17
Quando arrivai era ancora un po’ presto, sicché mi sedetti su uno di quei divani di cuoio vicino all’orologio nell’atrio e mi misi a guardare le ragazze. Un sacco di scuole erano già chiuse per le vacanze, e c’erano almeno un milione di ragazze sedute e in piedi che aspettavano di veder comparire i loro belli. Ragazze con le gambe accavallate, ragazze con le gambe non accavallate, ragazze con gambe fantastiche, ragazze con gambe orrende, ragazze che avevano tutta l’aria d’essere ragazze straordinarie, ragazze che avevano tutta l’aria d’essere cagne a conoscerle. Era proprio un gran bello spettacolo, se capite quel che voglio dire. In un certo senso era anche un po’ deprimente, perché uno continuava a domandarsi che fine avrebbero fatta tutte quante. Quando lasciavano la scuola o l’università, dico. C’era da supporre che probabilmente avrebbero sposato quasi tutte dei cretini. Quei tipi che ti raccontano sempre quanti chilometri fa la loro stramaledetta macchina con un litro. Quei tipi che si arrabbiano come ragazzini se li batti a golf, o perfino a un gioco stupido come il ping-pong. Quei tipi che non leggono mai un libro. Quei tipi che ti fanno venire una barba lunga tre metri. Ma in questo devo andarci piano. A chiamare barbosi certi tipi, voglio dire. Io i tipi barbosi non li capisco. Davvero. Quando ero a Elkton Hills, per circa due mesi sono stato nella stessa camera con quel ragazzo, Harris Macklin. Era molto intelligente eccetera eccetera ma era uno degli individui più barbosi che abbia mai conosciuto. Aveva una di quelle voci che gracchiano, e non la finiva mai di parlare, si può dire. Non la finiva mai di parlare, e la cosa più tremenda era che non vi diceva mai niente che voleste sentire, tanto per cominciare. Ma sapeva fare una cosa. Quel figlio di buona madre sapeva fischiare come non ho mai sentito nessun altro. Magari si stava facendo il letto, o stava attaccando qualcosa nell’armadio - attaccava sempre qualcosa nell’armadio - roba che diventavo matto - e se non parlava con quella sua voce gracchiante, giù a fischiare. Sapeva persino fischiare pezzi classici, ma per lo più fischiava brani jazz. Era capace di prendere uno di quei pezzi di jazz scatenato, come Tin Roof Blues, e di fischiarlo così bene e con tanta naturalezza - proprio mentre attaccava qualcosa nell’armadio - che era roba da lasciarti secco. Naturalmente non gliel’ho mai detto che secondo me fischiava in un modo fantastico. Voglio dire, non puoi andare da uno a proclamargli “Tu fischi in un modo fantastico”. Ma sono stato in camera con lui quasi due mesi interi, con tutto che lo trovavo così barboso che per poco non diventavo matto, solo perché fischiava in quel modo fantastico, come non ho mai sentito nessuno. Perciò coi tipi barbosi non si può mai dire. Forse non è il caso di compiangere troppo una ragazza in gamba se la vedete sposare uno di quei tipi. Per lo più non fanno male a nessuno, e magari in segreto sono tutti bravissimi a fischiare o vattelappesca. Chi diavolo può saperlo? Io no.
Finalmente la vecchia Sally cominciò a salire le scale, e io cominciai a scenderle per andarle incontro. Era fantastica. Sul serio. Portava quel soprabito nero e una specie di berretto nero. Non portava quasi mai il cappello, ma quel berretto era carino. Il buffo è che appena la vidi mi venne voglia di sposarla. Io sono pazzo. Non è nemmeno che mi piacesse molto, ma tutt’a un tratto mi sentii come se l’amassi e volessi sposarla. Giuro davanti a Dio che sono pazzo. Lo riconosco.
- Holden! - disse lei. - Che bellezza rivederti! Sono secoli -. Aveva una voce sonora che vi metteva in imbarazzo, quando la incontravate in qualche posto. Uno gliela perdonava perché era così maledettamente carina, ma a me mi faceva sempre girar le scatole.
- È un piacere rivedere te, - dissi. E lo pensavo davvero. - Come stai, ad ogni modo.
- Magnificamente bene. Sono in ritardo?
Le dissi di no, ma era in ritardo di circa dieci minuti. Però non me ne importava un accidente. Tutte quelle cretinate che mettono nelle vignette del “Saturday Evening Post” e compagnia bella, con quei tipi fermi a una cantonata con la grinta feroce perché le loro belle sono in ritardo - balle! Se una ragazza quando arriva è carina, chi se ne infischia che è in ritardo? Nessuno. - È meglio che ci sbrighiamo, - dissi. - Lo spettacolo comincia alle due e quaranta -. E ci avviammo giù per le scale verso il posteggio dei tassi.
- Cosa andiamo a vedere? - disse lei.
- Non lo so. I Lunt. Non c’erano altri biglietti.
- I Lunt! Ma è magnifico!
Ve l’avevo detto che appena sentiva che c’erano i Lunt diventava matta.
In tassì, mentre andavamo a teatro, filammo un po’. Lei prima non voleva perché aveva il rossetto e via dicendo, ma io feci talmente il seduttore che dovette arrendersi. Per poco non caddi dal sedile due volte, accidenti, quando quel maledetto tassi frenò secco per il traffico. Quei dannati autisti non guardano mai dove stanno andando, giuro che non ci guardano. Poi tanto per dimostrarvi sino a che punto sono pazzo, be’, eravamo appena venuti fuori da quell’abbraccio fenomenale che io le dissi che l’amavo eccetera eccetera. Non era vero naturalmente, ma il fatto è che quando lo dissi ci credevo. Sono pazzo. Giuro davanti a Dio che sono pazzo.
- Oh, tesoro, anch’ io ti amo, - disse lei. Poi, senza nemmeno riprendere fiato, accidenti, mi disse: - Promettimi che ti fai crescere i capelli. Rapati così stanno diventando pacchiani. E i tuoi capelli sono così adorabili -. Adorabili un corno.-
La commedia, ne avevo viste anche di peggio. Sempre genere boiata, però. Seguiva per quasi cinquecentomila anni la vita di quella vecchia coppia. Comincia quando loro sono giovani e tutto quanto e i genitori della ragazza non vogliono che lei lo sposi, ma lei lo sposa lo stesso. Poi cominciano a invecchiare. Il marito va in guerra, e la moglie ha questo fratello che beve come una spugna. Non riuscivo a interessarmi molto della vicenda. Voglio dire, non me ne importava niente quando qualcuno della famiglia moriva o qualcosa del genere. Erano soltanto un mucchio di attori dal primo all’ultimo. Il marito e la moglie erano una vecchia coppia abbastanza simpatica - molto intelligenti e via discorrendo - ma non riuscivo a trovarli interessanti. Tanto per cominciare, per tutta la commedia non facevano altro che bere tè o che so io. Ogni volta che li vedevi, ecco che un maggiordomo gli metteva il tè sotto al naso, oppure la moglie lo offriva a qualcuno. Ed era un continuo andirivieni di gente che entrava e usciva - ti veniva il capogiro a guardarli che si sedevano e si alzavano. Alfred Lunt e Lynn Fontanne erano la vecchia coppia, ed erano bravissimi, ma a me non piacevano molto. Però erano un’altra cosa, questo devo riconoscerlo. Non erano naturali come tutti noi, ma nemmeno innaturali come gli attori. È difficile da spiegare. Erano naturali piuttosto come se sapessero che erano delle celebrità e via discorrendo. Voglio dire, erano bravi, ma lo erano troppo. Quando uno di loro finiva di dire una frase, immediatamente l’altro ribatteva a tutta velocità. Tutto questo doveva dar l’idea di come la gente parla e si interrompe a vicenda eccetera eccetera. Recitavano un po’ come il vecchio Ernie suona il piano giù al Village. Se uno è troppo bravo a fare una cosa, finisce che dopo un po’, se non ci sta attento, si mette a calcare la mano.
E allora non è più tanto bravo. Ma ad ogni modo, in tutta la commedia erano gli unici a darti l’impressione d’essere intelligenti sul serio - i Lunt, dico.
Alla fine del primo atto uscimmo con tutta quella massa di cafoni a fumarci una sigaretta. Roba da matti. Garantito che in vita vostra non avete mai visto tanti palloni gonfiati, tutti che fumavano come camini e parlavano della commedia in modo da farsi sentire e fare apprezzare a cani e porci quanto erano geniali. In piedi vicino a noi c’era un cretino di divo che si fumava una sigaretta. Non so come si chiama, ma nei film di guerra fa sempre la parte di quello che gli prende fifa quand’è il momento di andare all’attacco. Stava con una bionda di prima qualità, e tutt’e due cercavano di fare molto i blasé e via discorrendo, come se non si accorgessero nemmeno che tutti li guardavano. Modesti dell’accidente. Mi ci divertii moltissimo. La vecchia Sally non parlava molto, tranne che per sdilinquirsi per i Lunt, perché era occupatissima ad allungare il collo e a fare l’affascinante. Poi, tutt’a un tratto, vide dall’altra parte dell’atrio un tizio che conosceva. Un tale con uno di quei vestiti di flanella antracite scurissima e un panciotto a quadri. Tipo Ivy League spaccato. Ve lo raccomando io. Stava in piedi vicino al muro, fumando come un turco e con l’aria di annoiarsi a morte. La vecchia Sally continuava a dire: “Io quel ragazzo l’ho conosciuto in qualche posto”. Dovunque la portavi, c’era sempre qualcuno che lei conosceva o credeva di conoscere. Continuò con quella solfa sinché mi fece girar le scatole e le dissi: “E perché non vai a dargli un bel bacione, se lo conosci. Lui apprezzerebbe il gesto”. Questa mia uscita la fece arrabbiare. Però finalmente quel lavativo si accorse di lei e venne a salutarla. Avreste dovuto vedere come si salutarono. Da credere che non si vedessero da vent’anni. Da credere che quand’erano marmocchi avessero fatto il bagnetto nella stessa bagnarola o qualcosa del genere. Amici per la pelle. Una cosa rivoltante. Il buffo era che probabilmente si erano visti una volta sola a qualche ricevimento balordo. Alla fine, quando ne ebbero abbastanza di tutte quelle smancerie, la vecchia Sally ci presentò. Si chiamava George Vattelappesca - non me ne ricordo nemmeno più - e faceva l’università ad Andover. Da fargli tanto di cappello. Avreste dovuto vederlo quando la vecchia Sally gli domandò cosa pensasse della commedia. Era uno di quei palloni gonfiati che quando rispondono a una domanda devono farsi spazio. Arretrò di un passo, e piombò dritto sul piede della signora dietro di lui. Probabile che le spezzò tutte le dita che aveva. Disse che la commedia in sé e per sé non era un capolavoro, ma che i Lunt, naturalmente, erano dei veri angeli. Angeli. Cristo santo. Angeli. Mi lasciò secco. Poi lui e la vecchia Sally attaccarono a parlare di un mucchio di gente che conoscevano tutti e due. Garantito che in vita vostra non vi è mai capitato di sentire una conversazione più fasulla. Facevano a gara a ricordarsi quanti più posti potevano, poi pensavano a qualcuno che vivesse là, e si precipitavano a nominarlo. Quando fu tempo di tornare in sala, io stavo lì lì per vomitare. Sul serio. E poi, durante l’intervallo successivo continuarono quella stramaledetta conversazione barbosissima. Altri posti, altri nomi di gente che ci viveva e così via. Il peggio è che quel lavativo aveva una di quelle fasullissime voci tanto Ivy League, quelle voci snob e strascicate. Pareva proprio una ragazza. Non esitò a mettersi di mezzo tra me e Sally, quel bastardo. Per un attimo, finito lo spettacolo, pensai perfino che salisse in tassi con noi, accidenti, perché ci accompagnò a piedi per circa due isolati, ma doveva andare a prendere un cocktail insieme con un mucchio di balordi. Mi pareva di vederli, tutti seduti in circolo in qualche bar, coi loro dannati panciotti a quadri, a criticare spettacoli, libri e donne con quelle loro voci snob e strascicate. Mi stendono secco, quei tipi là.
Quando finalmente salimmo in tassi odiavo un pochino la vecchia Sally, dopo essermi sorbito per circa dieci ore quel bastardo cafone di Andover. Ero proprio deciso a riportarla a casa sua e tutto quanto - sul serio - quando lei disse: - Ho un’idea luminosa! - Aveva sempre delle idee luminose, quella li. - Sta’ a sentire, - disse. - A che ora devi essere a casa per cena? Voglio dire, hai molta fretta o no? Devi essere a casa per un’ora precisa?
- Io? No. Nessun’ora precisa, - dissi. Mai fu detta verità più sacrosanta, ragazzi. - Perché?
- Andiamo a pattinare sul ghiaccio a Radio City.
Ecco che razza di idee si faceva venire.
- A pattinare sul ghiaccio a Radio City? Adesso, vuoi dire?
- Solo un’oretta. Non ti va? Se non ti va...
- Non ho detto che non mi va, - dissi. - Ma certo. Se va a te.
- Sei proprio convinto? Non dire di sì, se non sei convinto. Perché in fondo a me non me ne importa un corno se ci andiamo o no.
Figuriamoci.
- Si possono prendere a nolo quegli incantevoli tutù da pattinaggio, - disse la vecchia Sally. - Janette Cultz ne ha preso uno, la settimana scorsa.
Ecco perché smaniava tanto di andarci. Voleva vedersi in uno di quei tutù che ti coprono si e no il sedere.
Così andammo, e dopo che ci avevano dato i pattini, diedero a Sally quel pezzettino di vestito azzurro per scodinzolarci dentro. Però le stava maledettamente bene, a dire il vero. Devo ammetterlo. E non crediate che non lo sapesse. Non faceva che camminarmi davanti, perché vedessi com’era delizioso il suo sederino. Ed era proprio delizioso, tra l’altro. Devo ammetterlo.
Ma il buffo è che eravamo i pattinatori più schiappini di tutta quella maledetta pista. I più schiappini, senza scherzi. E c’erano degli autentici fenomeni, tra l’altro. Le caviglie della vecchia Sally continuavano a piegarsi in dentro fin quasi a toccare il ghiaccio. Non solo era uno spettacolo ridicolo, ma dovevano farle un male cane. Le mie mi facevano male, almeno. Mi stavano facendo morire, le mie. Dovevamo essere due sagome. E a peggiorare le cose, c’erano almeno duecento ficcanaso che non avevano niente di meglio da fare che starsene lì in giro a guardare tutti quelli che cascavano uno addosso all’altro.
- Vuoi che andiamo a un tavolo dentro a bere qualcosa o che so io? - finii col dirle.
- È l’idea più luminosa che hai avuto in tutto il giorno, - disse lei. Si stava ammazzando. Una cosa brutale. Mi fece proprio pena.
Ci togliemmo quei maledetti pattini e andammo in quel bar dove si può bere qualcosa e guardare i pattinatori senza bisogno di rimettersi le scarpe. Appena ci sedemmo, la vecchia Sally si tolse i guanti e io le diedi una sigaretta. Non aveva l’aria tanto felice. Venne il cameriere e io ordinai una coca cola per lei - che non beve - e un whisky e soda per me, ma quel figlio di cagna non volle portarmelo, così presi una coca cola anch’io. Poi mi misi ad accendere fiammiferi. È una cosa che faccio spesso, quando sono di un certo umore. Li lascio bruciare finché non posso più tenerli in mano, e allora li butto nel posacenere. È una specie di tic nervoso.
Poi tutt’a un tratto, come un fulmine a ciel sereno, la vecchia Sally mi fa: - Sta’ a sentire. Bisogna che lo sappia. La vigilia di Natale vieni si o no ad aiutarmi a decorare l’albero? Bisogna che lo sappia -. Aveva ancora l’aria pizzicata per quella faccenda delle caviglie mentre pattinava.
- Ti ho scritto che venivo. Me l’hai domandato una ventina di volte. Certo che vengo.
- Bisogna che lo sappia, sul serio, - disse lei. E cominciò a girare lo sguardo per quella maledetta sala.
Tutt’a un tratto, io smisi di accendere fiammiferi e mi chinai un po’ sul tavolo verso di lei. Mi giravano per la testa un sacco di cose. - Di’ un po’, Sally, - dissi.
- Cosa? - disse lei. Stava guardando una ragazza dall’altra parte della sala.
- Ti succede mai di averne fin sopra i capelli? - dissi. - Voglio dire, ti succede mai d’aver paura che tutto vada a finire in modo schifo se non fai qualcosa? Voglio dire, ti piace la scuola e tutte quelle buffonate?
- È una barba tremenda.
- Voglio dire, la odi? Lo so che è una barba tremenda, ma la odi, voglio dire?
- Be’, non è proprio che la odio. Uno deve sempre...
- Be, io la odio. Ragazzi, se la odio, - dissi. - Ma non è solo questo. È tutto. Odio vivere a New York e via discorrendo. I tassì, e gli autobus di Madison Avenue, con i conducenti e compagnia bella che ti urlano sempre di scendere dietro, e essere presentato a dei palloni gonfiati che chiamano angeli i Lunt, e andare su e giù con gli ascensori ogni volta che vuoi mettere il naso fuori di casa, e quegli scocciatori sempre lì da Brooks, e la gente che non fa altro...
- Non gridare, per piacere, - disse la vecchia Sally. Il che era buffo, perché non stavo gridando per niente.
- Prendi le macchine, - dissi. Lo dissi a voce bassissima. - Prendi la maggior parte della gente, hanno il pallino delle macchine. Sudano freddo per un graffio alla carrozzeria, e non la finiscono più di raccontarti quanti chilometri fanno con un litro, e se prendono un nuovo modello già pensano di cambiarlo con un altro ancora più nuovo. A me non mi piacciono nemmeno le macchine vecchie, figurati. Voglio dire, non mi interessano nemmeno. Preferirei avere un maledetto cavallo. Almeno un cavallo è umano, Dio santo. Almeno un cavallo puoi...
- Non so nemmeno di che cosa stai parlando, - disse la vecchia Sally. - Salti di palo...
- Sai una cosa? - dissi io. - Probabilmente tu sei l’unica ragazza per cui adesso sono a New York o in un posto qualunque. Se non ci fossi tu, probabilmente sarei a casa del diavolo. Nei boschi o in chi sa che maledetto posto. Tu sei l’unica ragione per cui ci sono, praticamente.
- Sei carino, - disse. Ma si vedeva lontano un miglio che se cambiavo quel maledetto discorso le facevo un piacere.
- Dovresti andare in un collegio maschile, una volta. Provaci, una volta, - dissi. - È pieno di palloni gonfiati, e non fai altro che studiare, così impari quanto basta per essere furbo quanto basta per poterti comprare un giorno o l’altro una maledetta Cadillac, e devi continuare a far la commedia che ti strappi i capelli se la squadra di rugby perde, e tutto il giorno non fai che parlare di ragazze e di liquori e di sesso, e tutti fanno lega tra loro in quelle piccole sporche maledette cricche. Quelli della squadra di pallacanestro fanno lega tra loro, i cattolici fanno lega tra loro, i maledetti intellettuali fanno lega tra loro, quelli che giocano a bridge fanno lega tra loro. Fanno lega perfino quelli che appartengono a quel dannato Club del Libro del Mese! Se cerchi di fare un discorso intell...
- Be’, sta’ a sentire, - disse la vecchia Sally. - C’è un mucchio di ragazzi che nella scuola trovano molto più di questo.
- Eccome! È proprio così, per certi. Ma io non ne cavo fuori altro. Vedi? Ecco il mio guaio. Proprio questo è il mio maledettissimo guaio, - dissi. - Non mi riesce di cavar fuori niente da niente. Sono fatto molto male. Sono fatto in modo schifo. Senza dubbio.
Allora, tutt’a un tratto, mi venne quell’idea.
- Sta’ a sentire, - dissi. - Ho avuto un’idea. Che ne diresti di tagliare la corda? Ho avuto un’idea. Conosco quel tale del Greenwich Village che può prestarci la macchina per un paio di settimane. Andavamo alla stessa scuola e mi deve ancora dieci dollari. Possiamo fare così, domattina ce ne andiamo nel Massachusetts e nel Vermont e tutto lì intorno, capisci? È bellissimo, laggiù, una meraviglia -. Non stavo più nella pelle dall’entusiasmo via via che ci pensavo, così allungai un po’ il braccio e strinsi la stramaledetta mano della vecchia Sally. Che dannato cretino! - Senza scherzi, - dissi. - Ho circa centottanta dollari in banca. Posso ritirarli domattina appena apre, e poi vado a prendere la macchina di quel tale. Senza scherzi. Andremo a stare in quei campeggi di casette di legno o un posto così finché non restiamo a corto di soldi. Poi, quando restiamo a corto, posso trovarmi un lavoro in qualche posto e possiamo vivere in qualche posto con un ruscello e tutto quanto, e dopo possiamo sposarci eccetera eccetera. Posso spaccare tutta la legna che ci occorre d’inverno eccetera eccetera. Parola d’onore, ci divertiremmo in un modo fantastico! Che ne dici? Forza! Che ne dici? Vieni via con me? Te ne prego!
- Non si possono fare certe cose, - disse la vecchia Sally. Sembrava arrabbiatissima.
- Perché no? Perché diavolo non si può?
- Smettila di gridare, per piacere, - disse la vecchia Sally. Il che era una cretinata, perché non stavo gridando per niente.
- Perché non si può? Perché?
- Perché non si può, ecco tutto. Tanto per cominciare, siamo praticamente due bambini. E poi, ti sei fermato un momento a considerare che cosa faresti se non trovassi un lavoro quando resti a corto di soldi? Moriremmo di fame. Tutta questa storia è così assurda che non è nemmeno...
- Non è assurda. Un lavoro lo trovo. Non ti preoccupare di questo. Non devi preoccupartene. Che ti piglia? Non vuoi venire con me? Dillo, se non vuoi.
- Non è questo. Non è affatto questo, - disse la vecchia Sally. Stavo cominciando a odiarla, in certo qual modo. - Avremo un sacco di tempo per far queste cose, tutte queste cose. Voglio dire, dopo che sarai andato all’università eccetera eccetera, e se ci sposeremo eccetera eccetera. Ci saranno un sacco di posti meravigliosi dove andare. Tu sei soltanto...
- Neanche per sogno. Non ci sarebbero un sacco di posti meravigliosi dove andare eccetera eccetera. Sarebbe tutta un’altra cosa, - dissi. Stavo ricominciando a sentirmi depresso da morire.
- Cosa? - disse lei. - Non ti sento. Un po’ strilli e un po’…
- Ho detto di no, che non ci sarebbero posti meravigliosi dove andare dopo che avrò fatto l’università e tutto quanto. Sturati le orecchie. Sarebbe tutta un’altra cosa. Dovremmo scendere in ascensore con le valige e tutto. Dovremmo telefonare alla gente e salutarla e mandare cartoline dagli alberghi e via discorrendo. E io avrei un impiego, farei un sacco di soldi, andrei in ufficio col tassi e con l’autobus della Madison Avenue e leggerei i giornali e giocherei a bridge tutto il tempo e andrei al cinema a vedere un sacco di cortometraggi e di prossimamente e di cinegiornali. I cinegiornali. Cristo onnipotente. C’è sempre qualche idiotissima corsa di cavalli, qualche gran dama che spacca una bottiglia su una nave e uno scimpanzé in pantaloni su una dannata bicicletta. Non sarebbe proprio la stessa cosa. Non capisci proprio quello che voglio dire.
- Può darsi! Ma può darsi che non lo capisci nemmeno tu, - disse la vecchia Sally. A quel punto ci odiavamo a morte.
Si vedeva lontano un miglio che il tentativo di fare un discorso intelligente era del tutto sprecato. Rimpiangevo con tutta l’anima d’averlo cominciato.
- Forza, andiamocene di qui, - dissi. - Se proprio vuoi saperlo, mi stai sulle scatole che non ne hai un’idea.
Ragazzi! A questa mia uscita montò su tutte le furie. Lo so che non avrei dovuto dirlo, e in circostanze normali probabilmente non l’avrei detto, ma lei mi stava deprimendo da morire. Di solito io alle ragazze non dico mai frasi tanto forti. Ragazzi, se montò su tutte le furie! Io non la finivo più di scusarmi, ma lei non volle accettare le mie scuse. Si mise perfino a piangere. E questo mi spaventò un poco, perché avevo una certa fifa che andasse a casa a raccontare a suo padre che io le avevo detto che mi stava sulle scatole. Suo padre era uno di quei grossi bastardi taciturni, e non aveva mai avuto una gran passione per me. Una volta aveva detto alla vecchia Sally che ero troppo maledettamente rumoroso.
- Senza scherzi. Mi dispiace, - continuavo a dirle.
- Ti dispiace. Ti dispiace. Questa è proprio buffa, - disse lei. Stava ancora piangendo un poco, e tutt’a un tratto a me dispiacque sul serio d’averlo detto.
- Andiamo, ti accompagno a casa. Senza scherzi.
- A casa posso andarci da sola, grazie. Se credi che permetta a uno come te di accompagnarmi a casa, sei matto. Nessun ragazzo mi ha mai detto una cosa simile in tutta la mia vita.
A pensarci bene, tutta la faccenda era un po’ buffa, in un certo senso, e a un tratto feci una cosa che non avrei dovuto fare. Mi misi a ridere. E io ho una di quelle stupide risate che fanno girare tutti. Voglio dire che se mai mi capitasse di star seduto dietro di me al cinema o in un altro posto, probabilmente mi sporgerei in avanti e mi pregherei di piantarla. La vecchia Sally s’infuriò peggio che mai.
Io mi fermai ancora un poco, scusandomi e cercando di farmi perdonare, ma lei niente. Continuava a dirmi di andar via e di lasciarla in pace. E finii col farlo. Andai dentro a mettermi le scarpe e tutto quanto, poi me ne andai senza di lei. Non avrei dovuto, ma a quel punto ne avevo fin sopra i capelli, accidenti.
Se proprio volete saperlo, non so nemmeno perché avessi cominciato tutta quella storia. Voglio dire, di andarcene in qualche posto, nel Massachusetts e nel Vermont e compagnia bella. È probabile che non ce l’avrei portata nemmeno se fosse voluta venire. Non era proprio il tipo di ragazza che uno si porta dietro. La cosa terribile, però, è che quando gliel’avevo chiesto dicevo sul serio. Questa è la cosa terribile. Giuro davanti a Dio che sono matto.