CAPITOLO 11

 

Già aveva rinunciato a tutto. E già, con la coscienziosa risolutezza di chi è assolutamente rassegnato o anche di chi è forte, aveva cominciato a fare i preparativi. Era deciso che si dovevano sposare in gennaio e che dopo un mese sarebbero partiti. Mancavano dunque ancora lunghe settimane prima della partenza. E tuttavia Angelina sentiva che il solenne proponimento di Wokurka cancellava le leggi del tempo. Temendo di venir meno alla sua decisione pensava che non c'era neanche un giorno da perdere.

 

Rifletteva su cosa avrebbe lasciato a suo figlio. Era sicura infatti di non rivederlo più. La croce che aveva portato dal suo Paese, il fazzoletto che per il suo stolto amore aveva rubato all'imperatore, ecco che cosa poteva donare al piccolo Pascal. E intanto formulava le parole che gli avrebbe detto. Erano cose da poco, gli avrebbe detto, ma per lei, sua madre, erano importanti, e gliele dava perché lui la ricordasse sempre. Ricordasse lei, ma anche l'imperatore.

 

Tolse quindi il fazzoletto dalla valigia, staccò la croce che aveva appesa sopra il letto di Wokurka e andò in caserma.

 

Wokurka l'accompagnava. Aveva confezionato un paio di stivali per il figlio di Angelina, stivali buoni, solidi, come si addicevano a un tamburino.

 

Trovato il ragazzo, andarono con lui allo spaccio. Egli si lasciò abbracciare dalla mamma e stringere la mano da Wokurka, prese i doni, si mostrò lieto del fazzoletto e degli stivali, ma in quanto alla croce osservò: «Questa non mi serve. Nel nostro reggimento non sappiamo che farcene!». La ridiede a sua madre dicendo: «Sono sicuro che a te può servire!». E in quel momento aveva la voce roboante di suo padre, il maresciallo maggiore Sosthène.

 

Lo spaccio era affollato di soldati chiassosi. Dietro al banco, sopra il ripiano con le bottiglie di molti colori, era appesa alla parete, coperta da un velo trasparente, l'aquila dell'imperatore, e al di sopra, troppo grande e in evidenza, il ritratto del re che era ritornato. Il suo viso bonario e indifferente, le guance grasse e cascanti, le palpebre semichiuse sembravano ancora più lontane e indistinte dell'aquila di lucido ottone coperta dal velo. Pareva che il ritratto del re si velasse da solo, e il velo sopra l'aquila imperiale fosse soltanto una nebbia di passaggio.

 

Tutt'intorno, ai tavoli, sobri o allegri, i soldati parlavano dell'imperatore; e i più ubriachi di tanto in tanto arrivavano persino a gridare: «Viva l'imperatore!». Il piccolo Pascal stese il fazzoletto e disse con voce forzatamente profonda: «Tutti dicono che lui, l'imperatore, ritornerà. Noi dei Borboni ce ne infischiamo!» e col ditino indicò il ritratto del re sulla parete.

 

«No, non tornerà» asserì il calzolaio Wokurka. «Anzi ti volevo dire che se vuoi puoi venire con noi, con tua madre e con me al mio Paese».

 

«A che scopo?» domandò il ragazzo. «L'imperatore ritornerà presto. Lo dicono tutti».

 

Angelina taceva. Ascoltava i soldati che intorno a lei parlavano dell'imperatore. No, non era morto e dimenticato, l'imperatore era vivo, vivo nel cuore dei soldati che da un giorno all'altro lo aspettavano.

Soltanto lei non lo aspettava più, a lei sola non era lecito aspettarlo.

 

E si accorse che non appena pensava all'imperatore l'uomo le diveniva estraneo, e così il figlio. Anzi, era soltanto perché aveva parlato dell'imperatore con affetto che suo figlio le era parso vicino. E per il timore di rivelare il proprio sgomento e di dover rinunciare alla decisione presa, che era quella di seguire Wokurka, esclamò: «Andiamo!».

Si alzò, baciò il figlio sulle guance, sulla fronte, sui capelli rossi e si incamminò prima ancora che Wokurka avesse trovato il tempo di alzarsi.

 

Per la strada egli si rivolse a lei dolcemente, un po' timido e malsicuro. Le spiegò che i soldati s'ingannavano, non conoscevano il mondo dell'alta politica e perciò credevano che l'imperatore potesse ritornare. Ma anche ammesso che i soldati avessero ragione e l'imperatore tornasse, ciò non doveva impedire a loro due, al calzolaio Wokurka e alla sua Angelina, di cominciare una vita nuova in terra lontana, fuori dalle agitazioni che i grandi di questo mondo sollevano solo affinché i piccoli abbiano a soffrire. «Già, già» mormorò lei, ma non ci credeva più.

 

A casa vide gli altri inquilini, piccoli operai, cocchieri e domestici, tutti fermi davanti al portone. Qualcosa di insolito doveva essere accaduto: infatti erano ritornate la levatrice Pocci e Veronica Casimir.

Ma entrambe avevano rifiutato qualsiasi notizia, si erano soltanto informate di Angelina, affermando sulle generali e molto solennemente di essere ritornate perché «stava per cominciare un'epoca nuova».

 

Non era mutata, Veronica Casimir, e nemmeno la levatrice Pocci. Nessuno ebbe l'ardire di domandare dove fossero state tutto quel tempo le due donne. Si osservò soltanto che erano entrambe riconoscibili alla prima occhiata e niente affatto cambiate: la levatrice Pocci, immutata in tutta la sua ossuta e minacciosa magrezza da cui irradiava tuttavia un senso di familiarità; la signorina Casimir, con tutta la sua pinguedine immutata, tonda eppure non priva di agilità.

 

«Non lo dovete fare» disse al calzolaio Wokurka. «Se andate via e l'imperatore ritorna perdete ogni diritto alla pensione. E come è vero che mi chiamo Veronica Casimir, come è vero che, lo sa il mondo intero, ho pronosticato all'imperatore battaglie e vittorie e sconfitte, così vedo che adesso ritornerà presto. Così è e così sarà».

 

Tutto questo Veronica Casimir non lo diceva certo alla leggera. Lo dimostrò. Lo dimostrò alla presenza di tutti gli inquilini, dei vicini chiamati o accorsi da tutto il quartiere e di molti stranieri che si erano radunati, creduli, pieni di speranza e devozione, nel 139

la stanza del calzolaio, affollando anche il vestibolo e talvolta costretti ad attendere in strada. Lo dimostrò con le carte inconfutabili. Lo ripeté ogni sera: «L'imperatore prepara la partenza.

Mille e cento uomini lo accompagnano. Si aspettavano molti pericoli, ma tutti i pericoli si dileguano e svaniscono davanti all'imperatore. Gli si spalancano tutte le porte. Il popolo lo acclama. E vince, vince!

Arriva, arriva!».

 

«E poi?» domandava talvolta il calzolaio Wokurka. «Che cosa sarà dopo?».

 

«Questo non lo vedo» rispondeva Veronica. E raccolte le carte si allontanava in fretta quasi rotolando tra due ali di ascoltatori riverenti.