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Feci quella telefonata a tutta velocità, perché avevo paura che sul più bello i miei mi piombassero tra capo e collo. Però non successe. Il professor Antolini fu molto gentile. Mi disse che potevo andare anche subito, se volevo. Mi sa che li avevo svegliati, lui e sua moglie, perché ci misero un secolo a rispondere al telefono. Per prima cosa, mi domandò se c’era qualcosa che andava male, e io gli dissi di no. Però gli dissi che mi avevano buttato fuori da Pencey. Pensai che tanto valeva dirglielo. A quella notizia lui disse: - Dio buono! - Aveva un gran senso umoristico e via discorrendo. Mi disse che se ne avevo voglia potevo andare anche subito.

Era forse il miglior professore che abbia mai avuto, quell’Antolini. Era abbastanza giovane, non molto più anziano di mio fratello D. B., ed era un tipo col quale potevi scherzare senza perdere il rispetto che avevi per lui. Era stato proprio lui, alla fine, a raccogliere quel ragazzo che si era buttato dalla finestra, quel James Castle di cui vi ho parlato. Il vecchio professor Antolini gli aveva sentito il polso eccetera eccetera, e poi si era tolto la giacca, l’aveva messa addosso a James Castle e l’aveva portato così in braccio per tutta la strada fino all’infermeria. Non glien’era importato un accidente che la sua giacca si fosse tutta sporcata di sangue.

Quando tornai nella camera di D. B., la vecchia Phoebe aveva aperto la radio. Stavano facendo musica da ballo. Ma lei la teneva bassa per non farla sentire alla cameriera. Avreste dovuto vederla. Stava seduta proprio in mezzo al letto, fuori delle coperte, con le gambe incrociate come un buddista. Stava sentendo la musica. È fantastica, Phoebe.

- Vieni, - le dissi. - Ti va di ballare? - Era ancora piccolissima quando le avevo insegnato a ballare e via discorrendo.

Era un’ottima ballerina. Voglio dire, io le avevo insegnato solo qualche cosa. Lei aveva imparato quasi tutto da sola: insegnare a ballare sul serio a qualcuno è impossibile.

- Tu hai le scarpe, - disse lei.

- Me le tolgo. Vieni.

Saltò letteralmente giù dal letto, aspettò che mi togliessi le scarpe e poi ballammo per un po’. È proprio brava, accidenti.

Non mi piace la gente che balla coi bambini, perché il più delle volte è uno spettacolo tremendo. Voglio dire, se sei a un ristorante e vedi qualche vecchio che porta la sua bambina sulla pista. Di solito continua a tirarle su il vestito di dietro, e la ragazzina ad ogni modo balla di peste ed è uno spettacolo tremendo, ma io con Phoebe non ballo mai in pubblico né niente.

Lo facciamo solo a casa, per scherzo. E con lei è diverso, ad ogni modo, perché sa ballare. Ti segue in tutto quello che fai. Se la tieni ben stretta, voglio dire, perché così non conta se hai le gambe tanto più lunghe delle sue. Lei ti viene dietro. - Puoi fare i passi incrociati, o certi tuffi da bullo, perfino un po’ di jitterbug, e lei ti viene dietro benissimo. Puoi fare persino il tango, Dio santissimo!

Facemmo quattro balli o giù di li. Tra un ballo e l’altro lei è buffissima. Resta ferma in posizione. Non vuole nemmeno parlare, niente! Bisogna restare tutt’e due in posizione e aspettare che l’orchestra riattacchi. E fantastica, proprio. Non devi nemmeno ridere, niente! Ad ogni modo, facemmo quei quattro balli e poi spensi la radio. La vecchia Phoebe tornò a saltare sul letto e s’infilò sotto le coperte. - Sto migliorando, vero? - mi domandò, - Eccome! - dissi io. Mi sedetti un’altra volta sul letto vicino a lei. Avevo un po’ d’affanno. Fumavo come un turco e quasi non avevo più fiato. Lei non aveva nemmeno un po’ d’affanno.

- Sentimi la fronte, - mi disse tutt’a un tratto,

- Perché?

- Sentimela. Una volta sola, su.

Gliela toccai. Però non sentii proprio niente.

- Scotta molto? - disse.

- No. Dovrebbe scottare?

- Sì, la faccio scottare io. Sentimela ancora.

La toccai ancora, ma anche stavolta non sentii niente, però le dissi: - Mi pare che cominci, adesso -. Non volevo proprio che le venisse un maledetto complesso d’inferiorità. Lei fece di si con la testa. - Posso farla andare molto più su del termonetro.

- Termometro. Chi te l’ha detto?

- E stata Alice Holmborg a farmi vedere come si fa, si incrociano le gambe e si trattiene il respiro e si pensa a una cosa molto calda, proprio caldissima. Un termosifone o una cosa così. Allora la fronte ti diventa così bollente che puoi scottare la mano di una persona.

Mi lasciò secco. Tirai via la mano dalla sua fronte come se stessi correndo un pericolo mortale. - Grazie d’avermelo detto, - esclamai.

- Oh, la tua non l’avrei scottata. Avrei smesso prima che diventasse troppo... Sttt! - Poi, con una sveltezza incredibile, balzò a sedere sul letto. Quando fece così mi spaventò a morte. - Che ti piglia?- dissi.

- La porta di casa! - disse in un concitato bisbiglio.- Sono loro!

Balzai su di scatto e corsi a spengere la luce sulla scrivania. Poi schiacciai la sigaretta contro la suola e me la misi in tasca. Poi sventolai l’aria come un forsennato per disperdere il fumo - non avrei dovuto fumare, Dio santissimo! Poi afferrai le scarpe, mi infilai nel ripostiglio e chiusi la porta. Ragazzi, il cuore mi batteva come un tamburo.

Sentii mia madre che entrava nella camera.

- Phoebe? - disse. - Smettiamola, adesso. Ho visto la luce, signorina.

- Salve! - sentii che diceva la vecchia Phoebe. - Non riuscivo a dormire. Ti sei divertita?

- Moltissimo, - disse mia madre, ma era chiaro che non era vero. Non ci prova mai molto gusto, quando va fuori.- Si può sapere perché sei sveglia? Stai abbastanza calda?

- Si che sto calda. È solo che non riuscivo a dormire.

- Phoebe, hai fumato una sigaretta qua dentro? Fammi il piacere di dire la verità, signorina.

- Cosa? - disse la vecchia Phoebe.

- Mi hai sentita.

- Ne ho soltanto accesa una per un attimo. Ci ho dato soltanto una boccata. Poi l’ho buttata dalla finestra.

- Si può sapere perché?

- Non potevo dormire.

- Non mi piace, Phoebe. Non mi piace affatto, - disse mia madre. - Vuoi un’altra coperta?

- No, grazie. ‘Notte, - disse la vecchia Phoebe. Stava cercando di liberarsi di lei, si capiva benissimo.

- Com’era il film? - disse mia madre.

- Bellissimo. Tolta la mamma di Alice. Per tutto il film non ha fatto altro che buttarmisi addosso per domandarle se si sentiva l’influenza. Siamo tornate in tassi.

- Fammi sentire la fronte.

- Ma non mi sono presa niente. Non aveva mica niente, lei. Era solo sua madre.

- Bene. Dormi, adesso. Com’era la cena?

- Uno schifo, - disse Phoebe.

- Hai sentito quello che ha detto tuo padre su questa parola. Che cosa vuol dire, era uno schifo? Hai mangiato una deliziosa cotoletta di agnello. Ho fatto a piedi tutta Lexington Avenue proprio per...

- La cotoletta andava benissimo, ma Charlene mi respira sempre addosso tutte le volte che mi mette davanti qualche cosa. Respira sui piatti e compagnia bella. Respira su tutto.

- Bene. Dormi, ora. Da’ un bacio alla mamma. Hai detto le preghiere?

- Le ho dette in bagno. ‘Notte.

- Buonanotte. Mettiti subito a dormire. Ho un mal di capo feroce, - disse mia madre. Soffre molto di mal di capo. Sul serio.

- Prendi qualche aspirina, - disse la vecchia Phoebe.- Holden verrà mercoledì, vero?

- A quanto ne so io, sì. Mettiti sotto, adesso. Bene giù,

Sentii mia madre uscire e chiudere la porta. Aspettai un paio di minuti. Poi uscii dal ripostiglio. E piombai in pieno addosso alla vecchia Phoebe, perché era buio pesto e lei era scesa dal letto per venire ad avvertirmi. - Ti ho fatto male? - dissi. Bisognava bisbigliare, adesso, perché erano tutti e due a casa. - Devo filarmela, - dissi. Trovai nel buio l’orlo del letto, mi sedetti e cominciai a mettermi le scarpe. Ero alquanto nervoso. Non lo nego.

- Non andartene adesso, - bisbigliò Phoebe. - Aspetta che dormano!

- No. Adesso. Adesso è il momento migliore, - dissi. - Lei sarà in bagno e papà aprirà la radio per il notiziario e compagnia bella. Adesso è il momento migliore -. Quasi non riuscivo ad allacciarmi le stringhe, con quel maledetto nervosismo che mi era preso. Non che se mi avessero colto lì a casa mi avrebbero ammazzato o chi sa che, ma sarebbe stato molto spiacevole con quel che segue. - Dove diavolo sei? - dissi alla vecchia Phoebe. Era così buio che non riuscivo a vederla.

- Qui -. Stava in piedi proprio vicino a me. Non la vedevo nemmeno.

- Ho quelle maledette valige alla stazione, - dissi. - Sta’ a sentire, Phoebe. Hai un po’ di soldi, tu? Io sono praticamente a terra.

- Solo quelli di Natale. Per i regali eccetera. Non ho ancora fatto nessuna spesa.

- Oh! - Non volevo portarle via i soldi di Natale.

- Ne vuoi un po’? - disse.

- Non voglio portarti via i soldi di Natale.

- Posso prestartene un po’, - disse lei. Poi sentii che andava alla scrivania di D. B., apriva un milione di cassetti e tastava con la mano. Pareva di star nella pece, il buio che c’era nella stanza. - Se te ne vai, non vieni a vedermi recitare, - disse. La sua voce aveva un tono strano, quando disse così.

- Ma si che vengo. Non me ne vado prima della tua recita. Credi che voglia perderla? - dissi. - Probabilmente va a finire che starò a casa del professor Antolini fin verso giovedì sera. Poi verrò a casa. Se mi è possibile ti telefono.

- Tieni, - disse la vecchia Phoebe. Stava cercando di darmi i soldi, ma non riusciva a trovare la mia mano.

- Dove?

Mi mise i soldi in mano.

- Ehi, non mi occorre tanto, - dissi. - Dammi solo due dollari, bastano. Senza scherzi, tieni -. Cercai di ridarglieli, ma lei non volle prenderli.

- Puoi tenerli tutti. Poi me li ridai. Portali alla recita,

- Quant’è, Dio santo?

- Otto dollari e ottantacinque cents. Sessantacinque cents. Ho speso qualcosa.

Allora, tutt’a un tratto, mi misi a piangere. Non potevo trattenermi. Piangevo in modo da non farmi sentire, ma piangevo. La vecchia Phoebe si prese uno spavento da morire, quando mi misi a piangere, e mi venne vicino e cercò di farmi smettere, ma quando uno comincia non può mica smettere di punto in bianco, accidenti! Stavo ancora seduto sull’orlo del letto, quando cominciai, e lei mi mise il braccio intorno al collo, e anch’io l’abbracciai, però non riuscii a smettere per un bel pezzo. Pensai che stavo per morire soffocato o giù di li.

Ragazzi, che spavento si prese la vecchia Phoebe! Quella maledetta finestra era aperta eccetera eccetera, e io sentivo che Phoebe stava tremando tutta, perché addosso non aveva che il pigiama. Cercai di farla tornare a letto, ma lei niente. Alla fine smisi, ma mi ci volle proprio un sacco di tempo. Allora finii di abbottonarmi il soprabito e tutto quanto. Le dissi che mi sarei tenuto in contatto con lei. Lei mi disse che potevo dormire con lei, se volevo, ma io dissi di no, che facevo meglio a filarmela, che il professor Antolini mi stava aspettando e compagnia bella. Poi tirai fuori dalla tasca del soprabito il mio berretto da cacciatore e glielo diedi. A lei piacciono quei cappelli matti. Non lo voleva, ma glielo feci prendere per forza, Scommetto che ha dormito con quel berretto in testa. I cappelli così le piacciono da morire. Poi le dissi un’altra volta che se mi fosse stato possibile le avrei telefonato e andai via.

Uscire di casa fu estremamente più facile di quanto era stato entrare, chi sa perché. Tanto per cominciare, non me ne importava quasi più niente se mi pescavano. Davvero. Pensai che se mi pescavano amen. Quasi lo desideravo, in un certo senso. Invece di prendere l’ascensore, feci tutte le scale fin giù. Le scale di servizio. Per poco non mi rompevo il collo, inciampando in circa dieci milioni di secchi dell’immondizia, ma uscii magnificamente. Il ragazzo dell’ascensore non mi vide nemmeno. Come niente pensa che sono ancora dai Dickstein.