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Certe cose sono dure da ricordare. Ora sto pensando a quando Stradlater tornò dopo la sua serata con Jane. Voglio dire, non posso ricordare esattamente cosa stavo facendo quando sentii i suoi stupidi stramaledetti passi lungo il corridoio. Probabile che stessi ancora guardando fuori della finestra, ma giuro che non riesco a ricordarmene. Ero maledettamente in pensiero, ecco perché. Quando una cosa mi fa stare molto in pensiero, non mi metto a camminare su e giù. Devo persino andare al gabinetto, quando una cosa mi fa stare in pensiero. Solo che non ci vado. Sono troppo in pensiero per andarci. Non voglio smettere di stare in pensiero per andarci. Se conosceste Stradlater sareste stati in pensiero anche voi. Sono uscito un paio di volte con quel bastardo e due ragazze, e so quello che dico. Era senza scrupoli. Proprio così.
Ad ogni modo il corridoio era tutto di linoleum eccetera eccetera, e potevi sentire i suoi stramaledetti passi che si avvicinavano alla camera. Non mi ricordo nemmeno dove stavo seduto quando entrò lui - se alla finestra o nella mia poltrona o nella sua. Giuro che non riesco a ricordarmene.
Entrò facendo la lagna che fuori c’era un freddo cane. Poi disse: - Dove diavolo stanno gli altri? Pare un maledetto obitorio, qui -. Non mi presi nemmeno il disturbo di rispondergli. Se era tanto maledettamente stupido da non rendersi conto che era sabato sera ed erano tutti fuori o a dormire o a casa per la fine-settimana, non mi sarei certo affannato a dirglielo. Cominciò a spogliarsi. Non disse una sola maledetta parola su Jane. Neanche una. E nemmeno io. Lo guardavo e basta. Tutto quel che fece fu di ringraziarmi perché gli avevo prestato la giacca a losanghe. La appese su una gruccia e la mise nell’armadio.
Poi, mentre si toglieva la cravatta, mi domandò se avevo fatto il suo maledetto tema. Io gli dissi che stava sul suo dannatissimo letto. Lui andò a prenderlo e lo lesse, sbottonandosi la camicia. Stava lì in piedi a leggerlo e si accarezzava un po’ il petto e lo stomaco, con quell’idiotissima espressione sulla faccia. Stava sempre ad accarezzarsi lo stomaco o il petto, lui. Si piaceva alla follia.
Tutt’a un tratto disse: - Cristo santo, Holden. Quest’accidente parla di un maledetto guantone da baseball.
- E allora? - dissi io. Freddo come il ghiaccio.
- Che vuol dire, e allora? Ti avevo detto che doveva parlare di una stanza o di una casa o di un accidente così.
- Hai detto che doveva essere descrittivo. Che ti frega se parla di un guantone da baseball?
- Dio lo stramaledica -. Aveva un diavolo per capello. Era addirittura furioso. - Tu fai sempre tutto a culoverso -. Mi guardò. - Naturale che ti sbattono fuori da qui, - disse. - Mai che tu faccia una dannata cosa come va fatta. Dico sul serio. Mai neanche una dannata cosa.
- Benissimo, ridammelo, allora, - dissi. Gli andai vicino e glielo tolsi da quella maledetta mano. Poi lo strappai.
- Perché diavolo l’hai strappato? - disse lui.
Non gli risposi nemmeno. Mi limitai a buttare i pezzi nel cestino della carta. Poi mi sdraiai sul letto, e per un pezzo non dicemmo niente. Lui si spogliò tutto e restò in mutande, e io stavo là steso sul letto e accesi una sigaretta. Non era permesso fumare in dormitorio, ma la sera tardi potevi anche farlo, quando tutti dormivano o erano fuori e nessuno poteva sentire odor di fumo. Del resto, io fumavo per fare rabbia a Stradlater.
S’imbestialiva, quando uno andava contro i regolamenti. Lui non fumava mai in dormitorio. Io ero l’unico.
E ancora non aveva detto una parola di Jane, neanche una. Sicché alla fine dissi: - Che bell’ora per tornare, se lei aveva il permesso solo fino alle nove e mezzo. Le hai fatto far tardi?
Stava seduto sull’orlo del letto e si tagliava quelle stramaledette unghie dei piedi, quando gli feci quella domanda.
Qualche minuto, - disse. - Chi diavolo chiede il permesso fino alle nove e mezzo, il sabato sera? - Dio, quanto l’odiavo!
- Siete andati a New York? - dissi.
- Sei pazzo? Come diavolo facevamo ad andare a New York, se doveva tornare alle nove e mezzo?
- Povero cocco.
Alzò gli occhi a guardarmi. - Sta’ a sentire, - disse, - se hai intenzione di fumare in camera, che ne diresti di andare a farlo nei gabinetti? Tu potrai anche andartene, accidenti, ma io devo restare qua dentro fino alla laurea.
Lo ignorai. Totalmente. Continuai a fumare come un turco. Tutto quel che feci fu di girarmi un po’ sul fianco e guardare Stradlater mentre si tagliava quelle maledette unghie. Che scuola. Stavo sempre a guardare qualcuno che si tagliava le sue maledette unghie o si schiacciava i brufoli e compagnia bella.
- Le hai detto che la salutavo? - gli domandai.
- Sì.
Col fischio che l’aveva fatto, quel bastardo.
- Lei che cosa ha detto? - domandai. - Gliel’hai domandato se tiene ancora tutte le dame nell’ultima fila?
- No, non gliel’ho domandato. Come diavolo credi che abbiamo passato la sera, a giocare a dama, Cristo santo?
Neanche gli risposi. Dio, quanto lo odiavo.
- Se non siete andati a New York, dove l’hai portata?- gli domandai dopo un po’. Quasi non riuscivo a dominare il tremito che mi scuoteva la voce a tutta forza. Ragazzi, stavo diventando nervoso. Cominciavo ad avere la sensazione che qualcosa fosse andata male.
Lui aveva finito di tagliarsi quelle maledette unghie. Sicché si alzò dal letto, con addosso quelle dannate mutandine e basta, e ricominciò a diventare maledettamente spiritoso. Si avvicinò al mio letto, si piegò su di me e cominciò a darmi una serie di spiritosissimi pugni sulla spalla.
- Piantala lì, - dissi io. - Dove l’hai portata, se non siete andati a New York?
- In nessun posto. Siamo rimasti in quella stramaledetta macchina -. Mi mollò un altro di quegli spiritosissimi pugni idioti sulla spalla.
- Piantala lì, - dissi io. - Che macchina?
- Quella di Ed Banky.
Ed Banky era l’allenatore di pallacanestro a Pencey. Il vecchio Stradlater era uno dei suoi beniamini, perché era centroattacco, e quando voleva la macchina Ed Banky gliela prestava sempre. Agli studenti non era permesso di farsi prestare la macchina dagli insegnanti, ma quei bastardi di atleti erano tutta una cricca. In tutte le scuole dove sono andato quei bastardi sono tutta una cricca.
Stradlater continuava a darmi dei pugni per finta sulla spalla. Teneva in mano lo spazzolino da denti, e se lo mise in bocca. - Che avete fatto? - dissi io. - L’hai stantuffata nella stramaledetta macchina di Ed Banky? - La voce mi tremava da far paura.
- Che razza di cose dici! Vuoi che ti sciacqui la bocca col sapone?
- L’hai stantuffata?
- Segreto professionale, amen.
Quest’ultima parte non me la ricordo tanto bene. Tutto quel che so è che mi alzai dal letto, come se stessi andando al gabinetto o giù di lì, e poi cercai di mollargli un pugno con tutta la mia forza, proprio in pieno sullo spazzolino da denti in modo da spaccargli quella maledetta gola. Solo che non l’azzeccai. Cilecca. Tutto quel che feci fu di colpirlo sulla testa, di lato o giù di li. Probabilmente gli fece un po’ male, ma non quanto avrei voluto. Probabilmente gli avrebbe fatto un male cane, ma gliel’avevo mollato con la mano destra, e io quella mano non la posso stringere bene. Per quella frattura che vi ho detto.
Ad ogni modo, la prima cosa che seppi fu che stavo su quel maledetto pavimento e lui mi stava seduto sul torace, rosso in faccia. O meglio, lui mi teneva le sue dannate ginocchia sul torace, e pesava almeno una tonnellata. E per giunta mi teneva stretto per i polsi, così non potevo dargli un altro pugno. L’avrei ammazzato.
- Che accidente ti piglia? - continuava a dire, e la sua faccia da cretino diventava sempre più rossa.
- Toglimi quelle ginocchia schife dallo stomaco, - gli dissi. Stavo quasi gridando. Sul serio. - Forza, togliti di là, lurido bastardo.
Ma lui niente. Continuava a tenermi stretto per i polsi, e io continuavo a chiamarlo figlio di puttana e via dicendo per almeno dieci ore. Quasi non riesco nemmeno a ricordare tutto quello che gli dissi. Gli dissi che credeva di potersi sbattere tutte quelle che gli girava. Gli dissi che non gli importava nemmeno se una ragazza teneva tutte le dame nell’ultima fila o no, e non gliene importava perché era un maledettissimo stronzo rincretinito. Lui non sopportava di sentirsi chiamare stronzo. Tutti gli stronzi non sopportano di sentirsi dello stronzo.
- Chiudi il becco, Holden, - disse, con quel suo stupido faccione congestionato. - Chiudi il becco, adesso!
- Non sai nemmeno se si chiama Jane o June, maledetto stronzo!
- Chiudi il becco, Holden, maledizione, t’avverto, disse. L’avevo proprio fatto partire in quarta. - Se non chiudi il becco, te ne appioppo uno.
- Toglimi dallo stomaco quei tuoi sozzi luridi ginocchi stronzi.
- Se ti lascio, tieni il becco chiuso?
Non gli risposi nemmeno.
Lui lo ridisse. - Holden, se ti lascio, tieni il becco chiuso?
- Sì.
Mi si tolse di dosso, e mi alzai anch’io. Con quelle luride ginocchia mi aveva fatto un male cane allo stomaco. - Sei uno sporco stupido stronzo figlio di puttana, - gli dissi.
A questo perse le staffe. Mi agitò davanti alla faccia quel suo grosso indice idiota. - Holden, maledizione, io t’avverto, bada. Per l’ultima volta. Se non chiudi il becco, te ne appioppo...
- E perché? - dissi; stavo urlando, quasi. - Ecco il guaio con voi stronzi. Non volete mai discutere. Ecco com’è che si capisce sempre se uno è uno stronzo. Non vogliono mai discutere di una cosa intellig...
Allora lui me ne mollò uno sul serio, e la prima cosa che seppi fu che stavo un’altra volta su quel maledetto pavimento. Non mi ricordo se mi aveva messo a knock-out oppure no ma non credo. È abbastanza difficile spedire uno a knock-out, ci riescono solo in quei maledetti film. Ma mi sanguinava il naso a tutta forza. Quando alzai gli occhi, il vecchio Stradlater era là come mi stesse sopra in piedi. Aveva quella sua dannata borsa da bagno sotto il braccio. - Perché diavolo non chiudi il becco quando te lo dico io? - disse. Pareva molto nervoso. Probabilmente aveva paura che mi fossi rotto la testa o vattelappesca, quando avevo battuto sul pavimento. Peccato che non me l’ero rotta davvero. - Te la sei voluta, maledizione, - disse. Ragazzi, pareva proprio preoccupato.
Io non mi presi nemmeno il disturbo di alzarmi. Me ne restai per un po’ sul pavimento e continuai a chiamarlo stronzo figlio di puttana. Ero così imbestialito che stavo addirittura gridando.
- Sta’ a sentire. Va’ a lavarti la faccia, - disse Stradlater. - Mi senti?
Gli dissi di andare a lavarsela lui, quella sua faccia da stronzo - che era una risposta proprio da asilo infantile, ma non ci vedevo più dalla rabbia. Gli dissi di fermarsi a sbattere la signora Schmidt, mentre andava al gabinetto. La signora Schmidt era la moglie del bidello. Aveva almeno sessantacinque anni.
Me ne restai seduto per terra finché non sentii che il vecchio Stradlater chiudeva la porta e se ne andava per il corridoio verso i gabinetti. Allora mi alzai. Non mi riusciva di trovare quel mio dannato berretto da cacciatore in nessun posto. Finalmente lo trovai. Stava sotto il letto. Me lo misi, con la visiera dietro come piaceva a me, e poi andai allo specchio per dare un’occhiata alla mia faccia da cretino. Mai visto un macello così in tutta la mia vita. Avevo sangue sulla bocca, sul mento, perfino sul pigiama e sulla vestaglia. Un po’ mi spaventava e un po’ mi affascinava. Mi dava una cert’aria da duro. In vita mia avevo fatto a cazzotti solo un paio di volte, e le avevo buscate tutt’e due le volte. Non sono tanto duro. Sono pacifista, se proprio volete saperlo.
Avevo idea che il vecchio Ackley dovesse aver sentito tutto quel pandemonio e fosse sveglio. Sicché passai per la doccia ed entrai nella sua stanza. Là dentro c’era sempre un puzzo strano, tanto era sporcaccione quel ragazzo.