XXXII.
Ecco ora la spiegazione del fenomeno.
Montando in vettura con Paolo, Nejdanow era stato preso da una febbrile eccitazione. Usciti appena dalla corte e preso a correre in direzione del distretto insorto, egli avea cominciato a chiamare, a fermare i contadini che passavano, a tener loro dei discorsi brevi, saltuari, incoerenti.
— Orsù! — gridava, — Dormite voi forse? Destatevi! L'ora è suonata! Abbasso le imposte! abbasso i proprietari!...
Alcuni contadini lo guardavano stupiti; altri passavano senza nemmeno badargli: forse, a sentirlo vociare a quel modo, lo prendevano per ubbriaco. Uno di essi, tornando a casa, raccontò di avere incontrato un tal Francese che andava strillando non si sa che.
Nejdanow era abbastanza intelligente da capire quanto fosse stupida e assurda la sua condotta: se non che, a poco a poco esaltandosi, arrivò a perdere ogni esatta nozione, ogni minima differenza tra il ragionevole e l'irragionevole.
Paolo si sforzava di calmarlo; gli andava dicendo non esser quello il modo; che tra poco sarebbero arrivati a un gran villaggio, il primo del distretto insorto; là si poteva informarsi.... Avesse pazienza.... Ma Nejdanow non gli dava retta, e seguitava a gridare, con in viso una espressione di tristezza quasi disperata.
Il cavallo che li tirava era un animale piccolo, vigoroso, dalla criniera tagliata a spazzola sul collo arcuato. Moveva agilmente le gambe robuste e scoteva con ardore la testa, quasi cosciente di portare delle persone che aveano gran fretta.
Prima di arrivare all'annunziato villaggio, Nejdanow vide non lontano dalla strada, davanti alla porta d'un granaio, otto contadini. Saltò immediatamente a terra, corse in mezzo a quel gruppo, e prese a improvvisare un discorso di occasione, misto di grida inarticolate e di gesti energici.
Le parole: Libertà! Avanti! Alto la bandiera! pronunciate con voce stridente, distinguevansi in mezzo ad un arruffio di altre frasi meno intelligibili.
I contadini che eransi riuniti davanti il granaio per trovar modo di mettervi un po' di grano, non fosse che per mostra (era un granaio del comune, e, per conseguenza, vuoto), fissavano gli occhi nell'oratore, mostrando di ascoltare con grande attenzione.
È però assai probabile che non capissero gran che. Infatti, quando egli si allontanò, gettando un ultimo grido di Libertà! uno degli otto, il più perspicace, crollò il capo gravemente e disse: “Com'è severo!” E un altro soggiunse: “Dev'essere uno dei capi!” Al che il contadino perspicace replicò: “Si sa, altrimenti non si sgolerebbe a quel modo! Il tornaconto ci ha da essere, e siamo noi che paghiamo!”.
Rimontando in vettura, accanto a Paolo, Nejdanow pensava:
— Dio mio! quante scioccherie! che farraggine di parole vuote!... Ma, in sostanza, nessuno di noi sa bene come si fa a sollevare il popolo; forse si fa così.... Non c'è tempo di riflettere.... Tanto peggio! Capisco che ci vorrebbe ben altro.... Ma oramai l'è andata! Avanti sempre!
Entrarono nella via principale del villaggio. Nel bel mezzo, davanti la porta d'una bettola, era raccolto un certo numero di contadini. Paolo cercò di trattenere il suo compagno; ma questi era già saltato a terra e gridando: “fratelli! fratelli!” erasi cacciato in mezzo alla folla.
Gli si fece largo all'istante; ed egli attaccò un novello sermone, senza guardare in viso a nessuno, in tono violento e piagnucoloso.
Ma l'effetto fu questa volta assai diverso. Un pezzo di giovane, dalla faccia imberbe e feroce, vestito di una mezza pelliccia ingrassata, calzato di alti stivaloni e con in capo un berretto di pelle di montone, gli si accostò confidenzialmente e gli diè un colpo di mano sulla spalla.
— Bravo! hai ragione! — urlò con voce di tuono. — Tu vali tant'oro quanto pesi!... Ma non sai che la mestola asciutta scortica la gola! Vieni qua! si starà più a comodo per chiacchierare.
E, unendo l'atto alla parola, trascinò l'oratore nella bettola. Tutta la banda tenne loro dietro.
— Ohe, Michele! — gridò il giovanotto. — Qua dell'acquavite! Si fa festa a un amico! Di dove sia sbucato, a che razza appartenga, lo sa il diavolo; ma ai signori le canta chiaro e picchia sodo. Bevi! — disse a Nejdanow porgendogli la brocca colma e stillante. — Bevi, perchè infatti tu ci vuoi del bene e hai a cuore la sorte di noi poveri diavolacci!
— Bevi! — vociferò la folla.
Nejdanow, senza aver coscienza di quel che facesse, afferrò la brocca e gridò:
— Alla vostra salute, ragazzi!
E la tracannò d'un fiato....
La tracannò con una risoluzione disperata, come avrebbe fatto per gettarsi contro una batteria o sopra una fila di baionette.... L'effetto fu potente, fulmineo.... Un colpo violento alla spina dorsale e alle gambe; un'arsura alla gola, al petto, allo stomaco; le lagrime gli vennero agli occhi.... Una convulsione di disgusto gli fece tremare tutte le membra. Gridò come un indemoniato per tentare, in qualunque modo, di soffocare quella sensazione orrenda. Tutto, nella oscura bettola, divenne caldo, attaccaticcio, soffocante. E quanta gente gli stava intorno! e come gli si stringevano addosso!...
Si diè a discorrere, a gesticolare, ad alzar la voce, a montare in furia. Stringeva intorno mani callose, abbracciava e baciava barbe viscose ed umide.... Il colosso dalla pelliccia gli fu sopra, lo prese fra le braccia, lo serrò così forte da sfondargli le costole. Poi si mise a gridare: “Voglio strappar la lingua a chi torcerà un capello ai fratelli nostri! gli schiaccerò la zucca con un bel colpo di maglio! Lasciate fare a me! Me n'intendo io! Sono stato beccaio, e so come van trattate le bestie!”
E così dicendo, mostrava il pugno enorme, velloso, chiazzato di rosso. E di botto, giusto cielo! una voce torna a ruggire: “Bevi!” e Nejdanow è di nuovo obbligato a ingollare la nauseabonda bevanda.
Ma questa volta l'effetto fu terribile! Degli uncini gli entrarono nelle viscere, frugando, lacerando; un turbine nel cervello: tanti cerchi verdastri davanti agli occhi....
Uno strepito lo intronava, un rombo come di tuono. Orrore!... un terzo bicchiere.... Possibile che l'avesse tracannato?... Una folla lo assalì di nasi rossi, di capelli arruffati e polverosi, di facce abbronzate, di bocche sghignazzanti, di mani sudicie che lo agguantavano e lo tiravano in tutti i sensi.
— Orsù! fuori il discorso! sbottonati!... Avant'ieri un forestiero come te ce n'ha contate di tutti i colori! Avanti! Fuoco alla miccia, figlio di cane!
La terra gli tremava sotto i piedi. La propria voce gli facea l'effetto di un'altra voce che giungesse di lontano, che lo chiamasse.... Era forse la morte?...
E di botto un'aria fresca lo colpisce in viso.... Si dileguano i ceffi, si allarga la folla.... Non più esalazioni di acquavite, di pelli caprine, di pece, di cuoio!... Di nuovo, eccolo in vettura accanto a Paolo. Il suo primo movimento è di slanciarsi, gridando:
— Dove vai? Ferma! Non ho ancora avuto il tempo di spiegar tutto....
Poi soggiunge, rivolto al suo compagno:
— E tu, maledetto, e tu, furbo di tre cotte, che opinioni sono le tue?...
E Paolo gli risponde:
— Sarebbe una bella cosa, se non ci fossero padroni, e se tutti i poderi fossero roba nostra: questo si capisce: ma fino adesso non c'è nessuna legge in proposito.
E così dicendo, volta adagio adagio la vettura, scote le redini, frusta il cavallo, e via di corsa pei campi in direzione della fabbrica....
Nejdanow è assopito a mezzo, e dondola di qua e di là. Il vento gli soffia sul viso e scaccia i brutti pensieri e le tristi visioni.
Una sola cosa lo indispettisce, ed è che non gli abbiano dato il tempo di enunciare tutte le sue idee.... Ma di nuovo il vento gli spira con una carezza sul viso infiammato.
Poi, l'apparizione di Marianna; un senso improvviso di vergogna; e poi.... un sonno di morte.
Paolo riferì ogni cosa a Solomine. Confessò anzi di non avere impedito a Nejdanow di bere, essendo questo l'unico mezzo di strapparlo da quella bettola. I contadini non volevano lasciarlo andare.
— Quando l'ho visto preso dall'acquavite, ho parlato io a quella gente, facendo loro mille saluti: “Orsù! bravi signori, non vedete che gli è venuto male?... Lasciatelo venir via, povero ragazzo!” L'hanno lasciato, dicendo però: “Se vuoi che te lo cediamo, pagaci un mezzo rublo!” Ed io l'ho pagato.
— Hai fatto benissimo, — gli disse Solomine.
Nejdanow dormiva, e Marianna, seduta davanti la finestra, guardava al muro del cortile. Strana cosa! Le idee dispettose, i sentimenti di sdegno, che l'aveano agitata prima dell'arrivo di Nejdanow, dileguavansi a poco a poco. Lo stesso Nejdanow non era per lei oggetto di repulsione e di disgusto; bensì di profonda pietà.
Non era un beone, nè un depravato.... Bisognava dunque cercare qualche buona parola, qualche frase amica, da dirgli al momento del risveglio, perchè non sentisse troppo il morso della vergogna o del dolore.
— Sì, — pensava Marianna, — farò in modo ch'egli stesso mi racconti come la cosa è avvenuta.
Non era agitata, bensì oppressa da una profonda tristezza. Le pareva di respirare un soffio di quell'atmosfera che circondava l'ignoto mondo verso il quale anelava.... E quella rozzezza, quella barbarie, quelle tenebre fitte le davano un fremito.... A qual Moloch voleva ella dunque offrirsi in olocausto?... Ma no, non era possibile!... Quello lì doveva essere un caso isolato, un'eccezione.... L'impressione del momento l'avea colpita così forte, appunto perchè improvvisa ed inverisimile.
Si alzò, si accostò al divano, asciugò con un fazzoletto la pallida fronte di Nejdanow, dolorosamente contratta, e rigettò indietro i capelli che la coprivano.
Poi fu presa da un novello accesso di compassione, come quella di una madre pel suo bambino infermo. Un gran malessere le toglieva la forza di assistere più a lungo a quello spettacolo. Ritornò, camminando adagio, in camera sua, lasciando aperto l'uscio.
Non prese alcun lavoro. Cadde a sedere e si sprofondò nei suoi pensieri. Sentiva passare il tempo goccia a goccia, minuto a minuto, e questo sentimento le facea piacere, e il cuore le batteva forte, come in una lieta aspettazione.
Ma dove mai nascondevasi Solomine?
La porta cigolò pianamente e Tatiana apparve.
— Che volete? — esclamò Marianna con un movimento di contrarietà.
— Marianna, — rispose a mezza voce Tatiana, — sentite.... Non vi pigliate pena, son cose che accadono a tutti; e poi, grazie al cielo, non è nemmeno....
— Io non mi affliggo, Tatiana! Nejdanow è un po' malato. Non si tratta di una grande disgrazia.
— Brava, tanto meglio! Ma io dicevo: come va che la mia Marianna non si fa vedere?... Non sarei venuta però a disturbarvi: si sa, in certi momenti, la meglio è di non impicciarsi. Ma un tale è venuto alla fabbrica, che non so chi possa essere. Una specie di zoppo, mingherlino, impertinente, che vuole ad ogni costo gli si porti Nejdanow. Che vuol dir ciò? Stamane, quella femmina; adesso, lo zoppo! E quando gli ho detto che Nejdanow non era qui, allora ha domandato di Solomine! — “Se no, dice, non mi movo di qua: si tratta di cosa grave”. Volevamo mandarlo via, come quella femmina, dicendogli che Solomine era fuori, ma lo zoppo, niente! “Non mi movo, ripete; aspetterò tutta la notte, se occorre!” Adesso, passeggia su e giù nel cortile. Venite qui, nel corridoio; lo potete vedere dalla finestra.... Chi sa che non lo conosciate!
Marianna tenne dietro a Tatiana. Dovette ripassare davanti a Nejdanow, e di nuovo notò la contrazione spasmodica delle ciglia e gli asciugò col fazzoletto la fronte corrugata. Attraverso il vetro polveroso guardò al visitatore, cui Tatiana accennava. Le era affatto sconosciuto. Ma, nel punto stesso, di dietro all'angolo della casa, apparve Solomine.
L'ometto sciancato gli si accostò frettoloso, e gli prese la mano. Solomine gliela strinse. Evidentemente, si conoscevano. Tutti e due disparvero.
Ma ecco, dei passi suonano su per la scala....
Marianna scappò in camera sua, e si arrestò nel mezzo respirando a fatica. Avea paura.... di che?... Non avrebbe saputo dirlo.
La testa di Solomine si affacciò dall'uscio.
— Permettete, Marianna?... Vi conduco una persona, che ha assoluto bisogno di vedervi!
Marianna consentì con un semplice cenno del capo, e alle spalle di Solomine, vide apparire la piccola figura di Paclin.
XXXIII.
— Io sono un amico di Nejdanow, — disse Paclin facendo un profondo inchino e quasi studiandosi di nascondere alla sua interlocutrice il viso inquieto e spaventato; — sono anche amico del signor Solomine.... Nejdanow dorme; sento dire che è un po' indisposto.... Ed io, disgraziatamente, porto delle brutte notizie, che ho già in parte comunicato al signor Solomine, e in seguito alle quali è urgente prendere un partito decisivo.
Parlava a sbalzi, con la voce roca di chi sia tormentato dalla sete.
Le notizie erano infatti assai brutte. Marchelow, preso dai contadini, era stato trascinato in città. Il commesso di Goluschine avea denunciato il padrone, e questi era stato arrestato. Lo stesso Goluschine, alla sua volta, denunciava tutto e tutti; diceva volersi convertire alla religione ortodossa; offriva in dono a un ginnasio il ritratto del metropolita Filarete; avea già mandato cinque mila rubli da ripartire fra i militari feriti. Nessun dubbio al mondo che avesse denunciato anche Nejdanow. Da un momento all'altro, la polizia potea piombare sulla fabbrica. Anche Solomine, naturalmente, era in pericolo.
— In quanto a me, — soggiungeva Paclin, — una sola cosa mi stupisce, ed è che possa ancora andare attorno in libertà. Vero è che di politica propriamente detta non mi sono mai impicciato nè ho partecipato a nessuna specie di piani, di complotti.... Ho profittato dell'incuria della polizia, e son venuto ad avvertirvi, per avvisare insieme ai mezzi di evitare qualche dispiacere.
Marianna stette ad ascoltarlo fino in fondo. Non avea paura: si mostrò anzi tranquillissima. Ma Paclin avea ragione, qualche cosa bisognava pur farla! Il suo primo movimento fu di volgersi a Solomine.
Anche questi pareva tranquillo, benchè i muscoli agli angoli della bocca gli tremassero un poco. Non avea più il sorriso abituale.
Intese il significato dello sguardo di Marianna. Ella aspettava da lui una parola, un consiglio, per conformarvisi.
— L'affare in verità è un po' critico, — disse. — Non sarebbe male che Nejdanow, per un certo tempo, si nascondesse. A proposito, signor Paclin, come avete fatto a sapere che era qui?
— Me l'ha detto un tale, che l'avea visto in questi dintorni, mentre andava predicando. Lo seguì.... senza cattive intenzioni però.... È uno dei nostri.... Scusatemi, — soggiunse volgendosi a Marianna; — ma il fatto è che il nostro amico Nejdanow è stato molto.... molto imprudente.
— I rimproveri adesso non servono a niente, — disse Solomine. — Mi dispiace che non si possa subito accordarsi con lui. Entro domani però il male sarà passato, e la polizia non è poi così fulminea come voi vi figurate. Anche a voi, Marianna, converrà di allontanarvi con lui.
— Beninteso, — con voce sorda ma ferma, rispose Marianna.
— Sì, — riprese Solomine. — Bisogna riflettere, cercare i mezzi migliori....
— Permettetemi di esporvi un'idea, — venne su Paclin. — Mi è balenata per via, mentre venivo qui. Mi affretto a soggiungere che ho mandato via il cocchiere, quando ero una buona versta lontano dalla fabbrica.
— Sentiamo la vostra idea, — disse Solomine.
— Eccola!... Voi mi date subito dei cavalli.... e io volo a casa dei Sipiaghin.
— Dei Sipiaghin! — esclamò Marianna. — E a che scopo?
— Vedrete.
— Ma voi li conoscete?
— Nemmeno per ombra! Ma, sentite. Riflettete bene. La mia idea mi pare una vera inspirazione. Voi sapete che Marchelow è cognato di Sipiaghin, fratello della moglie, non è così?... Ora vi pare che quel signore non voglia muovere un dito per salvarlo?... Lo stesso Nejdanow poi.... Ammettiamo pure che Sipiaghin gli porti il broncio.... ma ciò non toglie che Nejdanow sia divenuto suo parente, sposando voi. E il pericolo che minaccia il nostro amico....
— Io non sono maritata, — disse Marianna.
Paclin sussultò dalla sorpresa.
— Come! da che.... non avete ancora.... Ma insomma, una bugia non costa niente.... In ogni caso, vi sposerete. Niente di meglio della mia idea.... Riflettete anche a questo che, fino ad oggi Sipiaghin non si è deciso a farvi inseguire. Ciò prova in lui una certa.... generosità.... Vedo che l'espressione non vi garba: dirò dunque: una ostentazione di generosità. E perchè non giovarsene? Ditelo voi stessa!
Marianna alzò la testa e si passò una mano sui capelli.
— Voi potete giovarvi di tutto quel che vi piace per Marchelow.... o anche per voi stesso, signor Paclin: ma Nejdanow ed io non sollecitiamo niente affatto nè l'intervento, nè la protezione del signor Sipiaghin. Non abbiamo lasciato la sua casa, per tornare a battere alla sua porta da supplicanti; nè davvero sapremmo che farcene della generosità, più o meno ostentata, del signor Sipiaghin o di sua moglie!
— Ecco dei sentimenti che vi onorano, — rispose Paclin, mentre pensava fra sè: “me l'ha fatta una lavata di capo!” — benchè, d'altra parte, se si tien conto.... Del resto, io son pronto a obbedirvi. Intercederò per Marchelow, per quel brav'uomo di Marchelow.... Permettetemi però di farvi notare ch'egli è solo parente di Sipiaghin per parte della moglie, mentre voi....
— Signor Paclin, prego!
— Bene, benissimo!... Non posso però non esprimere il mio dispiacere, perchè Sipiaghin è un uomo molto influente.
— E per voi non avete nessun timore? — domandò Solomine.
Paclin si rimpettì.
— Ci sono momenti nella vita, — rispose con orgoglio, — in cui non conviene pensare a sè.
Il fatto è che per l'appunto ci pensava: e tutti i suoi progetti di amichevole intervento non erano che altrettanti pretesti per mettere, come si suol dire, le mani avanti. In cambio del reso servigio, Sipiaghin poteva, non si sa mai, dire una mezza parola in favor suo. Poichè, in sostanza, Paclin, checchè dicesse, si sentiva compromesso.... Aveva udito, ripetuto.... e anche parlato un po' soverchio!
— Io trovo che l'idea vostra ha del buono, — disse alla fine Solomine, — benchè non abbia gran fede che riesca. In ogni caso, il tentar non nuoce. Checchè succeda, il vostro passo non può guastar niente.
— Niente, niente! Alla peggio, poniamo, mi faranno ruzzolar le scale.... Che male ci sarebbe?
— Nessunissimo....
— Merci, — pensò Paclin.
— Che ore sono?... Le cinque. Non c'è da perdere tempo. Faccio attaccare all'istante. Paolo!
Ma invece di Paolo, apparve sulla soglia Nejdanow. Barcollava, tenevasi con una mano allo stipite della porta, e con le labbra semiaperte fissava davanti a sè lo sguardo smarrito. Non capiva in che mondo si trovasse.
Paclin gli andò incontro pel primo.
— Alessio! — esclamò, — tu mi riconosci, non è vero?
Nejdanow lo guardò fiso battendo le palpebre.
— Paclin?...
— Sì, sì, son io. Ti senti male?
— Sì, male.... Ma... perchè sei qui?
— Perchè io....
Ma a questo punto, Marianna gli toccò il gomito. L'omiciattolo si voltò, si vide far dei segni, e subito si riprese.
— Ah! sicuro.... ecco qua, io sono arrivato qui per un affare importante, e riparto all'istante per proseguire il viaggio.... Solomine ti conterà ogni cosa, e Marianna anche. Tutti e due approvano pienamente la mia risoluzione. Si tratta di tutti quanti noi.... cioè no, no.... sbaglio.... si tratta di Marchelow, dell'amico comune, di lui solo... Ma addio, il tempo è prezioso.... Addio! Ci rivedremo. Signor Solomine, vorreste aver la bontà di accompagnarmi, per fare attaccare?
— Sono con voi. Avrei voluto raccomandarvi fermezza, Marianna; ma vedo che non serve. Voi siete di buona tempra, voi!
— Oh, sì, sì, — approvò Paclin. — Una vera Romana dei tempi di Catone!... di Catone uticense! Ma andiamo, Solomine, andiamo!
— Non dubitate, farete in tempo, — rispose Solomine con un sorriso noncurante.
Nejdanow si tirò da parte per lasciarli passare, ma dallo sguardo mostrava chiaro di non aver capito nulla. Poi, fatti due passi, si abbandonò sopra una sedia dirimpetto a Marianna.
— Ascolta, — ella gli disse, — tutto è scoperto. Marchelow è stato preso da alcuni contadini che cercava di fare insorgere.... Lo hanno arrestato, insieme con quel mercante in casa del quale tu hai desinato.... Molto probabilmente, la polizia sarà qui tra poco per impadronirsi di noi. Paclin corre ora da Sipiaghin.
— Per che fare? — mormorò Nejdanow con un fil di voce.
— Per sollecitarne la protezione....
Nejdanow si raddrizzò.
— Per noi?...
— No; per Marchelow. Si offriva anche a parlare in favor nostro; ma io non ho voluto. Ti pare che abbia fatto bene?
— Fatto bene! — esclamò Nejdanow porgendole le mani, senza alzarsi dalla sedia. — Fatto bene! — ripetette, e attiratala a sè, le appoggiò il viso al fianco e ruppe in un pianto dirotto.
— Che hai?... che hai? — gridò Marianna.
Come l'altra volta, quando le era caduto alle ginocchia, annientato, soffocato da un impeto di passione, come allora ella gli posò le mani sul capo fremente. Ma quel che ora provava non somigliava punto ai sentimenti di quel giorno. Allora si sottometteva, davasi a lui, ne aspettava la decisione; ora ne aveva pietà, e pensava soltanto a calmarlo.
— Che hai? — ripetette. — Perchè piangi? Forse perchè sei tornato a casa in uno stato.... un po' strano? No, non può essere questo! Forse ti fa pena il povero Marchelow? o forse hai paura per me, per te stesso? Ti duoli delle nostre speranze perdute?... Ma tu non potevi certo immaginare che tutto sarebbe andato nel modo più facile di questo mondo!
Nejdanow alzò bruscamente la testa.
— No, Marianna, — disse, trattenendo i singhiozzi, — io non ho paura nè per te nè per me.... no! Ma il vero è che compiango....
— Chi?
— Te, Marianna! te, che hai pensato di unire il tuo destino a quello di un uomo che non meritava questo sacrificio.
— E perchè?
— Perchè... quest'uomo in un momento come questo, è così debole da piangere.
— Non sei tu che piangi; sono i tuoi nervi.
— I miei nervi ed io, è tutt'uno. Via, Marianna, guardami negli occhi: possibile che tu mi assicuri, in questo momento, di non essere pentita....
— Di che?
— Di esser fuggita con me.
— No.
— E mi seguirai ancora? da per tutto?
— Sì!
— Davvero, Marianna, sì?
— Sì.... Ti ho dato la mia mano, e finchè sarai colui che io ho amato, non la ritrarrò.
Nejdanow era sempre a sedere: Marianna gli stava ritta davanti. Egli le cingeva la vita con le braccia, mentre ella gli appoggiava sulle spalle le mani.
— Sì.... no.... — pensò Nejdanow, — eppure, altre volte, quando mi accadeva di tenerla fra le mie braccia, come adesso, il suo corpo almeno restava immobile; mentre ora, lo sento che a poco a poco, forse senza saperlo, si allontana!
Aprì le braccia.... E infatti Marianna fece un movimento quasi impercettibile indietro.
— Ascolta! — diss'egli ad alta voce, — se è forza fuggire.... prima che la polizia ci scopra.... credo che faremmo bene se cominciassimo dallo sposarci. Può darsi che non troviamo altrove un prete così alla mano come cotesto Zosimo di cui ci ha parlato Solomine.
— Son pronta, — rispose Marianna.
Nejdanow la guardò con attenzione.
— Una vera Romana! — balbettò con un ghigno amaro. — Il dovere innanzi tutto!
Marianna alzò le spalle.
— Bisognerà parlarne a Solomine, — disse.
— Ah! sì.... a Solomine.... Ma anche Solomine è minacciato dalla polizia. Mi pare che egli abbia una parte più importante della mia, e che stia più addentro nel movimento.
— Lo ignoro, perchè di sè non parla mai....
— Non è come me, — pensò Nejdanow, — ecco che cosa vuol dire.... Solomine! Solomine! — soggiunse poi dopo un lungo silenzio. — Vedi Marianna, io non ti avrei compianta se l'uomo cui tu avessi legato per sempre il tuo destino fosse stato un Solomine.... o anche lo stesso Solomine.
Marianna lo guardò fiso.
— Tu non avevi il diritto di dir questo, — disse alla fine.
— Non avevo il diritto?... In che senso debbo prendere le tue parole? Vuoi forse dire che ami me, o che, in genere, non conveniva toccare questo argomento?
— Tu non ne avevi il diritto, — ripetette Marianna.
Nejdanow abbassò il capo.
— Marianna! — disse con voce malsicura.
— Che è?
— Se in questo momento, io.... io ti chiedessi.... sai?... No, no, nulla ti domando.... Addio!
Poi d'improvviso si alzò ed uscì per rientrare nella sua stanza.
Quivi si gettò sul divano e nascose fra le mani la faccia. Avea paura dei propri pensieri, faceva ogni sforzo per non riflettere. Provava una strana sensazione, come se una mano sotterranea ed oscura si fosse impadronita della radice stessa del suo essere, per non più lasciarla. Sapea bene che quell'altra creatura a lui cara, che era là, nella camera contigua, non ne sarebbe uscita per venire a trovarlo, e che nemmeno egli sarebbe andato da lei. E a che scopo?... e che cosa le avrebbe detto?
Un rumor di passi rapidi e fermi gli fece alzar la testa. Solomine traversava la camera. Bussò alla porta di Marianna ed entrò.
— Onore e posto! — mormorò amaramente Nejdanow.
Senza volerlo, avea pensato alla parola di ordine d'una sentinella che ne smonti un'altra.
XXXIV.
Erano già le dieci di sera, e nel salotto della villa di Arjanoe, Sipiaghin, sua moglie e Colomeizew giocavano a carte, quando un domestico entrò, annunziando l'arrivo di uno sconosciuto, un certo signor Paclin, il quale chiedeva di vedere il signor Sipiaghin per un affare urgentissimo e della massima importanza.
— A quest'ora! — esclamò stupita la signora Valentina.
— Come? — domandò Sipiaghin arricciando il classico naso, — come hai detto che si chiama quel signore?
— Paclin.
— Paclin! — esclamò Colomeizew. — Un vero nome contadinesco. Paclin! Solomine!... de vrais noms ruraux, hein?nota 10
— E tu dici, — riprese Sipiaghin, volgendosi al domestico e sempre col naso arricciato, — che si tratta di un affare grave, urgente?
— Così assicura quel signore.
— Uhm!... qualche mendicante o qualche intrigante.... ( “O l'uno e l'altro” insinuò Colomeizew).... molto probabilmente. Fallo passare nello studio. Scusami, cara.... Fate intanto una partita di écarté.... O pure, aspettatemi.... torno subito.
— Nous causerons.... allez! — rispose Colomeizew.
Entrando nel suo studio, Sipiaghin vide la figura mingherlina di Paclin, umilmente attaccata al muro tra la porta e la finestra; e subito provò quel sentimento davvero ministeriale di altera pietà e di condiscendenza schizzinosa, che è proprio dei grandi dignitari di Pietroburgo.
— Dio mio!... un vero papero spennato! — pensò; — ed è anche zoppo, per giunta!
— Sedete! — disse poi forte, servendosi delle sue più amabili note baritonali, scotendo in atto benevolo la testa un po' alzata e prendendo posto davanti al visitatore. — Dovete essere stanco del cammino fatto; sedete e spiegatevi: quale affare importante vi mena qui a quest'ora?
— Eccellenza, — cominciò Paclin, adagiandosi con riguardo in una poltrona, — io mi son permesso di presentarmi....
— Un momento, un momento! — interruppe Sipiaghin. — Non è la prima volta che vi vedo. Io non dimentico mai un solo dei visi che m'è accaduto d'incontrare.... Ho una memoria di ferro.... Ma.... dove mai vi ho visto?
— Voi non v'ingannate, Eccellenza. Io ebbi l'onore d'imbattermi in Vostra Eccellenza a Pietroburgo, in casa di una persona.... che.... che in seguito.... disgraziatamente, ha provocato l'indignazione di Vostra Eccellenza....
Sipiaghin si alzò di scatto.
— In casa del signor Nejdanow. Ora mi rammento. Non venite per parte sua, spero?
— Niente affatto, Eccellenza; io invece.... io....
Sipiaghin tornò a sedere.
— E fate benissimo, poichè in tal caso vi avrei pregato di ritirarvi immediatamente. Nessun intermediario è ammissibile tra il signor Nejdanow e me! Il signor Nejdanow mi ha fatto una di quelle ingiurie che non si dimenticano.... Io son superiore alla vendetta; ma non voglio nulla sapere nè di lui nè di quella fanciulla.... del resto più corrotta di cervello che di cuore (Sipiaghin ripeteva questa frase almeno per la trentesima volta, dopo la fuga di Marianna), la quale non si è fatta scrupolo di abbandonare il tetto che le dava asilo per seguire un vagabondo senza nome!... Basta loro che io li dimentico!
Pronunciando l'ultima parola, fece un gesto con la mano dal basso in alto, come se allontanasse qualche cosa.
— Io li dimentico, signore! — ripetette.
— Eccellenza, io ho già avuto l'onore d'informare Vostra Eccellenza che non venivo da parte loro, benchè io sia in grado di far sapere a Vostra Eccellenza ch'essi son già uniti coi legami legittimi del matrimonio.... (Oramai è fatta!, pensò, ho detto che l'avrei sballata.... Nasca quel che sa nascere!).
Sipiaghin girò la nuca di qua e di là sulla spalliera della poltrona.
— Ciò, caro signore, non mi preme niente affatto. Uno sciocco matrimonio di più, ecco tutto! Ma in tutto questo, non vedo ancora l'affare urgente cui debbo il piacere della vostra visita.
— Aspetta, maledetto direttore di dipartimento! — pensò Paclin. — Adesso t'insegno io a fare il commediante, brutto ceffo all'inglese!
Poi a voce alta:
— Il fratello della consorte di Vostra Eccellenza, il signor Marchelow, è stato preso da alcuni contadini ch'ei cercava di fare insorgere, ed in questo momento è.... trattenuto nel palazzo del governatore.
Sipiaghin diè un balzo.
— Che.... che dite? che avete detto? — balbettò, non più in tono ministeriale, ma con un miserabile falsetto.
— Dico che il cognato di Vostra Eccellenza è stato arrestato.... Appena saputa la cosa, ho preso dei cavalli e son venuto ad avvertirvi. Ho pensato, in tal modo, rendere un servizio a Vostra Eccellenza, non che al disgraziato, che Vostra Eccellenza può salvare.
— Vi sono riconoscentissimo, — disse Sipiaghin sempre in falsetto; e, battendo vivamente col palmo della mano sopra un campanello a foggia di fungo, empì tutta la casa del suo tintinnio metallico. — Vi sono riconoscentissimo, — ripetette in tono più fermo; — ma sappiatelo, signore: un uomo che non si è peritato di calpestare tutte le leggi divine ed umane, fosse pure cento volte mio parente, non è per me un disgraziato, no!... è un delinquente!
Un domestico entrò frettoloso.
— Che comanda il signore?
— La carrozza, subito! A quattro cavalli!... Parto per la città. Filippo e Stefano mi accompagnano.
Il domestico disparve.
— Sì, o signore, — proseguì Sipiaghin; — mio cognato è un delinquente. Se vado in città, non è già per salvarlo.... Oh, no!
— Ma, Eccellenza....
— Tali sono i miei principii, mio caro signore, ed io vi prego di non farmi obbiezioni di sorta.
Andava su e giù a passo concitato. Paclin lo guardava, sbarrando gli occhi.
— Diamine! — pensava; — ed è questi il vantato liberale! Pare una belva, pare!
La porta si spalancò, e Valentina arrivò ansiosa, seguita da Colomeizew.
— Che vuol dir ciò, Boris? Hai ordinato di attaccare? Vai in città? Ch'è successo?...
Sipiaghin si accostò alla moglie e le prese il braccio tra il gomito e il polso.
— Il faut vous armer de courage, ma chère.... Vostro fratello è stato arrestato.
— Mio fratello? Sergio?... E perchè?
Predicava a dei contadini le sue teorie socialistiche! (Colomeizew mandò un gemito). Sì. Predicava loro la rivoluzione! Faceva della propaganda!... I contadini l'han preso e consegnato. Adesso è in prigione.
— Oh! l'insensato!... Ma chi t'ha detto....
— Ecco qua.... questo signore.... signor.... come si chiama?... il signor Prattin qui presente ha portato la notizia.
Valentina si volse a Paclin, il quale fece un profondo inchino.
— Bel pezzo di donna! — pensò, anche in quel momento critico, Paclin.
— E tu vuoi andare in città.... così tardi?
— Troverò ancora in piedi il governatore.
— Io lo dicevo, — esclamò Colomeizew, — lo dicevo che la cosa finiva male! Non poteva essere altrimenti!... Ma che brava gente questi contadini russi! Una meraviglia, davvero.... Pardon, madame, c'est votre frère! Mais la vérité avant tout!
— Via, Boris, — riprese Valentina, — davvero che vuoi partire?
— Scommetterei, — continuò Colomeizew, — che anche l'altro, quel maestrino, il signor Nejdanow, è implicato nella faccenda. J'en mettrais ma main au feu. È tutta una banda. Non lo hanno arrestato lui?... Non sapete eh?
Sipiaghin tornò a fare un gesto di allontanamento.
— Non so.... non lo voglio sapere!... A proposito, — soggiunse volgendosi alla moglie, — il parait qu'ils sont mariés.
— Chi l'ha detto? il signore?
E Valentina fissò di nuovo Paclin, stringendo gli occhi.
— Sì, il signore.
— In tal caso, — esclamò Colomeizew, — il signore deve anche sapere dove sono. Voi lo sapete dove sono? lo sapete?... eh?... lo sapete?...
Così parlando, si dondolava davanti a Paclin, come per sbarrargli la via, benchè questi non accennasse punto a voler fuggire.
— Ma parlate dunque! rispondete! Eh?... lo sapete?... lo sapete?...
Paclin si sentì salir la mosca al naso.
— Quand'anche lo sapessi, — rispose, — non lo direi a voi!
— Oh! oh! oh! — gridò Colomeizew, — voi lo sentite.... lo sentite!... Ma allora anche costui è della banda!
— La carrozza è pronta! — annunziò un domestico.
Sipiaghin, con un gesto energico ed elegante, prese il cappello.... Ma Valentina tanto lo pregò perchè rimandasse il viaggio al giorno appresso, tante buone ragioni gli disse, l'ora tarda, il pericolo d'un raffreddore, la certezza di trovar tutti a letto, l'inutilità di procurarsi un'irritazione nervosa, che alla fine, lasciandosi convincere, egli esclamò:
— Ebbene, obbedisco!
E con un gesto non meno elegante, ma punto energico, posò il cappello sulla tavola.
— Staccate i cavalli! — ordinò: — ma che la carrozza sia pronta per domani alle sei precise. Hai inteso?... Va.... no, aspetta!... Si mandi via l'equipaggio del signor.... del signore qui.... si paghi il cocchiere!... Eh? avete detto qualche cosa, signor Prattin?... Domani, signor Prattin, verrete con me.... Come dite?... non ho inteso.... Accettereste dell'acquavite? Date dell'acquavite al signor Prattin.... No? non ne prendete?... Non importa.... Teodoro! Conducete il signore nella camera verde.... Buona notte, signor Prat....
Paclin perdette le staffe.
— Mi chiamo Paclin! — urlò. — Paclin, vi ripeto!
— Ah, sì, sì! scusatemi.... Ma che voce avete, così mingherlino come siete!... A domani, signor Paclin.... Va bene così? Siméon, vous viendrez avec nous!
— Je crois bien! — rispose Colomeizew.
Paclin fu condotto nella camera verde....
Mentre si metteva a letto, sentì girar la chiave nella serratura inglese. Lo chiudevano. Se ne disse di tutti i colori sulla sua geniale inspirazione, e dormì malissimo.
Il giorno appresso, alle cinque e mezzo, lo si venne a svegliare. Gli fu portato il caffè. Mentre lo sorbiva, un lacchè, con la coccarda sulla spalla, se ne stava col vassoio in mano, dondolandosi, come per dire: “Ma sbrigati dunque! i padroni attendono!” Poi lo si accompagnò fino abbasso. La carrozza era davanti alla porta, come pure la calèche di Colomeizew.
Sipiaghin apparve sulle scale, avvolto in un mantello di camellino dal bavero largo e rotondo. Nessuno portava più di cotesti mantelli, ad eccezione di un gran personaggio cui Sipiaghin faceva la corte e che studiavasi di scimmiottare. Nelle occasioni officiali e importanti, non trascurava mai d'indossare quella specie di cappa magna.
Salutò amabilmente Paclin e, mostrandogli con un gesto energico i cuscini della carrozza, lo pregò di prender posto.
— Signor Paclin, voi venite con me, prego! Mettete davanti la sacca da viaggio del signor Paclin! Il signor Paclin viene con me!
L'aria del mattino era così frizzante, che Colomeizew uscito dopo di Sipiaghin, si andava soffiando nelle mani, ed esclamando: Brrr! brrr! brrr!... si avviluppò ben bene nel suo mantello e si rincantucciò nella sua elegante calèche scoperta. (Il suo povero amico, il principe Michele Obrenovic di Serbia vedendo quella calèche, ne aveva comprata una perfettamente simile da Binder... vous savez, Binder, le grand carrossier des Champs Elysées)!
La signora Valentina, intanto, in cuffia e fazzoletto da notte, guardava attraverso le imposte socchiuse.
Sipiaghin montò in carrozza, e le mandò con la mano un saluto.
— State bene così, signor Paclin?... Avanti!
— Je vous recommande mon frère! épargnez-le! — gli gridò la signora Valentina.
— Soyez tranquille! — rispose Colomeizew, gettandole uno sguardo di sotto alla visiera d'un berretto da viaggio ornato d'una coccarda, berretto quasi ufficiale, ch'egli stesso aveva immaginato. — C'est surtout l'autre qu'il faut pincer!
— Avanti! — ripetette Sipiaghin. — Signor Paclin, non avete freddo?... Avanti!
I due equipaggi si mossero.
Durante i primi dieci minuti, Sipiaghin e Paclin non aprirono bocca.
Il disgraziato zoppetto, col suo soprabito meschino e il berretto assai mal ridotto, pareva ancor più miserabile sul fondo azzurro-cupo della ricca stoffa di seta della carrozza.
Andava osservando in silenzio le delicate tendine cilestri che si arrotolavano in un attimo quando si premeva una molla, e la predellina di pelle bianca e lanosa sulla quale appoggiava i piedi, e il cassetto di mogano infisso nella parete anteriore, dal quale emergeva una tavoletta per scrivere ed anche un piccolo leggio. (Sipiaghin volea dare ad intendere che gli piaceva di lavorare in carrozza come il signor Thiers durante i suoi viaggi).
Paclin si sentiva intimidito. Due volte Sipiaghin lo sbirciò con la coda dell'occhio di sopra alla gota ben rasa; poi, cavando da una tasca laterale, con maestosa lentezza, un portasigari d'argento riccamente ornato di un monogramma in caratteri slavi, gli offrì.... sì, proprio, gli offrì un sigaro, tenendolo con negligenza tra l'indice e il medio della mano destra, protetta da un guanto gialletto, di fabbrica inglese, in pelle di cane.
— Non fumo, — balbettò Paclin.
— Ah! — fece Sipiaghin, e accese il proprio sigaro, uno squisito regalia.
— Debbo dirvi, mio caro signor Paclin, — cominciò poi in tono insinuante spingendo a piccoli sbuffi delle spirali sottilissime di fumo fragrante, — debbo dirvi.... che vi sono.... veramente.... molto obbligato. Ieri sera, forse, vi sarò sembrato un po'.... tagliente.... il che non è.... nel mio carattere. (Parlava adagio, a frasi staccate, e non senza ragione). Oso affermarvelo. Ma d'altra parte, signor Paclin, mettetevi per un momento nella.... nella mia posizione. (Così dicendo fece passare il sigaro all'altro angolo della bocca). Il posto che io occupo mi mette.... come ho da dire?... in una certa evidenza.... Ed ecco che, tutto ad un tratto.... il fratello di mia moglie.... si compromette.... e, naturalmente, compromette anche me nel modo più inverisimile! Che ne dite voi, signor Paclin?... Voi forse pensate che la cosa non sia tanto grave?
— No, al contrario. Eccellenza.
— E non sapete con precisione perchè e dove lo abbiano arrestato?
— Ho inteso dire che è stato nel distretto di T.***
— Chi ve l'ha detto?
— Un.... signore.
— Naturalmente non poteva dirvelo un uccello. Ma chi è questo signore?
— Il commesso del segretario della cancelleria del governatore.
— Come si chiama?
— Il segretario?
— No, il commesso.
— Si chiama Uliacevic. È un impiegato molto coscienzioso, Eccellenza. Appena saputa la cosa, mi sono affrettato....
— Sì, sì, benissimo. E vi ripeto che ve ne sono molto riconoscente. Ma che follìa! poichè è una follìa bell'e buona, non è vero, signor Paclin? eh?
— Altro che! sicuro! — approvò Paclin, che si sentiva scorrere come un serpentello tepido e sottile lungo la spina dorsale. — Vuol dire proprio non capire che cosa è il contadino russo. Il signor Marchelow, per quanto io ne sappia, ha un cuore nobilissimo: ma non ha mai compreso l'indole dei nostri contadini.... (Paclin gettò una mezza occhiata a Sipiaghin il quale s'era leggermente voltato dalla sua parte, e lo avvolgeva con uno sguardo freddo, penetrante, ma non però ostile). Coloro che sobillano il nostro contadino, che lo eccitano alla rivolta, ebbene.... non vi riescono che giovandosi del suo rispetto all'autorità, dell'attaccamento, dirò così, al potere, alla famiglia imperiale. Bisogna metter su qualche leggenda sul genere del falso Demetrio: mostrare sul petto qualche segno imperiale, ottenuto per mezzo di una moneta con l'aquila, arroventata....
— Sì, sì, come Pugacew, — interruppe Sipiaghin col tono di chi dicesse: “Non tanta erudizione! sappiamo noi pure la nostra storia!” e tornando a ripetere: “È una follìa! è una follìa!” si sprofondò nella contemplazione della spirale di fumo, che saliva rapidamente dalla punta del sigaro.
— Eccellenza! — disse Paclin facendosi coraggio. — Io ho detto poco fa che non fumavo.... Ma non è vero.... Io fumo; e il sigaro di Vostra Eccellenza manda un tal profumo....
— Eh? come? che è? — fece Sipiaghin, quasi destandosi da un profondo sonno; e senza dare a Paclin il tempo di ripetere quel che aveva detto (prova che avea perfettamente inteso le sue parole e che ripeteva le domande per solo gusto di posare), gli presentò il portasigari aperto.
Paclin, in atto riconoscente, ne prese un sigaro e l'accese.
— Ecco il momento favorevole, credo, — pensò.
Ma Sipiaghin lo prevenne.
— Voi mi avete anche parlato, mi pare, — disse con negligenza, interrompendosi tratto tratto, esaminando il sigaro, gonfiando le gote, facendo viaggiare il cappello dalla nuca sulla fronte, e viceversa, — voi mi avete parlato.... eh?... di quell'altro vostro amico.... sapete.... quello che ha sposato.... una mia parente.... Li avete visti?... Mi figuro che si saranno istallati.... nelle vicinanze?... eh?...
— Non li ho visti che una volta, Eccellenza.... (Attento, Paclin, amico mio!)... Infatti, se non mi sbaglio, non sono molto lontani di qua.
— Naturalmente, voi capite, — riprese a dire Sipiaghin senza smettere le sue manovre, — come già ho avuto l'onore di dirvi, io non posso più.... interessarmi seriamente nè a quella fanciulla.... leggiera, nè al vostro amico. Dio mio! io non ho pregiudizi.... Ma, convenitene voi stesso, è una faccenda.... assurda.... Una vera balordaggine. Del resto, a mio modo di vedere, ciò che li ha riuniti quei due è piuttosto la politica.... (la politica! ripetette alzando le spalle), più che qualunque altro sentimento.
— Così credo anch'io, Eccellenza.
— Sì, il signor Nejdanow era uno degli accesi, un esaltato.... E, per rendergli giustizia, non facea mica mistero delle sue opinioni.
— Nejdanow, — insinuò Paclin, — si è forse lasciato trascinare; ma il suo cuore....
— Il suo cuore è buono, — interruppe Sipiaghin; — certo, certo, come Marchelow, tale e quale. Cotesti signori hanno tutti un cuore eccellente.... Forse e senza forse, avrà partecipato anch'egli a questo affaraccio, e sarà pure arrestato.... Bisognerà intercedere anche per lui...
Paclin si strinse le due mani al petto.
— Ah, sì, sì, Eccellenza! Accordategli la vostra protezione! Egli la merita.... ve lo assicuro.... merita davvero la vostra simpatia.
— Uhm! — fece Sipiaghin, — voi lo pensate?
— Infine, se non per lui, fatelo per vostra nipote, per sua moglie! (Dio mio! Dio mio! quante ne sballo).
Sipiaghin strinse gli occhi.
— Voi siete un amico molto devoto, vedo.... vedo. Sono sentimenti cotesti... che vi onorano.... Sicchè, voi dite che non sono lontani di qua?
— Sì, Eccellenza; in un grande opificio....
Paclin si morse la lingua.
— To', to', to' to'!... da Solomine! Sicuro, sicuro! Del resto, io lo sapevo; me n'avean parlato.... Sì, sì; me l'aveano detto.... Sì!
Il fatto è che non ne sapeva niente; ma, ricordandosi della visita di Solomine e dei colloqui notturni, avea gettato l'amo.... E Paclin vi abboccò senza sospetto.
— Poichè Vostra Eccellenza lo sa, — cominciò, dopo di che tacque di botto e tornò a mordersi la lingua. Ma era tardi oramai. Una semplice occhiata gli fece intendere che durante tutta la conversazione Sipiaghin avea giocato con lui come il gatto col topo.
— Del resto, Eccellenza, — balbettò il disgraziato, — io debbo dire che, a rigore, non so assolutamente nulla....
— Ma io nulla vi domando! Che diamine!... che vuol dir ciò?... Per chi mi prendete voi? — esclamò altero Sipiaghin, riassumendo di colpo tutta la sua sicumera ministeriale.
E Paclin si sentì di nuovo piccolo, meschino, ingarbugliato, preso al laccio.... Fino allora, avea fumato tenendo il sigaro nell'angolo della bocca opposto a Sipiaghin, e aspirandone adagio adagio il fumo, quasi di nascosto. Ora, se lo tolse adirittura dalle labbra e non fumò più.
— Dio mio! — esclamò dentro di sè, mentre un gelido sudore gli scorreva per tutte le membra, — che ho mai fatto!... Ho denunciato tutto.... e tutti!... Mi son fatto mettere in mezzo, mi son venduto al prezzo di un buon sigaro!... Sono un denunciatore, una spia! E come rimediare adesso al mal fatto? O signore Iddio!...
Ma di rimediare non c'era più tempo. Sipiaghin si addormentò grave e dignitoso, da vero ministro, avvolto nel suo mantello ufficiale....
Del resto, un quarto d'ora dopo, le due carrozze facevano alto davanti alla casa del governatore.
XXXV.
Il governatore di S.*** apparteneva alla razza di quei generali bonaccioni, spensierati, mondani, che hanno la pelle bianca, liscia, pulita, e l'anima quasi linda quanto il corpo, i quali, nati bene, bene educati, impastati come un pan di zucchero, non mai tormentati dall'ambizione di diventare elementi dirigenti, son però discreti amministratori; e che, poco lavorando, sospirando sempre di tornare a Pietroburgo, e facendo una corte assidua alle belle signore della provincia, riescono di una incontestabile utilità per la regione amministrata e si lascian dietro una memoria eccellente.
S'era in quel punto levato di letto; e con indosso una veste da camera di seta, con la camicia da notte sbottonata, se ne stava seduto davanti allo specchio, lavandosi con acqua di Colonia allungata la faccia ed il collo, dintorno al quale avea tolto una intera collezione d'immagini e di scapolari.
Un domestico venne ad annunziargli che i signori Sipiaghin e Colomeizew domandavano di esser ricevuti per un affare grave ed urgente.
Conosceva intimamente Sipiaghin; gli avea dato del tu fino dai primi anni; lo incontrava sempre nei salotti della capitale, e, da un pezzo in qua, ogni volta che quel nome di Sipiaghin gli veniva in testa, vi aggiungeva invariabilmente un Ah! rispettoso come a quello di un futuro dignitario.
Conosceva un po' meno e stimava anche molto meno Colomeizew, sul conto del quale riceveva spesso dei reclami poco favorevoli; ma lo riguardava come un individuo che, in un modo o nell'altro, avrebbe fatto molto cammino.
Fece pregare i due visitatori di passare nel suo gabinetto, e di lì a poco li raggiunse, sempre in veste da camera. Non si scusò nemmeno di riceverli in una veste così poco ufficiale e strinse loro amichevolmente la mano.
Paclin non avea seguito i due personaggi nel gabinetto del governatore; rimasto di fuori, aspettava in salotto. Smontando dalla carrozza, avea tentato di svignarsela col pretesto di certi suoi affari; ma Sipiaghin lo avea trattenuto con cortese fermezza, mentre Colomeizew, accorrendo spaventato, bisbigliava all'orecchio dell'amico Boris: Ne le lâchez pas! Tonnerre de tonnerres! e l'avea fatto salire con lui. Non però l'aveva introdotto nel gabinetto, e sempre con la stessa fermezza cortese lo avea pregato di aspettare che lo si chiamasse.
Paclin, rimasto solo, ebbe di nuovo l'idea di scappar via, ma un robusto gendarme, prevenuto da Colomeizew, comparve sulla soglia....
— Tu certo indovini il motivo della mia visita, Voldemar? — domandò Sipiaghin al governatore.
— No, mio caro amico, non indovino, — rispose l'amabile epicureo, mentre un sorriso gli arrotondava le guancie rosate e scopriva due file di denti bianchissimi, a mezzo nascosti da un par di morbidi baffi.
— Come!... Ma dunque Marchelow....
— Che Marchelow? — ripetette il governatore senza mutar di espressione.
Si ricordava molto vagamente che l'individuo arrestato il giorno avanti chiamavasi Marchelow; ed avea del tutto dimenticato che la signora Sipiaghin avea un fratello di quel nome.
— Ma perchè te ne stai in piedi, Boris? — riprese. — Siedi. Vuoi del tè?
Sipiaghin avea ben altro pel capo!
Quando alla fine ebbe narrato ogni cosa e spiegato il motivo della visita, il governatore mandò una esclamazione dolorosa, si battè la fronte e prese un’espressione di sincero rammarico.
— Sì.... sì.... sì! — ripetette. — Che sventura!... È ancora qui, nel palazzo. Tu sai che noi li tratteniamo solo una notte; ma siccome il capo della gendarmeria è assente, così tuo cognato ha dovuto aspettare.... Domani però lo si spedisce. Dio mio! Che affaraccio! Mi figuro il dispiacere di tua moglie! Che posso fare per te?
— Vorrei avere un colloquio con lui, qui.... se la legge non si oppone.
— Ma ti pare, anima mia, ti pare! La legge non è stata scritta per le persone come te.... Io prendo tanta parte alla tua posizione.... C'est affreux, tu sais!
Suonò in un modo speciale. Un aiutante di campo comparve.
— Caro barone, ve ne prego, abbiate la bontà.... (Gli disse quel che bisognava fare. Il barone disparve). — Figurati, mio caro amico, che poco è mancato i contadini non l'abbiano ucciso! Gli hanno legate le mani alla schiena, e.... marche!... Ed egli, figurati, niente collera, tutt'altro! Una calma sorprendente, inesplicabile.... Già, vedrai tu stesso. C'est un fanatique tranquille.
— Ce sont les pires, — sentenziò Colomeizew.
Il governatore lo guardò di sottecchi.
— A proposito, debbo parlar con voi, signor Colomeizew.
— Che c'è?
— Una brutta faccenda.
— Ma insomma?
— Sapete, il vostro debitore, quel contadino ch'era venuto a lagnarsi di voi....
— Ebbene?
— S'è appiccato.
— Quando?
— Il quando importa poco; ma la faccenda è bruttina.
Colomeizew alzò le spalle e si allontanò, dondolandosi, verso la finestra.
L'aiutante di campo ricomparve, accompagnato da Marchelow.
Il governatore avea detto il vero: Marchelow era calmissimo. Il solito cipiglio era perfino dileguato, cedendo il posto a una specie di stanchezza indifferente.
Scorgendo il cognato, non mutò di espressione. Ma quando ebbe volta un'occhiata all'aiutante tedesco che lo avea condotto, gli scintillarono gli occhi dell'odio antico che quella classe di gente gl'inspirava.
Aveva il soprabito strappato in due posti e ricucito alla meglio con grossi punti; sulla fronte, sulle sopracciglia e alla radice del naso, varie scorticature e macchie di sangue coagulato. Non s'era lavato il viso; bensì si era pettinato. Nascoste le due mani nelle maniche, si fermò poco discosto dalla porta. Respirava regolarmente.
— Sergio! — gli si volse Sipiaghin con voce commossa, facendo due passi verso di lui e stendendo la mano destra tanto da toccarlo.... o anche da fermarlo nel caso che avesse fatto un movimento in avanti, — Sergio! io non son venuto qui per esprimerti la nostra sorpresa, il nostro profondo dispiacere.... tu, certo, non ne dubiti!... Tu hai voluto perderti.... Sì, l'hai voluto, e ci sei riuscito! Ma io desideravo vederti per dirti.... che.... che.... per offrirti.... per metterti nella possibilità di porgere ascolto alla voce della ragione, dell'onore, dell'amicizia! Tu puoi ancora addolcire la tua sorte, e, credimi, Sergio, io farò da parte mia tutto ciò che da me dipende.... Ecco qui, l'onorevole capo della provincia, il rappresentante del governo, ti confermerà le mie parole!
Qui Sipiaghin alzò di un tono la voce:
— Sincero pentimento dei tuoi errori, confessione completa, senza la minima restrizione, che sarà riferita a chi di diritto....
— Eccellenza, — disse ad un tratto Marchelow, volgendosi al governatore con voce calma benchè alquanto rauca, — avevo supposto che voleste vedermi per sottopormi a un novello interrogatorio.... Ma se mi avete fatto chiamare solo dietro richiesta del signor Sipiaghin, vi pregherei di farmi condur via. Noi non ci possiamo intendere l'un l'altro. Tutto ciò ch'egli dice è per me del latino.
— Permettete.... del latino! — venne su Colomeizew con voce stridente. — Ed è anche latino il sobillare i contadini? Eh?... è latino?... eh?
— È forse un agente della polizia segreta, Eccellenza?... È così zelante! — disse Marchelow, mentre un debole sorriso gli sfiorava le pallide labbra.
Colomeizew digrignò i denti, pestò i piedi.... Ma il governatore lo arrestò.
— Colpa vostra, signor Colomeizew.... Perchè immischiarvi in cose che non vi riguardano?
— Che non mi riguardano!... che non mi riguardano!... Ma mi sembra che si tratti di interesse comune.... di tutti noi gentiluomini....
Marchelow avvolse Colomeizew d'un'occhiata lenta e glaciale, e si volse poi a Sipiaghin.
— In quanto a voi, signor cognato, se proprio vi preme che io vi esponga le mie idee, eccole qua: io riconosco che i contadini avevano il diritto di arrestarmi e di consegnarmi, visto che i miei discorsi non erano di loro gusto. Liberissimi di agir così: ero io che andavo da loro, e non viceversa. E se il governo mi manda in Siberia, io non mormorerò, benchè non mi reputi colpevole. Il governo fa il suo mestiere, si difende. Vi basta questo?
Sipiaghin alzò le mani verso il soffitto.
— Se mi basta! Che espressione!... La questione non è qui, nè tocca a noi giudicare sulla eventuale condotta del governo.... Ma io desidero sapere se voi avete coscienza.... se tu, Sergio, hai coscienza (Sipiaghin si decise a toccar le corde del cuore)delle conseguenze, della follìa del tuo tentativo; se sei disposto a dimostrare il tuo pentimento, se io posso, fino ad un certo punto, risponder per te, Sergio!
Marchelow corrugò le folte sopracciglia.
— Ho già detto.... nè ho voglia di ripetere.
— Ma il pentimento? dov'è il pentimento?...
Marchelow scoppiò ad un tratto.
— Eh via! lasciatemi in pace col vostro pentimento! Voi volete insinuarvi nel segreto dell'anima mia?... È cosa che riguarda me solo.... Smettete, ve ne prego!
Sipiaghin alzò le spalle.
— Sempre così sei stato! sordo alla voce della ragione.... Avresti un mezzo tranquillo, onorevole, per cavarti d'impaccio....
— Tranquillo, onorevole, — ripetette Marchelow con voce cupa. — Le sappiamo coteste parole! Si tiran fuori tutte le volte che si viene a proporre una bassezza. Ecco che cosa voglion dire quelle parole!
— Noi vi compiangiamo, — disse Sipiaghin, — e voi ci ripagate con l'odio.
— Bella pietà la vostra! Voi ci mandate in Siberia, in prigione.... ecco la pietà vostra! Via, via, lasciatemi in pace, in nome di Dio.
E Marchelow abbassò la testa.
A dispetto della calma apparente, si sentiva sconvolto.
Quel che lo torturava, quel che lo rodeva più di tutto, era il pensiero di essere stato consegnato.... da chi? Da Geremia.... da quel medesimo Geremia, nel quale riponeva tanta fiducia!
Che Dutik non lo avesse seguito, più o meno si capiva. Dutik era un beone, e quindi un vigliacco.... Ma Geremia!... Geremia, che era per Marchelow la personificazione del popolo russo!... Proprio quello lì lo avea tradito e consegnato!
Tutti i suoi sforzi dunque erano andati a vuoto! E il famoso Chisliacow non avea che spacciato fandonie! E Basilio Nicolaevic aveva solo ordinato delle assurdità!
Ma dunque tutti quegli articoli, quegli opuscoli, quelle opere di socialisti, di pensatori, quelle parole così evidenti, così salde, così sicure, non erano che inganno? Ed era ciò possibile?... E quel bellissimo paragone del tumore già maturo, che solo attende il colpo della lancetta, non era che una frase vuota di senso?
— No! no! — mormorava dentro di sè, mentre un lieve rossore gli si diffondeva sulla faccia abbronzata. — No! tutto ciò è vero, tutto!... La colpa è mia; io non ho detto, non ho fatto quel che dovevo! Avrei dovuto soltanto ordinare e se qualcuno recalcitrava, bruciargli le cervella, senza pensarci sopra! Chi non è con noi, è contro di noi, e non ha diritto alla vita.... Anche le spie si ammazzano come cani e peggio!
Riandava con la mente i particolari dell'arresto.... Sulle prime, un gran silenzio nella folla dei contadini; poi dei cenni, delle occhiate, qualche grido nelle ultime file.... Poi un contadino che gli si accosta di lato, come per salutarlo.... Poi un tumulto improvviso.... E lui, Marchelow, sollevato a braccia, gettato per terra.... “Compagni, compagni! che fate?” Ed essi: “Presto una cinghia! Legatelo!...” Poi lo scricchiolìo delle ossa, la rabbia impotente, la polvere fetida in bocca e nelle nari.... “Buttatelo giù! mettetelo sulla carretta!” Una risata fragorosa, un urlo.... Ah! quale orrore!
— Colpa mia!... colpa mia! non ho saputo fare!
Ecco quello che lo rodeva dentro. Se fosse caduto sotto una ruota, poco male; nessun danno alla causa comune!... Ma Geremia! Geremia!
Mentre Marchelow meditava col capo piegato sul petto, Sipiaghin trasse in disparte il governatore, e prese a parlargli sottovoce, con piccoli gesti discreti, battendosi due dita sulla fronte, come per dire:
— Sapete, povero ragazzo, non è in sè!
Sforzavasi insomma di svegliare nel governatore un senso, se non di simpatia, almeno di pietà per quel mentecatto. E il governatore si stringeva nelle spalle, alzava gli occhi, li chiudeva, dolevasi di non poter niente di niente, prometteva qualche cosa....
— Tous les égards... certainement, tous les égards! — balbettava attraverso i baffi profumati, — ma sai.... la legge!
— Sicuro, la legge! — ripeteva Sipiaghin con rigida sommessione.
Mentre così discorrevano in un angolo, Colomeizew non riusciva a star fermo; si agitava, tossiva, facea schioccar la lingua, dava tutti i segni più manifesti di impazienza. Alla fine, non potendone più, si accostò a Sipiaghin e gli bisbigliò in fretta:
— Vous oubliez l'autre!
— Ah! sì, — rispose forte Sipiaghin. — Merci de me l'avoir rappelé... Io debbo informare Vostra Eccellenza, — disse volgendosi al governatore (dava dell'Eccellenza all'amico Voldemar per non compromettere il prestigio dell'autorità in presenza di un insorto), — debbo informare Vostra Eccellenza di un fatto.... Indizi positivi mi portano a supporre che il folle tentativo di mio cognato abbia certe ramificazioni, e che uno di questi rami.... in altri termini uno degli individui da me sospettati.... si trovi a poca distanza di qua. Ordina di far passare, — soggiunse a mezza voce; — c'è di là, in salotto, un tale.... Te l'ho condotto proprio io.
Il governatore guardò a lungo Sipiaghin, pensò con ammirazione: — “Che uomo!” — e diè un ordine.
Un minuto dopo, Paclin appariva alla sua presenza.
Il povero zoppo stava per fare un profondo inchino: ma, visto che ebbe Marchelow, restò curvo a mezzo, sgualcendo con le mani il berretto.
Marchelow lo guardò appena e forse non lo riconobbe, perchè tornò a sprofondarsi nei suoi pensieri.
— Questo è.... il ramo? — domandò il governatore, drizzando verso Paclin un dito fino e bianco, ornato di una turchina.
— Oh no! — rispose Sipiaghin ridendo. — Eppure, — soggiunse dopo un momento di riflessione. — Eccellenza, voi avete davanti un certo signor Paclin. Per quanto io ne so, egli dimora a Pietroburgo, ed è intrinseco amico di un tal personaggio, che è stato da me in qualità di precettore, e che poi fuggì di casa mia — lo dico col rossore sulla fronte — insieme con una giovanetta mia parente.
— Ah! oui, oui! — borbottò il governatore, crollando il capo. — Ho inteso parlar della cosa in casa della contessa....
Sipiaghin alzò la voce.
— Il personaggio di cui parlo è un certo signor Nejdanow, che io sospetto fortemente d'idee e di teorie perverse....
— Un rouge à tous crins! — soggiunse Colomeizew.
— …. d'idee e di teorie perverse, — ripetette Sipiaghin con più forza. — Egli è certo implicato in questa propaganda, e si trova ora.... si nasconde, mi ha detto il signor Paclin, nella filanda del mercante Faleiew.
Alle parole “m'ha detto il signor
Paclin
” , Marchelow volse un'occhiata all'omiciattolo e si
limitò a sbozzare un sorriso noncurante.
— Permettete, permettete, Eccellenza, — esclamò Paclin, — e voi pure, signor Sipiaghin, io non ho mai.... mai....
— Tu dici nella filanda di Faleiew, — disse il governatore a Sipiaghin agitando leggermente la mano nella direzione di Paclin, come per dirgli: “Adagio, ragazzo, adagio: parlerai dopo!” — Ma che diavolo li piglia questi nostri commercianti, questi rispettabili barbuti? Proprio ieri n'è stato arrestato un altro per lo stesso affare. Tu forse lo conosci di nome: Goluschine, un ricco sfondolato. Oh! non c'è mica pericolo che quello lì faccia la rivoluzione! Da ieri, non fa che trascinarsi per terra, in ginocchio!
— Il mercante Faleiew non c'entra, — disse Sipiaghin; — ignoro le sue opinioni: volevo solo parlare della sua filanda, dove, a quanto afferma il signor Paclin, trovasi in questo momento il signor Nejdanow.
— Io non l'ho detto! — urlò di nuovo Paclin; — l'avete detto voi!
— Permettere, signor Paclin, — ribattè Sipiaghin con la stessa inesorabile precisione di tono, — io rispetto il sentimento di amicizia che vi detta coteste smentite.... Ma io mi farò lecito di citarvi il mio esempio. Credete voi che in me il sentimento della parentela non sia altrettanto forte?... Ma c'è un altro sentimento, mio caro signore, che è ancora più forte e che deve esser guida di tutte le nostre azioni, il sentimento del dovere!
— Le sentiment du devoir, — tradusse Colomeizew.
Marchelow abbracciò con una occhiata i due oratori.
— Signor governatore, — disse, — vi rinnovo la mia istanza: ordinate, vi prego, che mi si conduca lontano da questi due ciarlatani.
Ma qui il governatore perdette un po' la pazienza.
— Signor Marchelow! — esclamò, — io vi consiglierei, nella vostra posizione, di tenere a freno la lingua e di portar rispetto ai vostri superiori, soprattutto quando essi esprimono dei sentimenti patriottici come quelli che avete udito dalla bocca di vostro cognato.... Io mi farò una vera festa, mio caro Boris, di portare la tua nobile condotta a conoscenza del ministro. Ma con chi proprio si trova cotesto signor Nejdanow nella filanda?
Sipiaghin corrugò la fronte.
— Con un certo Solomine, capo meccanico della fabbrica, a quanto m'ha detto il signor Paclin.
Sipiaghin gustava una voluttà speciale a tormentare il disgraziato: si vendicava così non solo del sigaro offertogli, ma anche della familiarità di cui lo aveva onorato lungo il viaggio.
— E cotesto Solomine, — soggiunse Colomeizew, — è un radicale e un repubblicano di tre cotte, e Vostra Eccellenza non farebbe niente male a volgere la sua attenzione anche su di lui.
— Voi conoscete questi signori Solomine e.... come si chiama?... e Nejdanow — domandò il governatore a Marchelow in tono nasale e semi-ufficiale.
Marchelow, eccitato da una gioia astiosa, domandò a sua volta:
— E Vostra Eccellenza conosce Confucio e Tito Livio?
Il governatore gli volse la schiena.
— Non c'è verso di discorrere con costui, — disse, alzando le spalle. — Barone, prego, favorite qua.
L'aiutante di campo si avanzò, e Paclin colse quel momento per sgusciare, zoppicando, accanto a Sipiaghin.
— Che fate? — balbettò; — perchè volete rovinare vostra nipote?... Voi ben sapete che ella si trova con lui.... con Nejdanow!...
— Io non rovino nessuno, mio caro signore, — rispose forte Sipiaghin; — io fo quel che m'impongono la coscienza e....
— E vostra moglie, mia sorella, che vi ha messo la sottana, — conchiuse Marchelow.
Sipiaghin non battè palpebra.... Tutto ciò era tanto al disotto di lui!
— Sentite! — insistette Paclin con voce rotta, soffocata. Gli tremava il cuore di emozione e forse di paura, gli brillavano di sdegno gli occhi, gli si stringeva la gola dalle lagrime: lagrime di pietà per essi, di dispetto per sè. — Sentite! io v'ho detto ch'erano sposati; non è vero: vi ho ingannato.... Ma il matrimonio deve aver luogo, e se voi lo impedite, se la polizia li sorprende, voi portereste sulla coscienza una macchia incancellabile, voi....
— La notizia che ora mi comunicate, — interruppe Sipiaghin con tono più forte, — se pure è vera, del che ho il diritto di dubitare, – non può che accelerare le misure che ho giudicato bene di prendere. In quanto alla purezza della mia coscienza mi fareste finezza, mio caro signore, di non occuparvene.
— La sua coscienza, camerata? la è verniciata, sai! — interruppe di nuovo Marchelow. — Ci han passato una mano di lacca di Pietroburgo: impossibile di solo intaccarla! In quanto a te, signor Paclin, hai un bello sgolarti.... non riuscirai a cavartela mai!
Il governatore reputò conveniente di por termine a quella scena.
— Mi sembra, signori, — disse, — che vi siate abbastanza spiegati.... Vi pregherei perciò, barone, di ricondurre il signor Marchelow. Non è vero, Boris?... tu non hai più bisogno...?
Sipiaghin allargò le braccia.
— Ho detto quanto potevo!
— Benissimo. Sicchè, caro barone...?
L'aiutante si accostò a Marchelow, fece suonare gli sproni, e descrisse con la mano destra una linea orizzontale che volea dire: “Se vi piace, marche!” Marchelow fece un mezzo giro e si allontanò. Paclin, mentalmente, per dir vero, gli strinse la mano con un senso di pietà e di amara simpatia.
— Ed ora, — riprese il governatore, — spiccheremo i nostri bravi ragazzi verso la filanda. Soltanto, Boris, mi pare che questo signore (e accennava a Paclin con un'alzata di mento) ti ha detto non so che a proposito di tua nipote.... che si trova anche laggiù, alla fabbrica.... Sicchè....
— Non si può in nessun caso arrestarla, — rispose Sipiaghin gravemente. — Può anche darsi che rifletta e rinsavisca. Se me lo permetti, le scrivo io due paroline.
— Te ne prego. Ma insomma, puoi stare tranquillo.... Nous coffrerons le quidam.... mais nous sommes galants avec les dames....et avec celle-là donc!
— Ma voi non prendete nessun provvedimento per quel Solomine! — esclamò dolorosamente Colomeizew, il quale aveva teso l'orecchio durante il breve colloquio per afferrarne qualche frase. — Io vi assicuro che è proprio lui il principale organizzatore dell'affare. Ho un fiuto io per queste cose.... un fiuto!
— Pas trop de zèle, caro signor Simone Colomeizew, — rispose sorridendo il governatore. — Ricordatevi di Talleyrand! Se qualche cosa c'è, nemmeno quello lì ci scappa. Ma pensate piuttosto al vostro.... (il governatore imitò il rantolo d'un appiccato), al vostro debitore. A proposito! — riprese volgendosi di nuovo a Sipiaghin. — Et ce gaillard là? (e indicava col mento Paclin) qu'en ferons nous? Non mi pare un uomo molto temibile allo aspetto.
— Mandalo via, — suggerì piano Sipiaghin; ed aggiunse in tedesco: — Lass den Lumpen laufen! (lascia correre il gaglioffo), figurandosi, chi sa perchè, di fare una citazione del Goetz di Berlichingen di Goethe.
— Potete andare voi, caro signore, — disse forte il governatore. — Non si ha più bisogno di voi. Al piacere di rivedervi!
Paclin fece un inchino complessivo e uscì all'aperto, rotto, avvilito, annichilito. Dio! Dio! quel disprezzo era il colpo di grazia.
— E che! — pensava con una disperazione ineffabile, — vile e denunciatore! Ma no.... no!... Io sono un uomo onesto, signori, e non manco di coraggio!
Ma chi è quella nota figura, che se ne sta ritta davanti la casa del governatore, e che gli rivolge un'occhiata triste e piena di rimprovero?
Ma sì.... è il vecchio servitore di Marchelow. Si vede che ha voluto seguire il padrone e non si stacca dalla soglia della prigione.... Ma perchè guarda Paclin a quel modo? Non è stato Paclin, in fin dei conti, che ha denunciato Marchelow!
— Ma perchè diamine cacciarmi in
questo ginepraio? — pensava Paclin, ricadendo nella sua
desolata meditazione. — Perchè non
rimaner tranquillo nel mio cantuccio?... E adesso dicono, e forse
lo scriveranno per giunta: “Un certo
signor Paclin ha narrato tutto, ha denunciato gli amici suoi ai
loro nemici
”! Si ricordò allora dell'occhiata di
Marchelow e di quelle terribili parole: “Hai un bello sgolarti tu!”.... e poi quegli
occhi tristi del vecchio servo, così pieni di rimprovero.... E come
è detto nelle Sacre Carte, egli “pianse amaramente” e si
avviò un passo dopo l'altro verso l'oasi, a casa dei due vecchietti
e di Snandulia....
XXXVI.
Quella stessa mattina, uscendo dalla sua camera, Marianna vide Nejdanow tutto vestito e seduto al divano. Avea la testa appoggiata alla mano destra; l'altra mano, inerte, abbandonata sulle ginocchia.
Ella gli si accostò.
— Buon giorno, Alessio!... Non ti sei spogliato? Non hai dormito?... Come sei pallido!
Le palpebre grevi degli occhi di lui lentamente si sollevarono.
— Non mi sono spogliato; non ho dormito.
— Non ti senti bene? o forse non sei ancora rimesso dal malessere di ieri?
Nejdanow scosse il capo. — Non ho più dormito dal momento che Solomine è entrato in camera tua.
— Quando?
— Ieri sera.
— Sei geloso? Ecco una novità! Hai proprio trovato il tempo di esser geloso! Non si è fermato da me che un quarto d'ora.... Abbiamo parlato di suo cugino, il prete, e dei modi di fare il matrimonio.
— Lo so che s'è fermato solo un quarto d'ora. L'ho visto uscire. E non sono geloso, oh no! Ma il fatto è che non ho potuto dormire.
— Perchè?
Nejdanow stette muto.
— Ho pensato.... pensato.... pensato! — disse alla fine.
— A che?
— A te.... a lui.... a me stesso.
— Ebbene?... e a quale conclusione sei venuto?
— Te l'ho da dire?
— Sì, parla, te ne prego!
— Ho pensato che io sono d'impaccio a te.... a lui.... e a me stesso....
— A me! a lui! Indovino il tuo pensiero benchè vogli darmi ad intendere di non essere geloso. Ma, a te?...
— Marianna, io ho in me due uomini, l'uno dei quali impedisce all'altro di vivere. Epperò penso che tutti e due farebbero bene a finirla.
— Via, via, te ne prego! Che gusto di tormentarti, e di tormentare anche me? Per ora, non ci tocca che studiar le misure da prendere.... Sai bene che non ci lasceranno in pace.
Nejdanow le prese dolcemente la mano.
— Siedi qui, Marianna, accanto a me. Discorriamo un po', da buoni amici.... finchè n'è tempo.... Mi pare che non faremmo male a spiegarci, benchè si dica che tutte le spiegazioni non servano che a imbrogliar le idee. Ma tu sei buona e intelligente; tu capirai tutto, e indovinerai quel che non avrò potuto spiegare. Siedi.
La voce avea calma; lo sguardo pieno di tenerezza e di preghiera.
Marianna gli sedette accanto e gli strinse con affetto la mano.
— Grazie, cara. Ascolta. Non ti tratterrò a lungo. Ho già preparato in mente, stanotte, quel che ho da dirti. Ascolta. Non credere che l'incidente di ieri mi abbia molto turbato. Probabilmente io ero ridicolo, e forse anche disgustevole.... Ma tu, s'intende, non hai pensato di me niente di cattivo e di abbietto.... Tu mi conosci. Ti dicevo dunque che l'accaduto non m'ha turbato.... Ma no, m'inganno.... Ne sono invece stato sconvolto; non già l'ubbriachezza, ma perchè ho avuto la prova completa, assoluta della mia bancarotta, della mia impotenza! E non si tratta già soltanto della impossibilità in cui sono di bere come i nostri contadini russi.... Si tratta del mio carattere, di tutto me, capisci! Marianna, io sono in dovere di confessartelo.... io non ho più fede nella causa che ci ha riuniti, che ci ha indotti alla fuga, e per la quale, sappilo, io era già raffreddato quando il tuo amore mi ha ridato il calore e la fiamma.... Io non ho più fede, Marianna, io non ho più fede! Si nascose con una mano gli occhi, e tacque. Ella abbassò la testa in silenzio.... Sentiva pur troppo ch'ei non le diceva nulla di nuovo.
— Io m'ero figurato in principio, — riprese a dire Nejdanow, aprendo gli occhi, ma questa volta senza guardare a lei, — m'ero figurato di credere alla causa in sè, e di dubitare soltanto delle mie forze, della mia capacità; le mie attitudini, pensavo, non corrispondono ai miei convincimenti.... È chiaro però che le due cose sono inseparabili. E poi, a che serve ingannar me stesso?... No, no! è proprio alla causa che io non credo più. E tu, Marianna, vi credi?
Marianna si raddrizzò e alzò la testa.
— Sì, Alessio, — disse, — io vi credo con tutte le forze dell'anima, e consacrerò a questa causa l'intiera vita fino all'ultimo respiro!
Nejdanow le volse uno sguardo di tenerezza e d'invidia.
— Sì, sì; è la risposta che m'aspettavo. Vedi bene dunque che non abbiamo nulla da fare insieme.... Tu stessa, con un sol colpo, hai troncato il nostro legame.
Marianna taceva.
— Vedi, Solomine, per esempio, — riprese Nejdanow, — Solomine non crede....
— Come?
— No, non crede, ma non ha bisogno
di credere. Va avanti tranquillo, e gli basta. L'uomo, che segue un
cammino per andare in città, non si domanda se cotesta città esista
davvero. Cammina, ecco tutto. Così fa Solomine. Io no, non posso
andare avanti; tornare indietro non voglio; star fermo, è lo stesso
che morire. A chi dunque oserò domandare di essermi compagno? Tu
sai l'adagio: “Fardello in due, metà
del peso
”. Ma se uno dei due non ha forza, che farà
l'altro?
— Alessio, — disse Marianna in tono esitante, — mi sembra che tu esageri. In fin dei conti, noi ci amiamo.
Egli trasse un profondo sospiro.
— Marianna.... Io m'inchino davanti a te.... e tu hai pietà di me; e ciascuno di noi è convinto della onestà dell'altro. Ecco la verità vera. In quanto ad amore, non ce n'è tra noi due.
— Ma che dici, Alessio! Dimentichi forse che oggi stesso, tra poco, saremo ricercati.... e che dovremo fuggire insieme e non più separarci?
— Sì, e andare da padre Zosimo, perchè ci sposi, come Solomine ha proposto. So bene che questo matrimonio non è, agli occhi tuoi, che un passaporto, un mezzo di evitare le noie di cui la polizia ci minaccia.... Ma in somma, fino ad un certo punto, esso ci obbligherebbe.... alla vita in comune, l'uno al fianco dell'altro, o, per lo meno, supporrebbe il desiderio di vivere insieme.
— Che vuoi dire con ciò? Tu dunque vorresti rimaner qui?
Nejdanow trattenne un sì che gli sfuggiva dalle labbra, e rispose lentamente:
— N....o!
— Allora, partendo di qua, prenderesti una via diversa dalla mia?
Nejdanow strinse forte la mano ch'ella gli aveva abbandonata.
— Lasciarti senza un protettore, senza un difensore, sarebbe un delitto nè io lo commetterò, per debole che sia. Tu avrai un difensore.... non dubitarne.
Ella gli si chinò sopra, lo guardò fiso con ansietà, con trepidazione, studiandosi di leggergli negli occhi, in fondo all'anima.
— Ma che hai, Alessio? Tu mi nascondi qualche cosa. Dimmela, via! Le tue parole son così strane, enigmatiche.... E che viso è il tuo! Non ti ho mai visto così!
Dolcemente egli la respinse e le baciò la mano: questa volta ella non resistette, non rise, e continuò a guardarlo ansiosa.
— Non impensierirti, te ne prego. Niente di strano in tutto questo. Ti dico subito dove sta il gran guaio. Marchelow, sento dire, è stato battuto dai contadini; ha assaporato i loro pugni.... Io no.... Io invece ho bevuto con loro, e li ho visti bere alla mia salute.... Ma il fatto è ch'essi m'hanno rotta l'anima, peggio ancora che non abbian fatto con le costole di Marchelow.... Io son nato slogato.... Ho cercato di rimettermi in gamba, e non son riuscito che a slogarmi peggio.... Ecco, per l'appunto, quel che tu mi vedi in viso.
— Senti, — diss'ella lentamente, — sarebbe molto male da parte tua se non fossi sincero con me.
Egli si torse le dita con forza.
— Marianna, tutto il mio essere è sotto gli occhi tuoi, a nudo, come in palmo di mano.... E checchè io faccia, te lo dico fin da ora, nulla accadrà, assolutamente nulla che possa recarti stupore.
Marianna ebbe voglia di domandargli la spiegazione di queste parole, ma non lo fece.... tanto più che in quel punto entrava Solomine.
I movimenti di lui erano più rapidi e bruschi del solito. Avea le labbra contratte, le palpebre tormentate da un lieve tremolio: la faccia smagrita, austera, quasi imperiosa.
— Amici, — disse, — vengo ad avvertirvi che non c'è tempo da perdere. Preparatevi.... Ecco il momento di partire. Tra un'ora dovete esser pronti. Bisogna, prima di tutto, che andiate a sposarvi. Nessuna notizia di Paclin.... Aveano trattenuto i cavalli alla villa di Sipiaghin, ma poi li han rimandati.... È rimasto laggiù. Probabilmente, lo avran condotto in città. Si capisce che non vi denuncierà; ma.... chi sa? Può anche darsi che abbia la lingua troppo lunga.... E poi, si può anche riconoscere i miei cavalli. Mio cugino è stato avvertito. Paolo vi accompagnerà.... E vi farà anche da testimone.
— E voi.... e tu? — gli domandò Nejdanow. — Tu dunque non parti?... Vedo però che sei in costume da viaggio, — soggiunse indicando con gli occhi gli stivaloni che Solomine avea calzati.
— No.... no.... È per il fango.
— Ma se ti chiamano responsabile per noi?
— Non credo.... In tutti i casi, sarebbe affar mio. Dunque, Marianna, fra un'ora. Tatiana desidera vedervi. Ha preparato qualche cosa per voi.
— Ah sì! appunto, volevo andare a salutarla.
Marianna si avviò alla porta.
Sul viso di Nejdanow apparve ad un tratto una strana espressione, mista di terrore e di angoscia.
— Marianna, tu parti? — esclamò egli con voce spenta.
Ella si arrestò.
— Sarò qui tra mezz'ora. Mi ci vuol poco per prepararmi.
— Sì; ma vieni qui un momento.
— Eccomi: che vuoi?
— Voglio guardarti ancora una volta.... Addio, addio, Marianna!... Tu sei sorpresa, lo vedo; tu ti domandi che cosa mi prende.... Non è nulla.... non ci badare.... Hai detto che torni fra mezz'ora, non è così?
— Certo.
— Sì.... sì.... scusami. Ho la testa confusa dalla lunga veglia.... Sai, tutta la notte.... Io pure sarò pronto.... tra poco.
Marianna uscì. Solomine fece atto di seguirla; ma Nejdanow lo trattenne.
— Solomine!
— Che è?
— Dammi la mano. È giusto che ti ringrazi della tua ospitalità.
Solomine sorrise appena.
— Che idea!
Nondimeno gli diè la mano.
— E poi, senti, — continuò Nejdanow, — se qualche cosa mi accadesse, posso contare su te, posso esser sicuro che non abbandonerai Marianna?
— La tua futura moglie?
— Sì.... Marianna.
— Prima di tutto, son persuaso che niente ti accadrà: e puoi star tranquillo, Marianna mi è cara come a te stesso.
— Oh! lo so.... lo so.... lo so. Orsù, sta bene! E grazie! Dunque, fra un'ora?
— Fra un'ora.
Solomine uscì e raggiunse Marianna sulle scale. Aveva in mente di dirle qualche cosa a proposito di Nejdanow, ma niente le disse; e Marianna capì per l'appunto quel suo pensiero e quel suo silenzio. Nè osò interrogarlo, e tacque anch'ella.
XXXVII.
Non sì tosto uscito Solomine, Nejdanow balzò dal divano; fece due volte il giro della camera, poi si fermò nel mezzo, e stette un minuto come impietrito; poi si riscosse ad un tratto, si spogliò in fretta del suo costume da maschera, che spinse col piede in un angolo, cercò i suoi abiti di prima e se ne vestì.
Accostatosi alla tavola a tre piedi, ne prese dal cassetto due buste sigillate e un piccolo oggetto che si mise in tasca. Le buste le lasciò sulla tavola.
Si abbassò poi fino all'apertura del caminetto e ne tirò su lo sportellino.... Nel caminetto era un mucchio di cenere; ultimo avanzo delle sue carte e del famoso quaderno delle poesie.... Avea bruciato tutto durante la notte.
Ma nel medesimo caminetto, appoggiato ad una parete, trovavasi il ritratto di Marianna dono di Marchelow. Si vede che gli era mancato il coraggio di bruciare anche quello.
Lo prese con cura, e lo mise sulla tavola accanto alle due buste.
Poi con un atto energico, afferrò il berretto e andò verso la porta.... Ma si fermò, tornò indietro ed entrò nella camera di Marianna.
Dopo essere stato un momento ritto, immobile, girò gli occhi intorno, e accostatosi al letticciuolo della fanciulla, posò le labbra, con un singhiozzo unico e muto, non già sul guanciale, ma a' piedi del letto....
Si raddrizzò, si calcò il berretto sulla fronte e si precipitò fuori. Senza incontrar nessuno, nè lungo il corridoio, nè sulle scale, nè da basso, sgusciò nel piccolo steccato.
Il cielo era grigio e basso; un vento umido agitava i fili d'erba e facea dondolare le foglie degli alberi; la filanda era meno rumorosa che non solesse a quell'ora; un odore di carbon fossile, di catrame e di fuliggine veniva dal cortile.
Nejdanow volse intorno uno sguardo scrutatore e diffidente.... Poi andò diritto a un vecchio pomo che avea attirato la sua attenzione il giorno stesso del suo arrivo, quando per la prima volta avea guardato fuori della finestra.
Il tronco dell'albero era coperto di musco secco; i rami, nudi e rugosi, qua e là ornati di foglioline verdi e rossigne, levavansi al cielo come braccia di vecchio supplicante.
Nejdanow si fermò saldo sulla terra nera che circondava il piede del pomo, e cavò di tasca il piccolo oggetto che avea preso nel cassetto della tavola. Poi guardò con attenzione alle finestre della casetta.
— Se qualcuno mi vede in questo momento, — pensò, — allora forse rimanderò....
Ma in nessun posto si mostrò un sol viso umano. Tutto pareva morto, tutto voltavasi in là, si allontanava per sempre, lo lasciava solo, in balìa del destino. Soltanto la fabbrica gli mandava il suo strepito e le sue esalazioni. Una pioggerella fredda cominciava a cadere in gocciole minuscole ed acute.
Attraverso i rami tortuosi dell'albero, guardò al cielo grigio, basso, umido, indifferente, cieco.... Sbadigliò, si stirò nelle braccia, disse fra sè:
— Insomma, non c'è altro da fare.... Non posso certo tornare a Pietroburgo, in prigione....
Scagliò lontano il berretto.... Sentì per tutto il corpo una tensione forte, angosciosa, quasi uno schianto.... Appoggiò la canna della rivoltella al petto e calcò sul grilletto....
Ebbe un urto, non molto forte.... ed ecco che si trova per terra supino.... Tenta di comprendere quel che gli è accaduto, e come si spiega la presenza di Tatiana.... Vuole anche chiamarla per dirle: “Ah! no, non serve!” Ma è già rigido e muto. Un turbine di fumo verdastro gli passa davanti agli occhi, sul viso, sulla fronte, nel cervello, e un peso enorme, schiacciante, lo preme e lo inchioda per sempre al suolo.
L'apparizione improvvisa di Tatiana non era stata una allucinazione. Nel punto stesso ch'egli calcava il grilletto dell'arma, la buona donna era venuta ad una finestra e lo avea visto sotto il pomo.
Non appena avea pensato: “Che fa lì sotto, a capo scoperto, con questa sorta di tempo?” che già lo vedea stramazzare d'un sol colpo.
Benchè non avesse udito il debole scoppio della rivoltella, subito capì che una disgrazia era accaduta. Si precipitò verso lo steccato e corse al giacente.
— Signor Nejdanow, che avete?... ch'è successo?...
Ma la tenebra lo involgeva già tutto. Ella gli si chinò sopra e vide del sangue.
— Paolo! — gridò con voce atterrita. — Paolo!
Di lì a pochi momenti, Marianna, Solomine, Paolo e due operai trovavansi già nello steccato. Nejdanow fu sollevato, portato in camera sua, adagiato su quel medesimo divano dove avea passato la notte.
Giaceva supino, gli occhi semiaperti e impietriti, il viso livido; rantolava lento e con uno sforzo, tratto tratto soffocandosi come in un singhiozzo. La vita non avealo ancora abbandonato.
Marianna e Solomine, ritti di qua e di là, erano quasi pallidi quanto lui, percossi, annientati tutti e due, specialmente Marianna, ma niente affatto sorpresi.
— Come mai non lo prevedemmo? — pensavano; e, nel punto stesso, pareva loro, sì.... pareva loro infatti di averlo preveduto.
Quando egli avea detto a Marianna: “Checchè io faccia, te lo dico fin da ora, non ne sarai stupita” – ed anche quando aveva accennato ai due uomini che aveva in sè e che insieme non poteano vivere – non si era forse svegliato in lei un vago presentimento?... E perchè non aveva ella riflettuto a quelle parole e a quel presentimento?... E perchè ora non osava guardare a Solomine, quasi paurosa di vedere in lui un complice e quasi anch'egli dovesse provare gli stessi rimorsi di coscienza?... E perchè al sentimento d'ineffabile pietà, al dolore disperato che Nejdanow le inspirava mescolavasi una specie di terrore e di vergogna? Chi sa! forse stava in lei salvarlo.... Perchè nè l'uno nè l'altro hanno il coraggio di articolare una parola?... Respirano a fatica, aspettano.... Che cosa aspettano?... Dio! Dio!
Solomine mandò subito pel dottore, benchè non fosse possibile nutrire alcuna speranza. Tatiana aveva applicato una grossa spugna inzuppata d'acqua fresca sulla ferita, piccola, esangue e già nera.... Aveva anche bagnato i capelli di Nejdanow con acqua e aceto....
Di botto, il ferito non rantolò più e fece un leggiero movimento.
— Torna in sè, — balbettò Solomine.
Marianna cadde in ginocchio presso il divano.... Nejdanow la guardò.... Fino a quel momento aveva avuto gli occhi immoti dell'agonia.
— Ah! sono.... ancora vivo! — sussurrò con un fil di voce. — Anche questo non ho saputo fare.... Vi.... trattengo.... ancora....
— Alessio! — gemette Marianna.
— Or ora.... aspetta.... Ti ricordi,
Marianna, di.... di quei versi: “Ridano intorno alla mia salma i fior
”?...
Dove sono i fiori?... È vero, sì, ci sei tu.... Là, nella mia
lettera....
Un brivido lo scosse da capo a piedi.
— Eccola.... sì.... Datevi la mano.... in presenza mia.... Presto.... ve ne prego....
Solomine prese la mano di Marianna. La testa di lei era appoggiata al divano, con la faccia in giù, presso la ferita. Egli invece, Solomine, stava ritto, austero, cupo come la notte.
— Così.... da bravi.... così!...
Ricominciò il rantolo, ma più greve e rotto. Il petto del morente si gonfiò, i fianchi rientrarono....
Sforzavasi, si vedeva, di mettere la propria mano su quelle due mani congiunte, ma la sua mano era già morta.
— Eccolo che spira! — balbettò Tatiana di sotto la porta, facendosi il segno della croce.
Ancora un rantolo breve, un singhiozzo.... Ancora uno sguardo a Marianna.... Ma già una terribile bianchezza lattiginosa, venendo dall'interno, gli invadeva le pupille....
— Bene! — disse, e fu questa l'ultima sua parola.
Era finito; e le mani di Solomine e di Marianna erano ancora unite sul petto del disgraziato.
Ecco quel che contenevano le due lettere lasciate.
Una, indirizzata a Siline, era di poche righe:
Addio, fratello, amico, addio! Quando riceverai questo pezzetto
di carta, io non ci sarò più. Non domandare il come e il perchè;
non ti affliggere. Sappi che ora io sto meglio. Prendi il nostro
immortale Puschkine e rileggi in
Eugenio Oneghine la descrizione della morte di Lenski.
Ti ricordi?... “I vetri sono
imbiancati di gesso; la padrona non c'è
”, ecc. Ecco tutto.
Non ho nulla da dirti.... Perchè molte cose avrei da dire, e il
tempo mi manca. Ma non ho voluto andar via, senza avvertirti;
altrimenti mi avresti creduto vivo, ed io avrei così peccato contro
la nostra amicizia. Addio. E vivi
Il tuo amico
A.N.
L'altra lettera era un po' più lunga, e portava sopra i nomi di Solomine e di Marianna. Ecco quel che conteneva:
Figliuoli miei!”
(Seguiva una lacuna: c'era una raschiatura o piuttosto una cancellatura, come per lagrime cadute).
Vi sembrerà strano forse che io vi chiami così; io son quasi un
ragazzo, e tu, Solomine, lo so, sei più vecchio di me. Ma io morirò
fra poco, e, sul limite della vita, mi pare di essere un vecchio.
Sono molto colpevole verso di voi due, specialmente verso di te,
Marianna, perchè vi do un gran dolore (e tu lo sentirai, Marianna,
ne son certo!), ed anche molto fastidio. Ma che altro avrei potuto
fare? Non ho saputo trovare una soluzione migliore. Non essendo
riuscito a semplificarmi, non mi restava che cancellarmi
addirittura. Sarei stato un fardello, Marianna, per te e per me
stesso. Tu, generosa, avresti forse accettato con gioia quel
fardello come un altro sacrificio; ma io non avevo il diritto
d'importelo. Tu hai meglio e più da fare.
Miei cari figliuoli, lasciate che io vi unisca l'uno all'altro, con
una mano che viene, per dir così, di là dal sepolcro.
Insieme vi troverete bene. Tu, Marianna, finirai con amare
veramente Solomine, ed egli.... egli t'ha amata dal giorno in cui
ti vide in casa di Sipiaghin. Questo non è stato mai un segreto per
me, benchè fossimo fuggiti insieme alcuni giorni dopo.
Ah! quel mattino! che bellezza, che frescura, che giovinezza! Mi
torna ora in mente come il simbolo della vostra vita, della tua e
della sua.... Ed è solo per caso che, quel mattino, io mi trovai al
suo posto.
Ma bisogna finire. Non ho l'intenzione di destare la tua pietà:
voglio solo discolparmi. Domani, dovrai passare dei momenti assai
tristi. Ma che fare, visto che non c'è altra uscita? Addio,
Marianna, cara e onesta fanciulla. Addio, Solomine! Io l'affido a
te. Vivete felici, vivete a vantaggio degli altri.... E tu,
Marianna, ricordati di me, solo quando sarai felice. Pensa a me
come ad un uomo onesto, e buono anche, ma al quale conveniva meglio
morire che vivere.
T'ho io veramente amata?... Non lo so, amica mia; questo so, che
non ho mai provato un più forte sentimento, e che la morte mi
sembrerebbe ancor più spaventosa se quel sentimento non portassi
meco nella tomba.
Marianna!... se per caso t'imbatti in una donna per nome
Masciùrina, – Solomine la conosce, e del resto, mi pare che anche
tu l'abbi vista – dille che ho pensato a lei con riconoscenza pochi
momenti prima di morire.... Ella capirà quel che voglio dire.
Bisogna pur troppo troncar questi commiati. Ho guardato or ora
fuori la finestra, una bella stella brillava immobile in mezzo alle
nubi che correvano rapidamente. Ma, per rapide che corressero, non
riuscivano a nasconderla. Quella stella mi ha fatto pensare a te,
Marianna.
In questo momento, tu dormi nella camera contigua, e di nulla
sospetti. Mi sono accostato alla tua porta, ho origliato e mi è
sembrato udire il tuo respiro tranquillo. Addio! Addio!... Addio,
figliuoli miei, amici miei!
Il vostro A.
Vedi un po'!... In questa lettera, scritta in punto di morte, non ho detto una sola parola della nostra grande opera! Gli è che in punto di morte, non si vuol mentire.... Marianna, perdonami questo poscritto.... La menzogna era in me, non già nella causa, alla quale tu credi.
Ah! ancora una parola. Tu penserai forse, Marianna, ch'io abbia avuto paura della prigione, e che ho scelto questo mezzo estremo per evitarla. No! la prigione non è poi gran cosa; ma stare in prigione per una causa, in cui non si ha fede, sarebbe troppo assurdo. Se mi tolgo la vita, non è già per paura della prigione.
Addio, Marianna, addio!
Marianna e Solomine uno dopo l'altro, lessero questa lettera. Ella poi si pose in tasca le due lettere e il ritratto, e rimase immobile.
Allora Solomine le disse:
— Tutto è pronto, Marianna; partiamo. Bisogna obbedire alla sua ultima volontà.
Marianna si accostò a Nejdanow, posò le labbra su quella gelida fronte, e, volgendosi a Solomine, rispose:
— Partiamo.
Egli la prese per mano, ed insieme uscirono dalla camera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Di lì a poche ore, quando la polizia penetrò nella filanda, trovò bensì Nejdanow, ma già cadavere. Tatiana lo avea composto sul suo letto, mettendogli sotto il capo un guanciale bianco, incrociandogli le mani, collocando anche un mazzolino di fiori sopra una mensoletta accanto al capezzale.
Paolo, che avea ricevuto tutte le necessarie istruzioni, fece agli agenti l'accoglienza più rispettosa e canzonatoria nel tempo stesso, tanto da lasciarli in dubbio se dovessero ringraziarlo o arrestarlo.
Egli narrò tutti i particolari del suicidio: offrì loro del buon formaggio di Gruyère e del Madera eccellente; ma interrogato sul conto di Solomine e della fanciulla che era ricoverata alla filanda, dichiarò di essere nella più completa ignoranza. Si limitò a dire che Solomine non rimaneva mai fuori a lungo, perchè c'era molto da fare; che il giorno stesso o al più tardi la dimane sarebbe di ritorno; e che subito, senza perdere un minuto, ne avrebbe avvertita l'autorità. Stessero pur tranquilli, perchè era uomo di parola!
Per tal modo, i signori agenti se ne tornarono con le pive nel sacco, dopo aver lasciato dei guardiani presso il corpo, con la promessa di mandare il giudice istruttore.
XXXVIII.
Due giorni dopo questi avvenimenti, un uomo e una fanciulla a noi ben noti entravano in vettura nella corte di quel brav'uomo del padre Zosimo; e la mattina appresso erano marito e moglie.
Disparvero di lì a poco, e il padre Zosimo non ebbe a pentirsi di quanto avea fatto.
Lasciando la filanda, Solomine avea dato a Paolo una lettera da recapitare al principale. La lettera conteneva un prospetto completo e preciso della situazione dell'azienda, che era brillantissima, e una domanda di tre mesi di congedo. Era stata scritta due giorni prima della morte di Nejdanow; dal che si potea dedurre che, in quel momento, egli credea necessario partire con lui e con Marianna e scomparire per qualche tempo.
L'inchiesta aperta a proposito del suicidio non approdò a nulla.
Il corpo fu sotterrato. Sipiaghin non si ostinò nelle ricerche per trovar la nipote.
Marchelow fu giudicato nove mesi dopo. Il suo contegno davanti al tribunale fu lo stesso di quello serbato davanti al governatore; calmo, dignitoso, malinconico.
La sua rigidezza abituale s'era ammollita; non già per debolezza, ma per un sentimento più nobile. Di nulla si discolpava, di nulla si pentiva, nessuno accusava o nominava. Il viso scarno, gli occhi spenti, non aveano che una sola espressione di rassegnazione e di fermezza. Le sue risposte brevi, ma chiare e franche, destavano negli stessi giudici un sentimento che somigliava alla pietà.
I contadini che l'aveano consegnato e che faceano da testimoni a carico, partecipavano a cotesto sentimento e parlavano di lui come di un signore semplice e buono.
Se non che la colpa era evidente; sfuggire alla pena non era possibile; ed egli stesso l'accettò come una cosa naturale.
In quanto ai suoi complici, poco numerosi del resto, Masciùrina si nascondeva; Ostrodumow fu ucciso da un borghese al quale predicava l'insurrezione e che gli diè un colpo di mala grazia; Goluschine ebbe solo una leggera punizione, grazie al suo sincero pentimento (era quasi ammattito dal terrore); Chisliacow fu trattenuto un mese in prigione poi rilasciato, e non gli s'impedì nemmeno di ricominciar le sue corse attraverso tutti i dipartimenti della Russia; Nejdanow s'era salvato, uccidendosi; Solomine, per mancanza di prove, fu bensì sospettato, ma lasciato in pace.
Del resto, egli non cercò di sottrarsi alla giustizia e si presentò all'epoca stabilita. A Marianna non si fece nessuna allusione. Paclin era riuscito a cavarsela; ma del pover'uomo nessuno si diè un pensiero al mondo.
*
* *
Diciotto mesi eran passati. Correva l'inverno del 1870. A Pietroburgo, in quella stessa città dove il consigliere privato e ciambellano Sipiaghin preparavasi a rappresentare una parte importante, dove sua moglie proteggeva le arti, dava serate musicali e metteva su cucine economiche, dove il signor Colomeizew era considerato una delle colonne del ministero, un omiciattolo, avvolto in un mantello col bavero di pelle di gatto, camminava zoppicando lungo uno dei viali del Vassili-Ostrow.
Era Paclin. Molto era mutato. Qualche filo bianco brillava nelle ciocche di capelli che sfuggivano di sotto al berretto di pelo.
Una donna alta e robusta, strettamente avviluppata in un mantello di panno scuro, gli veniva incontro.
Egli le volse un'occhiata distratta, le passò accanto; poi, fermatosi di botto, riflettè un poco, stese il braccio e voltandosi vivamente, la raggiunse e la guardò di sotto il cappello.
— Masciùrina? — disse a mezza voce.
La donna lo squadrò dall'alto in basso e proseguì per la sua via.
— Mia buona Masciùrina, io vi ho riconosciuta, — continuò Paclin zoppicando a fianco, — ma non vi spaventate, ve ne prego. Capite bene che non son uomo da tradirvi! Felicissimo di essermi imbattuto in voi! Io son Paclin, sapete, l'amico di Nejdanow.... Venite a casa mia; sto a due passi di qua.... Venite, ve ne prego.
— Io sono la contessa Rocca di Santo! — rispose la donna con voce grave, ma con un accento russo spiccatissimo.
— Ma che contessa! di dove mi cavate cotesta contea!... Orsù, seguitemi, discorreremo.
— Ma dove abitate voi? — gli domandò di botto la contessa italiana.... — Io ho fretta.
— Sto qui, vi dico: ecco qua la mia casa: quella lì grigia, a due piani.... Ah! come siete buona di non far più misteri. Datemi il braccio, via! Siete qui da molto tempo? E com'è che siete contessa? Avete sposato qualche conte italiano?
Masciùrina non avea sposato nessun conte. All'estero, dov'era stata, le avean dato il passaporto di una certa contessa Rocca di Santo Fiume, morta poco tempo innanzi; e, così provvista, era tranquillamente partita per la Russia, benchè d'italiano non capisse una parola e avesse un tipo russo molto spiccato.
Paclin la condusse nel suo modesto quartierino. La sorella gobba, Snandulia, con la quale abitava, venne fuori per riceverli di dietro a un tramezzo che separava la cucinetta dalla piccola anticamera.
— Ecco qua, Snandulia, — diss'egli, — ti presento la signora che è una mia eccellente amica. Portaci del tè, presto.
Masciùrina, che non avrebbe mai accettato l'invito di Paclin se questi non le avesse parlato di Nejdanow, si tolse il cappellino, si aggiustò con la mano virile i capelli tagliati corti, fece un'inclinazione con la testa e si mise a sedere senza aprir bocca.
Non era punto mutata. Anche il vestito era lo stesso di due anni prima. Ma una tristezza immobile le lampeggiava dagli occhi, dando un certo carattere dolce all'espressione burbera del viso.
Snandulia andò per il tè. Paclin sedette dirimpetto a Masciùrina, le battè amichevolmente sul ginocchio, piegò il capo da una parte e tentò di parlare; ma non potè sulle prime che tossire; perchè la voce gli si ruppe in gola, e qualche lagrima gli spuntò negli occhi.
Masciùrina stava immobile, diritta, senza appoggiarsi alla spalliera della seggiola, e guardava di sbieco.
— Ah! — disse finalmente Paclin, — quante cose sono accadute! Io vi guardo, e mi ricordo.... mi ricordo tante cose e tante persone.... dei vivi e dei morti. Anche i miei due pappagalletti sono passati a miglior vita; ma voi, credo, non li avete conosciuti: e tutti e due, come avevo predetto, son finiti lo stesso giorno. E Nejdanow.... povero Nejdanow! Voi forse sapete....
— Sì, so tutto, — rispose Masciùrina sempre guardando di sbieco.
— E Ostrodumow? sapete pure quel che gli successe?
Masciùrina fece un cenno col capo. Avrebbe voluto ch'egli seguitasse a parlare di Nejdanow, ma non domandarglielo. Egli però la comprese.
— Ho inteso dire che nella lettera scritta prima di morire parlava anche di voi. È vero?
Masciùrina stette un momento senza rispondere.
— È vero, — disse alla fine.
— Che bravo ragazzo! Ma era fuor di carreggiata, proprio! Un rivoluzionario come me, dal più al meno.... Sapete che era realmente?... Era un romantico del realismo! Voi mi capite?
Masciùrina gli volse una rapida occhiata. Non l'avea capito nè si volea dar la pena di capire. Trovava strano e sconveniente che osasse paragonarsi a Nejdanow; ma pensò: “Si vanti pure! che importa?”
Il fatto è che egli non si vantava; credeva anzi di umiliarsi con quel confronto.
— Ho ricevuto la visita di un certo Siline, — proseguì Paclin; — Nejdanow avea scritto anche a lui. Mi domandò se mai si potessero trovar carte che il defunto avesse lasciato. Ma gli oggetti di Nejdanow erano sotto suggello e le sue carte non esistevano più. Avea tutto bruciato, anche le poesie. Voi forse non sapevate che facesse dei versi? Mi dispiace. Son sicuro che ce n'erano dei buoni. Tutto ciò è scomparso con lui, tutto è stato travolto nel turbine generale, e per sempre. Non ne avanza che il ricordo in alcuni amici, che anch'essi alla lor volta scompariranno....
Stette muto un momento, poi riprese:
— Invece i Sipiaghin, vi ricordate, quei sopracciò così condiscendenti, maestosi e antipatici, ebbene, si trovano a quest'ora all'apice del potere e della fama!
Masciùrina non si ricordava punto di cotesti Sipiaghin; ma Paclin li detestava tutti e due così cordialmente, in ispecie il marito, che non potea rinunziare alla voluttà di tartassarli.
— Si dice che in casa loro c'è un tono, un'austerità! Non vi si parla che di virtù.... Ma questa è una cosa che io ho notato: le case dove troppo si parla di virtù sono come le camere d'infermi dove si siano bruciati dei profumi.... Si può esser sicuri che qualche cosa vi è accaduta di non molto pulito.... Un profumo così forte di virtù è sempre sospetto! Sono cotesti Sipiaghin che hanno perduto quel povero Nejdanow.
— E di Solomine che n'è? — domandò Masciùrina seccata ad un tratto che quell'ometto lì le parlasse di quell'altro.
— Solomine?... Quello sì ch'è un uomo con tanto di baffi! Se l'è sgusciata a maraviglia. Ha lasciato l'antica fabbrica, portandone via i migliori elementi. Ce n'era uno.... un gran cervello, a quanto si dice.... Si chiamava Paolo.... Anche quello ha preso. Adesso, pare, ha una fabbrica di proprio, non molto grande, nel distretto di Perm, e l'ha costituita sul principio dell'associazione. Si può giurare che quell'uomo lì farà cammino. Ha il becco e gli artigli! Sa il fatto suo.... E soprattutto non pretende di aver l'empiastro magico per guarir le piaghe sociali. Noi altri Russi, voi lo sapete come siam fatti: noi speriamo sempre in qualche cosa o in qualcheduno che ci abbia a guarir di botto, rimarginarci le ferite, sanar tutti i mali come si cava un dente guasto. Chi sarà questo mago?... Forse il darwinismo?... il Comune rurale?... Una guerra internazionale?... Non importa; soltanto, tu, o benefattore, cavaci il nostro dente! In fondo tutto ciò vuol dire: pigrizia, difetto di energia e di riflessione!... Ma Solomine non appartiene a cotesta banda di cerretani; non è un cavadenti.... È un uomo, ecco!
Masciùrina fece un gesto come per dire: “Eccone uno di spacciato! passiamo appresso!”
— E quella ragazza, — domandò, — non ricordo il nome, che era andata con lui.... con Nejdanow?
— Marianna? Ma è moglie precisamente di cotesto Solomine. Da più d'un anno è maritata. Sulle prime, non era che per la forma; ma adesso, dicono, è moglie sul serio.
Masciùrina tornò a fare il suo gesto.
Un tempo, era stata gelosa di Marianna perchè questa amava Nejdanow; ora s'indignava perchè non aveva esitato a tradirne la memoria....
— Ci sarà già un bamboccio, mi figuro! — disse in tono sprezzante.
— Forse, non so. Ma dove andate?... dove andate?... Non prendete ancora il cappello. Aspettate. Or ora Snandulia ci porterà il tè.
Quel che Paclin desiderava non era tanto di trattenere Masciùrina quanto di metter fuori, di sfogare tutto ciò che sordamente gli fermentava dentro. Dopo tornato a Pietroburgo, vedeva pochissima gente, pochissimi giovani soprattutto. La sua storia con Nejdanow l'avea spaventato. Era diventato la prudenza incarnata. Fuggiva la società; e i giovani, dal canto loro, lo guardavano con occhio sospettoso.
Qualcuno gli avea anche gettato in viso la parola: spia! In quanto ai vecchi, non trovava gusto a vederli. Sicchè passavano intere settimane senza che gli si offrisse il destro di dire una parola.
Con la sorella non si apriva, non già che la stimasse poco intelligente, tutt'altro!... Ma con lei era obbligato a parlare seriamente e con perfetta veracità; e non appena lasciavasi andare ai suoi paradossi e ai sarcasmi, ella si metteva a guardarlo intenta, con una certa compassione, che lo mortificava.
La vita di Pietroburgo gli era dunque divenuta poco meno che insopportabile, e già gli balenava l'idea di trasportare altrove i suoi penati.... a Mosca magari.
E intanto una farragine di riflessioni, di pensieri, di motti arguti, di malignità, gli si accumulava dentro come l'acqua nel serbatoio di un mulino chiuso.... Alzar la saracinesca non si poteva. L'acqua stagnava e corrompevasi. In buon punto Masciùrina era arrivata, la saracinesca s'era aperta, e il flusso delle parole correva, correva.... Ce ne fu per tutto e per tutti: per Pietroburgo, per la vita pubblica e privata, per la intiera Russia. Nessuno e niente fu risparmiato. Tutto ciò mediocremente premeva a Masciùrina; ma ella non gli rispondeva, non lo interrompeva.... E Paclin non domandava altro.
— Sì, — diceva, — siamo davvero in un tempo barbino, ve lo dico io! Nella società, ristagno completo: tutti si annoiano a morte! Nella letteratura, vuoto assoluto, tabula rasa! Nella critica.... se mai un giovane scrittore ha voglia di dire che le galline hanno facoltà di far l'uovo, gli ci vorranno venti pagine per esporre questa grande verità.... e saranno anche poche.... Nella scienza, ah, ah, ah!... abbiamo anche noi il dotto Kant, ma soltanto sui colletti degl'ingegneri!nota 11 Nell'arte, precisamente lo stesso. Se andate stasera al concerto, sentirete il cantante popolare Agrementsky.... Successo delirante, furore!... Ebbene, se una trota in salsa potesse cantare, una trota in salsa, vi dico, molto grassa e molto insipida, canterebbe per l'appunto come quel signore. Il che non impedisce a Skoropikine, sapete, il nostro grande Aristarco, di portarlo alle stelle! “Altro che l'arte occidentale!” esclama egli. Del resto anche i nostri imbrattatele leva a cielo. Un tempo, dice, anch'io farneticavo per l'Europa, per gl'italiani; ma ho udito Rossini ed ho esclamato: Eh! Eh! non c'è malaccio! Ho visto Raffaello: Eh! Eh! passi pure! E la gioventù nostra non cerca di meglio, e ripete: Eh! Eh! non c'è malaccio! e si figura di aver detto un gran che. E il popolo intanto soffre terribilmente, scorticato, munto, rovinato dai balzelli.... Unica riforma introdotta è che i contadini portano tutti il berretto, e le contadine son pettinate alla moda.... E la fame! e l'ubbriachezza! e il monopolio! e gli strozzini!
Ma qui Masciùrina sbadigliò, e Paclin capì di dover mutare argomento.
— Non mi avete ancor detto dove avete passati questi due anni, nè se siete tornata da molto tempo, nè quel che avete fatto, nè come vi siete trasformata in contessa italiana, nè perchè....
— Non c'è bisogno che lo sappiate, — lo interruppe Masciùrina. — A che servirebbe?... Non è cosa che ora vi riguardi.
Paclin ebbe un colpo; e, per nascondere l'ingrato turbamento, fece udire una risatina sforzata.
— Ebbene, come vi piace! — disse. — Capisco che agli occhi della giovane generazione io sono un uomo muffito, retrogrado; e infatti, non nego, non posso dire.... di appartenere, di essere.... nelle file di....
Non compì la frase.
— Ecco Snandulia col tè. Accettatene una tazza, e intanto mi ascolterete. Può darsi che nelle mie parole ci sia qualche cosa d'interessante per voi.
Masciùrina prese la tazza con una mano, un pezzetto di zucchero con l'altra, e si mise a bere alla russa, cioè sgranocchiando lo zucchero e sorbendo.
Paclin diè in uno scroscio di risa.
— Fortuna che la polizia non sia qui; se no, la contessa italiana.... come si chiama?
— Rocca di Santo Fiume, — rispose Masciùrina imperturbabile.
— Brava! Rocca di Santo Fiume.... e beve il tè alla russa! Basterebbe questo per destare i più gravi sospetti.
— È proprio quel che m'è successo alla frontiera. C'era un tale in uniforme, che non volea lasciarmi andare. Mi tartassava di domande. Alla fine, mi scappò la pazienza e gli urlai nella testa: “Volete sì o no lasciarmi in pace?”
— Glielo diceste in italiano?
— No, in russo.
— E che fece?
— Che fece?... Se n'andò naturalmente.
— Brava!... Ah, che contessa! Ancora una tazza di tè?... Ecco un'osservazione ch'io volea fare. Testè voi siete stata un po' severa per Solomine: ebbene, sapete che penso io?... Gli uomini come lui sono uomini davvero. Alla prima, non son compresi; ma, credetemi, l'avvenire è per loro.... Non sono già degli eroi, non sono nemmeno di quegli eroi del lavoro, a proposito dei quali un capo ameno – americano o inglese, non so – ha scritto un libro per l'edificazione di noi poveri diavolacci; sono individui solidi, che escono dalle file del popolo, e senza colore spiccato, grigi, monocromi. Noi ora abbiamo bisogno di questa specie di gente.... di questa, e non di altri!... Guardate un po' Solomine: mente lucida, salute di bronzo! Gran miracolo! Qual’era la regola finora da noi, in Russia? Se sei un essere vivo, intelligente, cosciente, vuol dire che sei malato! Mentre che Solomine, certo, ha le stesse preoccupazioni nostre, gli stessi dolori; detesta quel che noi detestiamo; ma ha i nervi a posto e il corpo gli obbedisce a dovere. È un uomo, vi ripeto! Dite quel che vi piace: ma un uomo che ha un ideale e che non fa delle frasi; che è istruito ed esce dal popolo; che è semplice e, nel tempo stesso, abilissimo.... Che altro volete di meglio?...
Si scaldava via via, senza accorgersi che Masciùrina già da un pezzo non l'ascoltava più e guardava da un'altra parte.
— E non mi venite a dire, — continuò — che oggi noi abbiamo ogni sorta di gente: slavofili, burocratici, generali, semplici e doppii, come le viole, epicurei, imitatori, fissati.... Ho conosciuto, sia detto in parentesi, una certa Febronia Ristciow, la quale, di punto in bianco, divenne legittimista e assicurava a tutti che se, dopo morta, le facevano l'autopsia, le avrebbero trovato inciso sul cuore il nome di Enrico V!... Ebbene, non mi dite tutto ciò, mia rispettabile amica; ma ritenete per fermo che l'unica e vera nostra via è quella battuta dalle persone semplici, terra-terra, ma abili, dai Solomine, in somma! Ricordatevi in che momento vi dico questo.... Ve lo dico nell'inverno del 1870, nel punto in cui la Germania si prepara a schiacciar la Francia, nel punto in cui....
— Mi pare, — disse ad un tratto alle spalle di lui la voce di Snandulia, — mi pare, fratello, che nei tuoi giudizi tu dimentichi la religione e la sua influenza. Del resto, la signora Masciùrina non ti sta a sentire.... Faresti meglio di offrirle un'altra tazza di tè.
— Ah, sì! — esclamò confuso Paclin, — sì, infatti, vorreste accettare?...
Masciùrina alzò lentamente gli occhi foschi e gli disse pensosa:
— Volevo domandarvi, Paclin, non avreste per caso qualche scritto di Nejdanow, o la sua fotografia?
— Ho la sua fotografia.... sì. E non è cattiva, credo. È lì, nel cassetto della tavola. Ve la trovo subito.
Si alzò e si diè a frugare nel cassetto. Snandulia si accostò a Masciùrina, la guardò a lungo e le strinse forte la mano come ad una compagna.
— Eccola! l'ho trovata, — esclamò Paclin, presentando la fotografia a Masciùrina.
Ella, quasi senza guardare al ritratto, senza dir grazie, ma tutta accesa in viso, se lo cacciò in tasca, si mise il cappellino e si avviò per uscire.
— Ve n'andate? — le disse Paclin. — Datemi almeno il vostro indirizzo.
— Non ho indirizzo fisso, ora.
— Capisco, non volete ch'io lo sappia. Ditemi almeno una cosa: siete sempre agli ordini di Basilio Nicolaevic?
— E che importa a voi?
— O forse di qualche altro?... di Sidor Sidoric?
Masciùrina non rispose.
— O forse di un anonimo?
Masciùrina varcò la soglia.
— Forse, sì, di un anonimo, — disse, tirandosi dietro la porta.
Paclin rimase a lungo davanti a quella porta chiusa.
— La Russia anonima! — disse finalmente.
FINE