XX.

— ruppe il silenzio Paclin. —

— domandò Nejdanow.

— borbottò Marchelow, —

Paclin crollò il capo.

— lo interruppe bruscamente Marchelow, —

E volgendosi a Solomine esclamò:

Solomine alzò prima una spalla, poi l'altra; come soleva fare quando esitava a rispondere.

— disse alla fine, —

Paclin lo minacciò col dito.

— ribattè allegramente Paclin; e si slanciò avanti a passo forzato, ovvero, com'egli stesso diceva a passo azzoppato.

— disse Solomine, che veniva dopo a braccetto di Nejdanow; —

Marchelow, chiuso in sè, camminava in coda.

Mentre tutto questo accadeva, nella casa di Goluschine si scalmanavano per dare un pranzo coi fiocchi. S'era preparato il brodo di pesce, molto grasso e molto cattivo; varii pasticci caldi e fricassee (Goluschine, che a dispetto della sua religione di vecchio credente, viveva sulle vette della civiltà europea, non ammetteva altro che la cucina francese: aveva preso il suo cuoco in un Circolo, dal quale il brav'uomo era stato mandato via per poca nettezza); e soprattutto un numero rispettabile di bottiglie di sciampagna erano state poste in ghiaccio.

Il padron di casa accolse i suoi invitati con le smancerie, la goffaggine, l'affaccendarsi, gli scoppi di risa che gli erano abituali: fu entusiasmato dell'arrivo di Paclin, come questi avea preveduto, e domandò solo:

Poi esclamò senza aspettar la risposta:

Raccontò poi di esser tornato testè da quell'originale del governatore, che lo tormentava sempre a proposito di non so che maledette istituzioni di beneficenza!...

In verità, era difficile definire di che cosa Goluschine fosse più contento: dell'onore di esser ricevuto dal governatore o del gusto di dir male di cotesto personaggio in presenza di giovani progressisti.

Fece in seguito la presentazione del promesso neofita, il quale era per l'appunto l'individuo azzimato, mezzo tisico, dal muso prominente, che era venuto la mattina stessa a parlare all'orecchio di Goluschine, e che questi avea chiamato Vassia: in una parola, il suo commesso.

— fece osservare Goluschine, —

E Vassia salutava, si faceva rosso, batteva le palpebre, sorrideva mostrando i denti, e tutto ciò in tal modo da non lasciare indovinare se s'avea da fare con un semplice idiota o con un furfante matricolato.

— esclamò l'anfitrione.

Tutti sedettero, dopo aver gustato largamente dell'antipasto.

Subito dopo il brodo di pesce, Goluschine fece mescere lo sciampagna, che somigliava a sego gelato.

— gridò Goluschine, strizzando l'occhio e indicando con un cenno del capo il domestico, come per fare intendere che, in presenza di un estraneo, la prudenza non era mai soverchia.

Il proselito Vassia seguitava a serbare un ostinato silenzio. Seduto sull'orlo della seggiola, dava a vedere in tutto il suo contegno una ossequiosa servilità, che poco, per verità, accordavasi con quelle convinzioni politiche e sociali, cui era devoto, secondo le parole del padrone, con tutto l'ardore dell'anima. Il silenzio non gli impediva del resto di bere disperatamente.... Gli altri invece discorrevano; o, per meglio dire, l'anfitrione e Paclin parlavano a gara, Paclin specialmente.

Nejdanow era preso da un vago dispetto. Marchelow era stizzito non meno che in casa dei Subocew, benchè diversamente; Solomine osservava.

Paclin, beninteso, si divertiva mezzo mondo! L'improntitudine dei suoi discorsi piaceva moltissimo a Goluschine, al quale non balenava nemmeno il più lontano sospetto che quel medesimo gambetorte bisbigliava ad ogni poco nell'orecchio di Nejdanow le più mordaci osservazioni sul conto di lui proprio, Goluschine! Prendeva anzi Paclin per un buon ragazzo, che si potea trattare dall'alto in basso, epperò appunto gli andava a sangue.

Se lo avesse avuto accanto, già da un pezzo gli avrebbe battuto sulla spalla e ficcato un dito nelle costole. Gli faceva dei segni attraverso la tavola, gli sorrideva, gli ammiccava. Disgraziatamente, ne era separato da Solomine e da quel funerale di Marchelow. Ad ogni parola del nuovo amico, si sbellicava dalle risa; rideva anche prima che quegli aprisse la bocca, si batteva sul ventre, metteva in mostra le brutte gengive azzurricce.

Paclin subodorò alla bella prima quel che da lui si voleva, e prese immantinente a dir male di tutto e di tutti, occupazione, del resto, che gli andava a pennello: dei conservatori, dei liberali, degli impiegati, degli uomini di toga, di spada, degli amministratori, dei proprietari, dei consiglieri provinciali e comunali di Mosca, di Pietroburgo, dell'universo intero.

— approvava Goluschine; —

— domandò Paclin.

— esclamò Goluschine confuso.

Goluschine ebbe un vero ruggito d'ilarità, e così lungo che le lagrime gli vennero agli occhi.

— balbettò poi a fatica, —

— pensò Paclin.

— gridò Goluschine, dopo un breve silenzio, —

— notò Paclin, —

E nel punto stesso bisbigliava a Nejdanow:

— urlò Goluschine, assumendo di botto un contegno pieno di gravità. —

— rispose il commesso, tracannando un bicchiere colmo di sciampagna.

Il padrone ingollò allo stesso modo.

— bisbigliò Paclin a Nejdanow.

— rispose questi.

Ma non era solo il commesso a bere. Il vino sciolse lo scilinguagnolo a tutti, e a poco a poco Nejdanow, Marchelow e lo stesso Solomine presero parte alla conversazione.

Nejdanow, prima degli altri, con un certo fastidio di sè stesso, perchè non sapea mostrar carattere, cominciò a dire essere ormai tempo di lasciar le vuote parole e di passare risolutamente nel campo dell'azione.

Parlò del terreno scelto, della base d'operazione; e, subito dopo, senza nemmeno sospettare di essere in contraddizione con sè stesso, domandò che gli si mostrassero gli elementi reali, serii, sui quali si poteva fare assegnamento.

Nessuno gli si oppose: non già che gli argomenti in contrario mancassero, ma perchè ciascuno seguiva la propria idea e parlava per proprio conto.

Marchelow facea rintronare la sua voce acre, stizzosa, monotona, in tante frasi taglienti e saltuarie.

— mormorò Paclin.

In quanto al nocciolo del suo discorso, non era facile tirarlo fuori. A momenti pronunciava la parola artiglieria, facendo forse allusione ai difetti che vi aveva scoperti. I tedeschi e gli aiutanti di campo furono anche più volte menzionati e vituperati.

Anche Solomine volle dir la sua. Fece osservare che c'è due modi di aspettare: —

— bofonchiò irritato Marchelow.

— ribattè Solomine, —

— urlò Goluschine con impeto feroce. —

Il commesso vuotò il bicchiere fino in fondo.

La discussione degenerò ben presto in quel che si chiama, nel linguaggio dei bevitori, torre di Babele. Fu un vero finimondo. A quel modo stesso che nell'aria ancor tiepida dell'autunno girano vorticosamente e si incrociano i primi fiocchi di neve, così, nella calda atmosfera della sala da pranzo di Goluschine, turbinavano, urtavansi, mescolavansi le parole: progresso, governo, letteratura, questione tributaria, questione religiosa, questione del feminismo, questione della giustizia; e poi classicismo, realismo, comunismo, nichilismo; e poi ancora internazionale, clericale, liberale, capitale, e poi finalmente amministrazione, organizzazione, associazione, evoluzione, e perfino cristallizzazione!

Goluschine pareva fuor di sè dall'entusiasmo. Quel trambusto era il suo ideale: non vedeva niente al di là!... Trionfava!

— pareva dire. —

Il commesso Vassia s'era a tal segno smarrito nella vigna del Signore, da fare dei lunghi discorsi al proprio piatto. Poi, invaso da una furia improvvisa, si mise a strillare come uno scottato:

Goluschine si raddrizzò di botto e, alzando la faccia pavonazza, sulla quale un sentimento di trionfo e di grossolana dominazione mescolavasi stranamente a una specie di segreta trepidazione anzi di terrore, urlò con tutta la forza dei polmoni:

— rispose Vassia a mezza voce. —

Paclin, pallido e sudato (da un quarto d'ora gareggiava di libagioni col commesso), si slanciò dal suo posto e, alzando le mani al disopra del capo, prese a declamare con enfasi:

Probabilmente, Goluschine non intese o non capì; può anche darsi che prendesse le parole dell'oratore per uno scherzo innocente, poichè tornò a ripetere:

E, cacciatasi la mano in tasca:

— gridò. —

Quando era un po' montato, parlava di sè come fanno i ragazzi, in terza persona.

Marchelow, senza dir verbo, raccolse i biglietti sparsi sulla tovaglia inondata di sciampagna. Dopo di che, non essendovi più motivo di fermarsi e l'ora anche essendo inoltrata, tutti si alzarono, presero i cappelli, e via.

Quando furono sulla via, ebbero tutti un po' di capogiro, specialmente Paclin.

— domandò con una certa difficoltà.

— rispose Solomine; —

Solomine si abbottonò il soprabito, si calcò in capo il berretto, accese un sigaro e si allontanò a passo accelerato.

— domandò Paclin a Nejdanow.

E così dicendo, indicava Marchelow, che se ne stava ritto, immobile, con le braccia incrociate sul petto.

E si avviò a lento passo, zoppicando, alla volta dell'oasi.

Marchelow e Nejdanow si diressero all'osteria, dove avean lasciato il tarantas, fecero attaccare, e mezz'ora dopo percorrevano di carriera la via maestra.

XXI.

Il cielo coprivasi di basse nuvole, e benchè l'oscurità non fosse completa e sul davanti della vettura biancheggiassero pallidi e incerti i solchi lasciati dalle ruote dei carri, pure, a destra e a sinistra, tutto avvolgevasi di ombra e i contorni dei varii oggetti fondevansi in larghe e fosche macchie. Era una notte cupa, malsicura. Soffiava il vento in folate saltuarie ed umide, pregne del sentor della pioggia e delle vaste pianure coperte di biada. Quando si fu oltrepassato un gruppo di quercie, che facea da segnale, convenne mettersi per una via traversa. Allora il viaggio divenne ancor più malagevole. Il sentiero angustissimo, a momenti, scompariva del tutto....

Il cocchiere mise i cavalli al passo.

— disse Nejdanow, che avea fin allora taciuto.

— rispose Marchelow. —

Marchelow non rispose verbo, stringendosi in sè nel suo cantuccio, quasi volesse nascondersi. Nejdanow non potea ben vederlo in viso; distingueva solo nell'ombra la linea nera dei baffi.... Se non che, fin dal mattino, sentiva nel suo compagno la presenza di qualche cosa, che meglio valeva non toccare.... una specie di sorda e segreta irritazione.

— cominciò, dopo aver aspettato un poco, —

Marchelow si raddrizzò.

— disse poi con voce tremula dall'ira contenuta, —

— domandò lentamente Nejdanow.

— gridò Marchelow, dimenticando affatto la presenza del cocchiere, il quale poteva benissimo udir tutto.

Per verità, in quel punto, il cocchiere era assai più impensierito della strada, che non dei battibecchi di coloro che gli sedevan dietro. Cauto, e anche forse un po' timido, s'ingegnava di tener a freno il cavallo di mezzo, il quale ostinatamente scoteva la testa e si gettava sulla groppa, portando il tarantas sopra una elevazione di terreno; che a quel posto non dovea essere.

— rispose Nejdanow.

Marchelow diè in una risata sforzata ed amara.

— si volse ad un tratto il cocchiere. —

Infatti, il tarantas s'era piegato tutto da una parte.

Marchelow prese le redini, che il cocchiere gli porgeva, e seguitò sempre a voce alta:

— disse Nejdanow; —

— proseguì Marchelow, facendo le viste di non aver udito le parole del compagno e parlando piano e con enfasi; —

L'ultima frase gli sibilò fra i denti come una sfida.

Seguì un silenzio.

Nell'oscurità profonda, Nejdanow si sentì diventar pallido e dei brividi corrergli per le gote. Fece uno sforzo violento per non balzare addosso a Marchelow e prenderlo alla gola....

— esclamò allegro il cocchiere, riapparendo presso la ruota diritta del quarto davanti. —

Si arrampicò, così dicendo, in serpe, riprese le redini, e diè una brava frustata ai cavalli. Il tarantas, dopo due o tre scossoni, rotolò più rapido e sicuro sulla via piana. Le tenebre parvero a poco a poco dissiparsi. Un poggio si disegnò poco discosto: un lume brillò e disparve; poi ancora un altro ed un altro…. Un cane incominciò a latrare.

— disse il cocchiere. —

I lumi, di momento in momento, si faceano più numerosi….

Nejdanow parlò finalmente, con voce misurata e decisa.

Marchelow stette un momento senza rispondere.

— esclamò ad un tratto con voce contenuta, ma con accento quasi disperato; —

Si diè d'un pugno nel petto, e questo parve rispondere con un gemito.

Non senza indecisione, Nejdanow gli porse la mano.

L'altro gliela strinse con tanta forza che poco mancò non gli strappasse un grido.

Il tarantas fece alto all'ingresso della casa.

— diceva Marchelow un quarto d'ora dopo nel suo scrittoio, —

Non gli dava ora che del tu; e in quella intimità fiduciosa verso l'uomo nel quale avea scoperto un rivale felice, verso l'uomo che testè avea mortalmente oltraggiato e che aveva bramato un momento di uccidere, di fare a brani, in quella intimità suonava una rinuncia irrevocabile, una preghiera umile e dolorosa, ed anche – strano a dirsi! – una specie di diritto.... E la prova che Nejdanow riconosceva cotesto diritto è ch'egli stesso, senza stento, prese a dargli del tu.

Parlava a bassa voce, seduto, col capo chino sul petto e le braccia penzoloni.

Nejdanow gli stava ritto davanti, immerso in una attenzione meditativa; e benchè l'altro si congratulasse della sua felicità, non si sentiva veramente felice nè ne aveva la cera.

— riprese a dire Marchelow, —

Si fermò in tronco. Era la prima volta che pronunciava il nome della donna amata, e quel nome pareva gli bruciasse le labbra.

— esclamò Nejdanow. —

— interruppe Marchelow, non senza un intimo sollievo dovuto all'esclamazione di Nejdanow. —

— pensò Nejdanow, —

— riprese Marchelow senza mutar di atteggiamento. —

Nejdanow non rispose.

(e, così dicendo, piegava un dito), (e piegava un altro dito) (e piegava il terzo dito)

Nejdanow fissò sul suo interlocutore uno sguardo interrogatore e pieno di dubbio; ma quegli, volgendo gli occhi in là, aggrottava le sopracciglia, si mordeva le labbra e si masticava i baffi.

— ripetette, battendo del pugno velloso e bruno sul ginocchio. —

Si alzò ciò detto, e strascicando, come se le gambe gli si fossero intorpidite, passò in camera da letto e ne tornò fuori subito dopo portando un ritrattino di Marianna coperto da un vetro.

— disse con voce malinconica ma sicura; — — (il ritratto fatto a matita e di profilo era infatti somigliante). —

La voce gli venne meno; il petto gli ansava forte.

Nejdanow prese il ritratto, ma uno strano sentimento gli stringeva il cuore. Parevagli non avere il diritto di accettar quel dono; e che forse, se Marchelow gli avesse letto nel fondo dell'anima, avrebbe esitato prima di offrirglielo.

Teneva in mano il cartoncino incorniciato di nero e non sapeva che cosa farsene.

— pensava.

Intendeva la grandezza del sacrificio; ma perchè a lui, proprio a lui?... Doveva forse respingerlo?... restituire il ritratto?... No! sarebbe stata ingiuria troppo crudele.... In fondo, poi, quel viso gli era caro, quella donna egli l'amava....

Non senza un certo turbamento, alzò gli occhi.... Temeva che l'altro lo osservasse, gli leggesse nella mente i pensieri.... Ma quegli, sempre con gli occhi volti in là, s'era rimesso a masticarsi i baffi.

Entrò in camera il vecchio servo con in mano una candela accesa.

Marchelow trasalì.

— esclamò. — — soggiunse battendogli sulla spalla. —

Il vecchio si turbò a tal segno che per poco non si lasciò cader di mano la candela. Fissava il padrone con uno sguardo più vago, più triste dell'usato.

Nejdanow si ritirò nella camera assegnatagli. Non si sentiva contento. La testa gli doleva sempre dal troppo vino bevuto; le orecchie gli zufolavano; gli balenavano gli occhi, per quanto si sforzasse a tenerli chiusi. Goluschine, il commesso Vassia, Tommaso, Eufemia, gli turbinavano davanti. Da lontano, quasi diffidente, la figura di Marianna non osava avvicinarsi.... Tutto ciò che avea fatto e detto, gli sembrava falso, menzognero, inutile, assurdo; e quel che urgeva di fare, la meta cui bisognava tendere, era nascosta, inaccessibile, sprofondata nelle viscere della terra....

A tutti i momenti, era tentato di alzarsi, di correre da Marchelow, di dirgli:

Di botto, quasi senza saperlo, gli venne fatto di esclamare:

Il giorno appresso partì di buon'ora.

Marchelow era già sulle scale, circondato dai suoi contadini. Se li avesse invitati o fossero spontaneamente venuti, Nejdanow ignorava.

L'addio fu secco e laconico.... Pareva però che qualche grave cosa dovesse comunicare alla sua gente....

Il vecchio servo era sempre lì, immobile, col suo sguardo pieno di tristezza.

Il tarantas uscì presto dalla città e, arrivato sulla via maestra, andò di gran carriera. I cavalli erano i medesimi; ma il cocchiere, sì perchè Nejdanow viveva in una casa ricca, sì per i suoi calcoli personali, contava sopra una generosa mancia.... E tutti sanno che quando il cocchiere ha bevuto bene o spera di bere, i cavalli vanno via come il vento.

La giornata, benchè un po' fresca, era una vera giornata di giugno. Il cielo azzurro era qua e là attraversato da nubi rapide e alte. Il vento soffiava assiduo e forte senza però sollevar polvere dalla strada rassodata sotto la pioggia caduta la vigilia.

I pioppi ondulavano e stormivano. Tutto era vita, moto, slancio.... Lo strido della quaglia, dalle remote colline, arrivava in note limpide e squillanti, che parevano avere anch'esse delle ali. I corvi luccicavano al sole, e sulla linea lontana dell'orizzonte vedevansi camminare come dei grandi insetti neri.... Erano i cavalli dei contadini che aravano il maggese.

Ma Nejdanow non aveva occhi per tutta questa scena.... Non si accorse nemmeno di essere arrivato alla villa di Sipiaghin, tanto era assorto nei suoi pensieri.

Trasalì nondimeno, quando vide il tetto della casa, il piano superiore, la finestra della camera di Marianna....

— disse fra sè, e un dolce calore gli ristorò il cuore, —

XXII.

Si rassettò in fretta, mutò di vestiti e andò a dare la sua lezione a Nicoletto.

Sipiaghin, nel quale s'imbattè in camera da pranzo, gli fece un saluto glaciale e cortese, domandò in punta di labbra se avesse fatto buon viaggio e passò nel suo scrittoio. L'uomo di Stato avea già risoluto nel suo spirito ministeriale che, terminate appena le vacanze, avrebbe rimandato a Pietroburgo quel precettore positivamente troppo rosso e che intanto non l'avrebbe perduto d'occhio.

— pensava; —

I sentimenti della signora Sipiaghin a riguardo di Nejdanow erano molto più accentuati ed energici. A dirittura, lo trovava insopportabile!... Non si era forse permesso, quel ragazzaccio, di offenderla?... Non si era ingannata Marianna, pensando che appunto la signora Sipiaghin avesse loro fatta la spia nel corridoio?... Sì, la gran dama non rifuggiva da simili mezzi. Durante i due giorni che il giovane era stato assente, ella non aveva avuto alcuna spiegazione con quella fraschetta della sua parente; ma a tutti i momenti le facea bene intendere di saper tutto, che non tanto era indignata quanto stupita, e che questo stupore sarebbe anche stato maggiore se non vi si fosse mescolato un senso di disprezzo e un granello di pietà….

Infatti, un disprezzo intimo e contenuto le gonfiava le guance, una specie d'ironia pietosa le faceva alzare le ciglia, mentre guardava Marianna e con lei discorreva.... Fissava gli occhi magnifici con una languida perplessità, con un disgusto melanconico, su quella fanciulla presuntuosa....

Povera Marianna!

Del resto, Valentina non parlò al marito della fatta scoperta; contentavasi di accompagnare le scarse parole che rivolgeva a Marianna in presenza di lui con un sorrisetto ambiguo, che col senso delle parole dette non avea nulla da fare.

A momenti, anche, era punta da un lieve pentimento per avere scritto al fratello. Ma, in fin dei conti, preferiva pentirsi e avere scritto al non aver motivo di pentimento....

Nejdanow non vide Marianna che di sfuggita, nella sala da pranzo, all'ora della refezione. La trovò pallida e smagrita. Non era, in verità, molto bella; ma la rapida occhiata che ella gli volse, al primo entrare, gli ricercò le più intime fibre del cuore.

In quanto alla signora Sipiaghin, lo andava guardando con espressione, come se mentalmente gli ripetesse di continuo: e, nel tempo stesso, s'ingegnava di leggergli in viso se Marchelow gli avesse o no mostrato la lettera.... Decise alla fine che sì....

Sipiaghin, informato che Nejdanow aveva visitato la fabbrica diretta da Solomine, incominciò ad interrogarlo intorno a quello stabilimento industriale assai interessante per tutti i riguardi. Ma, accortosi dalle risposte del giovane, che questi non avea visto o osservato niente, si chiuse in un maestoso silenzio, quasi rimproverando a sè stesso di aver solo sperato di cavar qualche informazione seria, concludente, da un soggetto così poco sviluppato.

Nel momento di uscire dalla sala da pranzo, Marianna riuscì a bisbigliare in fretta a Nejdanow:

Anch'ella gli dava del tu, come quell'altro.... E che dolcezza era in quella confidenza piena, improvvisa.... anche forse un po' strana! E come ora sarebbe stato impossibile ch'ella tornasse a dargli del voi, o che da lui si allontanasse!

Nejdanow sentiva che un tale evento sarebbe per lui stato una grande sventura....

Ignorava ancora se davvero ne fosse innamorato; sentiva però in tutto il suo essere che quella fanciulla gli era cara, intima, vicina, indispensabile.... soprattutto indispensabile.

Il boschetto, dove Marianna gli avea detto di attendere, era composto d'un centinaio di annose ed alte betulle, per la maggior parte piangenti. Il vento soffiava sempre impetuoso, i lunghi e sottili rami ondeggiavano, s'intrecciavano, torcevansi come treccie di capelli discinte: le nubi continuavano a correre rapide ed alte sul fondo azzurro del cielo, e quando una di esse passava davanti al sole, tutto intorno assumeva uno stesso colore grigiastro.... Ma la nuvola trascorreva via, e subito, nel punto stesso e dapertutto, tante chiazze di luce viva ricominciavano ad agitarsi, mobili, saltellanti, ad ora ad ora mescolandosi alle macchie d'ombra e lottando con esse. Il rumore e il movimento eran sempre quelli; ma vi si era aggiunta una giocondità di giorno di festa.

Così appunto, con la stessa gioconda violenza, irrompe la passione in un cuore agitato e involto nell'ombra.... E tale era il cuore che batteva in seno a Nejdanow.

Si appoggiò al tronco d'una betulla, e stette lì ad aspettare.

Che cosa sentisse, non sapea bene, nè gli premeva di indagare. Era più inquieto che non in casa di Marchelow, ma anche più sereno. Prima di tutto, volea vederla, parlarle.... Quel legame, che avvince insieme ad un tratto due creature viventi, lo avea già preso....

Gli sovvenne della corda che dal ponte di un battello gettano a riva, quando si è vicini all'approdo.... Eccola che si avvolge alla colonnina di granito, si stringe, si accorcia, e il battello si arresta....

È in porto!... Sia lodato Iddio!...

Di botto, trasalì....

Una veste muliebre appariva da lungi nel sentiero. Doveva esser lei, certo. Ma se venisse alla sua volta, o si allontanasse, non potea dire.... Notò però che le macchie di luce e d'ombra sfioravano la figura di lei dal basso in alto.... Dunque, si accostava, poichè, nel caso opposto, il movimento di quelle macchie sarebbe stato dall'alto in basso....

Ancora un minuto, due, ed ella era presso di lui, davanti a lui, accesa in volto, fiduciosa, con uno splendore vivo negli occhi, con un sorriso debole ma lieto sulle labbra.

Ei non potè articolar parola; gli falliva la voce.

Anche Marianna taceva. Dal cammino frettoloso ansava un poco; ma le si leggeva chiaro in viso quanto fosse felice della felicità e della commozione di lui.

Fu la prima a rompere il silenzio.

— disse, —

Nejdanow parve sorpreso di quella domanda.

Arrivarono in pochi passi a un posto dove un tronco di betulla, abbattuto dalla scure o da qualche uragano, giaceva per terra. Sedettero accanto.

— ripetette Marianna.

Ma subito, soggiunse:

— disse Nejdanow.

Tacque e si fece di fiamma, non già per vergogna, ma per un altro più forte sentimento.

— mormorò poi lentamente. —

Nejdanow cominciò la sua narrazione. Ella lo ascoltava intenta, muta, solo interrompendo quando lo vedeva affrettarsi e trascurare i particolari. Del resto, non tutti gl'incidenti della gita aveano per lei lo stesso interesse. La storiella dei due vecchietti la fece ridere, ma non le parve gran cosa. Quel loro modo di vivere era troppo lontano dalle sue idee.

— disse, —

Ma invece quel che Marchelow avea detto, quel che pensava perfino Goluschine (benchè subito avesse capito di che panni vestisse), che idea avea manifestato Solomine, che sorta d'uomo era, ecco le cose che volea sapere e che veramente le stavano a cuore.

Quando?... Era questa la domanda che le balenava ad ogni poco, e che le correva alle labbra, mentre Nejdanow parlava.

E questi pareva voler evitare tutto ciò che a quella domanda potesse dare una risposta positiva. Alla fine si accorse da sè che appunto insisteva e si dilungava sui particolari meno importanti, e che vi tornava mal suo grado.

Le descrizioni umoristiche destavano in lei l'impazienza; il tono dello sconforto e della disillusione la amareggiava.... Bisognava, secondo lei, trattar la questione faccia a faccia, discorrere soprattutto della causa. Su questo punto, nessun discorso parevale prolisso. Ciò ricordava a Nejdanow il tempo andato quando, non ancora studente e trovandosi in campagna con alcuni amici, aveva avuto l'idea di narrar delle fiabe ai bambini: nemmeno questi apprezzavano le descrizioni o lo svolgimento d'impressioni personali.... anch'essi domandavano azione, fatti!

Marianna non era già una bambina; ma dell'età infantile avea tutta la semplicità e la schiettezza dei sentimenti.

Nejdanow esaltava con gran calore Marchelow e si esprimeva con viva simpatia sul conto di Solomine.

Nel mezzo dei suoi discorsi pieni di entusiasmo, domandava però a sè stesso su che mai fondasse l'alta stima che per quest'uomo gli parea di aver concepito.... Infatti, Solomine non avea detto niente di molto notevole; e parecchie delle sue parole erano anzi state in perfetta contraddizione dei principi professati da Nejdanow....

— pensava questi, —

Tacque un momento, e restò assorto nelle sue riflessioni.

Ad un tratto, sentì che una mano gli si posava sulla spalla.

Alzò la testa. Marianna lo fissava con uno sguardo di tenera sollecitudine.

— gli domandò. —

Egli prese la mano poggiatagli sulla spalla e per la prima volta la baciò. Marianna ebbe un piccolo scoppio di risa, come stupita da una tale amabilità da parte di lui. Poi divenne anch'ella pensosa.

— domandò finalmente.

Stava sul punto di parlare del ritratto, ma si contenne, e disse solo:

Marianna ridivenne pensosa. Poi volgendosi di botto a Nejdanow sul tronco di betulla che serviva loro da sedile, vivamente domandò:

Nejdanow scrollò le spalle.

— pensò con dispetto).

Marianna lo guardò con aria interrogatrice.

— domandò Marianna di lì a poco.

Seguì la descrizione minuta, esatta di Solomine. Marianna stava a sentire, e guardava intenta al suo interlocutore. Poi disse, quasi parlando a sè stessa:

Queste parole commossero Nejdanow, il quale tornò a prenderle la mano e fece atto di baciarla.

— gli disse Marianna....

Nejdanow trasalì. Si rammentò infatti di aver dimenticato quei suoi tentativi poetici....

Marianna scosse la testa.

Egli le volse una rapida occhiata.

Marianna sorse in piedi di scatto.

— esclamò, accesa in viso di tutto lo splendore dell'entusiasmo, di tutto il fuoco dei sentimenti generosi; —

Tacque; ma lo sguardo fiso in un lontano orizzonte invisibile, fiammeggiava di audacia e di speranza.

Nejdanow s'inchinò verso di lei, umile, reverente.

— mormorò, —

Ella trasalì d'improvviso.

— esclamò, —

E così dicendo, aveva in viso una espressione così raggiante di giubilo, che Nejdanow, guardandola fisso negli occhi, non potè non sorridere, ripetendo in tono più basso! —

— proseguì Marianna, —

— esclamò Nejdanow, e la voce gli vibrava di commozione profonda, d'irrefrenabile riconoscenza. —

In quel momento, infatti, sarebbe andato senza volgersi indietro, dovunque ella lo avesse trascinato.

Marianna lo comprese, ed ebbe un sospiro di sollievo, di felicità piena e cosciente.

Tornarono insieme verso casa, pensosi, calmi, soddisfatti. L'erba novella piegavasi dolcemente sotto i loro passi leggieri; le giovani frondi stormivano tutt'intorno; le macchie mobili di ombra e di sole sfioravano, saltellando, i loro vestiti; e l'uno e l'altra godevano a quel giuoco rapido e cangiante della luce, alle gioconde folate della brezza, al fresco scintillìo del fogliame, alla propria gioventù, all'amore che raggiava loro dagli occhi.

XXIII.

L'alba incominciava già a biancheggiare all'orizzonte, quando Solomine, percorse allegramente le sue cinque verste dopo il pranzo in casa di Goluschine, bussò alla porticina della palizzata che circondava la fabbrica.

Il guardiano corse ad aprire e, accompagnato da tre enormi cani che dimenavano amichevolmente le code lanose, lo condusse, con riguardosa sollecitudine, fino al suo alloggio.

Era contento, si vedeva, di veder tornare sano e salvo il capo fabbrica.

I rapporti che esistevano tra Solomine e i suoi operai erano eccellenti, quantunque un po' diversi dai soliti. Tutti lo rispettavano come un loro superiore, e lo trattavano da pari a pari, come uno della famiglia. Agli occhi loro era però uomo di prim'ordine nella partita. — così fra loro ragionavano, —

Si ricordavano infatti gli operai, che un famoso industriale inglese era venuto un giorno a visitar la fabbrica; e sia perchè Solomine gli avea parlato in inglese sia perchè realmente ne apprezzasse le solide conoscenze, fatto sta che l'inglese più volte gli avea battuto sulla spalla e gli avea domandato ridendo se volea piantar la Russia e venirsene a Liverpool. Poi, voltosi agli operai, avea ripetuto, esprimendosi a modo suo: Lui, buona! aoh! molto buonissima! La cosa avea provocato le più grasse risate, ma solleticato anche l'orgoglio degli operai.

— dicevano, —

Il fatto è che veramente era dei loro, anima e corpo.

Il giorno appresso, Solomine fu destato a buon'ora del suo favorito Paolo, il quale, aiutandolo a vestirsi, gli andava parlando d'una cosa e dell'altra, dando varie informazioni e chiedendone. Poi, in fretta e furia, bevvero insieme il tè. Solomine, infilato alla diavola il suo vecchio camiciotto da lavoro, discese nella fabbrica, e la sua vita riprese a girare regolarmente come una ruota di macchina.

Ma una nuova fermata gli teneva in serbo la sorte.

Cinque giorni dopo il suo ritorno, Solomine vide entrare nel cortile della fabbrica un elegante carrozzino tirato da quattro splendidi cavalli. Di lì a poco, un lacchè in livrea color nocciuola, guidato da Paolo, gli consegnava solennemente una lettera con tanto di sigillo stemmato, da parte di Sua Eccellenza Sipiaghin.

La lettera, tutta pregna non già di profumi — oibò! — ma di uno speciale odore inglese molto distinto e non meno dignitoso — era scritta in terza persona, ma non mica da un qualunque segretario, bensì dal proprio pugno ministeriale del nobile signore del villaggio di Arjanoe. Questi, scusandosi innanzi tutto di rivolgersi ad uomo che personalmente non conosceva, ma del quale avea sentito far gli elogi nel modo più lusinghiero, si faceva lecito d'invitare a casa sua il signor Solomine, i cui suggerimenti poteano a lui, Sipiaghin, riuscire di somma utilità a proposito di una importante intrapresa industriale; e, nella speranza che il detto signor Solomine avrebbe la bontà di accogliere il suo invito, mandavagli il suo equipaggio, perchè se ne giovasse. Nel caso poi che il signor Solomine si trovasse nella impossibilità di allontanarsi per quel giorno, lo pregava di indicargli un altro giorno qualunque, a sua scelta, e allora egli, Sipiaghin, sarebbe stato felicissimo di metter di nuovo l'equipaggio a disposizione del signor Solomine.

Seguivano i convenevoli d'uso con a piedi una firma a svolazzo perfettamente degna di un ministro e assolutamente incomprensibile, beninteso, eccetto che da un iniziato.

Chiudevasi la lettera con un poscritto in prima persona:

Spero che non rifiuterete di venire a pranzo, senza cerimonie, in soprabito”.

Le parole senza cerimonie erano sottolineate.

Insieme con la lettera il lacchè color nocciuola, non senza una certa esitazione, presentò a Solomine un semplice biglietto, che non era nemmeno sigillato. Il biglietto, scritto da Nejdanow, conteneva queste poche parole:

Venite, ve ne prego. Si ha gran bisogno di voi, qui, e voi potete rendere un gran servigio, ma non già al signor Sipiaghin, s'intende”.

Leggendo la lettera di Sipiaghin, Solomine disse fra sè:

Ma, quando ebbe aperto il biglietto di Nejdanow, si grattò la nuca e, tutto irresoluto, si accostò alla finestra.

— domandò rispettosamente il lacchè color nocciuola.

Solomine stette ancora un poco presso la finestra; poi finalmente, scotendo i capelli e passandosi una mano sulla fronte, rispose:

Il lacchè uscì dignitoso dopo un inchino.

Solomine fece chiamar Paolo, discorse con lui, e corse di nuovo alla fabbrica. Indossato un soprabito nero dalla vita troppo lunga, cucito da un sarto del luogo, e messosi in capo un cappello a cilindro un po' rossigno, che gli conferì subito un contegno rigido e grave, montò nel carrozzino. Ma di botto gli sovvenne di non aver preso i guanti: chiamò a gran voce l'onnipresente Paolo, il quale si precipitò e gli portò in un baleno un paio di guanti di pelle di daino, da poco lavati, le cui dita allargate alla punta parevano altrettanti biscotti.

Solomine si cacciò i guanti in tasca, e disse che si potea partire. Subito il lacchè, con una energia non meno imprevista che inutile, balzò in serpe, il cocchiere correttissimo mise un piccolo strido in falsetto per incitare i cavalli, e l'equipaggio si scrollò.

Mentre Solomine era così trascinato verso la villa di Sipiaghin, l'uomo di Stato, seduto nel suo salotto con sulle ginocchia un opuscolo politico sfogliato a mezzo, discorreva con la moglie, a proposito del giovane meccanico e industriale.

Gli aveva scritto – così le andava spiegando – per tentare se non fosse possibile di sbarbicarlo dalla fabbrica del mercante di Mosca e di attirarlo nella propria, la quale andava male anzi che no, e avea bisogno di radicali trasformazioni.

Sipiaghin non ammetteva la più lontana possibilità che il giovane si rifiutasse di venire o soltanto rimandasse la cosa ad altro giorno, benchè nella lettera gli avesse offerto piena libertà di scelta.

— osservò la signora Valentina.

La signora Valentina atteggiò le labbra ad un sorriso.

— domandò Sipiaghin in francese, gettando, con un bel gesto rotondo, l'opuscolo sulla tavola.

— gli rispose la moglie.

Quando discorrevano in francese, si davano del voi.

— borbottò Sipiaghin. —

(e si batteva con le dita sulla fronte)

Questo secondo eh fu pronunciato in tono più nasale del primo.

Sipiaghin aggrottò le sopracciglia.

E accennò, così dicendo, a un cappello grigio, di ultima moda, posato sopra una mensoletta. Il cappello apparteneva il signor Colomeizew, arrivato ad Arjanoe fin dal mattino.

(e fece col capo un'indicazione vaga, che la moglie intese benissimo)

Sipiaghin si raddrizzò.

(questo eh?... era affatto diverso dai precedenti, pronunciato in un tono.... molto più basso).

Fatto sta che di precauzioni non ci fu bisogno niente affatto. Solomine non fu nè confuso nè intimidito.

Quando il domestico venne ad annunziarlo, Sipiaghin si alzò immediatamente, e pronunciò ad alta voce in modo da farsi ben sentire dall'anticamera:

Poi si diresse alla porta del salotto e si fermò dalla parte di dentro, aspettando.

Non appena Solomine ebbe varcata la soglia, il signor Sipiaghin (che per poco non ci aveva urtato) gli porse l'una e l'altra mano, e dimenando il capo a dritta e a sinistra, gli disse con un sorriso amabilissimo:

E lo condusse nel punto stesso verso la signora Sipiaghin.

— disse appoggiando dolcemente la mano sulla schiena di Solomine come per spingerlo verso la moglie.

(qui esitò un poco)

La signora Valentina si raddrizzò leggermente, alzò con molta grazia le belle palpebre, sorrise bonariamente al nuovo venuto come ad una vecchia conoscenza, ed infine gli porse la manina, con la palma in su, col gomito stretto alla cintola, la testa un po' chinata verso quella medesima manina, quasi domandasse una piccola elemosina.

Solomine lasciò che marito e moglie terminassero a piacimento tutte le loro graziose smancerie, strinse la mano a tutti e due e si mise a sedere al primo invito che n'ebbe.

Solomine gli domandò tutto sollecito se mai volesse prendere qualche cosa?... Ma no, di niente avea bisogno, ringraziava molto; la gita non lo avea punto stancato; si metteva a disposizione completa del signor Sipiaghin.

— disse questi con una certa esitazione, quasi temesse di essere indiscreto e non osasse prestar fede alla grande compiacenza del suo ospite, —

— rispose Solomine.

Si agitava molto più del suo ospite. Ripetette ancora una volta: e, con tutta la sua dignità di uomo di Stato, saltò fuori come uno scolaretto turbolento.

Mentre che il marito discorreva con Solomine, la signora Valentina avea sbirciato attentamente il nuovo giovanotto.

Tranquillamente seduto in poltrona, con le mani posate sulle ginocchia (i guanti non s'era deciso a calzarli), Solomine andava considerando con curiosità i mobili, i quadri, i gingilli intorno.

— pensava la dama elegante. —

Infatti, Solomine aveva un'attitudine semplice e schietta; non già come chi, sforzandosi di parer naturale, vuole che altri lo noti, ma come un uomo dai pensieri e dai sentimenti poco complicati, ma forti.

La signora Sipiaghin tentò d'intavolare una conversazione; ma, con sua grande sorpresa, durò una certa fatica per trovar le parole.

— pensò. —

Poi disse finalmente:

— rispose egli, —

— pensò ella in francese.

In quel punto stesso, riapparve il marito sulla soglia, col cappello in capo e un bastoncino in mano. Voltandosi a mezzo, pronunciò in tono deciso e soddisfatto:

Solomine si alzò, fece un inchino alla signora e tenne dietro al padron di casa.

— ripeteva Sipiaghin, come se si fossero trovati in una foresta vergine e che al suo compagno fosse indispensabile una guida.

— disse Solomine con calma, —

Sipiaghin volse un po' il capo, e lo guardò con una specie di spavento.

Nel momento che uscivano dalla casa, s'imbatterono in Colomeizew.

— domandò questi a Sipiaghin, gettando all'altro un'occhiata di sbieco. —

Sipiaghin sbarrò tanto d'occhi e scosse leggermente il capo per raccomandargli la prudenza.

Colomeizew fece uno o due cenni del capo quasi impercettibili, senza però voltarsi dalla parte di Solomine; questi, invece, guardò fiso la nuova conoscenza e una speciale espressione gli lampeggiò negli occhi semichiusi....

— domandò il gentiluomo di camera. —

Dal cortile uscirono sulla strada. Non ancora avean fatto una ventina di passi, che videro spuntare il prete della parrocchia, in sottana succinta, che se ne tornava adagino al presbiterio. Colomeizew si staccò dal gruppo, andò risoluto verso il prete, il quale non si aspettava a ciò ed ebbe quasi paura, gli domandò la benedizione, depose sulla mano di lui rossa e sudata un bacio sonoro, e, volgendosi a Solomine, lo fulminò di uno sguardo provocatore. Era evidente che del nuovo venuto sapea qualche cosa; e volea dare una buona lezione a quel plebeo che godeva fama di essere un pozzo di scienza.

— domandò Sipiaghin fra i denti.

Colomeizew raddrizzò la testa e tirò forte il fiato.

Arrivati alla fabbrica di carta, furono ricevuti da un capo operaio della Piccola Russia, dalla barba incolta e dai denti posticci, il quale avea preso il posto del direttore tedesco, definitivamente congedato da Sipiaghin. Non era che provvisorio; pareva assolutamente incapace; si limitava a ripetere ad ogni poco: ovvero: e sospirava profondamente.

Cominciò la visita della cartiera. Parecchi degli operai conoscevano Solomine di vista e lo salutarono. Egli disse anche ad uno di loro:

Non molto dovette stare a convincersi che l'azienda era mal diretta. Del denaro se n'era buttato via, ma a casaccio. Le macchine erano mediocri. C'erano molte cose inutili e superflue, mentre moltissime ne mancavano delle indispensabili.

Sipiaghin guardava fiso negli occhi a Solomine per indovinarne il pensiero. Tratto tratto, moveva qualche timida domanda. Almeno, questo gli premeva di sapere, dicesse franco se trovava che ci fosse dell'ordine.

— rispose Solomine, —

Sipiaghin, ed anche Colomeizew, sentivano che il giovane meccanico stava in quella fabbrica come a casa propria, che tutto gli era noto e famigliare, fin nei minimi dettagli. Egli metteva la mano sopra una macchina come il cavaliere posa la sua sul collo del cavallo; toccava con la punta del dito una ruota, e subito questa si arrestava o incominciava a girare; prendeva nel cavo della mano un po' della pasta cartacea, e immediatamente la pasta metteva a nudo tutti i suoi difetti.

Non diceva verbo, non guardava nemmeno al capo operaio che gli andava a fianco.

Uscì dalla fabbrica senza aver pronunciato una parola. Gli altri lo seguivano.

Sipiaghin non permise a nessuno di accompagnarlo.... Digrignò perfino i denti e battè del piede in terra. Era fuor di sè, si vedea chiaro.

— disse finalmente, —

— rispose Solomine; —

— venne su Colomeizew.

Solomine ebbe il suo sorriso franco o bonario.

— proseguì tranquillo Solomine, —

— esclamò Colomeizew, —

Colomeizew non rispose sillaba. Egli appunto apparteneva a cotesta razza recente di proprietari strozzini, cui già aveva accennato Marchelow nel suo colloquio con Nejdanow; e tanto era più disumano nelle sue esigenze quanto meno avea da fare direttamente coi contadini (ai quali, si sa, era interdetto l'ingresso al suo gabinetto), governati ed amministrati da uno speciale incaricato.

Ascoltando il discorso calmo e quasi indifferente di Solomine si sentiva bollir dentro.... Ma, per questa volta, stimò bene di non ribattere. Soltanto il movimento dei muscoli del viso, effetto della pressione delle mascelle, dava a conoscere quel che gli accadeva nell'animo.

— replicò Sipiaghin. —

Sipiaghin parlava egregiamente; la sua eloquenza avrebbe ottenuto un effetto enorme a Pietroburgo, in una sezione del ministero e anche in più alta regione; ma sull'animo di Solomine non fece la minima impressione.

— ripetette il meccanico.

— gridò quasi Colomeizew.

Colomeizew diè in una risata sarcastica.

Solomine continuava a sorridere.

(il gentiluomo fece un soprassalto udendo così storpiare il suo nome). —

Colomeizew rise ancor più forte.

— intervenne Sipiaghin, girando gli occhi intorno come se cercasse qualcuno. —

Cinque minuti dopo, Colomeizew, entrando come una bomba nel gabinetto della signora Valentina, gridava:

XXIV.

Prima di pranzo, Sipiaghin invitò la moglie nel suo scrittoio. Gli era indispensabile discorrere un po' con lei a quattr'occhi.

Sembrava molto impensierito. Le comunicò che la fabbrica, decisamente, andava a rotoli. In quanto a quel Solomine, gli pareva in verità un uomo intelligente, quantunque un pochino.... franco, tagliente. Bisognava in tutti i modi continuare ad esser con lui, come si suol dire, aux petits soins.

— ripetette due volte.

Della presenza di Colomeizew era molto seccato.

La signora Valentina gli fece osservare, non domandar di meglio che essere aux petits soins col novello ospite. Se non che questi, a giudicare dalle apparenze, non sentiva gran bisogno di cotesti petit soins, e ci badava poco.

— disse Sipiaghin, —

La signora Valentina promise d'ingegnarsi, e s'ingegnò. Prima di tutto volle avere un colloquio – en tête à tête – col signor Colomeizew. Non si sa bene quel che gli dicesse, ma certo è ch'ei venne a tavola con l'aspetto d'un uomo, il quale abbia giurato a sè stesso di starsene calmo e contegnoso, checchè potesse udire.

Questa anticipata rassegnazione gli dava una leggiera tinta di malinconia: ma, nel tempo stesso, una dignità veramente mirabile in ogni volger d'occhio o atteggiamento del capo.

La signora Sipiaghin presentò Solomine a tutte le persone della casa.... (egli considerò Marianna più attentamente degli altri), e lo fece sedere a tavola alla sua destra. Colomeizew prese posto a sinistra.... Spiegando il tovagliolo, strinse un poco gli occhi e sorrise, come per dire: .

Sipiaghin gli stava seduto dirimpetto e lo seguiva con gli occhi, non senza una certa ansietà.

Per effetto di una nuova disposizione dei posti, Nejdanow non era più vicino a Marianna; lo avevano messo in mezzo a Sipiaghin e alla vecchia Anna Zacharowna.

Marianna trovò il suo cartellino (era un pranzo di etichetta) sul suo tovagliolo tra Colomeizew e Nicoletto.

Il pranzo era servito mirabilmente; c'era perfino, davanti a ogni coperto, il menu, scritto sopra un fogliettino rabescato.

Subito dopo la minestra, Sipiaghin rimise in mezzo l'argomento della fabbrica, e, in genere, della produzione industriale in Russia. Solomine, secondo la sua abitudine, rispondeva breve e preciso. Non appena cominciava a parlare, Marianna prendeva a guardarlo fiso. Colomeizew, che le sedeva accanto, le rivolse varie amabilità (per evitare, a norma della promessa, d'impegnare una polemica); ma ella non gli badava gran fatto. Del resto, ei spifferava i suoi complimenti senza convinzione, per solo debito di coscienza, poichè sentiva d'istinto che un abisso insormontabile lo separava dalla giovinetta.

In quanto a Nejdanow, qualche cosa di peggio s'era frapposto improvvisamente tra lui e il padrone di casa....

Sipiaghin lo considerava ora come un mobile, o piuttosto come uno spazio vuoto; aveva a dirittura dimenticato che il giovane precettore esistesse.

Questa nuova situazione s'era così presto stabilita e completamente assodata che avendo Nejdanow pronunciato alcune parole per rispondere ad un'osservazione della vecchia Anna Zacharowna, Sipiaghin si voltò con grande stupore, quasi cercando di dove venisse quel suono.

Il nobile signore possedeva evidentemente varie delle qualità caratteristiche degli altolocati russi.

Dopo il pesce, la signora Valentina, che prodigava tutte le sue seduzioni a destra, cioè verso Solomine, disse in inglese al marito, attraverso la tavola:

Sipiaghin ordinò all'istante:

Ma Solomine, volgendosi con calma alla graziosa vicina:

— le disse, —

La signora Valentina lo assicurò, ridendo, che la precauzione era inutile, poichè non avrebbe udito sul suo conto che le cose più lusinghiere. In fondo, trovò un po' strana quell'uscita del giovane meccanico, ma delicata a modo suo.

Colomeizew non seppe contenersi più a lungo.

— cominciò, —

— ribattè Colomeizew, evitando di vedere i segni che Sipiaghin gli faceva. —

Quell'egregio mirava a rassicurare Sipiaghin, che pareva molto inquieto e si agitava sulla sedia.

Colomeizew sbozzò un sorriso di condiscendenza.

Colomeizew alzò appena una mano.

— gridò Sipiaghin con quanta n'aveva in gola; — — soggiunse a mezza voce.

Ma Colomeizew avea vinto il freno.

— disse, volgendosi di nuovo a Solomine, —

— intervenne Sipiaghin in tono imperativo. Capì esser venuto il momento di metter un argine, un freno, per dir così, e lo mise. Appoggiando il gomito del braccio destro sulla tavola e agitando in aria, di qua e di là, la mano del medesimo braccio, pronunciò un discorso lungo e particolareggiato. Da una parte, esaltò i conservatori, dall'altra appoggiò i liberali, dando una certa preferenza a questi ultimi, ai quali dichiarò di appartenere; lodò il popolo, non senza però metterne in evidenza i lati deboli; espresse una fiducia illimitata nel governo, ma domandò, dubitativamente, se tutti i subordinati si uniformassero alle sue paterne intenzioni?... Proclamò l'utilità e l'importanza della letteratura, facendo nondimeno osservare che una rigorosa moderazione era la condizione sine qua non della sua esistenza!... Volse gli occhi ad occidente; e n'ebbe prima motivo di giubilo, poi d'incerti timori; li volse all'oriente; n'ebbe una prima impressione di tranquillità, poi di speranza!... e finalmente, trascinato dal calore dell'improvvisazione, propose un brindisi alla triplice alleanza: religione, agricoltura, industria!

— soggiunse in tono severo Colomeizew.

— corresse Sipiaghin.

Seguì un momento di silenzio.

Lo spazio vuoto situato a destra dell'oratore (Nejdanow in altri termini), emise bensì una parola di dubbia approvazione; ma, non avendo destato l'attenzione di alcuno, tornò a chiudersi nel suo mutismo, e il pranzo, non disturbato da altre discussioni, toccò felicemente il suo termine.

La signora Valentina, col più seducente dei suoi sorrisi, offrì a Solomine una tazza di caffè. Egli non lo bevve, e già cercava con gli occhi il suo cappello, quando Sipiaghin, passandogli dolcemente la mano sotto il braccio, lo trasse nel proprio scrittoio, gli offrì un eccellente sigaro di Avana, e gli propose di venire a dirigere e amministrare la cartiera, nelle più vantaggiose condizioni.

Solomine accettò il sigaro, ma rifiutò la proposta.

Le sollecitazioni più calorose non valsero a scrollarlo.

Solomine ebbe a convenire che infatti la cosa non gli costava niente.... Nondimeno, uscendo dallo scrittoio, si rimise alla ricerca del cappello. Ma Nejdanow, col quale non ancora aveva avuto modo di scambiare una parola, gli si accostò e gli disse vivamente:

Solomine lasciò in pace il cappello. Del resto, in quello stesso momento, Sipiaghin che lo vedeva girare irresoluto pel salotto gli gridò:

— rispose Solomine.

Marianna, che trovavasi nel vano d'una finestra, gli volse un'occhiata di così profonda gratitudine, ch'egli ne divenne tutto pensoso.

XXV.

Prima di veder Solomine, Marianna se l'era figurato tutt'altro uomo. A bella prima gli parve una persona qualunque, poco meno che insignificante.... Decisamente, in vita sua avea visto molti uomini come lui, biondi, magri, muscolosi.

Se non che, quanto più l'osservava, quanto più lo udiva a discorrere, tanto più forte si sentiva germogliar dentro un sentimento di fiducia.... Sì, non era altro che fiducia.... Quell'uomo dall'aspetto tranquillo, non già impacciato ma grave e posato, non soltanto non poteva essere un mentitore o un ciarlatano, ma doveva esser tale da potervisi appoggiare come ad un muro di pietra....

Non era uomo da tradire: meglio ancora: dovea esser pronto a comprendere, e, magari, a prestar soccorso....

Parve anche a Marianna che lo stesso sentimento di fiducia destasse Solomine in tutti quanti gli astanti. Alle cose che diceva non attribuiva ella una speciale importanza; tutti quei suoi discorsi di fabbriche, mercanti, operai, ben poco la interessavano; ma quel che le piaceva moltissimo era il modo onde egli diceva quelle cose, lo sguardo e il sorriso con cui le accompagnava.

Era un uomo veritiero, ecco l'importante!... Ecco il carattere che l'attirava e la commoveva.

È notorio, benchè la cosa non s'intenda molto facilmente, che i russi son le persone più bugiarde sulla faccia della terra, e che niente amano e stimano tanto quanto la verità....

Inoltre, agli occhi di Marianna, Solomine era circonfuso d'una specie di aureola, per dato e fatto di Basilio Nicolaevic che lo raccomandava come persona sicura a tutti i proseliti.

Durante il pranzo, più volte Marianna avea scambiato delle occhiate con Nejdanow a proposito del nuovo commensale: e verso la fine si trovò, quasi senza avvedersene, a fare un confronto tra loro due, – confronto che non riuscì del tutto favorevole a Nejdanow.

Questi, in verità, avea più delicatezza e regolarità di lineamenti: ma esprimeva nel viso un misto dei più irrequieti sentimenti, dispetto, trepidazione, impazienza, e perfino sconforto. Sembrava, a vederlo, che stesse seduto sugli aghi, tentava di parlare, taceva di botto, rideva in modo nervoso....

Solomine, invece, produceva bensì l'impressione che si annoiasse un pochino, ma stava lì come a casa propria. Bastava guardarlo, per persuadersi che il modo suo di essere aveva un'impronta propria e non dipendeva niente affatto da quello degli altri.

— pensava Marianna, —

Era stata lei a mandargli Nejdanow, dopo il pranzo.

La serata trascorse languida anzi che no. Per buona sorte, il pranzo era terminato ad ora tarda, e poco mancava alla notte. Colomeizew se ne stava tutto contegnoso e muto.

— gli domandò con una punta scherzosa la signora Valentina. —

— rispose Colomeizew. —

La signora Valentina gli dichiarò che non lo avrebbe aiutato nelle ricerche.

Incoraggiato dal successo dello speech spifferato a tavola, Sipiaghin ne pronunciò un altro paio, mettendo sul tappeto alcune considerazioni politiche intorno alla urgenza di certi provvedimenti; si lasciò anche sfuggire una o due frasi.... des mots.... non tanto arguti quanto profondi, preparati e tenuti in serbo per Pietroburgo.... Volle anche ripetere una di coteste frasi, facendola precedere dalla formula: “se così è lecito di esprimersi”. Era a proposito di uno fra i ministri che trovavansi al potere, del quale disse che era uno spirito poco consistente e vano, sempre indirizzato a scopi chimerici e illusorii....

D'altra parte, non perdendo di vista di aver da fare con un Russo, con un uomo del popolo, Sipiaghin non trascurò di adoperare alcune espressioni, destinate a provare che egli stesso era un Russo in carne ed ossa, perfettamente informato dell'essenza costitutiva della vita nazionale.

Così, avendo Colomeizew fatto osservare che la pioggia potea danneggiare il raccolto del fieno, egli immediatamente ribattè con l'adagio:“Quando il fieno va a male, il frumento nero risale”. Citò anche vari proverbi, come per esempio:“La mercanzia senza il mercante è come un'orfanella” –“Misura dieci volte il drappo e taglia una volta sola” –“Quando c'è grano, non manca il moggio” – “Se a San Giorgio la betulla ha le foglie quanto un danaio, alla Madonna di Kasan puoi empire il granaio”.

Vero è che due o tre volte gli accadde d'imbrogliarsi dicendo:“Uccello che sta in gabbia, non canta per rabbia” ovvero: “Chi troppo abbraccia, ben si procaccia”...

Ma la società, in mezzo alla quale questi accidenti lo incoglievano, non sospettava nemmeno alla lontana che il nostro Russo puro sangue incespicasse; e del resto, grazie al principe Kovrijkine, si era già assuefatti a cosiffatti pasticci. Inoltre, Sipiaghin pronunciava adagi e sentenze con una voce speciale, forte, grossa, d'une voix rustique.

Tali sentenze, spacciate a tempo e luogo nelle società di Pietroburgo, facevano esclamare tutte le dame influenti e altolocate: Comme il connait bien les moeurs de notre peuple! Mentre gli altolocati dell'altro sesso soggiungevano: Les moeurs et les besoins!

La signora Valentina si dava un gran da fare intorno a Solomine. Si scoraggiava però all'insuccesso costante di quei graziosi tentativi. Passando davanti a Colomeizew, non potette fare a meno di dire a mezza voce:

Al che l'altro, facendo un inchino ironico, rispose:

Finalmente, dopo la solita recrudescenza di amabilità e di complimenti che precede il momento dell'accomiatarsi, in una compagnia dove la seccatura è stata grande; dopo le improvvise strette di mano, i sorrisi, i frettolosi bisbigli amichevoli, che l'uso impone, gli ospiti e i padroni di casa, egualmente stanchi, si separarono.

Solomine, cui era stata assegnata una delle più belle camere, se non la migliore, del secondo piano, con toilette all'inglese e stanza da bagno, andò a trovare Nejdanow.

Questi cominciò con grande effusione a ringraziarlo per avere consentito a rimanere.

— rispose Solomine con l'usata tranquillità. —

Nejdanow si mostrò non meno lieto che sorpreso. Solomine gli strinse forte la mano: poi si mise a cavalcioni di una seggiola, accese un sigaro, e con le gomita appoggiate sulla spalliera:

— disse, —

Anche Nejdanow si mise a cavalcioni d'una seggiola, ma non accese sigaro.

Solomine alzò la testa.

— esclamò Solomine, e stette un poco pensoso. —

Solomine sorrise.

Nejdanow aggrottò un poco le sopracciglia.

In quel punto, qualcuno picchiò all'uscio due colpi rapidi e discreti; e senza aspettare la risposta, l'aprì.

Era Marianna.

Senza esitare un momento solo, andò diritto verso Solomine.

— cominciò, — (ed accennava a Nejdanow)

— rispose serio Solomine. Era sorto in piedi al primo apparir di lei. —

Solomine l'arrestò con un gesto.

Marianna si mise a sedere e si avvolse in un ampio drappo, che s'era a caso gettato sulle spalle.

Di nuovo Solomine la interruppe, e questa volta sorrise.

Marianna capì ch'ei la canzonava un pochino; ma quel suo sorriso bonario non poteva mai offender nessuno.

— s'interpose Nejdanow con voce cupa, —

Solomine si voltò dalla sua parte.

Nejdanow stette un momento sospeso, non trovando da rispondere.

— cominciò.

Solomine intanto guardò Marianna e crollò la testa bonariamente.

.

— interruppe ella, —

— esclamò Marianna. —

— pensò Nejdanow ricordandosi delle parole di Paclin.

Solomine guardò fiso a Marianna.

— esclamò l'altro con prontezza.

E si risovvenne, nel punto stesso, delle parole caustiche di Paclin:

— ripetette Solomine pensieroso. —

— mormorò Nejdanow. —

Tutti e tre tacquero un momento.

Solomine stese la mano e attentamente smoccolò la candela.

— riprese poi. —

Marianna sorrise in silenzio. Nejdanow tornò a stringere la mano dell'amico, e poi domandò:

— rispose Solomine, —

I due innamorati si scambiarono un'occhiata.

— rispose finalmente Nejdanow. —

— disse Solomine alzandosi. —

Marianna, che avea fatto un passo verso la porta, tornò verso di lui.

— soggiunse ella, e rapidamente si allontanò.

I due giovani rimasero per un po' di tempo immobili e silenziosi.

— cominciò alla fine Solomine, e subito si contenne. Poi, dopo un momento riprese: —

In brevi parole, Nejdanow gli narrò quanto sapeva.

L'altro, ascoltatolo con grande attenzione, disse alla fine:

Ciò detto, si allontanò.

L'altro, rimasto alquanto in mezzo alla camera, balbettò:

E si gettò sul letto.

Marianna, rientrando in camera sua, trovò sul tavolino un biglietto così concepito:

Ho pietà di voi. Voi correte alla rovina. Riflettete. In quale abisso vi precipitate ad occhi chiusi? E per chi? e a che scopo?

V.

Un profumo fresco e sottile era rimasto nella camera. Era evidente che la signora Valentina era uscita di là qualche momento prima.

Marianna prese la penna e scrisse in fondo allo stesso biglietto:

Non mi compiangete. Dio sa chi di noi due sia più degna di pietà. Di una cosa son certa, ed è che non vorrei essere al vostro posto.

M.

Lasciò il biglietto sul tavolino, sicurissima che la risposta sarebbe capitata fra le mani di Valentina.

Il giorno appresso, dopo essersi rivisto con Nejdanow e aver definitivamente rifiutato le offerte del signor Sipiaghin, Solomine se ne tornò a casa sua.

Durante tutto il tragitto, non fece che pensare, il che di rado accadevagli, poichè il movimento della carrozza operava sempre sopra di lui come un sonnifero.

Pensava a Marianna, e anche a Nejdanow. Gli sembrava che se mai, per un caso, egli stesso, Solomine, fosse stato l'innamorato, avrebbe avuto tutt'altro aspetto, avrebbe agito e parlato altrimenti. — si corresse subito dopo —

Si ricordò di una certa Irlandese, che avea visto un giorno in un magazzino, dietro il banco. Avea dei capelli nerissimi, meravigliosi, occhi azzurri, ciglia lunghe e folte. Lo guardava con una sua malinconia curiosa, interrogatrice: egli poi, a più riprese, era passato per quella via, davanti a quel magazzino, domandandosi con una certa agitazione:

In quel tempo, trovavasi di passaggio a Londra, mandatovi dal principale per far degli acquisti, e avea con sè parecchi denari.... Poco mancò che non rimanesse a Londra, rimandando il denaro al principale, tanto era stata forte l'impressione prodottagli dalla bella Polly.... (sapeva il suo nome: una delle compagne di magazzino l'avea un giorno così chiamata). Nondimeno, era riuscito a vincersi, ed era tranquillamente tornato a casa.

Polly era più bella di Marianna; ma questa qui avea quello stesso sguardo malinconico e interrogatore.... Ed era russa....

— esclamò di botto a mezza voce. —

Si diè una scossa al colletto del mantello, come se volesse scuotere nel tempo stesso tutti i vani pensieri. Arrivava appunto alla fabbrica, e sulla soglia apparivagli la figura del suo Paolo fedele.