CAPITOLO 11
Ed ecco il mare che egli aveva tanto anelato, il mare eterno.
L'imperatore si trovava ora in una stanzetta al primo piano d'una piccola casa nell'Ile d'Aix. Il letto, il tavolo e il cassettone erano neri come bare di ebano. Durante la notte l'imperatore si svegliò più volte, il mare non lo lasciava dormire. Ne era passato di tempo da quando aveva potuto dormire beatamente al canto delle onde! Era giovane, allora; e quello era stato il suo mare, il mare che circondava la Corsica. Persino quando si infuriava, le sue onde spumeggianti esprimevano nella collera una specie di amorosa voluttà e le loro bianche creste non muovevano all'assalto della costa, ma piuttosto la accarezzavano impetuose. Così sembrava ora all'imperatore, nella notte che non lo lasciava dormire, sicché andò ad aprire la finestra e ad ascoltare il monotono ed eccessivo sciabordio delle onde contro la riva.
Com'era stato buono una volta il mare della Corsica, il mare della sua patria! Questo invece non era un mare francese, sembrava che le sue onde parlassero inglese, la lingua del nemico, del nemico di sempre. Dalla finestra si potevano vedere le luci a qualche miglio di distanza. La nave inglese era già in attesa, «Bellérophon» era il nome della nave, Maitland quello del capitano. Nomi, pensò l'imperatore, che per causa mia vivranno in eterno pur non meritandolo affatto! «Bellérophon e Maitland»: dopo secoli si parlerà di loro, la nave sarà affondata o alcune sue parti saranno state usate per costruirne un'altra, il capitano giacerà sul fondo del mare o in qualche cimitero inglese.
Anch'io sarò morto e starò in una bara più solida, probabilmente. Ma un giorno i vermi roderanno anche quella. Sarà una bara nera come il cassettone di ebano che c'è in questa stanza, come questo letto nero nel quale mi corico e che somiglia già ora a un catafalco. Ma i loro nomi saranno ancora noti, Maitland e Bellérophon, Bellérophon e Maitland...
Venne poi Giuseppe, il fratello dell'imperatore. L'imperatore lo aspettava da un pezzo. Quando lo vide entrare, Napoleone pensò: Potevi venire prima. Disse invece: «Ho piacere che tu sia qui». Si abbracciarono brevemente, con freddezza. «E ora?» domandò il fratello.
Pareva che chiedesse la resa dei conti.
«So che cosa vuoi dire» disse l'imperatore. «Vuoi sapere se mi sono deciso a fuggire davanti agli Inglesi. La mia risposta è no! Ho deciso che mi arrenderò agli Inglesi».
«Hai considerato bene ogni cosa?».
«No. Non ho considerato niente. Non rifletto più da quando mi sono accorto che la mia povera testa viene meno. Mi rimetto al cuore. Lo so, lo so, così ci si mostra ingrati. Ingrati. Lo so. Alcune anime nobili hanno concepito progetti ben precisi. Vogliono rapirmi, magari ci riuscirebbero anche. Ma io non voglio, hai capito? Non voglio! Talvolta, quando non dormo - raramente riesco a dormire - vedo cadaveri e cadaveri; tutti i cadaveri sparsi lungo il mio cammino. Se si ammucchiassero sarebbero una montagna, fratello mio; se si allineassero sarebbero come il mare. Non posso! Quanti cannoni hanno sparato per causa mia? Sapresti contare gli spari o soltanto i pezzi? Non voglio più che per me si spari nemmeno un colpo. Capisci?».
«Sei in pericolo» osservò il fratello. «Ti possono uccidere».
«Vuol dire che perderò un'altra vita» rispose l'imperatore. «Ne ho già perdute tante!».
Si coricò sugli alti cuscini del letto nero accanto al quale c'era un candeliere a tre bracci su un tavolinetto di ebano, e chiuse gli occhi, mentre le candele guizzando mandavano sprazzi di luce cattiva e inquieta sul suo viso. Il fratello ebbe l'impressione che l'imperatore fosse già morto e steso nella bara.
Mio fratello dovrebbe andarsene, pensò l'imperatore, dovrebbe andarsene da solo, con il denaro che ha accumulato e messo in salvo. Che cosa si vuole ancora da me?
«Lasciatemi, insomma, lasciatemi tutti!» esclamò l'imperatore. «Non curatevi di me, il mio destino si compie da solo. Andate, cominciate un'altra vita in un mondo nuovo!». L'imperatore avvertì un'altra volta il leggero sospetto che lo tormentava: tutti lo volevano salvare, e lo amavano anche, ma come in precedenza si erano aggrappati alla sua fortuna, ora legavano il proprio nome persino alla sua sventura.
«Lasciatemi, insomma!» ripeté. «La mia sorte è quella di Temistocle.
Anche lui era solo. Vado dai nemici. Ho scritto al principe reggente inglese. Mi consegno nelle sue mani».
«Devo dirti ancora una volta di stare in guardia» ammonì il fratello.
«Ti faranno prigioniero. Ti terranno in una gabbia come una bestia pericolosa. Ho notizie confidenziali. L'ammiraglio ha trasmesso un ordine segreto al capitano Maitland perché ti prenda sulla sua nave in qualsiasi modo, con l'astuzia o con la forza».
«Non dovrà ricorrere né all'una né all'altra. Domani o dopodomani andrò da lui spontaneamente».
«Salutiamoci allora!» disse il fratello alzandosi in piedi freddamente, quasi ostile. L'imperatore si alzò di scatto. Allargò le braccia. Si baciarono due volte, su una guancia e sulla fronte.
«Non ci vedremo mai più» soggiunse l'imperatore. E stette in attesa.
Sperava che in quel momento, ora, suo fratello gli dicesse: Prendimi con te! Non ti abbandono!
Il fratello invece si limitò a dire: «Ritornerai. Per questo lavoreremo e combatteremo».
«Poveri combattenti!» mormorò l'imperatore. E: «Addio!» disse forte e secco. Si volse verso la finestra e rimase ad ascoltare il crucciato ed uniforme scroscio delle onde alle quali l'indomani o il giorno dopo intendeva arrendersi: a una nave nemica e alle onde nemiche.