XX.
— Ebbene! — ruppe il silenzio Paclin. — Usciamo dal secolo decimottavo, ed entriamo a dirittura nel ventesimo. Goluschine è un tal uomo progredito, che gli si farebbe torto a metterlo nel diciannovesimo.
— O che forse lo conosci? — domandò Nejdanow.
— La terra è piena della sua fama; e se ho parlato al plurale, dicendo entriamo, gli è che ho intenzione di venir da lui in compagnia vostra.
— Come!... ma se non lo conosci?
— Sei curioso tu! O che forse voi altri conoscevate i miei pappagalletti?
— Ma tu ci hai presentati!
— Ebbene, tu presenterai me, l'amico tuo! Niente segreti fra noi. In quanto a Goluschine, è uomo dai larghi orizzonti. Sarà felicissimo di fare una nuova conoscenza, vedrai! Del resto, in questo paese, non si sta troppo sui complimenti.
— Sicuro, — borbottò Marchelow, — me ne sono accorto.
Paclin crollò il capo.
— Voi forse lo dite per me.... Che fare?... Mi son meritato il rimprovero. Ma sapete che vi dico, mio nuovo camerata?... lasciate andare per un momento i pensieri foschi che il temperamento bilioso vi suggerisce! E soprattutto....
— Signor nuovo camerata, — lo interruppe bruscamente Marchelow, — permettetemi di dirvi, alla mia volta, per misura di precauzione, che la celia non mi è mai andata a sangue, e oggi meno che mai. In quanto al mio temperamento, non credo che abbiate avuto il tempo di conoscerlo, poichè ci siamo visti oggi per la prima volta.
— Via, via! non andate in collera!... e non tanto tuono, perchè vi credo lo stesso.
E volgendosi a Solomine esclamò:
— E voi, che la perspicace Eufemia ha definito uomo freddo e posato, e che avete infatti non so che di calmante, dite voi se io ho avuto la più lontana intenzione di recar dispiacere a qualcuno o di celiar fuor di proposito?... Io ho soltanto domandato di accompagnarvi da Goluschine, e del resto io sono una creatura inoffensiva. Non è proprio colpa mia se il signor Marchelow ha la faccia della itterizia.
Solomine alzò prima una spalla, poi l'altra; come soleva fare quando esitava a rispondere.
— Senza dubbio, — disse alla fine, — voi, signor Paclin, non potete nè volete recare offesa a chicchesia.... E perchè poi non dovreste venire dal signor Goluschine? Scommetto che in casa sua passeremo il tempo non meno piacevolmente che dai vostri parenti, e con lo stesso frutto, anche.
Paclin lo minacciò col dito.
— Ah, ah! voi pure, a quanto vedo, siete malizioso! Ma, insomma, ci venite voi pure da Goluschine?
— Sfido io!... Oramai la giornata è perduta.
— Ebbene dunque, avanti a passo di carica! Il ventesimo secolo ci aspetta…. Tu, Nejdanow, che sei un pioniere del progresso, apri la marcia!
— Benissimo! Ma non ripetere i tuoi motti più d'una volta. Si potrebbe credere che hai dato fondo alla provvista.
— Sta di buon animo, tu e i pari tuoi ne avrete ancora a sazietà, — ribattè allegramente Paclin; e si slanciò avanti a passo forzato, ovvero, com'egli stesso diceva a passo azzoppato.
— È davvero un tipo divertente, — disse Solomine, che veniva dopo a braccetto di Nejdanow; — se il diavolo si dà che ci mandino tutti in Siberia, avremo qualcuno per tenerci allegri.
Marchelow, chiuso in sè, camminava in coda.
Mentre tutto questo accadeva, nella casa di Goluschine si scalmanavano per dare un pranzo coi fiocchi. S'era preparato il brodo di pesce, molto grasso e molto cattivo; varii pasticci caldi e fricassee (Goluschine, che a dispetto della sua religione di vecchio credente, viveva sulle vette della civiltà europea, non ammetteva altro che la cucina francese: aveva preso il suo cuoco in un Circolo, dal quale il brav'uomo era stato mandato via per poca nettezza); e soprattutto un numero rispettabile di bottiglie di sciampagna erano state poste in ghiaccio.
Il padron di casa accolse i suoi invitati con le smancerie, la goffaggine, l'affaccendarsi, gli scoppi di risa che gli erano abituali: fu entusiasmato dell'arrivo di Paclin, come questi avea preveduto, e domandò solo:
— È dei nostri?...
Poi esclamò senza aspettar la risposta:
— Naturalmente! si capisce!...
Raccontò poi di esser tornato testè da quell'originale del governatore, che lo tormentava sempre a proposito di non so che maledette istituzioni di beneficenza!...
In verità, era difficile definire di che cosa Goluschine fosse più contento: dell'onore di esser ricevuto dal governatore o del gusto di dir male di cotesto personaggio in presenza di giovani progressisti.
Fece in seguito la presentazione del promesso neofita, il quale era per l'appunto l'individuo azzimato, mezzo tisico, dal muso prominente, che era venuto la mattina stessa a parlare all'orecchio di Goluschine, e che questi avea chiamato Vassia: in una parola, il suo commesso.
— Non è eloquente, — fece osservare Goluschine, — ma è però devoto alla nostra causa con tutto l'ardore dell'anima.
E Vassia salutava, si faceva rosso, batteva le palpebre, sorrideva mostrando i denti, e tutto ciò in tal modo da non lasciare indovinare se s'avea da fare con un semplice idiota o con un furfante matricolato.
— Intanto, signori, a tavola! — esclamò l'anfitrione.
Tutti sedettero, dopo aver gustato largamente dell'antipasto.
Subito dopo il brodo di pesce, Goluschine fece mescere lo sciampagna, che somigliava a sego gelato.
— Alla salute della.... nostra.... intrapresa! — gridò Goluschine, strizzando l'occhio e indicando con un cenno del capo il domestico, come per fare intendere che, in presenza di un estraneo, la prudenza non era mai soverchia.
Il proselito Vassia seguitava a serbare un ostinato silenzio. Seduto sull'orlo della seggiola, dava a vedere in tutto il suo contegno una ossequiosa servilità, che poco, per verità, accordavasi con quelle convinzioni politiche e sociali, cui era devoto, secondo le parole del padrone, con tutto l'ardore dell'anima. Il silenzio non gli impediva del resto di bere disperatamente.... Gli altri invece discorrevano; o, per meglio dire, l'anfitrione e Paclin parlavano a gara, Paclin specialmente.
Nejdanow era preso da un vago dispetto. Marchelow era stizzito non meno che in casa dei Subocew, benchè diversamente; Solomine osservava.
Paclin, beninteso, si divertiva mezzo mondo! L'improntitudine dei suoi discorsi piaceva moltissimo a Goluschine, al quale non balenava nemmeno il più lontano sospetto che quel medesimo gambetorte bisbigliava ad ogni poco nell'orecchio di Nejdanow le più mordaci osservazioni sul conto di lui proprio, Goluschine! Prendeva anzi Paclin per un buon ragazzo, che si potea trattare dall'alto in basso, epperò appunto gli andava a sangue.
Se lo avesse avuto accanto, già da un pezzo gli avrebbe battuto sulla spalla e ficcato un dito nelle costole. Gli faceva dei segni attraverso la tavola, gli sorrideva, gli ammiccava. Disgraziatamente, ne era separato da Solomine e da quel funerale di Marchelow. Ad ogni parola del nuovo amico, si sbellicava dalle risa; rideva anche prima che quegli aprisse la bocca, si batteva sul ventre, metteva in mostra le brutte gengive azzurricce.
Paclin subodorò alla bella prima quel che da lui si voleva, e prese immantinente a dir male di tutto e di tutti, occupazione, del resto, che gli andava a pennello: dei conservatori, dei liberali, degli impiegati, degli uomini di toga, di spada, degli amministratori, dei proprietari, dei consiglieri provinciali e comunali di Mosca, di Pietroburgo, dell'universo intero.
— Sì, sì, benissimo, proprio così! — approvava Goluschine; — non c'è da levare nè da mettere. Vedete, per esempio, il capo dell'amministrazione comunale di qui: un vero somaro calzato e vestito! un ceppo! un bietolone! Ho un bel spiegargli io questo e quell'altro.... Non capisce un'acca! E il nostro governatore non è niente di meglio, ve lo assicuro.
— Anche il vostro governatore? — domandò Paclin.
— Altro che! un somaro, vi dico!
— Avete osservato se è balbuziente o se parla col naso?
— Come? — esclamò Goluschine confuso.
— Non lo sapete forse? Da noi, in Russia, gli alti dignitari civili affettano la balbuzie; i militari parlano col naso.... Soltanto i più eminenti personaggi dell'Impero fanno tutte e due le cose nel tempo stesso.
Goluschine ebbe un vero ruggito d'ilarità, e così lungo che le lagrime gli vennero agli occhi.
— Sì, sì, — balbettò poi a fatica, — parla col naso... È militare!
— Ah, imbecille che sei! — pensò Paclin.
— Da noi, — gridò Goluschine, dopo un breve silenzio, — da noi, in Russia, tutto è muffito, tutto è marcio! Tutto, vi dico!
— Mio rispettabile amico ed anfitrione, — notò Paclin, — credete a me: le mezze misure non servono a niente!
E nel punto stesso bisbigliava a Nejdanow:
— Ma che ha a muover sempre le braccia, come se le maniche lo segassero sotto le ascelle?...
— Ma che mezze misure! — urlò Goluschine, assumendo di botto un contegno pieno di gravità. — Non c'è che un mezzo unico: sbarbicare, sbarbicare!... Vassia, bevi, manigoldo!
— Bevo, bevo! — rispose il commesso, tracannando un bicchiere colmo di sciampagna.
Il padrone ingollò allo stesso modo.
— O com'è che non crepa? — bisbigliò Paclin a Nejdanow.
— L'abitudine, si sa! — rispose questi.
Ma non era solo il commesso a bere. Il vino sciolse lo scilinguagnolo a tutti, e a poco a poco Nejdanow, Marchelow e lo stesso Solomine presero parte alla conversazione.
Nejdanow, prima degli altri, con un certo fastidio di sè stesso, perchè non sapea mostrar carattere, cominciò a dire essere ormai tempo di lasciar le vuote parole e di passare risolutamente nel campo dell'azione.
Parlò del terreno scelto, della base d'operazione; e, subito dopo, senza nemmeno sospettare di essere in contraddizione con sè stesso, domandò che gli si mostrassero gli elementi reali, serii, sui quali si poteva fare assegnamento.
— Per conto mio, vi confesso che non li vedo.... Nella società, scarsa simpatia; nel popolo, nessun sentimento della situazione.... C'è da rompersi il capo, per trovare una via di uscita!
Nessuno gli si oppose: non già che gli argomenti in contrario mancassero, ma perchè ciascuno seguiva la propria idea e parlava per proprio conto.
Marchelow facea rintronare la sua voce acre, stizzosa, monotona, in tante frasi taglienti e saltuarie.
— Pare che stia tritando dei cavoli! — mormorò Paclin.
In quanto al nocciolo del suo discorso, non era facile tirarlo fuori. A momenti pronunciava la parola artiglieria, facendo forse allusione ai difetti che vi aveva scoperti. I tedeschi e gli aiutanti di campo furono anche più volte menzionati e vituperati.
Anche Solomine volle dir la sua. Fece osservare che c'è due modi di aspettare: — aspettare con le mani in mano, e aspettare adoperandosi che la cosa cammini.
— Noi, non abbiamo bisogno dei moderati, dei temporeggiatori, — bofonchiò irritato Marchelow.
— I temporeggiatori fino adesso, — ribattè Solomine, — hanno tentato di agire dall'alto in basso; noi altri invece vogliamo provare il sistema contrario.
— Abbasso i moderati! abbasso! — urlò Goluschine con impeto feroce. — Azione vuol essere! energia! un colpo, e basta!
— In altri termini, gettarsi a capofitto dalla finestra?
— Sì! ed io mi vi getterò! per il primo! E Vassia pure.... Io gli dirò: Orsù, Vassia, spicca un salto! e il bravo ragazzo salterà in quattro e quattr'otto.... Non è vero, Vassia, che salterai?
Il commesso vuotò il bicchiere fino in fondo.
— Vi verremo appresso, si capisce.... O che forse ci permettiamo di ragionare e di fare obbiezioni?
— Quest'altra ci mancherebbe!... Ti torcerei come un corno di caprone, ti stritolerei come si stritola il grano sotto la macina!...
La discussione degenerò ben presto in quel che si chiama, nel linguaggio dei bevitori, torre di Babele. Fu un vero finimondo. A quel modo stesso che nell'aria ancor tiepida dell'autunno girano vorticosamente e si incrociano i primi fiocchi di neve, così, nella calda atmosfera della sala da pranzo di Goluschine, turbinavano, urtavansi, mescolavansi le parole: progresso, governo, letteratura, questione tributaria, questione religiosa, questione del feminismo, questione della giustizia; e poi classicismo, realismo, comunismo, nichilismo; e poi ancora internazionale, clericale, liberale, capitale, e poi finalmente amministrazione, organizzazione, associazione, evoluzione, e perfino cristallizzazione!
Goluschine pareva fuor di sè dall'entusiasmo. Quel trambusto era il suo ideale: non vedeva niente al di là!... Trionfava!
— Ecco come siam fatti noialtri! — pareva dire. — Largo o ti ammazzo come un cane!... Largo a Goluschine!
Il commesso Vassia s'era a tal segno smarrito nella vigna del Signore, da fare dei lunghi discorsi al proprio piatto. Poi, invaso da una furia improvvisa, si mise a strillare come uno scottato:
— Che diavolo è mai un proginnasio?
Goluschine si raddrizzò di botto e, alzando la faccia pavonazza, sulla quale un sentimento di trionfo e di grossolana dominazione mescolavasi stranamente a una specie di segreta trepidazione anzi di terrore, urlò con tutta la forza dei polmoni:
— Ne sacrifico ancora mille! A te, Vassia, metti in conto!
— Bravo! — rispose Vassia a mezza voce. — Dagli, che è poco!
Paclin, pallido e sudato (da un quarto d'ora gareggiava di libagioni col commesso), si slanciò dal suo posto e, alzando le mani al disopra del capo, prese a declamare con enfasi:
— Sacrifico! Egli ha detto: Sacrifico! O profanazione di una santa parola! O sacrificio!... Nessuno osa elevarsi fino a te, nessuno può mai compiere i doveri che tu imponi, nessuno almeno di quanti son qui, e questo pezzo di balordo, questo idiota, questo vilissimo sacco di denari, dà una scrollata al suo ventre ignobile, ne butta fuori uno spruzzo di rubli, e grida: Sacrificio! E pretende che lo si ringrazi. E aspetta che lo si incoroni di alloro! Gaglioffo!... canaglia!...
Probabilmente, Goluschine non intese o non capì; può anche darsi che prendesse le parole dell'oratore per uno scherzo innocente, poichè tornò a ripetere:
— Sì, mille rubli! Parola di Goluschine, parola di Vangelo!
E, cacciatasi la mano in tasca:
— Ecco! — gridò. — Prendete! ecco, il denaro! Ingollate, saziatevi, e ricordatevi di Goluschine!
Quando era un po' montato, parlava di sè come fanno i ragazzi, in terza persona.
Marchelow, senza dir verbo, raccolse i biglietti sparsi sulla tovaglia inondata di sciampagna. Dopo di che, non essendovi più motivo di fermarsi e l'ora anche essendo inoltrata, tutti si alzarono, presero i cappelli, e via.
Quando furono sulla via, ebbero tutti un po' di capogiro, specialmente Paclin.
— Ebbene, dove andiamo adesso? — domandò con una certa difficoltà.
— Non so dove andate voialtri, — rispose Solomine; — per conto mio torno a casa.
— Alla fabbrica?
— Beninteso.
— A quest'ora? di notte? a piedi?
— E perchè no? Da queste parti, non s'incontrano nè ladri, nè lupi, e un po' di moto mi farà bene.... C'è anche un bel freschetto, che ristora.
— Ma son quattro verste di cammino!
— Fossero anche cinque, che importa? A rivederci, signori!
Solomine si abbottonò il soprabito, si calcò in capo il berretto, accese un sigaro e si allontanò a passo accelerato.
— E tu, dove vai? — domandò Paclin a Nejdanow.
— Da lui....
E così dicendo, indicava Marchelow, che se ne stava ritto, immobile, con le braccia incrociate sul petto.
— Abbiamo i cavalli e la carrozza....
— Ah! benissimo.... Ed io, caro camerata, torno alla mia oasi, da Eufemia e Tommaso.... Vuoi adesso che ti dica franco il mio modo di vedere?... – Quella casa laggiù e quest'altra di qua sono, nè più nè meno, due manicomii.... Soltanto in quella del secolo decimottavo, si sta più vicini alla vita russa che non in quella del secolo ventesimo.... Buona notte, signori!... Sono un po' brillo, ne convengo, ma voi non ci badate.... Sentite ancora quest'altra. Non esiste su tutta la faccia della terra una donna migliore di mia sorella.... Snandulia. Ebbene, mia sorella è gobba, e si chiama con un nome così ridicolo! Sempre così in questo mondo birbone! Del resto, ha ragione di chiamarsi così.... Volete sapere chi era Snandulia?... Era una donna benefica, che visitava le prigioni, curava le piaghe dei carcerati, accudiva agli infermi.... Ma orsù! buona notte, Nejdanow, uomo degno di compassione! E tu, militare.... ohe! lupomannaro! buona notte!
E si avviò a lento passo, zoppicando, alla volta dell'oasi.
Marchelow e Nejdanow si diressero all'osteria, dove avean lasciato il tarantas, fecero attaccare, e mezz'ora dopo percorrevano di carriera la via maestra.
XXI.
Il cielo coprivasi di basse nuvole, e benchè l'oscurità non fosse completa e sul davanti della vettura biancheggiassero pallidi e incerti i solchi lasciati dalle ruote dei carri, pure, a destra e a sinistra, tutto avvolgevasi di ombra e i contorni dei varii oggetti fondevansi in larghe e fosche macchie. Era una notte cupa, malsicura. Soffiava il vento in folate saltuarie ed umide, pregne del sentor della pioggia e delle vaste pianure coperte di biada. Quando si fu oltrepassato un gruppo di quercie, che facea da segnale, convenne mettersi per una via traversa. Allora il viaggio divenne ancor più malagevole. Il sentiero angustissimo, a momenti, scompariva del tutto....
Il cocchiere mise i cavalli al passo.
— Purchè non ci si smarrisca! — disse Nejdanow, che avea fin allora taciuto.
— No, non c'è pericolo! — rispose Marchelow. — È vero che le disgrazie non vengon mai sole; ma due in un giorno, è raro....
— Due?... E quale è stata la prima?
— Quale?... E vi par niente a voi l'aver perduta inutilmente una giornata?
— Sì.... capisco.... Quel tipo di Goluschine!... Non bisognava bere tanto vino. Ho una doglia al capo da morirne.
— Io non parlo di Goluschine.... Quello lì, almeno, ha messo fuori del denaro.... Sicchè, in fondo, non si può dire che la nostra visita sia stata sprecata.
— Possibile che vi affliggiate perchè quel capo ameno di Paclin ci ha condotti dai.... come diamine li chiama? dai suoi pappagalletti? Non mi pare poi il gran danno.
— E nemmeno a me. Non me n'affliggo nè me ne rallegro. Io non son mica di quelli che trovano gusto a certi spassi.... Parlavo di altro io.... di un'altra disgrazia.
— E di quale dunque?
Marchelow non rispose verbo, stringendosi in sè nel suo cantuccio, quasi volesse nascondersi. Nejdanow non potea ben vederlo in viso; distingueva solo nell'ombra la linea nera dei baffi.... Se non che, fin dal mattino, sentiva nel suo compagno la presenza di qualche cosa, che meglio valeva non toccare.... una specie di sorda e segreta irritazione.
— Sentite, signor Marchelow, — cominciò, dopo aver aspettato un poco, — debbo io credere che voi, proprio sul serio, siate in ammirazione davanti alle lettere di quel tal Chisliacow, che mi deste a leggere?... Per me.... scusatemi se vi parlo schietto.... per me non sono che un ammasso d'incongruenze!
Marchelow si raddrizzò.
— In primo luogo, — disse poi con voce tremula dall'ira contenuta, — io non divido niente affatto la vostra opinione a proposito di quelle lettere.... Le trovo invece molto interessanti.... e anche coscienziose. In secondo, quel tal Chisliacow lavora, si dà attorno.... e soprattutto ha fede.... Sicuro: ha fede nella nostra causa, ha fede nella ri-vo-lu-zio-ne!... Io ho da dirvi una cosa, signor Nejdanow.... Io ho osservato che voi, proprio voi, andate mostrando una certa tiepidezza.... per non dir peggio.... una sfiducia completa nella causa comune! Voi non ci credete!
— E da che lo arguite, di grazia? — domandò lentamente Nejdanow.
— Da che?... Ma.... da tutte le vostre parole, da tutto il vostro contegno!... Oggi stesso, da Goluschine, chi ha affermato di non vedere su quale base, su quali elementi, si potesse fare assegnamento? – Voi! – Chi ha domandato che gli si mostrassero? – Voi ancora! – E quando quel vostro amico, quel giullare, che non è altro, del signor Paclin, ha alzato gli occhi al cielo e si è messo a gridare che nessuno di noi era in grado di fare o d'intendere un sacrificio, chi è che lo ha sostenuto? chi ha crollato il capo in segno di approvazione? Non siete stato voi forse?... Parlate di voi stesso come più vi talenta, pensate di voi come vi pare e piace.... è affar che vi riguarda.... Ma sappiate che io conosco persone che hanno avuto il coraggio di respinger da sè tutto ciò che fa bella la vita, perfino la felicità dell'amore, al solo scopo di non tradire le proprie idee, di dedicarvi tutte le energie dell'anima! Ma voi oggi, s'intende, voi avete ben altro per la testa!
— Oggi?... E perchè proprio oggi?... Non vi capisco.
— Eh via, non mi fate l'ipocrita, per amor del cielo, avventurato Don Giovanni, amante coronato di mirti! — gridò Marchelow, dimenticando affatto la presenza del cocchiere, il quale poteva benissimo udir tutto.
Per verità, in quel punto, il cocchiere era assai più impensierito della strada, che non dei battibecchi di coloro che gli sedevan dietro. Cauto, e anche forse un po' timido, s'ingegnava di tener a freno il cavallo di mezzo, il quale ostinatamente scoteva la testa e si gettava sulla groppa, portando il tarantas sopra una elevazione di terreno; che a quel posto non dovea essere.
— Scusatemi.... ma io non vi capisco bene, — rispose Nejdanow.
Marchelow diè in una risata sforzata ed amara.
— Ah! non mi capite.... ah, ah, ah!... Eppure io so tutto, caro il mio signore! So a chi ieri sera avete fatto una dichiarazione di amore; so la persona che avete sedotto con la vostra bella presenza e coi discorsi eloquenti; so chi è che vi lascia entrare in camera sua.... dopo le dieci di sera!
— Padrone! — si volse ad un tratto il cocchiere. — Tenetemi un po' le redini.... Io scendo, per veder dove siamo.... Ho paura che si sia fatta falsa strada.... C'è qui una buca, una specie di precipizio....
Infatti, il tarantas s'era piegato tutto da una parte.
Marchelow prese le redini, che il cocchiere gli porgeva, e seguitò sempre a voce alta:
— Non incolpo voi, no, signor Nejdanow!... Voi avete profittato dell'occasione.... e sta bene. Dico solo che ora non mi meraviglio punto che vi siate intiepidito per la causa comune. Ve lo ripeto, avete ben altro pel capo, adesso. Ed aggiungo di mio: dov'è l'uomo che possa indovinare, saper di certo, quel che piace a un cuore di ragazza o quel che cotesto cuore desidera?
— Ora v'intendo, — disse Nejdanow; — intendo la vostra irritazione; e indovino pure chi ci ha fatto la spia e s'è poi affrettato ad informarvi.
— Non è gia questione di meriti, — proseguì Marchelow, facendo le viste di non aver udito le parole del compagno e parlando piano e con enfasi; — non di straordinarie qualità morali o fisiche.... Signor no!... È semplicemente la fortuna.... la maledetta fortuna di tutti i.... bastardi!
L'ultima frase gli sibilò fra i denti come una sfida.
Seguì un silenzio.
Nell'oscurità profonda, Nejdanow si sentì diventar pallido e dei brividi corrergli per le gote. Fece uno sforzo violento per non balzare addosso a Marchelow e prenderlo alla gola....
— È un oltraggio che va lavato nel sangue!... sì, nel sangue!...
— Ho trovato la via! — esclamò allegro il cocchiere, riapparendo presso la ruota diritta del quarto davanti. — Niente paura!... S'era preso un po' troppo sulla sinistra. Due soli minuti, e siamo a casa. Non c'è che una versta appena. Restate a sedere, non vi scomodate.
Si arrampicò, così dicendo, in serpe, riprese le redini, e diè una brava frustata ai cavalli. Il tarantas, dopo due o tre scossoni, rotolò più rapido e sicuro sulla via piana. Le tenebre parvero a poco a poco dissiparsi. Un poggio si disegnò poco discosto: un lume brillò e disparve; poi ancora un altro ed un altro…. Un cane incominciò a latrare.
— Eccoci alle prime capanne, — disse il cocchiere. — Avanti! al galoppo, bilancino!... a te, pecorone!... arri!
I lumi, di momento in momento, si faceano più numerosi….
Nejdanow parlò finalmente, con voce misurata e decisa.
— Dopo un tale insulto, voi comprenderete agevolmente, signor Marchelow, che mi è affatto impossibile di passar la notte sotto il vostro tetto.... Non mi resta dunque che pregarvi.... per quanto la cosa mi rincresca.... di prestarmi il vostro tarantas, dopo che sarete arrivato a casa, acciò io possa tornare in città. Domani, troverò modo di essere a casa, e voi riceverete da me una comunicazione, alla quale probabilmente vi aspettate.
Marchelow stette un momento senza rispondere.
— Nejdanow! — esclamò ad un tratto con voce contenuta, ma con accento quasi disperato; — Nejdanow, in nome del cielo! entrate.... Entrate in casa mia, non fosse che un momento solo.... perchè io possa domandarvi perdono in ginocchio! Dimenticate, Nejdanow.... dimentica, dimentica le parole d'un forsennato!... Ah! se qualcuno potesse intendere quanto, quanto sono infelice!
Si diè d'un pugno nel petto, e questo parve rispondere con un gemito.
— Sii generoso, Nejdanow! Dammi la mano.... Non mi negare il tuo perdono!
Non senza indecisione, Nejdanow gli porse la mano.
L'altro gliela strinse con tanta forza che poco mancò non gli strappasse un grido.
Il tarantas fece alto all'ingresso della casa.
— Ascolta, Nejdanow, — diceva Marchelow un quarto d'ora dopo nel suo scrittoio, — ascolta!...
Non gli dava ora che del tu; e in quella intimità fiduciosa verso l'uomo nel quale avea scoperto un rivale felice, verso l'uomo che testè avea mortalmente oltraggiato e che aveva bramato un momento di uccidere, di fare a brani, in quella intimità suonava una rinuncia irrevocabile, una preghiera umile e dolorosa, ed anche – strano a dirsi! – una specie di diritto.... E la prova che Nejdanow riconosceva cotesto diritto è ch'egli stesso, senza stento, prese a dargli del tu.
— Ascolta!... Io ti dicevo or ora di aver rinunziato alle gioie dell'amore, di averle respinte, per dedicarmi esclusivamente alle mie idee.... Ebbene, era una menzogna la mia, una bravata!... Niente di simile mi è mai stato offerto, epperò niente ho avuto da respingere! Son nato senza fortuna, e così son rimasto sempre.... Forse era scritto lassù... Io non sono stato fatto per amare. Si vede che son destinato ad altro. Tu invece.... visto che tu puoi riunir le due cose.... amare, essere amato.... e nel tempo stesso servire alla causa comune.... tu sei un uomo felice. Io t'invidio.... Ma io, no, non posso! Tu sei felice, ed io no! il destino non lo vuole!
Parlava a bassa voce, seduto, col capo chino sul petto e le braccia penzoloni.
Nejdanow gli stava ritto davanti, immerso in una attenzione meditativa; e benchè l'altro si congratulasse della sua felicità, non si sentiva veramente felice nè ne aveva la cera.
— Nella mia gioventù, — riprese a dire Marchelow, — una donna mi ha ingannato.... Per chi?... per un Tedesco!... per un aiutante di campo!... E Marianna....
Si fermò in tronco. Era la prima volta che pronunciava il nome della donna amata, e quel nome pareva gli bruciasse le labbra.
— Marianna non mi ha ingannato, no!... mi ha detto, senza rigiri, che non le piacevo.... E infatti, perchè mai avrei dovuto piacere a lei?... Ha amato te.... benissimo. E poi?... Non era libera forse?
— Un momento! un momento! — esclamò Nejdanow. — Mi ha amato, mi ama, ma io non so quel che tua sorella t'abbia mai scritto, ti giuro.
— Lo so che il suo amore è puro; si è data a te moralmente, ti ha dato il cuore, l'anima! — interruppe Marchelow, non senza un intimo sollievo dovuto all'esclamazione di Nejdanow. — E ha fatto benissimo, dico io. In quanto a mia sorella.... certo non avea l'intenzione di darmi un dispiacere, o piuttosto, per dir la verità, la cosa le è indifferente; ma quel che è sicurissimo, indubitato, si è che ti detesta, te e Marianna. Non ha mentito.... E del resto, faccia come più le pare, a me non importa niente!
— Sì, — pensò Nejdanow, — ci detesta.
— Tutto per il meglio, — riprese Marchelow senza mutar di atteggiamento. — Ora che gli ultimi vincoli sono spezzati, non c'è più nulla che mi sia d'impaccio.... Tu mi dirai che Goluschine è un imbecille: è possibile! Le lettere di Chisliacow sono ridicole e incongruenti.... Sia pure! Ma l'importante, il fatto, il nòcciolo della questione sta in questo, che secondo quelle medesime lettere, tutto oramai è pronto. Tu forse dubiti anche di questo?
Nejdanow non rispose.
— E forse hai ragione, non dico di no.... Ma se si volesse aspettare che tutto fosse pronto, assolutamente tutto, non si comincerebbe mai. Se si pensassero prima tutte le possibili conseguenze, se ne troverebbero certo delle cattive, delle incerte, per lo meno.... Per esempio, quando i nostri predecessori prepararono l'emancipazione dei contadini, dimmi tu stesso, potean mai prevedere che uno degli effetti di quella emancipazione sarebbe stata l'apparizione di tutta una classe di proprietari strozzini, che vendono al contadino, per sei rubli, due ettolitri di grano marcito, e ricevono in cambio (e, così dicendo, piegava un dito), in primo luogo, un lavoro per almeno dieci rubli; in secondo (e piegava un altro dito)due ettolitri di buon frumento; in ultimo e per giunta (e piegava il terzo dito) qualche altra cosa a titolo d'interesse.... In altri termini, succhiano al contadino fino all'ultima goccia di sangue! Convieni, mio caro, che tutto ciò non poteano prevederlo i nostri emancipatori! E anche l'avessero preveduto, sempre avrebbero fatto benissimo a liberare i contadini, senza mettere in bilancia tutte le conseguenze! Ecco perchè.... la mia risoluzione è presa!
Nejdanow fissò sul suo interlocutore uno sguardo interrogatore e pieno di dubbio; ma quegli, volgendo gli occhi in là, aggrottava le sopracciglia, si mordeva le labbra e si masticava i baffi.
— Sì, la mia risoluzione è presa! — ripetette, battendo del pugno velloso e bruno sul ginocchio. — Son testardo io!... Non è mica per niente che appartengo per metà alla piccola Russia!
Si alzò ciò detto, e strascicando, come se le gambe gli si fossero intorpidite, passò in camera da letto e ne tornò fuori subito dopo portando un ritrattino di Marianna coperto da un vetro.
— Prendi, — disse con voce malinconica ma sicura; — l'ho fatto io una volta. Sono un mediocre disegnatore, ma guarda, la somiglianza c'è — (il ritratto fatto a matita e di profilo era infatti somigliante). — Prendilo, fratello: è il mio testamento. Con questo ritratto io ti cedo.... non già i miei diritti.... non ne ho mai avuti.... ma tutto.... sì, tutto. Ti cedo lei. È una brava ragazza, un'anima nobile....
La voce gli venne meno; il petto gli ansava forte.
— Prendi.... Non sei in collera con me, non è vero?... Ebbene, accettalo.... Oramai, capisci, non ne ho bisogno, io....
Nejdanow prese il ritratto, ma uno strano sentimento gli stringeva il cuore. Parevagli non avere il diritto di accettar quel dono; e che forse, se Marchelow gli avesse letto nel fondo dell'anima, avrebbe esitato prima di offrirglielo.
Teneva in mano il cartoncino incorniciato di nero e non sapeva che cosa farsene.
— È tutta intiera la vita di un uomo, che ho in pugno! — pensava.
Intendeva la grandezza del sacrificio; ma perchè a lui, proprio a lui?... Doveva forse respingerlo?... restituire il ritratto?... No! sarebbe stata ingiuria troppo crudele.... In fondo, poi, quel viso gli era caro, quella donna egli l'amava....
Non senza un certo turbamento, alzò gli occhi.... Temeva che l'altro lo osservasse, gli leggesse nella mente i pensieri.... Ma quegli, sempre con gli occhi volti in là, s'era rimesso a masticarsi i baffi.
Entrò in camera il vecchio servo con in mano una candela accesa.
Marchelow trasalì.
— È tempo d'andare a letto, camerata! — esclamò. — La notte porta consiglio. Domani ti darò i cavalli, te ne andrai fino a casa, e.... addio!... Addio anche a te, mio buon vecchio, — soggiunse battendogli sulla spalla. — Non serbar di me cattiva memoria, te ne prego!
Il vecchio si turbò a tal segno che per poco non si lasciò cader di mano la candela. Fissava il padrone con uno sguardo più vago, più triste dell'usato.
Nejdanow si ritirò nella camera assegnatagli. Non si sentiva contento. La testa gli doleva sempre dal troppo vino bevuto; le orecchie gli zufolavano; gli balenavano gli occhi, per quanto si sforzasse a tenerli chiusi. Goluschine, il commesso Vassia, Tommaso, Eufemia, gli turbinavano davanti. Da lontano, quasi diffidente, la figura di Marianna non osava avvicinarsi.... Tutto ciò che avea fatto e detto, gli sembrava falso, menzognero, inutile, assurdo; e quel che urgeva di fare, la meta cui bisognava tendere, era nascosta, inaccessibile, sprofondata nelle viscere della terra....
A tutti i momenti, era tentato di alzarsi, di correre da Marchelow, di dirgli:
— Eccoti il tuo dono! riprendilo!...
Di botto, quasi senza saperlo, gli venne fatto di esclamare:
— Oh! che disgusto è la vita! che nausea!
Il giorno appresso partì di buon'ora.
Marchelow era già sulle scale, circondato dai suoi contadini. Se li avesse invitati o fossero spontaneamente venuti, Nejdanow ignorava.
L'addio fu secco e laconico.... Pareva però che qualche grave cosa dovesse comunicare alla sua gente....
Il vecchio servo era sempre lì, immobile, col suo sguardo pieno di tristezza.
Il tarantas uscì presto dalla città e, arrivato sulla via maestra, andò di gran carriera. I cavalli erano i medesimi; ma il cocchiere, sì perchè Nejdanow viveva in una casa ricca, sì per i suoi calcoli personali, contava sopra una generosa mancia.... E tutti sanno che quando il cocchiere ha bevuto bene o spera di bere, i cavalli vanno via come il vento.
La giornata, benchè un po' fresca, era una vera giornata di giugno. Il cielo azzurro era qua e là attraversato da nubi rapide e alte. Il vento soffiava assiduo e forte senza però sollevar polvere dalla strada rassodata sotto la pioggia caduta la vigilia.
I pioppi ondulavano e stormivano. Tutto era vita, moto, slancio.... Lo strido della quaglia, dalle remote colline, arrivava in note limpide e squillanti, che parevano avere anch'esse delle ali. I corvi luccicavano al sole, e sulla linea lontana dell'orizzonte vedevansi camminare come dei grandi insetti neri.... Erano i cavalli dei contadini che aravano il maggese.
Ma Nejdanow non aveva occhi per tutta questa scena.... Non si accorse nemmeno di essere arrivato alla villa di Sipiaghin, tanto era assorto nei suoi pensieri.
Trasalì nondimeno, quando vide il tetto della casa, il piano superiore, la finestra della camera di Marianna....
— Sì, — disse fra sè, e un dolce calore gli ristorò il cuore, — ha ragione Marchelow. È una brava ragazza... un'anima nobile.... ed io l'amo!
XXII.
Si rassettò in fretta, mutò di vestiti e andò a dare la sua lezione a Nicoletto.
Sipiaghin, nel quale s'imbattè in camera da pranzo, gli fece un saluto glaciale e cortese, domandò in punta di labbra se avesse fatto buon viaggio e passò nel suo scrittoio. L'uomo di Stato avea già risoluto nel suo spirito ministeriale che, terminate appena le vacanze, avrebbe rimandato a Pietroburgo quel precettore positivamente troppo rosso e che intanto non l'avrebbe perduto d'occhio.
— Non ho avuto la mano felice questa volta, — pensava; — ma, in fin dei conti, poteva anche esser peggio.
I sentimenti della signora Sipiaghin a riguardo di Nejdanow erano molto più accentuati ed energici. A dirittura, lo trovava insopportabile!... Non si era forse permesso, quel ragazzaccio, di offenderla?... Non si era ingannata Marianna, pensando che appunto la signora Sipiaghin avesse loro fatta la spia nel corridoio?... Sì, la gran dama non rifuggiva da simili mezzi. Durante i due giorni che il giovane era stato assente, ella non aveva avuto alcuna spiegazione con quella fraschetta della sua parente; ma a tutti i momenti le facea bene intendere di saper tutto, che non tanto era indignata quanto stupita, e che questo stupore sarebbe anche stato maggiore se non vi si fosse mescolato un senso di disprezzo e un granello di pietà….
Infatti, un disprezzo intimo e contenuto le gonfiava le guance, una specie d'ironia pietosa le faceva alzare le ciglia, mentre guardava Marianna e con lei discorreva.... Fissava gli occhi magnifici con una languida perplessità, con un disgusto melanconico, su quella fanciulla presuntuosa....
Povera Marianna!
Del resto, Valentina non parlò al marito della fatta scoperta; contentavasi di accompagnare le scarse parole che rivolgeva a Marianna in presenza di lui con un sorrisetto ambiguo, che col senso delle parole dette non avea nulla da fare.
A momenti, anche, era punta da un lieve pentimento per avere scritto al fratello. Ma, in fin dei conti, preferiva pentirsi e avere scritto al non aver motivo di pentimento....
Nejdanow non vide Marianna che di sfuggita, nella sala da pranzo, all'ora della refezione. La trovò pallida e smagrita. Non era, in verità, molto bella; ma la rapida occhiata che ella gli volse, al primo entrare, gli ricercò le più intime fibre del cuore.
In quanto alla signora Sipiaghin, lo andava guardando con espressione, come se mentalmente gli ripetesse di continuo: “Mi congratulo tanto! Bravo davvero!” e, nel tempo stesso, s'ingegnava di leggergli in viso se Marchelow gli avesse o no mostrato la lettera.... Decise alla fine che sì....
Sipiaghin, informato che Nejdanow aveva visitato la fabbrica diretta da Solomine, incominciò ad interrogarlo intorno a quello stabilimento industriale assai interessante per tutti i riguardi. Ma, accortosi dalle risposte del giovane, che questi non avea visto o osservato niente, si chiuse in un maestoso silenzio, quasi rimproverando a sè stesso di aver solo sperato di cavar qualche informazione seria, concludente, da un soggetto così poco sviluppato.
Nel momento di uscire dalla sala da pranzo, Marianna riuscì a bisbigliare in fretta a Nejdanow:
— Aspettami nel boschetto in fondo al giardino. Verrò, appena mi sarà possibile....
Anch'ella gli dava del tu, come quell'altro.... E che dolcezza era in quella confidenza piena, improvvisa.... anche forse un po' strana! E come ora sarebbe stato impossibile ch'ella tornasse a dargli del voi, o che da lui si allontanasse!
Nejdanow sentiva che un tale evento sarebbe per lui stato una grande sventura....
Ignorava ancora se davvero ne fosse innamorato; sentiva però in tutto il suo essere che quella fanciulla gli era cara, intima, vicina, indispensabile.... soprattutto indispensabile.
Il boschetto, dove Marianna gli avea detto di attendere, era composto d'un centinaio di annose ed alte betulle, per la maggior parte piangenti. Il vento soffiava sempre impetuoso, i lunghi e sottili rami ondeggiavano, s'intrecciavano, torcevansi come treccie di capelli discinte: le nubi continuavano a correre rapide ed alte sul fondo azzurro del cielo, e quando una di esse passava davanti al sole, tutto intorno assumeva uno stesso colore grigiastro.... Ma la nuvola trascorreva via, e subito, nel punto stesso e dapertutto, tante chiazze di luce viva ricominciavano ad agitarsi, mobili, saltellanti, ad ora ad ora mescolandosi alle macchie d'ombra e lottando con esse. Il rumore e il movimento eran sempre quelli; ma vi si era aggiunta una giocondità di giorno di festa.
Così appunto, con la stessa gioconda violenza, irrompe la passione in un cuore agitato e involto nell'ombra.... E tale era il cuore che batteva in seno a Nejdanow.
Si appoggiò al tronco d'una betulla, e stette lì ad aspettare.
Che cosa sentisse, non sapea bene, nè gli premeva di indagare. Era più inquieto che non in casa di Marchelow, ma anche più sereno. Prima di tutto, volea vederla, parlarle.... Quel legame, che avvince insieme ad un tratto due creature viventi, lo avea già preso....
Gli sovvenne della corda che dal ponte di un battello gettano a riva, quando si è vicini all'approdo.... Eccola che si avvolge alla colonnina di granito, si stringe, si accorcia, e il battello si arresta....
È in porto!... Sia lodato Iddio!...
Di botto, trasalì....
Una veste muliebre appariva da lungi nel sentiero. Doveva esser lei, certo. Ma se venisse alla sua volta, o si allontanasse, non potea dire.... Notò però che le macchie di luce e d'ombra sfioravano la figura di lei dal basso in alto.... Dunque, si accostava, poichè, nel caso opposto, il movimento di quelle macchie sarebbe stato dall'alto in basso....
Ancora un minuto, due, ed ella era presso di lui, davanti a lui, accesa in volto, fiduciosa, con uno splendore vivo negli occhi, con un sorriso debole ma lieto sulle labbra.
Ei non potè articolar parola; gli falliva la voce.
Anche Marianna taceva. Dal cammino frettoloso ansava un poco; ma le si leggeva chiaro in viso quanto fosse felice della felicità e della commozione di lui.
Fu la prima a rompere il silenzio.
— Ebbene, — disse, — parla, dimmi, che si è deciso?
Nejdanow parve sorpreso di quella domanda.
— Deciso?... E c'era forse qualche cosa da decidere.... subito?
— Oh, tu mi capisci.... Raccontami di che avete parlato? chi hai visto?... Hai conosciuto Solomine?... Narrami tutto.... tutto!
Arrivarono in pochi passi a un posto dove un tronco di betulla, abbattuto dalla scure o da qualche uragano, giaceva per terra. Sedettero accanto.
— Ebbene, narra! — ripetette Marianna.
Ma subito, soggiunse:
— Ah, come son contenta di vederti!... Mi parea che questi due giorni non volessero più finire!... Sai?... adesso son proprio convinta che Valentina ci fece la spia.
— Ne ha anche scritto a Marchelow, — disse Nejdanow.
— A lui?...
Tacque e si fece di fiamma, non già per vergogna, ma per un altro più forte sentimento.
— Malvagia donna! — mormorò poi lentamente. — Non aveva il diritto di far questo! Ma che importa?... Orsù racconta!
Nejdanow cominciò la sua narrazione. Ella lo ascoltava intenta, muta, solo interrompendo quando lo vedeva affrettarsi e trascurare i particolari. Del resto, non tutti gl'incidenti della gita aveano per lei lo stesso interesse. La storiella dei due vecchietti la fece ridere, ma non le parve gran cosa. Quel loro modo di vivere era troppo lontano dalle sue idee.
— È lo stesso, — disse, — che se tu mi parlassi di Nabuccodonosor.
Ma invece quel che Marchelow avea detto, quel che pensava perfino Goluschine (benchè subito avesse capito di che panni vestisse), che idea avea manifestato Solomine, che sorta d'uomo era, ecco le cose che volea sapere e che veramente le stavano a cuore.
— Quando agirete?... Quando?...
Quando?... Era questa la domanda che le balenava ad ogni poco, e che le correva alle labbra, mentre Nejdanow parlava.
E questi pareva voler evitare tutto ciò che a quella domanda potesse dare una risposta positiva. Alla fine si accorse da sè che appunto insisteva e si dilungava sui particolari meno importanti, e che vi tornava mal suo grado.
Le descrizioni umoristiche destavano in lei l'impazienza; il tono dello sconforto e della disillusione la amareggiava.... Bisognava, secondo lei, trattar la questione faccia a faccia, discorrere soprattutto della causa. Su questo punto, nessun discorso parevale prolisso. Ciò ricordava a Nejdanow il tempo andato quando, non ancora studente e trovandosi in campagna con alcuni amici, aveva avuto l'idea di narrar delle fiabe ai bambini: nemmeno questi apprezzavano le descrizioni o lo svolgimento d'impressioni personali.... anch'essi domandavano azione, fatti!
Marianna non era già una bambina; ma dell'età infantile avea tutta la semplicità e la schiettezza dei sentimenti.
Nejdanow esaltava con gran calore Marchelow e si esprimeva con viva simpatia sul conto di Solomine.
Nel mezzo dei suoi discorsi pieni di entusiasmo, domandava però a sè stesso su che mai fondasse l'alta stima che per quest'uomo gli parea di aver concepito.... Infatti, Solomine non avea detto niente di molto notevole; e parecchie delle sue parole erano anzi state in perfetta contraddizione dei principi professati da Nejdanow....
— È un temperamento equilibrato, — pensava questi, — ecco forse il perchè della mia ammirazione.... Uomo esatto, positivo, schietto: un uomo, in somma, una forza tranquilla e solida. Sa quel che vuole, ha fiducia in sè stesso, e questa medesima fiducia la comunica agli altri.... Non si turba mai.... L'equilibrio, l'equilibrio!... ecco quel che importa; ed è precisamente quel che a me fa difetto.
Tacque un momento, e restò assorto nelle sue riflessioni.
Ad un tratto, sentì che una mano gli si posava sulla spalla.
Alzò la testa. Marianna lo fissava con uno sguardo di tenera sollecitudine.
— Che hai, amico?— gli domandò. — Parla, te ne prego.
Egli prese la mano poggiatagli sulla spalla e per la prima volta la baciò. Marianna ebbe un piccolo scoppio di risa, come stupita da una tale amabilità da parte di lui. Poi divenne anch'ella pensosa.
— Marchelow ti ha mostrato la lettera di Valentina? — domandò finalmente.
— Sì.
— E.... che cosa ha detto?
— Lui?... È la generosità, l'abnegazione personificata!... Ha....
Stava sul punto di parlare del ritratto, ma si contenne, e disse solo:
— Ha un carattere nobilissimo!
— Oh, sì, sì!
Marianna ridivenne pensosa. Poi volgendosi di botto a Nejdanow sul tronco di betulla che serviva loro da sedile, vivamente domandò:
— Sicchè, che cosa avete poi deciso?
Nejdanow scrollò le spalle.
— Ma te l'ho già detto; fino a questo momento, nulla. Bisogna aspettare.
— Aspettare!... che mai?
— Le ultimi istruzioni.... (Ed è una menzogna che le dico! — pensò con dispetto).
— Di chi?
— Di quel... tu lo sai.... di quel tale Basilio Nicolaevic. E poi anche bisogna aspettare il ritorno di Ostrodumow.
Marianna lo guardò con aria interrogatrice.
— Di' un po', l'hai visto mai cotesto Basilio Nicolaevic?
— Due volte l'ho visto…. sì.... di sfuggita.
— Ebbene.... che uomo è?...
— Ma.... che vuoi che ti dica?... Adesso è il nostro capo, e dirige tutto. Senza disciplina, capisci, non si andrebbe avanti. Bisogna, prima di tutto, sapere obbedire. (E anche queste non son che parole! pensava intanto).
— Com'è fatto?
— Come?... È piccolo, tarchiato, bruno; una faccia burbera, dagli zigomi sporgenti, una testa di Calmucco.... Ma gli occhi però son pieni di vita.
— E come parla?
— Più che parlare comanda.
— E perchè è toccato a lui di esser capo?
— Ha una volontà di ferro. Non cede davanti a nessuno. Se occorresse, sarebbe anche capace di ricorrere alla violenza, al delitto. In somma, si ha paura di lui.
— E Solomine com'è fatto? — domandò Marianna di lì a poco.
— Nemmeno Solomine è un Adone; ha però un viso aperto, leale.... S'incontrano dei visi simili fra i seminaristi... fra i buoni, beninteso.
Seguì la descrizione minuta, esatta di Solomine. Marianna stava a sentire, e guardava intenta al suo interlocutore. Poi disse, quasi parlando a sè stessa:
— Tu pure hai un viso che spira la bontà. Credo che con te la vita debba esser facile.
Queste parole commossero Nejdanow, il quale tornò a prenderle la mano e fece atto di baciarla.
— Non tante amabilità, — gli disse Marianna.... Tu non sai, io ho da domandarti scusa di una cosa.
— Di che? sentiamo.
— Ecco qua. Durante la tua assenza, sono entrata in camera tua.... e ho visto sulla tavola un piccolo quaderno di poesie....
Nejdanow trasalì. Si rammentò infatti di aver dimenticato quei suoi tentativi poetici....
— .... te le confesso, non ho saputo resistere alla tentazione, e.... ho letto. Sono versi tuoi, non è vero?
— Sì.... E sai tu, Marianna, quel che prova meglio di tutto fino a che punto io ti voglia bene e quanta fiducia abbia in te?... Gli è che quasi non sono in collera per quel che hai fatto.
— Quasi?... Ciò vuol dire che sei in
collera.... un poco?... A proposito, tu mi chiami per nome; ed io
non voglio e non posso chiamarti Nejdanow; ti chiamerò Alessio. E
quella poesia che comincia: “Amico,
quando presso a morte io sia
”.... è anche tua?
— Mia, sì.... mia.... Soltanto, te ne prego, non parlarmi di ciò…. Non mi tormentare!
Marianna scosse la testa.
— È molto triste quella poesia.... Spero che tu l'abbi scritta prima di conoscer me. I versi però son buoni, per quanto io posso giudicare. Ho in mente, non so, che tu saresti un vero scrittore; ma son sicura che hai una vocazione migliore e più alta della letteratura. Prima sì, era bene occuparsi di lettere, quando ogni altra cosa era impossibile.
Egli le volse una rapida occhiata.
— Credi?... Sì, anch'io son del tuo parere. Meglio la rovina là, che non qui il successo.
Marianna sorse in piedi di scatto.
— Sì, caro, hai ragione! — esclamò, accesa in viso di tutto lo splendore dell'entusiasmo, di tutto il fuoco dei sentimenti generosi; — hai ragione! Ma può anche darsi che la rovina non ci colga ai primi passi; avremo il tempo, vedrai; saremo utili; la nostra vita non sarà gettata invano; ci mescoleremo al popolo.... Conosci tu qualche mestiere?... no?... Ebbene, non importa, lavoreremo, daremo loro, ai fratelli nostri, tutte le nostre energie della mente e del braccio: io, se occorre, farò la sarta, la cuoca, la lavandaia.... Vedrai, vedrai.... E non ci avrò nessun merito, no! perchè mi sentirò felice!...
Tacque; ma lo sguardo fiso in un lontano orizzonte invisibile, fiammeggiava di audacia e di speranza.
Nejdanow s'inchinò verso di lei, umile, reverente.
— O Marianna! — mormorò, — io non sono degno di te!
Ella trasalì d'improvviso.
— È tempo di tornare a casa, — esclamò, — se no, son capaci, come l'altra volta, di cercarci. Del resto, a quanto pare, Valentina ha rinunziato a occuparsi di me. Agli occhi suoi, io sono una donna perduta....
E così dicendo, aveva in viso una espressione così raggiante di giubilo, che Nejdanow, guardandola fisso negli occhi, non potè non sorridere, ripetendo in tono più basso! — Perduta!
— Soltanto, — proseguì Marianna, — è mortalmente offesa dal fatto che tu ti permetti di non essere ai suoi piedi.... Ma tutto ciò non importa.... Senti.... Si capisce che restar qui mi è impossibile, ora.... Bisognerà pensare.... Sarà forza andarsene....
— Andarsene?...
— Sì, tu certo non vorresti rimanere.... Andremo insieme a lavorare.... Verrai, non è vero?...
— In capo al mondo! — esclamò Nejdanow, e la voce gli vibrava di commozione profonda, d'irrefrenabile riconoscenza. — In capo al mondo!
In quel momento, infatti, sarebbe andato senza volgersi indietro, dovunque ella lo avesse trascinato.
Marianna lo comprese, ed ebbe un sospiro di sollievo, di felicità piena e cosciente.
— Ebbene, eccoti la mia mano.... stringila forte, ma da camerata, da amico.... così! da bravo!
Tornarono insieme verso casa, pensosi, calmi, soddisfatti. L'erba novella piegavasi dolcemente sotto i loro passi leggieri; le giovani frondi stormivano tutt'intorno; le macchie mobili di ombra e di sole sfioravano, saltellando, i loro vestiti; e l'uno e l'altra godevano a quel giuoco rapido e cangiante della luce, alle gioconde folate della brezza, al fresco scintillìo del fogliame, alla propria gioventù, all'amore che raggiava loro dagli occhi.
XXIII.
L'alba incominciava già a biancheggiare all'orizzonte, quando Solomine, percorse allegramente le sue cinque verste dopo il pranzo in casa di Goluschine, bussò alla porticina della palizzata che circondava la fabbrica.
Il guardiano corse ad aprire e, accompagnato da tre enormi cani che dimenavano amichevolmente le code lanose, lo condusse, con riguardosa sollecitudine, fino al suo alloggio.
Era contento, si vedeva, di veder tornare sano e salvo il capo fabbrica.
— Arrivate di notte, signor Solomine. Noi vi si aspettava a giorno fatto.
— Niente, Gavrila, niente!... Una passeggiatina di notte fa bene.
I rapporti che esistevano tra Solomine e i suoi operai erano eccellenti, quantunque un po' diversi dai soliti. Tutti lo rispettavano come un loro superiore, e lo trattavano da pari a pari, come uno della famiglia. Agli occhi loro era però uomo di prim'ordine nella partita. “Quando Basilio Solomine dice qualche cosa, — così fra loro ragionavano, — è sacro! perchè è uomo di penna quello lì, è un dottore coi fiocchi, e a petto a lui non c'è inglese che tenga”!
Si ricordavano infatti gli operai, che un famoso industriale inglese era venuto un giorno a visitar la fabbrica; e sia perchè Solomine gli avea parlato in inglese sia perchè realmente ne apprezzasse le solide conoscenze, fatto sta che l'inglese più volte gli avea battuto sulla spalla e gli avea domandato ridendo se volea piantar la Russia e venirsene a Liverpool. Poi, voltosi agli operai, avea ripetuto, esprimendosi a modo suo: Lui, buona! aoh! molto buonissima! La cosa avea provocato le più grasse risate, ma solleticato anche l'orgoglio degli operai.
— Ah! — dicevano, — hai visto che fusto è?... E dire che è dei nostri!
Il fatto è che veramente era dei loro, anima e corpo.
Il giorno appresso, Solomine fu destato a buon'ora del suo favorito Paolo, il quale, aiutandolo a vestirsi, gli andava parlando d'una cosa e dell'altra, dando varie informazioni e chiedendone. Poi, in fretta e furia, bevvero insieme il tè. Solomine, infilato alla diavola il suo vecchio camiciotto da lavoro, discese nella fabbrica, e la sua vita riprese a girare regolarmente come una ruota di macchina.
Ma una nuova fermata gli teneva in serbo la sorte.
Cinque giorni dopo il suo ritorno, Solomine vide entrare nel cortile della fabbrica un elegante carrozzino tirato da quattro splendidi cavalli. Di lì a poco, un lacchè in livrea color nocciuola, guidato da Paolo, gli consegnava solennemente una lettera con tanto di sigillo stemmato, da parte di Sua Eccellenza Sipiaghin.
La lettera, tutta pregna non già di profumi — oibò! — ma di uno speciale odore inglese molto distinto e non meno dignitoso — era scritta in terza persona, ma non mica da un qualunque segretario, bensì dal proprio pugno ministeriale del nobile signore del villaggio di Arjanoe. Questi, scusandosi innanzi tutto di rivolgersi ad uomo che personalmente non conosceva, ma del quale avea sentito far gli elogi nel modo più lusinghiero, si faceva lecito d'invitare a casa sua il signor Solomine, i cui suggerimenti poteano a lui, Sipiaghin, riuscire di somma utilità a proposito di una importante intrapresa industriale; e, nella speranza che il detto signor Solomine avrebbe la bontà di accogliere il suo invito, mandavagli il suo equipaggio, perchè se ne giovasse. Nel caso poi che il signor Solomine si trovasse nella impossibilità di allontanarsi per quel giorno, lo pregava di indicargli un altro giorno qualunque, a sua scelta, e allora egli, Sipiaghin, sarebbe stato felicissimo di metter di nuovo l'equipaggio a disposizione del signor Solomine.
Seguivano i convenevoli d'uso con a piedi una firma a svolazzo perfettamente degna di un ministro e assolutamente incomprensibile, beninteso, eccetto che da un iniziato.
Chiudevasi la lettera con un poscritto in prima persona:
“Spero che non rifiuterete di
venire a pranzo, senza cerimonie, in soprabito
”.
Le parole senza cerimonie erano sottolineate.
Insieme con la lettera il lacchè color nocciuola, non senza una certa esitazione, presentò a Solomine un semplice biglietto, che non era nemmeno sigillato. Il biglietto, scritto da Nejdanow, conteneva queste poche parole:
“Venite, ve ne prego. Si ha gran
bisogno di voi, qui, e voi potete rendere un gran servigio, ma non
già al signor Sipiaghin, s'intende
”.
Leggendo la lettera di Sipiaghin, Solomine disse fra sè:
— Perbacco!... non so davvero come farei ad andare altrimenti che senza cerimonie; non ho mai avuto una giubba, io!... Ma perchè poi farmi trascinare laggiù?... Per perdere il tempo, si sa.
Ma, quando ebbe aperto il biglietto di Nejdanow, si grattò la nuca e, tutto irresoluto, si accostò alla finestra.
— Che risposta si degna di darmi il signore? — domandò rispettosamente il lacchè color nocciuola.
Solomine stette ancora un poco presso la finestra; poi finalmente, scotendo i capelli e passandosi una mano sulla fronte, rispose:
— Vengo. Datemi solo il tempo di mutar vestito.
Il lacchè uscì dignitoso dopo un inchino.
Solomine fece chiamar Paolo, discorse con lui, e corse di nuovo alla fabbrica. Indossato un soprabito nero dalla vita troppo lunga, cucito da un sarto del luogo, e messosi in capo un cappello a cilindro un po' rossigno, che gli conferì subito un contegno rigido e grave, montò nel carrozzino. Ma di botto gli sovvenne di non aver preso i guanti: chiamò a gran voce l'onnipresente Paolo, il quale si precipitò e gli portò in un baleno un paio di guanti di pelle di daino, da poco lavati, le cui dita allargate alla punta parevano altrettanti biscotti.
Solomine si cacciò i guanti in tasca, e disse che si potea partire. Subito il lacchè, con una energia non meno imprevista che inutile, balzò in serpe, il cocchiere correttissimo mise un piccolo strido in falsetto per incitare i cavalli, e l'equipaggio si scrollò.
Mentre Solomine era così trascinato verso la villa di Sipiaghin, l'uomo di Stato, seduto nel suo salotto con sulle ginocchia un opuscolo politico sfogliato a mezzo, discorreva con la moglie, a proposito del giovane meccanico e industriale.
Gli aveva scritto – così le andava spiegando – per tentare se non fosse possibile di sbarbicarlo dalla fabbrica del mercante di Mosca e di attirarlo nella propria, la quale andava male anzi che no, e avea bisogno di radicali trasformazioni.
Sipiaghin non ammetteva la più lontana possibilità che il giovane si rifiutasse di venire o soltanto rimandasse la cosa ad altro giorno, benchè nella lettera gli avesse offerto piena libertà di scelta.
— Ma la nostra fabbrica è una cartiera, non già una filanda, — osservò la signora Valentina.
— Non vuol dire, mia cara. Ci son delle macchine lì e qua.... e Solomine è specialmente un meccanico.
— Ma può anche darsi che sia uno specialista.
— Cara mia, in primo luogo, la Russia non ha specialisti; in secondo, te lo ripeto, Solomine è meccanico.
La signora Valentina atteggiò le labbra ad un sorriso.
— Bada, amico mio!... Ti è già incolto male con cotesti giovanotti.... Non vorrei che ti capitasse la seconda di cambio!
— Alludi forse a Nejdanow?... Ad ogni modo, mi pare, io ho raggiunto il mio scopo: per Nicoletto non potevo trovare un migliore ripetitore. E poi, tu lo sai: non bis in idem!... Scusami, di grazia, la pedanteria.... Vuol dire che la stessa cosa non si ripete due volte.
— Credi?... Ed io penso invece che tutto al mondo si ripeta.... specialmente quel che è nella natura stessa delle cose.... e soprattutto poi quando si tratta di giovani.
—Que voulez vous dire? — domandò Sipiaghin in francese, gettando, con un bel gesto rotondo, l'opuscolo sulla tavola.
— Ouvrez les yeux, et vous verrez! — gli rispose la moglie.
Quando discorrevano in francese, si davano del voi.
— Hum! — borbottò Sipiaghin. — È sempre a quel piccolo studente che fai allusione?
— A quel signorino, sì.
— Eh, eh!... Forse s'è ficcato qui (e si batteva con le dita sulla fronte) qualche grillo? Eh?...
— Apri gli occhi, ti ripeto.
— Marianna forse?... eh?...
Questo secondo eh fu pronunciato in tono più nasale del primo.
— Apri gli occhi, e guarda.
Sipiaghin aggrottò le sopracciglia.
— Bene, bene.... Tutto ciò lo metteremo in chiaro poi.... Per ora, ecco quel che mi premeva di dirti.... Questo Solomine, naturalmente, si confonderà un poco.... si sa, mancanza di abitudine! Bisognerà dunque esser con lui molto amabile per non spaventarlo. Non dico questo per te, sai. Tu sei una vera perla, e, quando vuoi, riesci a stregar la gente in un batter d'occhio.... J'en sais quelque chose, madame!... Lo dico per gli altri; magari per quel....
E accennò, così dicendo, a un cappello grigio, di ultima moda, posato sopra una mensoletta. Il cappello apparteneva il signor Colomeizew, arrivato ad Arjanoe fin dal mattino.
— Il est très-cassant, tu lo sai.... Ha troppo, troppo disprezzo per il popolo, il che io assolutamente condanno! Oltre a ciò, ho notato in lui da un pezzo in qua una specie d'irritazione, un certo umore aggressivo.... O che forse i suoi affari laggiù (e fece col capo un'indicazione vaga, che la moglie intese benissimo) vanno male? eh?
— Apri gli occhi, te lo dico per l'ultima volta.
Sipiaghin si raddrizzò.
— Eh?... (questo eh?... era affatto diverso dai precedenti, pronunciato in un tono.... molto più basso). Ah, ah! ma allora potrebbe anche darsi il caso che li aprissi troppo! Badiamo veh!
— È cosa che ti riguarda.... In quanto al tuo nuovo giovanotto, ammesso che arrivi oggi, sta pur tranquillo, saranno prese tutte le misure di precauzione.
Fatto sta che di precauzioni non ci fu bisogno niente affatto. Solomine non fu nè confuso nè intimidito.
Quando il domestico venne ad annunziarlo, Sipiaghin si alzò immediatamente, e pronunciò ad alta voce in modo da farsi ben sentire dall'anticamera:
— Passi!... s'intende.... passi subito!
Poi si diresse alla porta del salotto e si fermò dalla parte di dentro, aspettando.
Non appena Solomine ebbe varcata la soglia, il signor Sipiaghin (che per poco non ci aveva urtato) gli porse l'una e l'altra mano, e dimenando il capo a dritta e a sinistra, gli disse con un sorriso amabilissimo:
— Ah! quanta cortesia è stata la vostra!... Non vi so dire a che punto vi son riconoscente!
E lo condusse nel punto stesso verso la signora Sipiaghin.
— Ecco la mia mogliettina, — disse appoggiando dolcemente la mano sulla schiena di Solomine come per spingerlo verso la moglie.
— Mia cara amica, permettimi di presentarti il primo meccanico e il primo capo-fabbrica di tutto il distretto, il signor Basilio.... (qui esitò un poco) Fedoseivic Solomine.
La signora Valentina si raddrizzò leggermente, alzò con molta grazia le belle palpebre, sorrise bonariamente al nuovo venuto come ad una vecchia conoscenza, ed infine gli porse la manina, con la palma in su, col gomito stretto alla cintola, la testa un po' chinata verso quella medesima manina, quasi domandasse una piccola elemosina.
Solomine lasciò che marito e moglie terminassero a piacimento tutte le loro graziose smancerie, strinse la mano a tutti e due e si mise a sedere al primo invito che n'ebbe.
Solomine gli domandò tutto sollecito se mai volesse prendere qualche cosa?... Ma no, di niente avea bisogno, ringraziava molto; la gita non lo avea punto stancato; si metteva a disposizione completa del signor Sipiaghin.
— Sicchè, — disse questi con una certa esitazione, quasi temesse di essere indiscreto e non osasse prestar fede alla grande compiacenza del suo ospite, — sicchè vi si potrebbe anche pregare di visitar subito la fabbrica?
— Andiamo pure, se così vi piace, — rispose Solomine.
— Ah! quanto siete gentile!... Volete che faccia attaccare il biroccino?... O forse preferite di andare a piedi?
— Ma la vostra fabbrica, suppongo, non è mica lontana.
— Una mezza versta, al massimo.
— E allora a che serve il biroccino?
— Benissimo, egregiamente! Ehi, il cappello.... il bastone... sbrigatevi! E tu, mia graziosa massaia, mettiti in movimento e preparaci da desinare.... Il cappello, dico!
Si agitava molto più del suo ospite. Ripetette ancora una volta: “Ma questo cappello che non viene!” e, con tutta la sua dignità di uomo di Stato, saltò fuori come uno scolaretto turbolento.
Mentre che il marito discorreva con Solomine, la signora Valentina avea sbirciato attentamente il nuovo giovanotto.
Tranquillamente seduto in poltrona, con le mani posate sulle ginocchia (i guanti non s'era deciso a calzarli), Solomine andava considerando con curiosità i mobili, i quadri, i gingilli intorno.
— Che vuol dir ciò! — pensava la dama elegante. — È un plebeo, si vede, un vero plebeo.... e nondimeno ha un contegno così disinvolto!
Infatti, Solomine aveva un'attitudine semplice e schietta; non già come chi, sforzandosi di parer naturale, vuole che altri lo noti, ma come un uomo dai pensieri e dai sentimenti poco complicati, ma forti.
La signora Sipiaghin tentò d'intavolare una conversazione; ma, con sua grande sorpresa, durò una certa fatica per trovar le parole.
— O che? — pensò. — Possibile che questo operaio me n'imponga?...
Poi disse finalmente:
— Mio marito vi deve moltissimo per il tempo prezioso, che voi consentite a sacrificargli....
— Non è molto prezioso, signora, — rispose egli, — e poi non son venuto qui che per un momento.
— Voilà où l'ours a montré sa patte, — pensò ella in francese.
In quel punto stesso, riapparve il marito sulla soglia, col cappello in capo e un bastoncino in mano. Voltandosi a mezzo, pronunciò in tono deciso e soddisfatto:
— Agli ordini vostri, signor Solomine.... Volete?
Solomine si alzò, fece un inchino alla signora e tenne dietro al padron di casa.
— Di qua, prego, di qua! — ripeteva Sipiaghin, come se si fossero trovati in una foresta vergine e che al suo compagno fosse indispensabile una guida. Badate, qui ci son degli scalini, signor Basilio Fedoseivic Solomine.
— Visto che mi volete dare tutti i miei nomi, — disse Solomine con calma, — io non mi chiamo Fedoseivic, bensì Fedotic.
Sipiaghin volse un po' il capo, e lo guardò con una specie di spavento.
— Ah! vi domando scusa, signor Fedotic Solomine!
— Oh niente, niente!
Nel momento che uscivano dalla casa, s'imbatterono in Colomeizew.
— Dov'è che ve n'andate? — domandò questi a Sipiaghin, gettando all'altro un'occhiata di sbieco. — Alla fabbrica?... C'est là l'individu en question?
Sipiaghin sbarrò tanto d'occhi e scosse leggermente il capo per raccomandargli la prudenza.
— Sì, alla fabbrica.... per mostrare i miei peccatucci e le mie miserie al signor meccanico ch'è qui. Permettetemi di presentarvi il signor Colomeizew, proprietario nostro vicino.... Il signor Solomine....
Colomeizew fece uno o due cenni del capo quasi impercettibili, senza però voltarsi dalla parte di Solomine; questi, invece, guardò fiso la nuova conoscenza e una speciale espressione gli lampeggiò negli occhi semichiusi....
— Vi si può accompagnare? — domandò il gentiluomo di camera. — Voi sapete che mi piace sempre di apprendere.
— Senza dubbio! venite pure!
Dal cortile uscirono sulla strada. Non ancora avean fatto una ventina di passi, che videro spuntare il prete della parrocchia, in sottana succinta, che se ne tornava adagino al presbiterio. Colomeizew si staccò dal gruppo, andò risoluto verso il prete, il quale non si aspettava a ciò ed ebbe quasi paura, gli domandò la benedizione, depose sulla mano di lui rossa e sudata un bacio sonoro, e, volgendosi a Solomine, lo fulminò di uno sguardo provocatore. Era evidente che del nuovo venuto sapea qualche cosa; e volea dare una buona lezione a quel plebeo che godeva fama di essere un pozzo di scienza.
— C'est une manifestation, mon cher? — domandò Sipiaghin fra i denti.
Colomeizew raddrizzò la testa e tirò forte il fiato.
— Oui, mon cher, une manifestation nécessaire par le temps qui court.
Arrivati alla fabbrica di carta, furono ricevuti da un capo operaio della Piccola Russia, dalla barba incolta e dai denti posticci, il quale avea preso il posto del direttore tedesco, definitivamente congedato da Sipiaghin. Non era che provvisorio; pareva assolutamente incapace; si limitava a ripetere ad ogni poco: Ecco qua! ovvero: Se Dio vuole! e sospirava profondamente.
Cominciò la visita della cartiera. Parecchi degli operai conoscevano Solomine di vista e lo salutarono. Egli disse anche ad uno di loro:
— Buon giorno, Gregorio! Sei qui dunque?
Non molto dovette stare a convincersi che l'azienda era mal diretta. Del denaro se n'era buttato via, ma a casaccio. Le macchine erano mediocri. C'erano molte cose inutili e superflue, mentre moltissime ne mancavano delle indispensabili.
Sipiaghin guardava fiso negli occhi a Solomine per indovinarne il pensiero. Tratto tratto, moveva qualche timida domanda. Almeno, questo gli premeva di sapere, dicesse franco se trovava che ci fosse dell'ordine.
— In quanto a ordine, non dico di no, — rispose Solomine, — ma c'è poi un vero profitto?... Ne dubito.
Sipiaghin, ed anche Colomeizew, sentivano che il giovane meccanico stava in quella fabbrica come a casa propria, che tutto gli era noto e famigliare, fin nei minimi dettagli. Egli metteva la mano sopra una macchina come il cavaliere posa la sua sul collo del cavallo; toccava con la punta del dito una ruota, e subito questa si arrestava o incominciava a girare; prendeva nel cavo della mano un po' della pasta cartacea, e immediatamente la pasta metteva a nudo tutti i suoi difetti.
Non diceva verbo, non guardava nemmeno al capo operaio che gli andava a fianco.
Uscì dalla fabbrica senza aver pronunciato una parola. Gli altri lo seguivano.
Sipiaghin non permise a nessuno di accompagnarlo.... Digrignò perfino i denti e battè del piede in terra. Era fuor di sè, si vedea chiaro.
— Vedo dalla vostra fisonomia, — disse finalmente, — che non siete gran che soddisfatto della mia fabbrica.... Del resto, lo so da me che non trovasi in condizioni invidiabili, che rende poco.... Ma ditemi voi con precisione.... ve ne prego, senza riguardi.... quali sono i suoi difetti principali?... E che si potrebbe fare per correggerli?
— La fabbricazione della carta non è specialità mia, — rispose Solomine; — vi posso dire però che gli stabilimenti industriali non sono affare da gentiluomini.
— Voi considerate queste occupazioni come umilianti per la nobiltà? — venne su Colomeizew.
Solomine ebbe il suo sorriso franco o bonario.
— Oh no! ma vi pare! Che c'è d'umiliante?... Del resto, ancorchè ci fosse, la nobiltà non andrebbe mica pel sottile.
— Come?... che?...
— Voglio dire semplicemente, — proseguì tranquillo Solomine, — che i gentiluomini non sono abituati a questa specie di attività. Ci vuole spirito commerciale; tutto va messo sopra altro piede; bisogna aver pazienza e proposito. I nobili queste cose non le intendono. Sicchè che cosa si vede sempre e dappertutto?... Mettono su fabbriche di panno, di carta, di filati, di vetri, e, in fin dei conti, in mano di chi coteste fabbriche vanno a cadere?... In mano dei mercanti. È un peccato, perchè i mercanti son sanguisughe vere e proprie. Ma non c'è che fare.
— A sentir voi, — esclamò Colomeizew, — noi altri nobili non c'intendiamo un'acca di questione finanziaria?
— Oh no! tutt'al contrario!... In materia di finanza i nobili la sanno lunga. Ottenere una concessione di ferrovia, metter su delle banche, accaparrarsi dei monopolii, e cose simili, non c'è uomo al mondo che possa stare a petto dei nobili! Riescono, a questo modo, a costituire capitali enormi. Proprio a questo facevo testè allusione, quando vi siete dato la pena di riscaldarvi.... Ma io volevo dire delle intraprese industriali regolari: intendiamoci bene regolari; poichè aprire delle osterie, o delle agenzie di cambio, ovvero prestar grano e denaro ai contadini con un interesse del cento e del cinquanta per cento, come fanno oggidì molti proprietari gentiluomini, queste non sono, a mio modo di vedere, operazioni commerciali vere e proprie.
Colomeizew non rispose sillaba. Egli appunto apparteneva a cotesta razza recente di proprietari strozzini, cui già aveva accennato Marchelow nel suo colloquio con Nejdanow; e tanto era più disumano nelle sue esigenze quanto meno avea da fare direttamente coi contadini (ai quali, si sa, era interdetto l'ingresso al suo gabinetto), governati ed amministrati da uno speciale incaricato.
Ascoltando il discorso calmo e quasi indifferente di Solomine si sentiva bollir dentro.... Ma, per questa volta, stimò bene di non ribattere. Soltanto il movimento dei muscoli del viso, effetto della pressione delle mascelle, dava a conoscere quel che gli accadeva nell'animo.
— Permettete però, signor Solomine, permettete! — replicò Sipiaghin. — Tutto ciò che voi dite era perfettamente giusto nei tempi andati, quando i nobili godevano.... di certi loro diritti, quando si trovavano.... in generale... in tutt'altra situazione. Ma adesso, dopo tutte le benefiche riforme tradotte in atto, nella nostra epoca industriale per eccellenza, perchè mai i nobili non potrebbero volgere la loro attenzione, la loro capacità, dirò così, verso consimili intraprese?... Perchè non sarebbero essi capaci di comprendere quel che entra nel cervello di un qualunque mercante qualche volta anche analfabeta? Non si può dire certo che manchino di coltura, di sviluppo intellettuale, anzi si può affermare con una certezza poco men che assoluta che essi sono fino ad un certo punto i rappresentanti dell'incivilimento e del progresso!
Sipiaghin parlava egregiamente; la sua eloquenza avrebbe ottenuto un effetto enorme a Pietroburgo, in una sezione del ministero e anche in più alta regione; ma sull'animo di Solomine non fece la minima impressione.
— I nobili non possono maneggiare questa roba, — ripetette il meccanico.
— Ma perchè mai? perchè? — gridò quasi Colomeizew.
— Perchè sono nè più nè meno come gli impiegati.
— Gl'impiegati?...
Colomeizew diè in una risata sarcastica.
— Voi, probabilmente, signor Solomine, non vi rendete conto di quel che vi siete compiaciuto di dire!
Solomine continuava a sorridere.
— E perchè pensate così, signor Colomeizew (il gentiluomo fece un soprassalto udendo così storpiare il suo nome). — No; sappiate che delle mie parole mi rendo conto, sempre.
— In tal caso, spiegateci che cosa intendete con quella frase.
— Ecco qua: a mio modo di vedere, ogni impiegato è uno straniero, un intruso; e i nobili di oggi sono appunto diventati altrettanti intrusi e stranieri.
Colomeizew rise ancor più forte.
— Scusatemi, caro signore, ma io non ci capisco un'acca.
— Tanto peggio per voi. Fate un piccolo sforzo.... e forse capirete.
— Signore!...
— Eh, via, via! — intervenne Sipiaghin, girando gli occhi intorno come se cercasse qualcuno. — Ve ne prego... di grazia! Colomeizew, vogliate essere calmo, ve ne supplico.... Ma il pranzo dev'essere pronto, o poco ci manca. Seguitemi, signori, seguitemi!
Cinque minuti dopo, Colomeizew, entrando come una bomba nel gabinetto della signora Valentina, gridava:
— Signora Valentina!... Quel che fa vostro marito è inqualificabile! Non gli bastava un nichilista in casa; eccoti che ne invita un secondo! E questo qui è anche peggio del primo!
— Perchè?
— Perchè!... Ma se sapeste che massime va predicando.... E poi, notate: ha parlato un'ora buona con vostro marito, e non gli ha mai detto, nemmeno una sola volta: “Vostra Eccellenza”. Le vagabond!
XXIV.
Prima di pranzo, Sipiaghin invitò la moglie nel suo scrittoio. Gli era indispensabile discorrere un po' con lei a quattr'occhi.
Sembrava molto impensierito. Le comunicò che la fabbrica, decisamente, andava a rotoli. In quanto a quel Solomine, gli pareva in verità un uomo intelligente, quantunque un pochino.... franco, tagliente. Bisognava in tutti i modi continuare ad esser con lui, come si suol dire, aux petits soins.
— Ah! se si riuscisse ad attirarlo qui, sarebbe proprio un affar d'oro! — ripetette due volte.
Della presenza di Colomeizew era molto seccato.
— Che il diavolo se lo pigli! Non sa vedere che nichilisti, e non pensa ad altro che al loro sterminio!... Ebbene, li stermini pure a casa sua, ma non secchi gli altri.... Non c'è verso di fargli tenere la lingua a posto!
La signora Valentina gli fece osservare, non domandar di meglio che essere aux petits soins col novello ospite. Se non che questi, a giudicare dalle apparenze, non sentiva gran bisogno di cotesti petit soins, e ci badava poco.
— Non già che fosse burbero, ma era certo indifferente a tutto, noncurante, il che era assai singolare in un uomo du commun.
— Non importa, — disse Sipiaghin, — ingegnati, fa del tuo meglio.
La signora Valentina promise d'ingegnarsi, e s'ingegnò. Prima di tutto volle avere un colloquio – en tête à tête – col signor Colomeizew. Non si sa bene quel che gli dicesse, ma certo è ch'ei venne a tavola con l'aspetto d'un uomo, il quale abbia giurato a sè stesso di starsene calmo e contegnoso, checchè potesse udire.
Questa anticipata rassegnazione gli dava una leggiera tinta di malinconia: ma, nel tempo stesso, una dignità veramente mirabile in ogni volger d'occhio o atteggiamento del capo.
La signora Sipiaghin presentò Solomine a tutte le persone della casa.... (egli considerò Marianna più attentamente degli altri), e lo fece sedere a tavola alla sua destra. Colomeizew prese posto a sinistra.... Spiegando il tovagliolo, strinse un poco gli occhi e sorrise, come per dire: “Orsù, facciamo la commedia”.
Sipiaghin gli stava seduto dirimpetto e lo seguiva con gli occhi, non senza una certa ansietà.
Per effetto di una nuova disposizione dei posti, Nejdanow non era più vicino a Marianna; lo avevano messo in mezzo a Sipiaghin e alla vecchia Anna Zacharowna.
Marianna trovò il suo cartellino (era un pranzo di etichetta) sul suo tovagliolo tra Colomeizew e Nicoletto.
Il pranzo era servito mirabilmente; c'era perfino, davanti a ogni coperto, il menu, scritto sopra un fogliettino rabescato.
Subito dopo la minestra, Sipiaghin rimise in mezzo l'argomento della fabbrica, e, in genere, della produzione industriale in Russia. Solomine, secondo la sua abitudine, rispondeva breve e preciso. Non appena cominciava a parlare, Marianna prendeva a guardarlo fiso. Colomeizew, che le sedeva accanto, le rivolse varie amabilità (per evitare, a norma della promessa, d'impegnare una polemica); ma ella non gli badava gran fatto. Del resto, ei spifferava i suoi complimenti senza convinzione, per solo debito di coscienza, poichè sentiva d'istinto che un abisso insormontabile lo separava dalla giovinetta.
In quanto a Nejdanow, qualche cosa di peggio s'era frapposto improvvisamente tra lui e il padrone di casa....
Sipiaghin lo considerava ora come un mobile, o piuttosto come uno spazio vuoto; aveva a dirittura dimenticato che il giovane precettore esistesse.
Questa nuova situazione s'era così presto stabilita e completamente assodata che avendo Nejdanow pronunciato alcune parole per rispondere ad un'osservazione della vecchia Anna Zacharowna, Sipiaghin si voltò con grande stupore, quasi cercando di dove venisse quel suono.
Il nobile signore possedeva evidentemente varie delle qualità caratteristiche degli altolocati russi.
Dopo il pesce, la signora Valentina, che prodigava tutte le sue seduzioni a destra, cioè verso Solomine, disse in inglese al marito, attraverso la tavola:
— Il nostro commensale non beve vino; forse preferisce la birra....
Sipiaghin ordinò all'istante:
— Portate dell'ale!
Ma Solomine, volgendosi con calma alla graziosa vicina:
— Signora, — le disse, — voi forse ignorate che io ho passato più di due anni in Inghilterra, e che comprendo e parlo l'inglese. V'informo di ciò, chi sa mai voleste dire qualche cosa di segreto in mia presenza.
La signora Valentina lo assicurò, ridendo, che la precauzione era inutile, poichè non avrebbe udito sul suo conto che le cose più lusinghiere. In fondo, trovò un po' strana quell'uscita del giovane meccanico, ma delicata a modo suo.
Colomeizew non seppe contenersi più a lungo.
— Siete stato in Inghilterra, — cominciò, — e probabilmente conoscete bene i costumi di quel paese?... Permettetemi di domandarvi se meritano di essere imitati.
— Sì, e no.
— Conciso..., ma poco chiaro, — ribattè Colomeizew, evitando di vedere i segni che Sipiaghin gli faceva. — Ma ecco, per esempio: voi parlavate di nobili, non ha guari.... Ebbene, avete certo avuto occasione di studiar sopra luogo quel che gl'Inglesi chiamano landed gentry?
— No, l'occasione non l'ho avuta: ho vissuto in tutt'altra sfera.... Ma un'opinione su quei signori me la son fatta.
— Ah!... Ebbene, pensate voi che l'esistenza di una cosifatta landed gentry sia impossibile da noi?... o che, in ogni caso, non sia desiderabile?
— Credo, infatti, prima di tutto, che sia impossibile; e poi, che non sia nemmeno desiderabile.
— Perchè poi, mio egregio signor Solomine?
Quell'egregio mirava a rassicurare Sipiaghin, che pareva molto inquieto e si agitava sulla sedia.
— Perchè, di qui a venti o trent'anni, la vostra landed gentry scomparirà per conto suo....
— Ma scusate, egregio signore, che cosa è che v'induce a pensar così?
— Ve lo dico subito: a quell'epoca, la terra apparterrà ai proprietari, senza distinzione di origine.
— Ai mercanti?
— Molto probabilmente, per la massima parte ai mercanti.
— Ma in che modo?
— Nel modo più semplice: i mercanti compreranno la terra e buona notte.
— Dai nobili?
— Sicuro, dai signori nobili.
Colomeizew sbozzò un sorriso di condiscendenza.
— Dicevate lo stesso poco fa, se non mi sbaglio, a proposito delle fabbriche e degli stabilimenti industriali. Ed ora parlate di tutti i terreni?
— Ed ora parlo di tutti i terreni.
— E voi, suppongo, sarete lietissimo di ciò?
— Niente affatto. Ve l'ho detto poco fa: il popolo non ne caverà nessun profitto.
Colomeizew alzò appena una mano.
— Che sollecitudine pel popolo, figurarsi!
— Signor Solomine! — gridò Sipiaghin con quanta n'aveva in gola; — vi hanno portato la birra!... Via mo, Colomeizew, smettiamo! — soggiunse a mezza voce.
Ma Colomeizew avea vinto il freno.
— A quanto vedo, — disse, volgendosi di nuovo a Solomine, — voi non avete dei mercanti un'opinione molto favorevole; eppure appartengono al popolo, per dato e fatto dell'origine.
— Precisamente.
— Io credevo che quanto appartiene al popolo, da vicino o da lontano, vi sembrasse inappuntabile.
— Oh, no! caro signore! avete avuto torto.... Il nostro popolo merita molti rimproveri per vari rispetti, benchè non sempre sia colpevole. I nostri mercanti, fino ad ora, sono uomini di rapina e amministrano la roba loro da veri uccelli rapaci.... Che fare?... Si è scorticati.... e si scortica! In quanto al popolo....
— Ebbene?... in quanto al popolo?... Sentiamo!
— È un gran dormiente.
— E voi desiderate svegliarlo?
— Non ci sarebbe niente di male.
— Ah, ah! adesso capisco....
— Permettete, permettete! — intervenne Sipiaghin in tono imperativo. Capì esser venuto il momento di metter un argine, un freno, per dir così, e lo mise. Appoggiando il gomito del braccio destro sulla tavola e agitando in aria, di qua e di là, la mano del medesimo braccio, pronunciò un discorso lungo e particolareggiato. Da una parte, esaltò i conservatori, dall'altra appoggiò i liberali, dando una certa preferenza a questi ultimi, ai quali dichiarò di appartenere; lodò il popolo, non senza però metterne in evidenza i lati deboli; espresse una fiducia illimitata nel governo, ma domandò, dubitativamente, se tutti i subordinati si uniformassero alle sue paterne intenzioni?... Proclamò l'utilità e l'importanza della letteratura, facendo nondimeno osservare che una rigorosa moderazione era la condizione sine qua non della sua esistenza!... Volse gli occhi ad occidente; e n'ebbe prima motivo di giubilo, poi d'incerti timori; li volse all'oriente; n'ebbe una prima impressione di tranquillità, poi di speranza!... e finalmente, trascinato dal calore dell'improvvisazione, propose un brindisi alla triplice alleanza: religione, agricoltura, industria!
— Sotto l'egida del potere! — soggiunse in tono severo Colomeizew.
— Sotto l'egida di un potere illuminato e benevolo! — corresse Sipiaghin.
Seguì un momento di silenzio.
Lo spazio vuoto situato a destra dell'oratore (Nejdanow in altri termini), emise bensì una parola di dubbia approvazione; ma, non avendo destato l'attenzione di alcuno, tornò a chiudersi nel suo mutismo, e il pranzo, non disturbato da altre discussioni, toccò felicemente il suo termine.
La signora Valentina, col più seducente dei suoi sorrisi, offrì a Solomine una tazza di caffè. Egli non lo bevve, e già cercava con gli occhi il suo cappello, quando Sipiaghin, passandogli dolcemente la mano sotto il braccio, lo trasse nel proprio scrittoio, gli offrì un eccellente sigaro di Avana, e gli propose di venire a dirigere e amministrare la cartiera, nelle più vantaggiose condizioni.
— Sarete il padrone assoluto, signor Solomine, il despota, dirò così.
Solomine accettò il sigaro, ma rifiutò la proposta.
Le sollecitazioni più calorose non valsero a scrollarlo.
— Almeno, non mi dite subito un no, caro signor Solomine; promettetemi di riflettere fino a domani.
— Ma sarà lo stesso, anche domani, visto e considerato che non posso accettare.
— Fino a domani, ve ne prego! Che cosa vi costa in fondo?
Solomine ebbe a convenire che infatti la cosa non gli costava niente.... Nondimeno, uscendo dallo scrittoio, si rimise alla ricerca del cappello. Ma Nejdanow, col quale non ancora aveva avuto modo di scambiare una parola, gli si accostò e gli disse vivamente:
— Non andate via, ve ne supplico, altrimenti non si potrebbe discorrere.
Solomine lasciò in pace il cappello. Del resto, in quello stesso momento, Sipiaghin che lo vedeva girare irresoluto pel salotto gli gridò:
— Voi passate la notte da noi, s'intende?
— Agli ordini vostri, — rispose Solomine.
Marianna, che trovavasi nel vano d'una finestra, gli volse un'occhiata di così profonda gratitudine, ch'egli ne divenne tutto pensoso.
XXV.
Prima di veder Solomine, Marianna se l'era figurato tutt'altro uomo. A bella prima gli parve una persona qualunque, poco meno che insignificante.... Decisamente, in vita sua avea visto molti uomini come lui, biondi, magri, muscolosi.
Se non che, quanto più l'osservava, quanto più lo udiva a discorrere, tanto più forte si sentiva germogliar dentro un sentimento di fiducia.... Sì, non era altro che fiducia.... Quell'uomo dall'aspetto tranquillo, non già impacciato ma grave e posato, non soltanto non poteva essere un mentitore o un ciarlatano, ma doveva esser tale da potervisi appoggiare come ad un muro di pietra....
Non era uomo da tradire: meglio ancora: dovea esser pronto a comprendere, e, magari, a prestar soccorso....
Parve anche a Marianna che lo stesso sentimento di fiducia destasse Solomine in tutti quanti gli astanti. Alle cose che diceva non attribuiva ella una speciale importanza; tutti quei suoi discorsi di fabbriche, mercanti, operai, ben poco la interessavano; ma quel che le piaceva moltissimo era il modo onde egli diceva quelle cose, lo sguardo e il sorriso con cui le accompagnava.
Era un uomo veritiero, ecco l'importante!... Ecco il carattere che l'attirava e la commoveva.
È notorio, benchè la cosa non s'intenda molto facilmente, che i russi son le persone più bugiarde sulla faccia della terra, e che niente amano e stimano tanto quanto la verità....
Inoltre, agli occhi di Marianna, Solomine era circonfuso d'una specie di aureola, per dato e fatto di Basilio Nicolaevic che lo raccomandava come persona sicura a tutti i proseliti.
Durante il pranzo, più volte Marianna avea scambiato delle occhiate con Nejdanow a proposito del nuovo commensale: e verso la fine si trovò, quasi senza avvedersene, a fare un confronto tra loro due, – confronto che non riuscì del tutto favorevole a Nejdanow.
Questi, in verità, avea più delicatezza e regolarità di lineamenti: ma esprimeva nel viso un misto dei più irrequieti sentimenti, dispetto, trepidazione, impazienza, e perfino sconforto. Sembrava, a vederlo, che stesse seduto sugli aghi, tentava di parlare, taceva di botto, rideva in modo nervoso....
Solomine, invece, produceva bensì l'impressione che si annoiasse un pochino, ma stava lì come a casa propria. Bastava guardarlo, per persuadersi che il modo suo di essere aveva un'impronta propria e non dipendeva niente affatto da quello degli altri.
— Decisamente, — pensava Marianna, — dovrò domandar consiglio a quest'uomo.... Mi dirà certo qualche cosa utile.
Era stata lei a mandargli Nejdanow, dopo il pranzo.
La serata trascorse languida anzi che no. Per buona sorte, il pranzo era terminato ad ora tarda, e poco mancava alla notte. Colomeizew se ne stava tutto contegnoso e muto.
— Che avete? — gli domandò con una punta scherzosa la signora Valentina. — Avete forse perduto qualche cosa?
— Per l'appunto, — rispose Colomeizew. — Si narra di un nostro generale della guardia, il quale si affliggeva perchè i suoi soldati avean perduto le uosa. Cercatemi le uosa! gridava. Ed io dico per mio conto: Cercatemi la parola eccellenza!... Una parola perduta, cara signora, e che ha trascinato con sè ogni rispetto e ogni subordinazione!
La signora Valentina gli dichiarò che non lo avrebbe aiutato nelle ricerche.
Incoraggiato dal successo dello speech
spifferato a tavola, Sipiaghin ne pronunciò un altro paio, mettendo
sul tappeto alcune considerazioni politiche intorno alla urgenza di
certi provvedimenti; si lasciò anche sfuggire una o due frasi....
des mots.... non tanto arguti quanto profondi,
preparati e tenuti in serbo per Pietroburgo.... Volle anche
ripetere una di coteste frasi, facendola precedere dalla formula:
“se così è lecito di
esprimersi
”. Era a proposito di uno fra i ministri che
trovavansi al potere, del quale disse che era uno spirito poco
consistente e vano, sempre indirizzato a scopi chimerici e
illusorii....
D'altra parte, non perdendo di vista di aver da fare con un Russo, con un uomo del popolo, Sipiaghin non trascurò di adoperare alcune espressioni, destinate a provare che egli stesso era un Russo in carne ed ossa, perfettamente informato dell'essenza costitutiva della vita nazionale.
Così, avendo Colomeizew fatto osservare che la pioggia potea
danneggiare il raccolto del fieno, egli immediatamente ribattè con
l'adagio:“Quando il fieno va a male,
il frumento nero risale
”. Citò anche vari proverbi, come per
esempio:“La mercanzia senza il
mercante è come un'orfanella
” –“Misura dieci volte il drappo e taglia una
volta sola
” –“Quando c'è grano,
non manca il moggio
” – “Se a San
Giorgio la betulla ha le foglie quanto un danaio, alla Madonna di
Kasan puoi empire il granaio
”.
Vero è che due o tre volte gli accadde d'imbrogliarsi
dicendo:“Uccello che sta in gabbia,
non canta per rabbia
” ovvero: “Chi troppo abbraccia, ben si
procaccia
”...
Ma la società, in mezzo alla quale questi accidenti lo incoglievano, non sospettava nemmeno alla lontana che il nostro Russo puro sangue incespicasse; e del resto, grazie al principe Kovrijkine, si era già assuefatti a cosiffatti pasticci. Inoltre, Sipiaghin pronunciava adagi e sentenze con una voce speciale, forte, grossa, d'une voix rustique.
Tali sentenze, spacciate a tempo e luogo nelle società di Pietroburgo, facevano esclamare tutte le dame influenti e altolocate: Comme il connait bien les moeurs de notre peuple! Mentre gli altolocati dell'altro sesso soggiungevano: Les moeurs et les besoins!
La signora Valentina si dava un gran da fare intorno a Solomine. Si scoraggiava però all'insuccesso costante di quei graziosi tentativi. Passando davanti a Colomeizew, non potette fare a meno di dire a mezza voce:
— Mon Dieu, que je me sens fatiguée!
Al che l'altro, facendo un inchino ironico, rispose:
— Tu l'as voulu, Georges Dandin!
Finalmente, dopo la solita recrudescenza di amabilità e di complimenti che precede il momento dell'accomiatarsi, in una compagnia dove la seccatura è stata grande; dopo le improvvise strette di mano, i sorrisi, i frettolosi bisbigli amichevoli, che l'uso impone, gli ospiti e i padroni di casa, egualmente stanchi, si separarono.
Solomine, cui era stata assegnata una delle più belle camere, se non la migliore, del secondo piano, con toilette all'inglese e stanza da bagno, andò a trovare Nejdanow.
Questi cominciò con grande effusione a ringraziarlo per avere consentito a rimanere.
— So che per voi è stato un sacrificio....
— Eh via! — rispose Solomine con l'usata tranquillità. — Come c'entra il sacrificio? E poi, non vi potevo dir di no, a voi.
— E perchè?
— Perchè vi ho messo affezione, ecco.
Nejdanow si mostrò non meno lieto che sorpreso. Solomine gli strinse forte la mano: poi si mise a cavalcioni di una seggiola, accese un sigaro, e con le gomita appoggiate sulla spalliera:
— Vediamo, — disse, — di che si tratta?
Anche Nejdanow si mise a cavalcioni d'una seggiola, ma non accese sigaro.
— Di che si tratta?... Si tratta, nè più nè meno, che di voler fuggire di qua.
— Cioè, volete lasciar questa casa?... Ebbene, chi vi tiene?... lasciatela!
— Non già lasciare.... Fuggire, vi ho detto.
— Ma che forse vi tengono per forza?... O, per caso, avete preso del denaro con anticipazione?... Non avete che da dire una parola.... Sarò lietissimo....
— No, no, voi non mi capite, caro signor Solomine... Ho detto fuggire, perchè mi allontano di qua.... e non già solo.
Solomine alzò la testa.
— E con chi?
— Con quella fanciulla che avete visto oggi qui.
— Quella lì?... Ha una fisonomia buona.... Sicchè vi amate? o forse, avete semplicemente deciso di lasciare insieme una casa dove vi trovate male?
— Ci amiamo.
— Ah! — esclamò Solomine, e stette un poco pensoso. — È parente ai padroni di casa?
— Sì.... ma divide in tutto e per tutto i nostri principii, ed è pronta a qualunque passo.
Solomine sorrise.
— E voi pure siete pronto?
Nejdanow aggrottò un poco le sopracciglia.
— Perchè me lo domandate? Vedrete bene all'opera se son pronto o no!
— Non dubito mica di voi, mio caro amico. Vi ho fatto quella domanda, perchè, eccetto voi, ho ragion di credere che nessun altro sia pronto.
— E Marchelow?
— Ah, sicuro! non dico di no.... Quello lì è nato bell'e pronto, mi figuro.
In quel punto, qualcuno picchiò all'uscio due colpi rapidi e discreti; e senza aspettare la risposta, l'aprì.
Era Marianna.
Senza esitare un momento solo, andò diritto verso Solomine.
— Son sicura, — cominciò, — che non sarete punto sorpreso di vedermi qui, a quest'ora. Egli (ed accennava a Nejdanow) vi avrà certo detto tutto.... Datemi la mano, e sappiate che avete davanti a voi una fanciulla onesta.
— Sì, lo so, — rispose serio Solomine. Era sorto in piedi al primo apparir di lei. — Fin da quando si stava a tavola, io vi guardavo e pensavo: che occhi onesti ha quella fanciulla!... Nejdanow mi ha parlato or ora del vostro progetto. Ma ditemi, perchè proprio volete lasciar questa casa?
— Perchè? e me lo domandate?... La causa, che io ho sposato.... non vi maravigliate.... Nejdanow non mi ha celato nulla.... richiede azione pronta ed energica. Forse fra pochi giorni l'opera s'inizia.... e volete ch'io resti qui, in questa casa signorile, dove tutto è falsità e menzogna?... Le persone che io amo saranno esposte al pericolo, ed io....
Solomine l'arrestò con un gesto.
— Non vi agitate.... Sedete, e mi metterò a sedere anch'io. Sedete anche voi, Nejdanow. Sentite, se non avete altro motivo che questo, non mette conto che andiate via ancora. La cosa non comincerà così presto come voi vi figurate. Un tantino di prudenza non guasta. Non c'è mica da gettarsi avanti a scavezzacollo.... Credetemi.
Marianna si mise a sedere e si avvolse in un ampio drappo, che s'era a caso gettato sulle spalle.
— Ma io non posso rimanere qui più a lungo! Qui, tutti m'insultano. Oggi, per la più corta, quella rimbambita di Anna Zacharowna, in presenza di Nicoletto, mi ha detto, facendo allusione a mio padre, che il frutto non cade mai lontano dall'albero!... Nicoletto, anzi, ha domandato che cosa significava questo.... Non parlo già di Valentina....
Di nuovo Solomine la interruppe, e questa volta sorrise.
Marianna capì ch'ei la canzonava un pochino; ma quel suo sorriso bonario non poteva mai offender nessuno.
— Ma che vi piglia, cara signorina?... Io non so chi sia cotesta Anna Zacharowna, nè di che frutto voi intendiate parlare.... Ma scusate: una donna stupida vi dice una stupida parola, e voi non siete buona a tollerarla? E come farete dunque per vivere? Tutto il mondo si regge precisamente sugli stupidi.... No, no! cotesto motivo non è buono. Ne avete forse qualche altro?
— Io ho il convincimento, — s'interpose Nejdanow con voce cupa, — che, se non oggi, domani, il signor Sipiaghin mi dà il ben servito. È certo che qualche cosa gli hanno detto: mi tratta ora nel modo più sprezzante.
Solomine si voltò dalla sua parte.
— Ebbene, se così è, perchè fuggire, visto che avete la sicurezza d'esser congedato?
Nejdanow stette un momento sospeso, non trovando da rispondere.
— Vi ho già spiegato, — cominciò.
Solomine intanto guardò Marianna e crollò la testa bonariamente.
— O cara signorina, ma se davvero anche voi volete lasciar questa casa, perchè v'immaginate che la rivoluzione è imminente....
— Gli è per questo che vi abbiamo pregato di venire, — interruppe ella, — per sapere a che ne stanno le cose....
— In tal caso, ve lo ripeto, voi potete ancora fermarvi qui, ed anche a lungo....
— Diteci dunque quel che s'ha da fare, — esclamò Marianna. — Poniamo pure che la rivoluzione sia ancor lontana.... Ma voi almeno indicateci quali sono i passi da fare, i quali certo sono impossibili in questa casa e in queste condizioni, ma che noi faremmo così volentieri, insieme.... Diteci solo dove bisogna andare.... Assegnateci il nostro posto....
— Ma dove? ma che posto?
— In mezzo al popolo naturalmente.
— Nella foresta, — pensò Nejdanow ricordandosi delle parole di Paclin.
Solomine guardò fiso a Marianna.
— Voi volete conoscere il popolo?
— Sì; cioè, non solamente conoscerlo, ma agire.... lavorare per il popolo.
— Sta bene: vi prometto di farvelo conoscere. Vi procaccerò anche il mezzo di agire, di lavorare.... E voi, Nejdanow, siete ben risoluto a votarvi.... a lei.... e al popolo?
— Risolutissimo — esclamò l'altro con prontezza.
E si risovvenne, nel punto stesso, delle parole caustiche di Paclin: “Giagrenat! Ecco il carro immane che si avanza.... Ne sento già il cigolio delle ruote”.
— Sta bene, — ripetette Solomine pensieroso. — Ma quand'è che avete l'intenzione di cominciare?
— Anche domani, se occorre.
— Zitto.... parlate più piano! — mormorò Nejdanow. — Qualcuno passa pel corridoio.
Tutti e tre tacquero un momento.
Solomine stese la mano e attentamente smoccolò la candela.
— Sentite, figliuoli miei, — riprese poi. — Venite da me, alla fabbrica.... Non ci si sta mica bene, ma sicuri. Nessuno verrà a cercarvi. Fate di arrivar fin là... e noi non vi tradiremo. Voi mi direte che in una fabbrica c'è troppa gente. Tanto meglio, rispondo io. Dove c'è folla, si fa più presto a nascondersi. Vi va?... eh?... Ho pure alla fabbrica il fatto vostro. Ho un mio vicino, un prete per nome Zosimo, pasta d'uomo eccellente, che m'è anche cugino. In quattro e quattr'otto, vi sposerebbe.
Marianna sorrise in silenzio. Nejdanow tornò a stringere la mano dell'amico, e poi domandò:
— Dite un po', e il padrone della fabbrica non vedrà la cosa di mal occhio?... Non avrete, per colpa nostra, delle noie?
— Non vi date pena per cotesto, — rispose Solomine, — purchè la fabbrica cammini a dovere, al mio principale non preme niente di tutto il resto. Non avrete nessuna specie di sopraccapi, nè voi nè la vostra cara signorina. In quanto agli operai, non temete di nulla. Prevenitemi però. Quando ho da aspettarvi?
I due innamorati si scambiarono un'occhiata.
— Doman l'altro, di buon mattino, o il giorno appresso, — rispose finalmente Nejdanow. — Non conviene indugiar più oltre. Di momento in momento, mi si può mandar via.
— Siamo intesi, — disse Solomine alzandosi. — Vi aspetterò tutti i giorni. E poi non mi allontanerò di casa per tutto il corso della settimana. In quanto a precauzioni, non dubitate, saran prese come si conviene.
Marianna, che avea fatto un passo verso la porta, tornò verso di lui.
— Addio, caro e buon Basilio Solomine…. È questo il vostro nome?
— Sì, questo.
— Addio.... cioè a rivederci! E grazie, grazie di tutto!
— Addio.... buona notte, figliuola mia!
— Addio anche a voi, Nejdanow! a domani! — soggiunse ella, e rapidamente si allontanò.
I due giovani rimasero per un po' di tempo immobili e silenziosi.
— Nejdanow, — cominciò alla fine Solomine, e subito si contenne. Poi, dopo un momento riprese: — Nejdanow, ditemi qualche cosa di quella fanciulla.... quel che potete, s'intende. Che vita è stata la sua fino adesso?... Chi è?... Perchè e come si trova qui?...
In brevi parole, Nejdanow gli narrò quanto sapeva.
L'altro, ascoltatolo con grande attenzione, disse alla fine:
— Sentite, amico.... Tenetene di conto.... vegliatela quella fanciulla.... Perchè.... se mai.... se qualche cosa accadesse.... sarebbe molto male da parte vostra.... Addio!
Ciò detto, si allontanò.
L'altro, rimasto alquanto in mezzo alla camera, balbettò:
— Ah! meglio non pensarci!...
E si gettò sul letto.
Marianna, rientrando in camera sua, trovò sul tavolino un biglietto così concepito:
“Ho pietà di voi. Voi correte
alla rovina. Riflettete. In quale abisso vi precipitate ad occhi
chiusi? E per chi? e a che scopo?
”
V.
Un profumo fresco e sottile era rimasto nella camera. Era evidente che la signora Valentina era uscita di là qualche momento prima.
Marianna prese la penna e scrisse in fondo allo stesso biglietto:
“Non mi compiangete. Dio sa chi
di noi due sia più degna di pietà. Di una cosa son certa, ed è che
non vorrei essere al vostro posto.
”
M.
Lasciò il biglietto sul tavolino, sicurissima che la risposta sarebbe capitata fra le mani di Valentina.
Il giorno appresso, dopo essersi rivisto con Nejdanow e aver definitivamente rifiutato le offerte del signor Sipiaghin, Solomine se ne tornò a casa sua.
Durante tutto il tragitto, non fece che pensare, il che di rado accadevagli, poichè il movimento della carrozza operava sempre sopra di lui come un sonnifero.
Pensava a Marianna, e anche a Nejdanow. Gli sembrava che se mai, per un caso, egli stesso, Solomine, fosse stato l'innamorato, avrebbe avuto tutt'altro aspetto, avrebbe agito e parlato altrimenti. “Se non che — si corresse subito dopo — siccome la cosa non m'è mai accaduta, non so davvero che aspetto sarebbe stato il mio”.
Si ricordò di una certa Irlandese, che avea visto un giorno in un magazzino, dietro il banco. Avea dei capelli nerissimi, meravigliosi, occhi azzurri, ciglia lunghe e folte. Lo guardava con una sua malinconia curiosa, interrogatrice: egli poi, a più riprese, era passato per quella via, davanti a quel magazzino, domandandosi con una certa agitazione: “Ne farò o non ne farò la conoscenza?”
In quel tempo, trovavasi di passaggio a Londra, mandatovi dal principale per far degli acquisti, e avea con sè parecchi denari.... Poco mancò che non rimanesse a Londra, rimandando il denaro al principale, tanto era stata forte l'impressione prodottagli dalla bella Polly.... (sapeva il suo nome: una delle compagne di magazzino l'avea un giorno così chiamata). Nondimeno, era riuscito a vincersi, ed era tranquillamente tornato a casa.
Polly era più bella di Marianna; ma questa qui avea quello stesso sguardo malinconico e interrogatore.... Ed era russa....
— Ma che è che mi piglia? — esclamò di botto a mezza voce. — Vedi un po' se m'ho da impensierire delle fidanzate degli altri!
Si diè una scossa al colletto del mantello, come se volesse scuotere nel tempo stesso tutti i vani pensieri. Arrivava appunto alla fabbrica, e sulla soglia apparivagli la figura del suo Paolo fedele.