CAPITOLO 1

 

Molte persone arrivarono in quei giorni da Jan Wokurka. I legionari polacchi, suoi vecchi camerati, continuavano a venire con persone nuove, amici senzapatria, soldati dell'esercito imperiale che la nuova grande sventura dell'imperatore aveva più che mai disorientato. Prima erano stati soltanto infelici. Ora erano perduti. Il terreno tremava sotto i loro piedi ed essi non capivano perché. Era pur sempre il suolo della patria, era Parigi, la capitale del loro Paese! Con tutto ciò il suolo della patria tremava sotto i piedi dei suoi figli. I soldati dell'esercito nemico marciavano armati nelle vie di Parigi. Si udivano le marce nemiche, suonate e stamburate da bande militari nemiche. Tutte le armate d'Europa, sembrava ai vecchi soldati dell'esercito imperiale, si erano date convegno a Parigi. Ogni giorno facevano esercitazioni.

Ogni mattina, ben pasciuti, marciavano con le loro divise tenute alla perfezione per le vie della città. Lungo i marciapiedi i soldati dell'esercito imperiale camminavano guardinghi, cenciosi e affamati.

Assomigliavano a cani senza padrone. L'imperatore era lontano. Navigava per mari ignoti, da qualche parte, incontro a un destino ignoto ma certamente pauroso. Sul trono di Francia sedeva un altro, un vecchio, un re grasso e bonario. Non che lo odiassero; ma insieme con lui erano venuti i nemici, le truppe ben pasciute con la musica delle marce nemiche. La carrozza con la quale il re era giunto una seconda volta alla sua residenza e al trono era stata preceduta, così dicevano i soldati tra loro, dai cannoni inglesi, dalla cavalleria prussiana, dagli ussari austriaci. Così pensava anche la gente del popolo. Siccome erano stati i nemici a riportare il re, anche il re era un nemico. Come poteva essere ancora signore di tutta la Francia se attraverso la sua capitale marciavano soldati stranieri? Aveva la Francia ancora un padrone? Non era già caduta in balìa del mondo?

 

Una volta il mondo intero era stato in balìa del grande imperatore. E in tutti i Paesi del grande e vario e vasto mondo, ogni soldato dell'esercito imperiale si era sentito a casa propria. Adesso invece tutti sciamavano per le strade della loro capitale come stranieri e vagabondi. Perciò, quando scendeva la sera e il crepuscolo li rendeva ancora più senzapatria, essi si radunavano in casa di vecchi amici.

Erano anche affamati e bramavano una pipa di tabacco e un bicchiere di vino. E uomini come il calzolaio Wokurka davano loro ospitalità.

 

Le giornate estive erano chiare e senza nubi. I vecchi soldati si sentivano beffati da quell'estate, come se il cielo indicasse chiaramente che non si curava della sventura toccata in sorte alla Francia e all'imperatore. Il cielo s'inarcava col suo azzurro costante e sereno sopra il lutto del Paese. Il sole lontano e impassibile illuminava le odiate bandiere dei nemici. Perfino l'estate festeggiava la loro vittoria.