XXVI.

Il rifiuto di Solomine punse nel vivo il signor Sipiaghin, il quale ebbe subito a riconoscere che cotesto Stephenson da dozzina non era poi quel prodigio di meccanico che si diceva, e che, se pur non posava, in tutti i casi faceva lo schifiltoso e si dava importanza da quel vero plebeo che era.

Sotto l'influenza di queste impressioni ingrate e irritanti, l'uomo di Stato in erba guardò Nejdanow sempre più dall'alto in basso.

A Nicoletto mandò a dire che lo dispensava intanto dalla lezione, poichè doveva a poco a poco abituarsi a far da sè.... Nondimeno, il precettore non fu congedato, come temeva. Si seguitò, come prima, a non accorgersi di lui, a far le viste d'ignorarne l'esistenza.

In compenso, la signora Valentina non ignorò quella di Marianna.

Fra le due donne seguì una scena terribile.

Circa due ore prima del pranzo, il caso le fece trovare da sole a sole nel salotto. Ciascuna capì all'istante che l'ora dell'urto inevitabile era suonata....

Dopo un momento di esitazione, si andarono incontro lentamente.

La signora Valentina sorrideva appena: Marianna stringeva forte le labbra. Tutte e due erano pallidissime.

Traversando il salotto, Valentina guardava di qua e di là, strappava una foglia di geranio.... Gli occhi di Marianna erano inchiodati su quel viso sorridente che le si avvicinava.

La signora Sipiaghin fu la prima a fermarsi; e battendo il tamburo con la punta delle dita sulla spalliera d'una seggiola:

— prese a dire con affettata disinvoltura, —

La signora Valentina tacque. Non s'udiva nel salotto che il lieve percuotere delle dita sulla spalliera della seggiola.

— domandò Marianna, moderando la voce.

L'altra scrollò le spalle.

Marianna si faceva sempre più pallida.

— pensò la signora Valentina, ma si contenne. Poi, a voce alta:

La signora Valentina cadde in una poltrona, come schiacciata dal peso di cotesto medesimo disgusto.

Marianna sorrise per la prima volta.

La signora Valentina si raddrizzò.

(non senza malignità furono pronunciate queste ultime parole).

Marianna si volse un poco in là.

La signora Valentina si alzò bruscamente.

(voleva dire: davanti a Dio! ma si corresse)

La signora Valentina battè palma a palma.

— soggiunse ella, mutando di tono, e cercando di attirare a sè la sua interlocutrice; ma questa diè un passo indietro.

Marianna la guardava intenta.... Guardava a quegli splendidi occhi, e quelle labbra rosee leggermente dipinte, e quelle bianchissime mani, a quelle dita un po' slargate tutte adorne di anelli, che la bella signora premeva con tanta espressione al busto della sua veste di seta....

Di botto, cedendo all'impeto dell'ira, la interruppe:

La signora Valentina staccò le dita dal busto.

La signora Valentina scosse la testa di qua e di là con impazienza e ricadde a sedere.

La signora Valentina balzò sulla poltrona.

— interruppe con voce cupa Marianna. —

La signora Valentina alzò la mano destra, nella quale teneva una pezzuola di batista ornata in angolo d'una bella cifra e tutta profumata d'ylang-ylang; fece atto di parlare; ma l'altra non gliene diè tempo e proseguì con impeto irrefrenabile:

(Marianna tremava tutta come in un accesso di febbre). —

— balbettò la signora Valentina. —

Ma già Marianna non era più padrona di sè.

— gridò con voce strozzata la signora Valentina, battendo del piedino in terra.

Marianna fece un passo verso la porta.

Uscì, ciò detto, mentre l'altra slanciavasi dalla sua poltrona come per inseguirla.... Voleva gridare e piangere.... sfogare in qualche modo.... Ma da dire non trovò niente e da piangere non le venne.

Si contentò di farsi vento con la pezzuola; ma il profumo acuto che ne esalava contribuì a darle una più fiera irritazione di nervi. Si sentiva infelice, offesa…. Confessava a sè stessa che una particella di vero c'era pure in quanto testè aveva udito. Ma come mai s'era potuto giudicar di lei con tanta crudeltà, e soprattutto con tanta ingiustizia?...

— pensò.

Si mirò in uno specchio, sospeso tra due finestre. Il terso cristallo le mandò il riflesso di un visino grazioso, benchè un po' alterato e chiazzato di rosso, e di due occhi magnifici, vellutati.

— ripetette. —

Ma, a questo punto, il marito entrò ed ella tornò a nascondere la faccia nella pezzuola.

— gli domandò con sollecitudine. —

Aveva inventato per lei questo vezzeggiativo, e non lo adoperava che a quattr'occhi e specialmente in campagna.

La signora Valentina si scusò sulle prime, affermando di non aver niente; ma, alla fine, voltandosi sulla sua poltrona con un movimento pieno di grazioso abbandono, gli appoggiò le mani alle spalle (egli era in piedi, chinato sopra di lei); nascose il visino un'altra volta nella pezzuola e gli narrò tutto per filo e per segno, sincerissimamente, senza rigiri, senza secondi fini.... Tentò perfino, se non di scagionare Marianna, almeno di scusarla fino ad un certo punto; imputò tutta la colpa all'età giovanile, al temperamento ardente, ai difetti della prima educazione; in una certa misura, ed anche senza alcun secondo fine, accusò sè stessa....

Il marito l'ascoltò fino in fondo con interesse e indulgenza, ed anche con una sfumatura di severità; se ne stette curvo, fino a che ella non ebbe ritirato le mani e sollevata la testa; la chiamò angelo, la baciò in fronte, le dichiarò che sapeva oramai quale linea di condotta eragli tracciata dalla sua qualità di padrone di casa, e si allontanò come si allontana un uomo di sentimenti umani, ma energico, il quale si prepari a compiere un dovere increscioso, ma necessario....

Fra le sette e le otto, dopo il desinare: Nejdanow, chiuso in camera sua, scriveva all'amico Siline.

“Mio caro Vladimiro, ti scrivo nel momento d'una decisiva trasformazione nella mia esistenza. Sono stato congedato da questa casa; vado via....
“Ma questo sarebbe niente.... Vado via non io solo. Viene con me quella fanciulla, di cui già ti scrissi. Tutto ci unisce: la somiglianza dei nostri destini, la conformità dei principii, delle aspirazioni, infine la reciprocità dei sentimenti. Infine, noi ci amiamo.
“Ma io mentirei, se ti dicessi che non sia preso da una segreta trepidazione, che non abbia in fondo al cuore una strana angoscia.... Davanti a noi tutto è tenebra, ed è incontro a questa tenebra che noi due ci spingiamo insieme. Non ho bisogno di spiegarti quale meta sia la nostra, quale attività ci siamo addossata. Marianna ed io non cerchiamo la felicità, la vita dolce ed agevole; noi vogliamo invece la lotta, e l'affronteremo in due sostenendoci a vicenda. Vediamo ben chiara, ben definita la meta; ma per quali vie la si debba conseguire, ignoriamo.
“Troveremo noi, se non simpatia e soccorso, almeno la possibilità di agire?... Marianna è una fanciulla eccellente, onesta.... Se è destino che si perisca, non mi farò alcun rimprovero di averla trascinata nel mio vortice, poichè infatti non vi era più per lei altra esistenza possibile. Eppure, caro Vladimiro, non ti nascondo che un gran peso ho sul cuore.... Il dubbio mi tormenta, non già riguardo ai miei sentimenti per lei.... oh no!... ma, non so! Soltanto, oramai è troppo tardi, e tornare indietro non si può.
“Tu, di lontano, fa voti perchè si abbia pazienza e forza di sacrifizio, ed augura a tutti e due la pazienza, l'abnegazione e la forza di amarci.... soprattutto la forza di amarci.... E tu, popolo russo, che noi non conosciamo, ma cui siam devoti con tutto il nostro essere, col miglior sangue del nostro cuore, accoglici.... senza troppa indifferenza, e insegnaci quel che da te si debba attendere!
“Addio, Vladimiro, addio!”

Scritte queste poche righe, Nejdanow se n'andò verso il villaggio.

La notte seguente, ai primi albori del giorno, egli attendeva sul margine del bosco di betulle, non lungi dalla villa del signor Sipiaghin. Un po' indietro, attraverso il verde fogliame d'un cespuglio di nocciuoli, vedevasi una vettura da contadini, con attaccativi due cavalli senza morso. Sotto il sedile, formato di corde intrecciate, dormiva un vecchietto canuto, sopra uno strato di fieno, col capo nascosto in una cacciatora rattoppata.

Nejdanow teneva fisi gli occhi dalla parte della strada, verso i filari di salici che limitavano il giardino.... L'ombra della notte stendevasi ancora tutt'intorno; qua e là, nel profondo azzurro del cielo, tremolava e impallidiva una stella. Lungo gli orli delle nuvole sparse nell'aria come fiocchi di lana, arrivava dalla parte di oriente un bagliore grigio rosato, e dallo stesso punto arrivava anche il freddo pungente del mattino.

Di botto, Nejdanow trasalì e stette in ascolto. Poco lontano, una porta di giardino avea cigolato, e poi si era richiusa; una delicata figura di donna, avvolto il capo in uno scialle, con in mano un piccolo involto, emerse pianamente dall'ombra immobile dei salici sulla polvere molle della via e, traversata questa in punta di piedi, si diresse verso il bosco. Nejdanow le andò incontro.

— mormorò.

— suonò basso una voce di sotto lo scialle.

— disse Nejdanow prendendola pel braccio che portava l'involto.

Ella si strinse in sè, come presa da un brivido.

Si accostarono alla vettura, e fu destato il contadino. Questi sorse in piedi, s'infilò la cacciatora, balzò sul sedile, e raccolse le redini. I cavalli si riscossero, l'automedonte li calmò con voce roca e assonnata.

Nejdanow fece prender posto a Marianna sulla rete di corde, dopo avervi piegato sopra, a guisa di cuscino, il proprio mantello.... Le avviluppò i piedi in una coperta, poichè il fieno era un po' umido; le si sedette accanto, e poi, chinatosi verso il contadino, gli disse piano:

I cavalli, nitrendo e scotendo le criniere, si mossero; e la vettura, balzando sulle piccole ruote sgangherate, andò via di corsa.

Nejdanow sosteneva Marianna per la vita. Ella, scostandosi il fazzoletto dal viso, si volse a lui.

— rispose il contadino —

Ce n'era già tanta infatti, che il mozzo delle ruote sfiorando i fili d'erba, ne facea schizzare sprazzi di perle; e tutt'intorno il verde dei prati luccicava come di acciaio brunito.

Marianna si strinse tutta in sè, colta da un brivido.

— ripetette. —

XXVII.

Solomine, cui si corse ad avvertire che un signore e una signora erano arrivati in vettura e domandavano di vederlo, si slanciò verso la porta della fabbrica.

Non domandò ai nuovi venuti come stessero in salute; salutò frettoloso con qualche cenno del capo; ordinò al contadino cocchiere di entrare nel cortile e guidandolo direttamente fino al proprio padiglione, aiutò Marianna a smontare.

Nejdanow saltò a terra dopo di lei.

Solomine fece loro traversare un lungo corridoio oscuro, e per un'angusta scaletta li menò al secondo piano in una parte remota del fabbricato. Aperta una porticina, entrò con essi in una cameretta con due finestre, discretamente arredata.

— disse, sorridendo come sempre ma con più aperta cordialità. —

E strinse loro la mano. I due giovani stavano immobili, senza togliersi i vestiti da viaggio, e guardavano diritto davanti tra stupiti e contenti.

— disse Solomine. —

Marianna mostrò il fagotto che aveva in mano.

— disse Nejdanow, —

Solomine aprì la porta.

— chiamò forte verso la scala. —

— rispose la voce dell'onnipresente.

Solomine tornò verso Marianna, che s'avea tolto lo scialle e si sganciava la mantiglia.

— domandò.

(non osò aggiungere, chi sa perchè? in mezzo al popolo),

— soggiunse a mezza voce.

— rispose Paolo, —

— spiegò Solomine, —

Marianna gettò la mantiglia sopra un divanetto di cuoio in un angolo della camera. —

Il costume di color bruno, in drap de dame, era semplicissimo; ma, tagliato da una buona sarta di Pietroburgo, disegnava elegantemente la vita e le spalle di Marianna: era, insomma, alla moda.

Marianna gli porse vivamente le mani.

— gli disse guardandolo con affetto.

Solomine le carezzò dolcemente la mano.

Marianna e Nejdanow restarono soli.

Ella si slanciò verso di lui, e guardandolo come già avea guardato Solomine, ma con uno sguardo più giocondo, più tenero, più luminoso:

— gli disse, —

Nejdanow le prese le mani e se le strinse al petto.

Passò nella camera contigua e si tirò dietro la porta. Poi, un minuto dopo, aprendo un poco e sporgendo il capo:

— disse. Dopo di che, scomparve di nuovo, e si udì la chiave stridere nella toppa.

Nejdanow andò alla finestra, guardò nel giardino.... e senza saper perchè, fissò gli occhi intenti in un vecchio albero contorto e intristito.

Si riscosse poi, si stirò nelle membra, aprì la sacca da viaggio, e senza nulla prendervi, si mise a pensare.

Di lì a poco ricomparve Marianna, gaia, svelta, ravvivato il colorito dall'acqua fresca. E subito dopo Tatiana, la moglie di Paolo, portava il samovar, che è il bricco pel tè, le tazze, la panna e dei panini bianchi.

Tatiana faceva un contrasto perfetto con la figura zingaresca del marito: era una Russa vera e propria, robusta, bionda, bianca, senza niente in capo, con una larga treccia attorcigliata intorno a un alto pettine di osso. Lineamenti grossolani, ma piacenti; occhi grigi, buoni e pieni di franchezza. Indossava una veste d'indiana, un tantino sbiadita ma in buono stato; aveva le mani nette e belle, benchè grosse.

Entrando, fece un inchino tranquillo, disse con voce ferma e chiara: e si diè a disporre sulla tavola il bricco, le tazze e tutto il resto.

Marianna le si avvicinò.

Lo sguardo persistente di Tatiana la turbò a segno che non potè compir la frase.

— le domandò Tatiana con la sua voce tranquilla.

— ripetette Marianna. —

Nejdanow si mise a ridere.

— domandò Tatiana, mentre con le grosse mani andava pulendo le tazze, e con un sorrisetto arguto sulle labbra.

— rispose Marianna, —

Tatiana rialzò la testa.

nota 8

Tatiana si mise a sedere, e incominciò a prendere il tè come sogliono i Russi, cioè rigirandosi fra le dita un pezzetto di zucchero cui mordeva di tanto in tanto, strizzando l'occhio e piegando un po' il capo.

Alle domande della signorina rispondeva senza timidezza; interrogava; raccontava. Parlò di Solomine come di un nume, e al marito assegnò il primo posto, immediatamente dopo il capo-fabbrica. Nondimeno, la vita della filanda le pesava assai.

— diceva, —

Marianna ascoltava con attenzione, nè di ciò stupiva Nejdanow, seduto poco discosto, poichè per la giovanetta tutto ciò avea l'attrattiva del nuovo. In quanto a lui, gli pareva di aver visto e udito delle centinaia di donnicciuole sul tipo di Tatiana.

— disse Marianna a un certo momento, —

Marianna stette un momento in silenzio.

— riprese poi a dire, —

Tatiana stupì.

Tatiana posò la tazza nella sottocoppa, con l'apertura in giù.

— disse alla fine sorridendo; —

Qui, guardando a Marianna, la vide che con le dita si andava arrotolando una sigaretta.

(E accennava alla sigaretta).

Marianna gettò la sigaretta dalla finestra.

Infatti, si udì di fuori la voce di Solomine.

— rispose Marianna.

— disse Solomine entrando. —

— domandò Nejdanow, venendo fuori dal suo cantuccio.

— rispose Marianna.

— disse Nejdanow.

— riprese Solomine, —

— osservò Nejdanow, —

— domandò Nejdanow.

Marianna e Nejdanow restarono di nuovo soli.

XXVIII.

Cominciarono, come la prima volta, dallo stringersi forte le mani. Poi Marianna esclamò:

E si diè a tirar fuori gli effetti dalla sacca da viaggio e dalla valigia.

Volle far da sè, perchè, diceva, bisognava assuefarsi a servire. Attaccò infatti qua e là i vestiti a dei chiodi che avea trovati nella tavola e che conficcò nelle pareti per via d'una spazzola. Mise la biancheria in un vecchio cassettoncino che era tra le due finestre.

— esclamò ad un tratto; —

Ella si mise a ridere, e tornò al suo lavoro, scotendo i vestiti e battendoli col palmo della mano. Cacciò sotto il canapè due paia di stivali. Alcuni libri, un fascio di carte e il famoso quaderno delle poesie, furono solennemente disposti sulla tavola in angolo, a tre piedi, che ella battezzò per tavolino da lavoro e scrivania in opposizione all'altra che era rotonda e che fu chiamata tavola da pranzo.

Ciò fatto, prese a due mani il quaderno poetico, lo alzò fino agli occhi e guardando Nejdanow di sopra all'orlo orizzontale, gli disse sorridendo:

Inutile ogni protesta. Scappò in camera sua, tornò a mani vuote, sedette accanto a Nejdanow, e subito tornando ad alzarsi:

— disse. —

Nejdanow la seguì.

La camera era alquanto più piccola dell'altra; ma i mobili li aveva più puliti e moderni. Sulla finestra era un vaso di cristallo con fiori. Nell'angolo, un letto di ferro.

— diss'ella. —

Tornarono nella camera di prima e di nuovo sedettero accanto. Fecero l'elogio di Solomine, di Tatiana, di Paolo; parlarono di Sipiaghin, della vita passata, scomparsa ad un tratto come in una nebbia: si strinsero le mani, scambiando sguardi raggianti; poi toccarono delle nuove classi nelle quali dovean penetrare e del modo da tenere per non destar diffidenza.

Nejdanow assicurò che, per meglio riuscire, bisognava non pensarci.

— approvò Marianna, —

Marianna lo interruppe con uno scroscio di risa.

Nejdanow rise anch'egli; poi divenne pensoso. E così pure Marianna.

— diss'ella alla fine.

Nejdanow ebbe un sorriso sforzato.

Marianna sorse in piedi.

— disse.

Nejdanow arrossì e si volse un po' in là.

Nejdanow si slanciò.

Ella volse il capo e alzò stupita le ciglia.

La parola gli era sfuggita.

— balbettò lentamente Marianna; —

Gli porgeva, così dicendo, l'involto; ma così male egli lo prese, che la carta si aprì.

— esclamò Marianna. —

Nejdanow le narrò ogni cosa. Marianna guardava un po' a lui, un po' al ritratto.... E tutti e due avevano un vago sentimento, che diceva loro:

Ma il pensiero non fu formulato.... forse perchè ciascuno dei due lo leggeva nello spirito dell'altro.

Marianna rinvoltò il ritratto nella carta e lo posò sulla tavola.

— mormorò. —

Marianna abbassò gli occhi e abbandonò in grembo le braccia.

— esclamò ad un tratto. —

Tatiana apparve, coi tovaglioli e i piatti. Mettendo la tavola, narrò quanto era accaduto alla fabbrica.

— esclamò Marianna.

— rispose Tatiana. —

I due giovani si misero a tavola. Tatiana sedette nel vano d'una finestra, facendo d'una mano sostegno alla guancia.

— riprese a dire. —

— disse Nejdanow. —

domandò Marianna per mutar discorso.

Tatiana guardò Nejdanow, poi Marianna, e stette muta.

Per la seconda volta, per mutar discorso, Marianna ricordò a Tatiana che avea rinunziato a fumare, del che Tatiana la lodò assai. Poi riprese a parlare del suo costume, e ricordò a Tatiana la promessa fattale d'insegnarle un po' di cucina.

Tatiana rispose che tutto sarebbe eseguito appuntino; e difatti uscì subito dalla camera col suo passo fermo e sicuro.

— disse Marianna; e, senza aspettar la risposta: —

Dopo un po' di resistenza, Nejdanow cedette e prese a leggere forte i versi del quaderno.

Marianna, sedutagli accanto, lo guardava in viso.

Come avea promesso, fu severa nei suoi giudizi. Varie poesie le dispiacquero. Preferiva le più brevi, di carattere lirico, senza la morale in fondo.

Nejdanow leggeva male: da una parte non osava declamare, dall'altra volea cansare la freddezza; insomma, nè carne nè pesce.

Marianna lo interruppe ad un tratto:

Nejdanow non se ne ricordava.

E con intonazione un po' enfatica, Marianna recitò:

E sia, morrò! L'idea mi turba poco....
Solo un timor lo spirto accoglie in sè,
Che la morte non voglia un crudel gioco,
Per dileggio, compir sopra di me!

Temo che sulla gelida mia salma
Non versi le sue lagrime il dolor;
Che in uno zelo stupido dell'alma
Qualcun non m'orni la bara di fior!

Che non tragga spontanea e mesta folla
Di fidi amici dietro il cataletto;
Ch'io non diventi sotto la mia zolla
Triste argomento di devoto affetto.

Che tutto quanto con la brama ardente,
Ma sempre invano, osai vivo sperar,
Non venga con un riso seducente
L'assi della mia bara a consolar!...

Nejdanow notò che la poesia era troppo amara e dolorosa.

— soggiunse, —

— disse lentamente Marianna.

E levati gli occhi al soffitto, stette pensosa, e poi mormorò come fra sè:

Nejdanow si volse vivamente.

Nejdanow sorrise.

Marianna gli diè un colpettino sulla mano, chiamandolo cattivo. Poco dopo, disse di essere stanca e che se n'andava a dormire.

— soggiunse scotendo i brevi capelli crespi, —

Uscì; ma pochi minuti appresso, sporse il capo dalla porta socchiusa e disse piano:

Si udì stridere la chiave. Nejdanow cadde a sedere sul divano e si nascose fra le mani la faccia. Poi, di botto si alzò, andò alla porta chiusa e battè con le nocche delle dita.

— suonò la voce di Marianna.

— rispose dolcemente la voce.

XXIX.

Il giorno appresso, di buon mattino, Nejdanow tornò a bussare alla porta di Marianna.

— disse. —

Uscì, e mandò un grido di sorpresa, quasi non lo avesse riconosciuto, tanto egli era trasformato.

Indossava una vecchia giacchetta di tela giallognola, dalla vita lunga e tutta bottoncini; era pettinato alla foggia russa, con la scriminatura nel mezzo; portava annodato al collo un fazzoletto turchino; in mano, un berretto dalla visiera rotta; ai piedi un par di stivali di pelle di vitello, grezzi e senza tintura.

— esclamò Marianna, —

Poi, gettategli le braccia al collo, lo abbracciò con più calore:

— cominciò Nejdanow, più che mai impacciato e mortificato. Si sentiva talmente a disagio in quel suo costume, che badava solo a passarsi le mani sul petto come per spolverarsi. —

— domandò con vivacità Marianna, —

— interruppe la fanciulla.

— proseguì egli senza badarle. —

Nejdanow non rispose.

— riprese Marianna.

Marianna volse intorno uno sguardo inquieto.

— si annunziò la contadina, entrando in camera con un fagotto sotto il braccio. —

Marianna le corse incontro.

— rispose l'altra trionfante e battendo della mano sul fagotto. —

E Marianna se la trasse dietro nell'altra camera.

Rimasto solo, Nejdanow andò su e giù con passo grave e strascicante, figurandosi, chi sa perchè, esser quello il passo dei piccoli borghesi; fiutò con un certo riguardo prima una manica del vestito, poi l'interno del berretto, e fece boccaccie: si mirò in uno specchietto attaccato accanto alla finestra, e crollò la testa, riconoscendo pur troppo di non esser bello....

— pensò.

Scelse poi alcuni opuscoli, se li cacciò in tasca, e si studiò di pronunciare varie parole come le adopera il popolino, in tono ruvido e confidenziale.

— disse. —

Si ricordò, a questo proposito, di un tal Tedesco, obbligato a fuggire attraverso la Russia e che parlava malissimo la lingua del paese. Avea comprato ad una fiera un berrettaccio da rivendugliolo, orlato di pelo di gatto; e doveva appunto a quel berrettaccio la fortuna di aver potuto afferrare il confine e mettersi in salvo.

In quel punto, entrò Solomine.

esclamò, —

— osservò Nejdanow con un ghigno beffardo.

Solomine ebbe il suo solito sorriso aperto ed ingenuo.

Queste due ultime esclamazioni gli erano strappate dall'improvviso apparir di Marianna sulla soglia della sua camera. Indossava una vesticciuola di cotonina fiorata, più volte lavata, un fazzoletto giallo sulle spalle, un altro rosso in capo. Tatiana, che veniva dopo, la contemplava con occhio bonario.

Vestita così semplicemente, la fanciulla pareva più fresca e più giovane.

— diss'ella supplichevole, e facendosi rossa come un papavero.

— esclamò Tatiana, battendo le mani. —

— pensò Nejdanow, —

— proseguì Tatiana, —

— disse Marianna.

Tatiana sospirò.

— disse Solomine, il quale intanto, chinato un po' il capo da una parte, non avea smesso di guardar Marianna; —

Marianna, non ancora rimessa dal suo turbamento, sedette; e così fecero Nejdanow e Solomine. Tatiana prese posto sopra un ciocco di legna che stava ritto.

Solomine stette a guardarli l'un dopo l'altro, e canticchiò, strizzando gli occhi:

Indietro tiriamci
Per meglio vedere....
Oh, com'è piacevole
Lo starsi a sedere!

Poi diede in un sonoro scroscio di risa, ma con tanta franchezza, che nessuno se n'ebbe a male, anzi tutti si misero di buon umore.

Ma, ad un tratto, Nejdanow si alzò.

— disse risoluto: —

— insinuò Tatiana.

Tatiana crollò il capo.

— riprese Nejdanow, allontanandosi.

Ma non aveva ancora toccato la soglia, che gli sorse davanti Paolo, sbucando improvviso dall'ombra del corridoio, e gli presentò una lunga mazza dalla scorza incisa a spirale.

— disse; —

Nejdanow prese la mazza ed uscì, seguito da Paolo.

Tatiana fece anche atto di alzarsi; se non che Marianna le si accostò e la trattenne.

Tatiana uscì.

Solomine si alzò anch'egli e restò in fondo alla camera.

Quando finalmente Marianna si voltò dalla sua parte, un po' sorpresa di non udirgli pronunciare una sola parola, vide nel viso di lui, in quegli occhi che la fissavano, un'espressione nuova d'inquietudine, d'interrogazione, quasi di curiosità.

Si turbò e tornò ad arrossire. E Solomine, quasi gli rimordesse di essersi lasciato leggere nell'anima, prese a parlare con voce più forte dell'usato:

(e accennava alle vesti che aveva indosso)

Gli occhi della fanciulla lampeggiarono.

— esclamò ella scrollando le spalle. —

Solomine la guardò fiso ed a lungo.

Solomine crollò dolcemente il capo.

Marianna alzò gli occhi, che aveva abbassati.

Solomine sorse in piedi.

Solomine si accostò alla porta, che separava le due camere, e si chinò sulla serratura.

— gli chiese Marianna.

— mormorò ella.

Solomine le si volse, e la vide sempre con gli occhi bassi.

— disse allegramente, —

E fece atto di uscire.

— e, così dicendo, Solomine prendeva le manine delicate della fanciulla fra le sue mani grosse e ruvide. —

Immobile e ritta, Marianna lo seguì con gli occhi, mentre quegli si allontanava, e stette un momento pensosa....

Poi se n'andò da Tatiana, che non aveva ancora portato il bricco. Bevve una tazza di tè; ma non si rifiutò a dare una mano alla cucina, a rassettare, a spazzare.... e perfino a ravviare i capelli arruffati d'un marmocchio.

All'ora del desinare, tornò in camera sua; nè ebbe ad aspettar molto l'arrivo di Nejdanow.

Stanco, coverto di polvere, questi si gettò, appena entrato, sul divano.

Ella corse a sedergli accanto.

Il giovane le rispose con voce fioca:

— domandò Marianna.

— disse Marianna per consolarlo. —

Nejdanow la guardò fiso, tanto che più volte ella si interruppe confusa.

Dopo desinare gli propose la lettura di un romanzo di Spielhagen. Ma non ne avea letto una pagina, ch'egli si alzò di botto, andò verso di lei e le cadde ai piedi. Ella si raddrizzò, ritraendosi, mentre Nejdanow, abbracciandole le ginocchia, le diceva di voler morire.... Non si mosse, non resistette. Sottomettevasi tranquilla alla stretta violenta, e lo guardava dall'alto con un'espressione calma, quasi carezzevole. Gli posò le mani sul capo, che febbrilmente egli cacciava nelle vesti di lei. Ma quella stessa calma potè su di lui più di qualunque resistenza. Si alzò e disse:

Uscì. Marianna si chiuse in camera sua.

XXX.

Quindici giorni dopo, a quel medesimo posto, Nejdanow, chino sul suo tavolino a tre gambe, scriveva al suo amico Siline. La notte era inoltrata, e solo la fiamma vacillante di una candela di sego rischiarava la camera. Sul divano, per terra, erano sparsi i vestiti inzaccherati e gettati via a caso ed in fretta. Una pioggerella ostinata batteva contro i vetri della finestra. Un vento tiepido soffiava a momenti sui tetti, mandando dei lunghi gemiti.

“Mio caro Vladimiro,
“ti scrivo senza mettere indirizzo, anzi consegno la lettera a un fattorino perchè la imposti ad un ufficio lontano di qua. La mia presenza in questo paese è un segreto; tradire questo segreto, sarebbe lo stesso che perdere un'altra persona con me. Ti basti sapere che mi trovo in una grande fabbrica, in compagnia di Marianna, già da due settimane. Siamo fuggiti dalla casa di Sipiaghin lo stesso giorno che ti scrissi. Siamo qui ospitati da un amico, che chiamerò Basilio; un uomo tutto cuore, e che è capo della fabbrica stessa. La nostra dimora qui è soltanto temporanea. Aspettiamo, per muoverci, il momento di agire. Vero è che, secondo tutte le apparenze, questo momento è di là da venire. Mio caro Vladimiro, io mi sento triste, oppresso, da non poterne più!
“Prima di tutto, ho da confidarti una cosa. Benchè andato via insieme con Marianna, siamo sempre, ella ed io, come fratello e sorella. Ella mi ama, e mi ha detto che sarà mia, se.... se io mi sentirò in diritto di esigerlo. Però io non posso e non voglio ingannare una donna che ha piena fede in me e nella mia onestà. So che non ho mai amato, e che mai amerò altra donna più di quanto ami lei. Ma tant'è! come potrei aver cuore di legar per sempre il suo destino al mio?... legare una creatura viva e vitale a un cadavere, o almeno a un uomo mezzo morto! Che direbbe la mia coscienza?... Tu mi risponderai che se la passione fosse più forte, la coscienza tacerebbe. Ma il fatto è che io sono un cadavere; un cadavere onesto, se mai, e pieno di buone intenzioni. Non dire, te ne scongiuro, che queste son le mie solite esagerazioni.... Tutto quanto ti dico è verità sacrosanta, indiscutibile. Marianna è una creatura dall'indole molto severa, costretta.... In questo momento, è tutta assorta nella causa, in cui ha cieca fede.... Ed io intanto....
“Ma lasciamo andar l'amore, i sentimenti personali e simili grullerie.
Sono già due settimane e più che io mi accosto al popolo, e sarebbe difficile escogitare una occupazione più balorda di questa. Certo, la colpa è tutta mia. Io non sono slavofilo, io non son di quelli che si educano per via del popolo, che si rifanno al contatto di questo elemento ingenuo e gagliardo.... Io non me lo applico sul ventre come un cataplasma di seme di lino.... No, io voglio invece essere attivo, influire da me su cotesto popolo, inspirarlo, guidarlo.... Ma come? ma che mezzo ho alle mani? ma che forza è la mia?...
“Fatto sta che quando mi trovo in mezzo alla gente minuta, non son buono che ad ascoltare ed osservare; ma per poco che si tratti di aprir bocca, non mi raccapezzo più! Sento da me tutta la mia insufficienza. Mi par di essere un pessimo attore costretto a recitare una parte superiore ai suoi mezzi.
“Un sentimento di buona fede, un morso di coscienza, mi sorprende sul più bello; e poi il dubbio, e poi anche un disgraziato istinto satirico che io ritorco contro me stesso.
“Tutto questo, tu lo intendi, val meno di niente! Non ti so dire che nausea mi prenda a vedermi così infagottato come sono, così mascherato, secondo l'espressione di Basilio!
“Dicono che bisogna incominciare dallo studiare la lingua del popolo, dal conoscerne i costumi, le abitudini.... Ciò è falso, falsissimo. Fede vuol essere, fede in sè stesso, nei propri principii, e poi si parli come vien viene!
“M'è accaduto di udire una specie di sermone spifferato da un profeta di quelli che chiamano dissidenti.
“Che filatessa! che pasticcio di citazioni bibliche, di frasi volgari, d'idiotismi! che scellerata pronuncia!... E poi sempre a gracchiare la stessa antifona a proposito di non so che spirito che lo aveva invasato....
“Se non che, aveva gli occhi come carboni ardenti, la voce sonora e profonda: stringeva le pugna; pareva fuso in bronzo quell'uomo lì! Gli astanti non ne capivano un'acca: eppure come pendevano dalle sue labbra! come andavano in estasi! come gli correvano dietro acclamando!
“Io invece, quando comincio a parlare, mi fo l'effetto di un colpevole che supplichi perdono!... Farsi dissidente.... e perchè no? La scienza loro si fa presto ad impararla.... ma la fede, la fede, dove prenderla?...
“Marianna, quella sì che ha la fede! Appena albeggia, è già in piedi e al lavoro. Passa il suo tempo con Tatiana, una brava donna, piena di buon senso, che ci ha messo affezione a tutti e due.
“E con lei Marianna è sempre attiva, e si dà attorno, e non trova requie, paziente e ostinata come una formica.
“È tutta lieta che le mani le divengano rosse e incallite, e aspetta, di momento in momento, di salire il patibolo, se occorra!... Ed io, quando mi provo a parlarle dei miei sentimenti, provo una specie di vergogna; mi pare di stendere la mano sulla proprietà altrui.... E poi quello sguardo!... Oh! quel terribile sguardo, sottomesso, disarmato, che sembra dire:
“Il che viene a dire, in altri termini: Indossa un camiciotto d'operaio e va in mezzo al popolo!... Ed è precisamente quel che io faccio.
“Oh! come maledico allora la mia natura nervosa, i miei sensi troppo raffinati, la mia impressionabilità, i miei facili disgusti, tutta questa incresciosa eredità di un padre aristocratico! Che diritto aveva egli di gettarmi nella vita, dandomi degli organi in perfetta disarmonia col mondo nel quale ero destinato a vivere? Dare alla luce un uccello e scagliarlo nell'acqua! Partorire un esteta e cacciarlo nel fango! Creare un amico del popolo, un democratico, cui il solo odore dell'acquavite provoca la nausea e poco meno che il vomito!...
“Ecco a che ne sono: a biasimar mio padre e a pigliarmela con lui. Eh! se sono un democratico, la colpa è tutta mia, ed egli non ci ha che vedere.
“Sì, Vladimiro, io non mi sento in me. Mi assalgono a momenti idee nere, cattive....
“Ma, mi domanderai tu, possibile mai che per quindici giorni di fila non ti sia capitato fra i piedi qualche cosa di consolante, un essere qualunque, sia pure ignorante, ma leale, vivo, virtuoso?
“Che dirti? Non nego che la cosa sia accaduta.... Mi sono anzi imbattuto in un ragazzo eccellente, natura schietta ed energica. Ma ho un bel fare io, con tutti i miei opuscoli!... si vede che non gli servono a niente. Paolo, uno degli impiegati della fabbrica (uomo accorto e intelligente, che è il braccio dritto di Basilio, e che col tempo sarà uno dei capi.... credo già di avertene parlato), ha un amico contadino. Si chiama Elisario.... bel nome, non è vero?... uno spirito limpido, indipendente, senza doppio fondo; ma non appena si comincia a discorrere insieme, pare che un muro si elevi tra lui e me! Mi guarda tranquillo, sicuro, con un'espressione che dice chiaro: —
“Ce n'è anche un altro, che ho incontrato, un uomo impetuoso, tutto fuoco. — “Non tante frasi inzuccherate, caro signore,” m'ha detto: “una sola parola! sei disposto, sì o no, a darci tutti i poderi tuoi?” — “Eh via! gli ho risposto, come ti salta in mente che io sia un signore, un proprietario?” (Mi ricordo anche di aver soggiunto: Che Dio ti benedica!) — “Ma se tu sei del popolo, ha ribattuto, se sei anche tu un povero diavolaccio, a che servono tanti discorsi?... Non ci rompere le tasche, fammi il piacere!
“Un'altra cosa mi è venuto fatto di osservare: se qualcuno ti sta a sentire con interesse e non si fa pregare per accettar gli opuscoli, puoi giurare ch'è un cattivo arnese o una testa vuota. Accade anche d'imbattersi in qualche buon parolaio, che la pretende ad uomo saputo, e la cui scienza consiste a ripeterti mille volte una parola, una frase favorita. Uno di costoro m'ha intronato con la sua produzione! Checchè io dicessi, rispondeva sempre: — Sicuro! proprio così! la produzione! Che il diavolo se lo pigli!...
“Ancora un'osservazione.... Ti ricordi forse che, parecchio tempo addietro, si parlò molto degli uomini soverchi, dei così detti Amleti.... Ebbene, figurati che adesso se ne trovano perfino fra i contadini, con un carattere speciale, beninteso.... La maggior parte sono infermicci. Soggetti interessanti, però, che ti stanno a sentire molto volentieri; ma per l'azione, non valgono proprio niente, e somigliano in tutto e per tutto agli Amleti di una volta.
“Che fare dunque? Fondare una tipografia clandestina? Ma a che servirebbe?... Di opuscoli ne abbiamo anche troppi. Ce n'è di quelli che dicono al contadino: “Fatti il segno della croce e impugna la scure!” ed altri che dicono soltanto: “Prendi la scure!” lasciando la croce da parte. Scrivere novelle a tesi, tratte dalla vita popolare?... È probabile che non si troverebbe nemmeno a stamparle....
“O bisogna davvero impugnar la scure?... Ma contro chi, con chi, perchè?... Perchè un soldato del governo vi tiri addosso con un fucile del governo?... Non sarebbe, in fondo, che un suicidio un po' più complicato dei soliti. Se ne fossi a questo, preferirei ammazzarmi da me. Almeno, avrei la scelta del modo, dell'ora, del posto preciso dove appoggiare la canna della pistola.
“In verità, mi pare che se scoppiasse ora, in un paese o nell'altro, una guerra popolare, io correrei ad arrolarmi, non già per liberare Tizio o Cajo (liberare gli altri, quando noi stessi non siamo liberi!), ma per farla finita una buona volta!
“Il nostro amico Basilio, quello che ci ha dato ospitalità, è davvero un uomo felice. È dei nostri, ma che serenità è la sua! che posapiano! Se fosse un altro, lo caricherei d'ingiurie. Ma lui no, non posso. Tutto insomma è questione di carattere, non già di principii. Basilio ha un carattere, come si suol dire, tutto d'un pezzo. E ha ragione, perbacco!
“Molte e molte ore le passa con Marianna e con me. E vedi caso strano! Io amo Marianna e ne sono amato, (non sorridere, ti assicuro che è la pura verità), eppure non trovo di che cosa discorrere con lei, mentre poi con Basilio ella parla, discute, ascolta. Non sono geloso neppur per ombra. Basilio si studia di trovarle un posto; almeno ella lo sollecita di ciò tutti i momenti: ma quando li guardo, son subito preso da una profonda amarezza.
“Eppure, non avrei che da dire una parola e il padre Zosimo entrerebbe subito in iscena, e si canterebbe: Isaia rallegrati!nota 9 – e tutto quel che segue. Ma non per questo mi sentirei più felice, nè di mutato vi sarebbe nulla di nulla. La mia situazione è senza uscita! Ah sì! la vita mi ha scorciato, come soleva dire, ti ricordi?... quel beone del nostro sarto, lamentandosi di sua moglie.
“Del resto, sento che la cosa non andrà per le lunghe. Una novità quale che sia deve accadere.
“Non ero forse io che domandavo per primo l'azione immediata? non ho io forse dimostrato in mille modi che urge metter fuoco alle polveri?... Ebbene, il momento arriva, non dubitare!
“Non so se t'ho parlato d'un altro camerata, un uomo bruno e forte, parente di Sipiaghin.... Costui ci prepara forse una certa minestra, che non sarà facile mandar giù.
“Volevo finir la mia lettera; ma, che vuoi! checchè faccia, non mi libero della versomania! A Marianna non leggo le mie poesie, perchè non le piacciono. Tu invece le lodi qualche volta, e, soprattutto, non ne parli mai a nessuno. Io era stato colpito da un fatto singolare, da un fenomeno, comune a tutta la Russia.... Ma, insomma, senza preamboli inutili, eccoti i versi che ho messi insieme:

SONNO.

Dopo lunga stagione, ecco ritorno
Al natìo loco, e ingrato un senso io provo.
Volgo stupito gli occhi a me d'intorno
E nulla scorgo che mi sembri nuovo.
Così tranquillo l'ho lasciato un giorno,
Così dopo tant'anni or lo ritrovo,
Cheto, slombato, sonnolento. Ognora
L'anima immersa in una morta gora.
Dirute mura e case senza tetto,
Luridi cenci, visi emaciati,
Fango e sentore di miseria infetto,
Sguardi servili, impronti o rassegnati.
Tutto, sì, tutto nel primiero aspetto,
Nè le cose nè gli uomini mutati....
Liberi son; ma, per un fato strano,
Inerte pende la libera mano.
Nulla mutò. Forse in un punto solo
Sull'Europa e sull'Asia anzi sul mondo
Noi si può dire che impennammo il volo,
Nè ad altri il nostro popolo è secondo.
Se vuoi cercar dall'uno all'altro polo,
Non c'è chi dorma sonno più profondo
Siccome il sonno delle eterne notti
Di questi miei diletti compatriotti.
Tutto dorme ed ognor. Dorme il villaggio,
Dormono le città sera e mattina;
Seduti, in piedi, a casa od in viaggio,
In chiesa, a scuola, in piazza od in cucina.
Dorme il giudice, e il reo, l'idiota e il saggio,
Dormono tutti, al monte e alla marina;
Dorme il mercante, dorme il guardiano,
Sotto la neve e al sol meridiano.
Dorme il bifolco per i campi asciutti
Interminati della steppa enorme;
Semina, vanga, falcia, spicca i frutti,
Preso dal sonno in tutte le sue forme:
Babbo, mamma, piccin, dormono tutti.
Dorme chi batte e chi è battuto dorme.
Unica e sempre nella patria mia,
L'occhio sbarrato, veglia l'osteria....
Con la possente mano alta la brocca,
Che va votando in sonno ad ora ad ora,
Mentre il biondo licor spuma e trabocca,
Mentr'ella beve e di dormire ignora,
La fronte a Borea, i piedi nella rocca
Dove Prometeo attende Ercole ancora,
Di fumi involta la nevosa testa,
Dorme la santa Russia e non si desta.

“Scusami, te ne prego. Non ho voluto mandarti una lettera così triste, senza farti un po' ridere, almeno in fondo.... Avrai certo notato certe debolezze di metro e di rima.... ma non importa!
“Quando sarà che ti scriva un'altra lettera?... Dato pur che ti scriva? Checchè di me avvenga, tu non dimenticherai, ne son certo,

Il tuo fedele amico
A.N.

“P.S. – Sì, il nostro popolo dorme.... Ma io penso che se qualche cosa varrà a destarlo, non sarà mai quel che noi crediamo....”

Arrivato all'ultima parola, Nejdanow scagliò lontano la penna e disse a sè stesso:

Si coricò, ma il sonno si fece aspettare a lungo.

La mattina, Marianna lo destò traversando la camera per andar da Tatiana; ma appena aveva egli avuto il tempo di vestirsi che la vide tornare, commossa profondamente e tutta ilare in viso.

Paolo entrò e confermò le notizie di Marianna.

— disse scotendo la barba e stringendo gli occhi neri luccicanti. —

Nejdanow prese il berretto.

— domandò Marianna.

— rispose egli, corrugata la fronte e senza alzar gli occhi.

— obbiettò cupo Nejdanow, sempre con gli occhi fissi a terra e con una specie di irritazione.

Marianna corse in camera a prendere il fazzoletto. Paolo mandò un suo oh! oh! d'inquietudine, e disparve nel punto stesso. Andava ad avvertire Solomine.

Prima che Marianna tornasse, Solomine entrava in camera di Nejdanow. Questi era davanti alla finestra, con la fronte appoggiata al braccio e il braccio contro il vetro.

Toccato leggermente sulla spalla, si volse di scatto. La barba e i capelli arruffati (non aveva avuto il tempo di aggiustarsi), gli conferivano un aspetto strano e selvaggio.

Anche Solomine, dal canto suo, era mutato negli ultimi quindici giorni. Avea la faccia ingiallita, che tradiva una certa sofferenza, il labbro superiore un po' sollevato che lasciava vedere i denti.... Pareva anch'egli turbato, per quanto il turbamento potea sfiorare quella sua anima equilibrata.

— disse. —

— interruppe Nejdanow.

— soggiunse Marianna, apparendo sulla soglia.

Solomine si volse lentamente verso di lei.

Marianna volse un'occhiata a Nejdanow. Questi se ne stava ritto, immobile, accigliato.

— obbiettò ella.

Solomine sorrise.

Marianna si tolse il fazzoletto dal capo e si mise a sedere.

— disse allora Solomine volgendosi all'amico, —

Uscì, ciò detto, senza un saluto. Paolo sbucò da un cantuccio oscuro, e corse avanti sulle scale, facendo risonare le scarpacce ferrate. Toccava a lui la cura di guidare il giovane.

Solomine andò a sedere accanto a Marianna.

Solomine le carezzò dolcemente la mano.

— disse alla fine. —

Marianna trasalì.

— ripetette di nuovo Marianna, mentre le lagrime le rigavano il viso. —

— sospirò con dolore Marianna.

Solomine tornò a carezzarle la mano.

Si alzò, così dicendo.

— domandò ad un tratto Marianna.

Le lagrime le brillavano sempre sulle guance; ma già gli occhi non eran più velati dalla tristezza.

Solomine tornò a sedere.

— domandò a Tatiana che entrava in quel punto.

Soltanto a Paolo dava del tu, perchè questi avrebbe provato troppo dispiacere ad esser trattato altrimenti.

— rispose Tatiana, ridendo e agitando le braccia. —

Il pezzo di carta portava scritto in grosse lettere un nome: Masciùrina.

— ordinò Solomine. —

Pochi minuti dopo, videro entrare Masciùrina, vestita per l'appunto come l'abbiamo vista nelle prime scene di questa storia.

XXXI.

— domandò ella. Poi, riconosciuto Solomine, gli si accostò e gli porse la mano. —

Dalla parte di Marianna volse appena un'occhiata obliqua.

— rispose Solomine. —

— brontolò Solomine. — — soggiunse ad alta voce. —

Masciùrina fece un lieve cenno del capo e sedette.

Masciùrina spalancò gli occhi.

Masciùrina stette un poco sopra pensiero, e poi cavò di tasca una sigaretta.

— riprese ella, dopo aver acceso, —

La verità è che partiva per Ginevra, ma non volea dirlo a Solomine, che non le parea molto sicuro, senza contare di quell'altra estranea che era presente. Si mandava Masciùrina a Ginevra, benchè di tedesco sapesse ben poco, per portare a una persona a lei sconosciuta la metà di un pezzo di cartone sul quale era disegnato un grappolo d'uva, e inoltre una somma di 279 rubli d'argento.

Solomine glielo porse bell'e acceso.

— bisbigliò una voce dietro la porta. —

— ripetette la voce in tono persuasivo e insistente. —

Solomine si alzò ed uscì.

Masciùrina prese a guardar Marianna con tanta ostinazione e così a lungo, che questa se ne sentì imbarazzata.

— disse ad un tratto con la sua voce burbera e a sbalzi, —

Marianna, un po' turbata, rispose nondimeno:

Marianna le strinse la mano, dicendole:

Marianna trasse un sospiro.

(Così dicendo, chinava il capo e si volgeva in là).

— rispose Marianna. —

E tornava a fissare uno sguardo scrutatore sulla sua interlocutrice.

— esclamò alla fine, —

Masciùrina appoggiò la guancia al palmo della mano e stette a lungo senza aprir bocca.

Masciùrina crollò il capo.

Si alzò, si voltò in là, per far le viste di frugar nelle tasche, e nel punto stesso si cacciò rapidamente in bocca un foglietto piegato e lo ingoiò.

— mormorò Marianna.

Marianna le si accostò.

Masciùrina le gettò le braccia al collo e la strinse a sè con una forza virile.

— disse con voce sorda. —

Uscì impetuosa, tirandosi dietro la porta; e Marianna rimase sola, pensosa, in mezzo alla camera.

— esclamò alla fine. —

Andava ora su e giù per la camera. Uno strano sentimento la prendeva, misto di dispetto, di rammarico, di stupore.... Perchè non avea seguito Nejdanow? Solomine ne l'avea dissuasa.... Ma dov'era Solomine?... e che cosa accadeva intorno?... Evidentemente, se Masciùrina non avea dato quella lettera pericolosa, era stata mossa da un senso di compassione per Nejdanow.... Ma come mai aveva osato disobbedire?... Avea forse voluto mostrarsi generosa? E con che diritto? E perchè mai ella, Marianna, n'era così commossa?... Ma esisteva poi davvero questa commozione?...

Una donna brutta s'interessava di un giovane.... Che c'era, in fondo, di straordinario?... E perchè supponeva Masciùrina che l'affetto di Marianna per Nejdanow fosse più forte del sentimento del dovere?...

Poteva anche darsi che Marianna non desiderasse punto un tal sacrificio.... E che potea contenere quella lettera?... Un incitamento, un ordine all'azione immediata?... Ebbene? e poi?...

Così pensava Marianna.... e un dispetto amaro le pungeva l'anima. Anche l'amor proprio era profondamente ferito. Perchè tutti si erano da lei allontanati, proprio tutti?” Quella donna l'avea chiamata bellina, graziosa... per poco non le avea dato della bambola! E perchè Nejdanow non era andato solo? perchè Paolo l'avea accompagnato?... Avea dunque bisogno di tutela....

Tutti questi pensieri le turbinavano nella mente, confondendosi, urtandosi. Strette le labbra, incrociate al seno le braccia, andò a sedere presso la finestra e riprese la sua immobilità, senza nemmeno appoggiarsi alla spalliera della seggiola. Tutto il suo essere era intento, vibrante, pronto a scattare. Da Tatiana non voleva andare. Una sola cosa le premeva ora: aspettare.... E aspettava infatti con una ostinazione quasi rabbiosa.

Di tanto in tanto, la propria disposizione di spirito le pareva strana e incomprensibile.... Ma che! tanto peggio!... Un momento anzi le balenò il pensiero: —

Ma poi, ricordandosi della figura della povera Masciùrina, alzò le spalle e fece un gesto con la mano come se allontanasse qualche cosa.

Aspettò a lungo. Finalmente udì un calpestìo frettoloso, due persone montavano la scala. Si volse alla porta e v'inchiodò gli occhi trepidante....

La porta si aprì, e Nejdanow apparve, sostenuto sotto il braccio da Paolo.

Era pallido come un cadavere, senza berretto. I capelli arruffati gli pendevano in umide ciocche sulla fronte; gli occhi guardavano fisi senza vedere. Si trascinava a fatica. Paolo lo guidò attraverso la camera e lo fece adagiare sul divano.

Marianna balzò dalla sedia.

Ma Paolo, dopo aver messo a sedere Nejdanow, le rispose con un sorriso, guardandola di sopra la spalla:

— insistette Marianna.

Marianna si chinò su Nejdanow. Questi era sdraiato di traverso sul divano; la testa gli pendeva sul petto; gli occhi smarriti; il fiato esalava l'acquavite; era ubbriaco.

— esclamò ella involontariamente.

Egli sollevò a fatica le palpebre e tentò di sorridere.

— balbettò. —

Tacque di botto, mormorò qualche altra parola confusa, chiuse gli occhi, e si addormentò. Paolo lo aggiustò con ogni cura sul divano.

— ripetette. —

Marianna volea sapere come la cosa fosse andata; ma le sue domande avrebbero trattenuto Paolo... Ed ella desiderava rimaner sola.... o piuttosto, non volea che Paolo lo vedesse più a lungo in quello stato umiliante.... Si ritirò verso la finestra. Paolo che tutto aveva compreso, avvolse i piedi del giacente in un mantello, gli acconciò un guanciale sotto la testa, ripetette ancora una volta: e uscì in punta di piedi.

Marianna si voltò verso il divano. La testa di Nejdanow affondava pesante nel guanciale; sul pallido viso di lui notavasi una tensione immobile come sul viso di un infermo grave.

— pensò ella.