «Fa freddo. Dovremmo aggiungere altra legna nel camino».

«Se questo è il tuo modo per dirmi che devo mettere io altra legna nel camino, non ci sto, oppure sì… se mi dici la verità. Hai dormito con lui?»

«Dio, no», esclamo, ma la mia faccia sta diventando rossa per via di tutte le volte che ci ho pensato.

«No?»

«No», ripeto. E poi mi escono queste parole: «Lui… noi ci siamo baciati».

Jane mi rivolge un sorriso d’intesa. «Avevo capito che sarebbe successo qualcosa. È per questo che ho voluto rimanerne fuori. Com’è stato?».

Chiudo gli occhi e appoggio la testa all’indietro sul divano, rivivendo quel momento. Il modo in cui la sua bocca si muoveva vogliosa, la sensazione di avere la sua erezione premuta contro la coscia, dura come una roccia. «È stato bello», dico a bassa voce.

«Allora perché cavolo lo stai ignorando? Dovresti sbaciucchiarlo ogni volta che puoi! E anche di più».

La guardo e sospiro. «Perché non voglio che questo mi offuschi il giudizio».

«Ella!», esclama lei. «Questo dovrebbe offuscarti il giudizio! E non te lo sta offuscando, cavolo, te lo sta illuminando. Ella, se lo vuoi, allora sposalo».

«Ancora non lo amo. Mi sposerei per delle ragioni tutte sbagliate. E se poi mi ritrovassi con un matrimonio pieno di sesso e nient’altro?».

Accidenti se è contrariata. «Lo sai quante donne, me inclusa, ammazzerebbero qualcuno per un matrimonio pieno di sesso? Dio buono. Sei fuori di testa».

«Io voglio l’amore», le dico. «Che succederebbe se non lo provassi mai per lui? Che succederebbe se…», e so che questa è la mia paura più grande, «se io lo amassi ma lui non provasse mai lo stesso per me?».

Jane inclina la testa con aria comprensiva. «Nessuno ha queste risposte. Nemmeno chi si innamora e si sposa per le ragioni giuste. Le persone smettono di essere innamorate, si allontanano. Non ci sono garanzie, a prescindere da quanto tu possa rifletterci».

«Ma per lo meno loro lo fanno per le ragioni giuste. Iniziano con il piede giusto».

«Ti sposerai per le ragioni giuste? No. Forse no. Ma hai le tue ragioni, no? Altrimenti non saresti qui in questo momento, a leggere sul divano di quella che potrebbe essere casa tua».

Non avevo proprio pensato che questa potesse diventare casa mia ma, visto che potrei inserirla nella lista di richieste, suppongo che sia possibile.

Lei continua, con voce calma adesso. «Se dici di sì, avrai le tue ragioni e sai già adesso quali sono».

Le principali ragioni che avevo all’inizio sono state messe da parte.

Avere del potere e una voce.

Avere la possibilità di far la differenza nel mondo.

Avere il rispetto della gente.

L’ammirazione di mio padre.

La ragione principale per cui dovrei dire di sì è la più semplice: la speranza.

Non so cosa mi riservi il futuro, ma so quale futuro potrebbe darmi maggiori speranze.

Ed è quello con Magnus.

Ho una marea di speranza nascosta nel mio cuore per lui.

Il mio telefono suona e vengo strappata ai miei pensieri.

Allungo subito il braccio verso il tavolino da caffè per prenderlo e getto un’occhiata allo schermo.

«Tuo padre?», mi chiede Jane.

Ho un tuffo al cuore. Mio padre non mi ha chiamato neanche una volta da quando sono qui.

Al contrario, penso che possa trattarsi della Regina. Un numero privato di Oslo.

Scuoto la testa e rispondo. «Pronto?».

«Ella, tesoro». Già. La madre di Magnus.

Schiarendomi la voce, dico: «Buon pomeriggio, Vostra Maestà».

«Per favore, lo sai che devi chiamarmi Else».

«Voleva parlare con Magnus?», domando, ignorando come abbia avuto questo numero e non volendo parlare con lei al telefono.

«No, non preoccuparti», risponde. «Volevo solo scambiare due parole con te».

Oh dio.

«Volevo vedere come stanno procedendo le cose».

Oh dio.

«Sai che verremo domani con gli avvocati e i contratti per esaminare la tua decisione finale».

Oh dio.

«Oh, sì. Per qualche ragione, ho pensato che saremmo venuti noi a palazzo», le dico.

«È troppo rischioso. Qualcuno potrebbe vederti. La stampa non è riuscita a individuare Magnus ultimamente e quindi stanno tutti all’erta».

Faccio una smorfia al pensiero di essere andata al bar e alla baita, mentre lei non ne ha la minima idea.

«Di’ a Magnus che saremo lì prima di mezzogiorno, domani. Se i cuochi riuscissero a preparare qualcosa per me e per il Re, lo apprezzeremmo molto. Di sicuro moriremo di fame dopo tutti i festeggiamenti».

Oh. Dio.

«Okay», sussurro. «Arrivederci».

Chiudo la telefonata, incurante del fatto che quello potrebbe non essere il modo appropriato per terminare una chiamata con la Regina. Dio mio se sembrava sicura della mia risposta!

«Va male, eh?», mi chiede Jane.

Le rivolgo un’espressione triste. «Pensa che dirò di sì».

«E lo farai?».

Sospiro e mi alzo in piedi. «Vado a fare un sonnellino. Non ce la faccio ad affrontarlo adesso».

«Sarà meglio che impari ad affrontarlo, allora», dice Jane. «Domani arriverà prima che tu te ne accorga».

È di questo che ho paura.

Mi dirigo verso la mia stanza, chiudo la porta e mi spaparanzo subito sul letto. Voglio solo qualche istante di chiarezza. Il tempo di respirare. Non voglio neanche pensare, perché il mio cervello si sente sovraccarico.

E, a quanto pare, è così sovraccarico che in pochi secondi la stanza diventa nera e scivolo in un sonno beato.

Tuttavia, mi sveglio di nuovo quando sento qualcuno sussurrare: «Ella», da qualche parte sopra di me.

Apro gli occhi. La stanza è buia, fatta eccezione per le luci fuori che arrivano deboli attraverso le finestre lontane. Deve essere per lo meno ora di cena. E poi noto la figura sopra di me, con il riflesso delle luci che gli illumina gli occhi.

Inspiro rapidamente, ma non sono spaventata.

«Magnus?», dico.

«Non volevo svegliarti», mormora. Sta al lato del letto, con una mano appoggiata al bordo del materasso, a pochi centimetri dalla mia anca. «La cena sarà pronta tra poco».

«Oh», dico deglutendo per eliminare la voce carica di sonno. «Ho dormito così tanto».

«Penso che ne avessi bisogno». C’è un lungo silenzio. Riesco a sentire il suo respiro, a sentire il battito cardiaco nella mia testa. «Ti ho dato spazio, Ella. Ma adesso è finita».

«Finita?», riesco solo a dire.

Lui annuisce. «Ti ho lasciato fare ciò che dovevi fare e pensare a ciò che avevi bisogno di pensare. Ma adesso è arrivato il momento delle mie necessità».

Sto sognando? Che sta succedendo?

«Quali necessità?».

Voglio saperlo?

«Sappiamo entrambi cos’è domani. Sappiamo entrambi che ti ho dato spazio e ti ho lasciata sola per permetterti di prendere una decisione. Ma sono stanco di aspettare che tu venga da me, sono stanco di aspettare che tu faccia la tua scelta del cazzo».

Sta scherzando? «La mia scelta del cazzo?», gli dico mentre mi sale la rabbia. All’improvviso sono più sveglia che mai.

Mi metto seduta. «Lo so che sei abituato a vederti servire le cose su un piatto d’argento e a fare il cazzo che ti pare, ma io no. È una cosa grossa, okay? Per l’amor di Dio, ho solo ventidue anni, Magnus! Un giorno sto cercando di capire come farmi apprezzare dalle mie coinquiline e se posso prendere una A o un’A+ a un esame e quello dopo devo prendere in considerazione l’idea di diventare la Principessa di Norvegia. Non pensavo neanche minimamente al matrimonio prima che arrivassi tu! Come puoi aspettarti che io…».

«Non ti sposerò».

Le sue parole mi colpiscono come una bomba, mi entrano nel cuore come un proiettile.

«Cosa?», chiedo con difficoltà, incapace di respirare.

«Sposerò qualcun’altra», mi dice, così rapidamente, con una tale disinvoltura, come se non avesse alcuna preoccupazione al mondo, come se non mi stesse distruggendo in questo momento. «Non riesci a decidere ed è questa la risposta. Tenterò la sorte con la Principessa del Belgio. Sei libera, Principessa Planet. Torna all’altra tua vita».

Poi si volta e inizia a camminare verso la porta.

Non so se scoppiare a piangere o se attaccarlo.

Decido per quest’ultima.

«Tu, stronzo del cazzo!», urlo saltando giù dal letto e correndo verso di lui, spingendolo contro il muro.

Be’, provo a spingerlo. È duro come un albero e le sue radici non si spostano.

«Pezzo di merda!», grido colpendolo con i pugni. «Tu, tu…».

«Sacco di merda?», mi suggerisce e giuro che sta sorridendo.

«Questo non inizia nemmeno a spiegare quello che sei. Sei una canaglia. Sei una faccia di cazzo. Sei tutte quelle parolacce che ha detto Einar l’altro giorno».

«Hai fatto una sega a mio nonno?»

«Cosa? Oh mio dio. È questo quello che ha detto? No».

Lui allunga le mani e mi afferra i polsi, tenendoli in una stretta di ferro. «Te l’ho detto che mi piace quando fai la cattiva con me».

«Vaffanculo!», grido e sono abbastanza sicura di avergli sputato in faccia. È difficile dirlo con questa luce tenue. «Mi hai preso in giro! Mi hai usata! Mi hai detto solo bugie, mi hai fatto credere di volere me».

Mio dio, sembra assolutamente felice del fatto che gli stia urlando addosso. Perché cazzo gode tanto, si sta eccitando per la mia rabbia?

«Ella», mi dice con tono calmo. «Sto solo prendendo la decisione al posto tuo».

«Ho bisogno di prenderla io!».

«In realtà, pensi di aver tenuto tu la palla per tutto il tempo, ma ce l’ho sempre avuta io. Pensi che avrei aspettato di sapere se avessi detto sì o no? Stavo solo aspettando di capire se valesse la pena sposarti».

Fisso il pavimento, crollando sotto il peso di questa situazione.

Oh mio dio. Pensa che non valga la pena sposarmi. Non valgo la pena di fare niente. Ancora una volta, vengo messa di lato, vengo mandata via, vengo…

Penso che mi si stia spezzando il cuore.

«E ne vale la pena», aggiunge semplicemente.

La mia testa schizza verso l’alto. «Cosa?»

«Vale la pena sposarti, Ella», mi dice.

Lo guardo sbattendo rapidamente le palpebre. «Non capisco. Hai appena detto che sposerai la Principessa del Belgio».

«Sono abbastanza sicuro che la Principessa del Belgio abbia sessant’anni», risponde. «E, anche se mi piacciono i miei amici anziani, devo pur mettere dei limiti a un certo punto».

Ma che cazzo?

«Non capisco. Perché mi hai detto tutte quelle cose?»

«Perché volevo una reazione da te».

«Che stronzo!». Cerco di dargli un altro pugno sul petto ma mi tiene troppo stretta. «Una reazione? Mi hai quasi spezzato il cuore».

Persino nell’ombra riesco a vedere la sua espressione ammorbidirsi. «E allora non è questa la tua risposta?».

Mi ha fregata. Mi ha completamente fregata.

Pensare che mi avrebbe lasciato e che avrebbe sposato un’altra mi ha quasi spezzato il cuore. Allora perché mai ho pensato di lasciarlo? Forse perché per una volta volevo avere il controllo, avere il potere che ho sempre desiderato di avere? È stato un modo per farmi valere con lui?

«Senti, Ella», mi dice lasciandomi andare le mani e prendendomi il viso, facendomi sentire piccola e cullata. Mi fissa con attenzione e con un luccichio negli occhi. «La situazione non è cambiata, ma noi sì. Forse non pensavamo che la nostra vita sarebbe andata in questo modo ma, adesso, non riuscirei a pensarla diversa. So che hai i tuoi dubbi e ne hai tutto il diritto. Li ho anch’io. Lo so che ci conosciamo solo da poche settimane e so che non siamo innamorati. A stento ci piacciamo. Ma so che voglio fare questa cosa con te e posso solo sperare che la farai insieme a me».

Il respiro inizia a tornarmi, il cuore inizia a rallentare, eppure mi sento ancora i nervi come se ci avessero gettato sopra la benzina e lui stesse per lanciarci sopra un fiammifero.

«Quiz time», mi dice a bassa voce.

Ho la gola serrata. «Non hai cantato».

«È una cosa troppo seria per farlo», dice. «Ella, vuoi sposarmi?».

Cerco di non pensarci.

Apro solo la bocca e sputo la risposta.

«Sì».

Mi fa un sorriso così grande che sembra proprio un bambino. «Dici sul serio?».

Porca puttana. Dico davvero sul serio.

«Sì, lo voglio. Insomma, ho una lista di richieste prima di sposarci davvero».

«Oh, te l’ho sentito ripetere un sacco di volte».

«E non sono sicura che le accetterai».

«Accetterò tutto, Ella».

Oh cavolo, sarà meglio togliersi anche quest’altro peso di dosso. «Una di queste riguarda il sesso».

«In questo caso, sarò più che felice di accettare le tue richieste».

Gli rivolgo un rapido sorriso. «È solo che…».

«Ella», mi dice con tono rassicurante, abbassando le mani per stringere le mie. «So che non è una cosa convenzionale. Non mi aspetto niente da te. Né durante la prima notte di nozze, né dopo. Affronteremo le cose giorno dopo giorno».

Sollevo di scatto il mento. «Dici sul serio? Non mi sembra una cosa da Magnus».

«Non ho detto che non proverò a sedurti in ogni dannato momento», mi dice. «Perché, credimi, è esattamente quello che ho intenzione di fare».

Il brivido che mi corre lungo la schiena mi fa quasi cadere in ginocchio.

«Sarò pronta per te», gli dico con voce un po’ strozzata.

Si morde le labbra e sorride. «Sì, lo sarai».

Poi si china e mi dà un bacio lungo, umido e dolce di fianco alle labbra. Non avrei mai creduto che una cosa così casta potesse essere così sensuale. «Vado a dire ai cuochi che stai scendendo», dice mentre si allontana e lascia la stanza.

Sembra che porti via con sé tutta l’aria.

Che cosa abbiamo fatto?