XXVI.
Il rifiuto di Solomine punse nel vivo il signor Sipiaghin, il quale ebbe subito a riconoscere che cotesto Stephenson da dozzina non era poi quel prodigio di meccanico che si diceva, e che, se pur non posava, in tutti i casi faceva lo schifiltoso e si dava importanza da quel vero plebeo che era.
— Tutti questi Russi, quando si mettono in testa di saper qualche cosa, diventano impossibili! Au fond, Colomeizew ha ragione da vendere!
Sotto l'influenza di queste impressioni ingrate e irritanti, l'uomo di Stato in erba guardò Nejdanow sempre più dall'alto in basso.
A Nicoletto mandò a dire che lo dispensava intanto dalla lezione, poichè doveva a poco a poco abituarsi a far da sè.... Nondimeno, il precettore non fu congedato, come temeva. Si seguitò, come prima, a non accorgersi di lui, a far le viste d'ignorarne l'esistenza.
In compenso, la signora Valentina non ignorò quella di Marianna.
Fra le due donne seguì una scena terribile.
Circa due ore prima del pranzo, il caso le fece trovare da sole a sole nel salotto. Ciascuna capì all'istante che l'ora dell'urto inevitabile era suonata....
Dopo un momento di esitazione, si andarono incontro lentamente.
La signora Valentina sorrideva appena: Marianna stringeva forte le labbra. Tutte e due erano pallidissime.
Traversando il salotto, Valentina guardava di qua e di là, strappava una foglia di geranio.... Gli occhi di Marianna erano inchiodati su quel viso sorridente che le si avvicinava.
La signora Sipiaghin fu la prima a fermarsi; e battendo il tamburo con la punta delle dita sulla spalliera d'una seggiola:
— Signorina Marianna — prese a dire con affettata disinvoltura, — a quanto pare ci troviamo voi ed io in corrispondenza epistolare.... Vivendo nella stessa casa, il fatto è abbastanza bizzarro; e voi sapete che le bizzarrie non sono il mio debole.
— Non sono stata io a cominciare il carteggio.
— È giusto. Questa volta son proprio io, che ho peccato di stranezza. Fatto sta che non mi riuscì di trovare altro mezzo per destare in voi il sentimento.... come ho da dire?... il sentimento....
— Parlate schietto, senza ritegno; non abbiate paura di offendermi.
— Il sentimento.... delle convenienze....
La signora Valentina tacque. Non s'udiva nel salotto che il lieve percuotere delle dita sulla spalliera della seggiola.
— In che cosa trovate ch'io non abbia osservato le convenienze? — domandò Marianna, moderando la voce.
L'altra scrollò le spalle.
— Ma chère, vous n'étes plus un enfant.... e son sicura che mi capite benissimo. Possibile vi figuriate che la vostra condotta sia rimasta un segreto per me, per Anna Zacharowna, per tutta la casa in somma? Del resto, non vi siete affaticata gran che a tenerla segreta. Avete voluto affrontare, gettare un guanto di sfida.... Soltanto mio marito, forse, non vi ha badato.... Ha ben altre cose pel capo, molto più importanti delle vostre. Ma, eccetto lui, la vostra condotta è nota a tutti.... a tutti, vi dico!
Marianna si faceva sempre più pallida.
— Vi pregherei, signora, di spiegarvi più chiaramente... Di che cosa proprio siete malcontenta?
— L'insolente! — pensò la signora Valentina, ma si contenne. Poi, a voce alta:
— Voi desiderate sapere di che son malcontenta.... E sia! Son malcontenta dei vostri prolungati colloquii con un giovane, il quale per nascita, per educazione, per posizione sociale, è di tanto inferiore a voi. Sono malcontenta.... no! questa parola non è forte abbastanza!... sono disgustata dalle vostre visite a ore indebite... notturne... a quel giovane! E dove accade questo?... Sotto il mio tetto! Voi forse trovate che questo è conveniente, che io debba tacere e proteggere in certo modo la vostra leggerezza? Come donna onesta.... oui, ma demoiselle, je l'ai été, je le suis, et je le serai toujours!... io non posso non provare il più profondo disgusto!
La signora Valentina cadde in una poltrona, come schiacciata dal peso di cotesto medesimo disgusto.
Marianna sorrise per la prima volta.
— Io non dubito punto della vostra onestà, passata, presente e futura; ve lo dico con la massima sincerità. Ma il vostro disgusto è fuor di posto. Io non ho portato nessuna vergogna al vostro tetto. Il giovane, cui alludete.... sì, infatti, io l'amo....
— Voi amate il signor Nejdanow?
— L'amo, sì!
La signora Valentina si raddrizzò.
— Ma via, Marianna!... È uno studente, in fin dei conti, senza nascita, senza famiglia.... ed è anche più giovane di voi! (non senza malignità furono pronunciate queste ultime parole). Che ne può uscire da tutto questo?... E che ci avete trovato voi, con tutto il vostro giudizio?... È un ragazzo insignificante, in fondo.
— Voi non siete stata sempre dello stesso parere, se non mi sbaglio.
— Oh, Dio mio!... Non tanta premura per me, cara mia... Pas tant d'esprit que ça, je vous prie!... Qui si tratta di voi, del vostro avvenire. Pensateci!... vi par proprio un partito per voi?...
Marianna si volse un poco in là.
— Tronchiamo questo colloquio, signora. Non riusciremo mai ad intenderci, e non verremo a nessuna conclusione.
La signora Valentina si alzò bruscamente.
— Io non posso, io non debbo troncare, questo colloquio! Si tratta di cosa gravissima.... Io rispondo di voi davanti…. (voleva dire: davanti a Dio! ma si corresse).... davanti al mondo intiero!... Non posso tacere, quando odo tali follie! E perchè, di grazia, non sarei in grado di comprendervi?... Che orgoglio insopportabile nella gioventù odierna! No, no!... io invece vi comprendo benissimo!... Capisco che vi siete imbevuta di tutte queste nuove idee, che vi trascineranno immancabilmente alla rovina! Ma sarà troppo tardi, allora!
— Può anche darsi. Ma, credetemi: quando anche dovessimo perire, non ci accadrà di stendere nemmeno un dito per domandar soccorso a voi!
La signora Valentina battè palma a palma.
— Da capo l'orgoglio, quell'orribile orgoglio! Ma via, Marianna, ascoltatemi, ve ne prego! — soggiunse ella, mutando di tono, e cercando di attirare a sè la sua interlocutrice; ma questa diè un passo indietro.
— Ecoutez moi, je vous en conjure!... In somma poi, non sono ancora così vecchia, nè così sciocca, che non ci si possa intendere.... Je ne suis pas une encroûtée. In gioventù, anzi, mi si teneva per una mezza repubblicana.... un po' come voi. Sentite. Non voglio essere ipocrita: una tenerezza materna non l'ho mai avuta per voi, nè già voi siete donna da lamentarvene. Sapevo però, e so, di aver dei doveri verso di voi.... e mi son sempre studiata di compierli. Può darsi, il partito al quale io avevo pensato per voi, e pel quale mio marito ed io non avremmo indietreggiato davanti a qualunque sacrificio, può darsi che quel partito non corrispondesse in tutto e per tutto alle vostre idee.... Ma, credetelo, in fondo al mio cuore....
Marianna la guardava intenta.... Guardava a quegli splendidi occhi, e quelle labbra rosee leggermente dipinte, e quelle bianchissime mani, a quelle dita un po' slargate tutte adorne di anelli, che la bella signora premeva con tanta espressione al busto della sua veste di seta....
Di botto, cedendo all'impeto dell'ira, la interruppe:
— Un partito, voi dite? voi chiamate un partito quel vostro amico, quell'essere abbietto e senza anima che ha nome Colomeizew?
La signora Valentina staccò le dita dal busto.
— Sì, Marianna! Parlo precisamente del signor Colomeizew, di quel giovane egregio, di quel perfetto gentiluomo, che farà certo la felicità di sua moglie, e che solo una insensata può aver l'animo di respingere! Sì, una insensata, lo ripeto, una pazza!
— Che farci, ma tante! Si vede, che pazza ho da essere!
— Ma di che mai, seriamente, di che puoi tu rimproverarlo?
— Oh, di niente! Io lo disprezzo, ecco tutto.
La signora Valentina scosse la testa di qua e di là con impazienza e ricadde a sedere.
— Lasciamo andare, e non se ne parli più. Retournons à nos moutons. Sicchè tu ami il signor Nejdanow?
— Sì.
— E hai l'intenzione.... di continuare i tuoi colloqui con lui?
— Sì, per l'appunto.
— E.... dato il caso che io te lo proibissi?
— Non vi obbedirei.
La signora Valentina balzò sulla poltrona.
— Ah! non mi obbedireste! Benissimo!... egregiamente!... E questo mi tocca sentirlo da una fanciulla che io ho beneficata, che ho accolta in casa mia.... dalla.... dalla....
— Dalla figlia di un padre disonorato, — interruppe con voce cupa Marianna. — Continuate, non abbiate riguardi!
— Ce n'est pas moi qui vous le fait dire, mademoiselle! Ma, in tutti i casi, non c'è mica da insuperbirsi per questo! Una ragazza, che mangia il mio pane....
— Non mi rinfacciate il vostro pane, signora!... Una governante francese pel vostro Nicoletto vi sarebbe costata molto più caro.... Sono io, lo sapete, che gli dò lezioni di francese.
La signora Valentina alzò la mano destra, nella quale teneva una pezzuola di batista ornata in angolo d'una bella cifra e tutta profumata d'ylang-ylang; fece atto di parlare; ma l'altra non gliene diè tempo e proseguì con impeto irrefrenabile:
— Voi avreste ragione, mille volte
ragione, se in cambio di tutto ciò che enumerate, in cambio di
tanti pretesi beneficii e sacrificii, poteste dir soltanto:
“quella fanciulla che io ho
amata....
” Ma voi avete ancora un avanzo di lealtà, e fino a
questo punto non osereste mentire, no!... (Marianna tremava
tutta come in un accesso di febbre). — Voi mi avete sempre detestata. In questo stesso
momento, in fondo al vostro cuore, di cui or ora avete accennato,
voi siete felice, sì, felice di vedere ch'io giustifico le vostre
assidue profezie, che io mi copra di vergogna.... L'unica cosa che
vi dispiaccia è che una parte dello scandalo debba ricadere sulla
vostra casa aristocratica.... sulla vostra onesta
casa!...
— Voi m'insultate! — balbettò la signora Valentina. — Uscite!
Ma già Marianna non era più padrona di sè.
— La vostra casa, avete detto, tutta la vostra casa, e Anna Zacharowna, e i servi, e ciascuno sono a giorno della mia condotta!... E tutti son presi d'orrore e di disgusto.... Ma che forse io chiedo qualche cosa a voi, a loro, a tutta cotesta gente? E vi pare che della loro opinione possa io far conto? E non è egli ben amaro il vostro pane? e non debbo io preferire la più squallida miseria a questa ricchezza?... E non vedete voi che tra la vostra casa e me c'è un abisso, che nulla, nulla potrà mai colmare? Possibile che voi.... non siete una sciocca in fin dei conti.... possibile che non l'intendiate? che non lo sentiate d'istinto?... E se voi nudrite per me un sentimento di avversione, come mai non vi riesce di capire quell'altro sentimento che io nudro per voi, e che non voglio designar per nome sol perchè è troppo palese?...
— Sortez, sortez, vous dis-je! — gridò con voce strozzata la signora Valentina, battendo del piedino in terra.
Marianna fece un passo verso la porta.
— Vi libero all'istante della mia presenza. Ma lasciate che vi dica una cosa: si assicura che la famosa Rachel, nel Bajazet di Racine, non riusciva mai a dir bene la parola sortez! Figurarsi voi! E poi ancora un'altra cosa: voi avete detto poc'anzi: Je suis une honnête femme, je l'ai été et le serai toujours.... Ebbene, sappiate che io ho la profonda sicurezza di essere molto, molto più onesta di voi!... Addio!
Uscì, ciò detto, mentre l'altra slanciavasi dalla sua poltrona come per inseguirla.... Voleva gridare e piangere.... sfogare in qualche modo.... Ma da dire non trovò niente e da piangere non le venne.
Si contentò di farsi vento con la pezzuola; ma il profumo acuto che ne esalava contribuì a darle una più fiera irritazione di nervi. Si sentiva infelice, offesa…. Confessava a sè stessa che una particella di vero c'era pure in quanto testè aveva udito. Ma come mai s'era potuto giudicar di lei con tanta crudeltà, e soprattutto con tanta ingiustizia?...
— Possibile che io sia così cattiva? — pensò.
Si mirò in uno specchio, sospeso tra due finestre. Il terso cristallo le mandò il riflesso di un visino grazioso, benchè un po' alterato e chiazzato di rosso, e di due occhi magnifici, vellutati.
— Io? io cattiva? — ripetette. — Con questi occhi?
Ma, a questo punto, il marito entrò ed ella tornò a nascondere la faccia nella pezzuola.
— Che hai? — gli domandò con sollecitudine. — Che hai, Valia?...
Aveva inventato per lei questo vezzeggiativo, e non lo adoperava che a quattr'occhi e specialmente in campagna.
La signora Valentina si scusò sulle prime, affermando di non aver niente; ma, alla fine, voltandosi sulla sua poltrona con un movimento pieno di grazioso abbandono, gli appoggiò le mani alle spalle (egli era in piedi, chinato sopra di lei); nascose il visino un'altra volta nella pezzuola e gli narrò tutto per filo e per segno, sincerissimamente, senza rigiri, senza secondi fini.... Tentò perfino, se non di scagionare Marianna, almeno di scusarla fino ad un certo punto; imputò tutta la colpa all'età giovanile, al temperamento ardente, ai difetti della prima educazione; in una certa misura, ed anche senza alcun secondo fine, accusò sè stessa....
— Se fosse stata mia figlia, tutto ciò non sarebbe avvenuto!... Io l'avrei sorvegliata con attenzione!
Il marito l'ascoltò fino in fondo con interesse e indulgenza, ed anche con una sfumatura di severità; se ne stette curvo, fino a che ella non ebbe ritirato le mani e sollevata la testa; la chiamò angelo, la baciò in fronte, le dichiarò che sapeva oramai quale linea di condotta eragli tracciata dalla sua qualità di padrone di casa, e si allontanò come si allontana un uomo di sentimenti umani, ma energico, il quale si prepari a compiere un dovere increscioso, ma necessario....
Fra le sette e le otto, dopo il desinare: Nejdanow, chiuso in camera sua, scriveva all'amico Siline.
—
“Ma questo sarebbe niente.... Vado via non io solo. Viene con me quella fanciulla, di cui già ti scrissi. Tutto ci unisce: la somiglianza dei nostri destini, la conformità dei principii, delle aspirazioni, infine la reciprocità dei sentimenti. Infine, noi ci amiamo.
“Ma io mentirei, se ti dicessi che non sia preso da una segreta trepidazione, che non abbia in fondo al cuore una strana angoscia.... Davanti a noi tutto è tenebra, ed è incontro a questa tenebra che noi due ci spingiamo insieme. Non ho bisogno di spiegarti quale meta sia la nostra, quale attività ci siamo addossata. Marianna ed io non cerchiamo la felicità, la vita dolce ed agevole; noi vogliamo invece la lotta, e l'affronteremo in due sostenendoci a vicenda. Vediamo ben chiara, ben definita la meta; ma per quali vie la si debba conseguire, ignoriamo.
“Troveremo noi, se non simpatia e soccorso, almeno la possibilità di agire?... Marianna è una fanciulla eccellente, onesta.... Se è destino che si perisca, non mi farò alcun rimprovero di averla trascinata nel mio vortice, poichè infatti non vi era più per lei altra esistenza possibile. Eppure, caro Vladimiro, non ti nascondo che un gran peso ho sul cuore.... Il dubbio mi tormenta, non già riguardo ai miei sentimenti per lei.... oh no!... ma, non so! Soltanto, oramai è troppo tardi, e tornare indietro non si può.
“Tu, di lontano, fa voti perchè si abbia pazienza e forza di sacrifizio, ed augura a tutti e due la pazienza, l'abnegazione e la forza di amarci.... soprattutto la forza di amarci.... E tu, popolo russo, che noi non conosciamo, ma cui siam devoti con tutto il nostro essere, col miglior sangue del nostro cuore, accoglici.... senza troppa indifferenza, e insegnaci quel che da te si debba attendere!
“Addio, Vladimiro, addio!”
Scritte queste poche righe, Nejdanow se n'andò verso il villaggio.
La notte seguente, ai primi albori del giorno, egli attendeva sul margine del bosco di betulle, non lungi dalla villa del signor Sipiaghin. Un po' indietro, attraverso il verde fogliame d'un cespuglio di nocciuoli, vedevasi una vettura da contadini, con attaccativi due cavalli senza morso. Sotto il sedile, formato di corde intrecciate, dormiva un vecchietto canuto, sopra uno strato di fieno, col capo nascosto in una cacciatora rattoppata.
Nejdanow teneva fisi gli occhi dalla parte della strada, verso i filari di salici che limitavano il giardino.... L'ombra della notte stendevasi ancora tutt'intorno; qua e là, nel profondo azzurro del cielo, tremolava e impallidiva una stella. Lungo gli orli delle nuvole sparse nell'aria come fiocchi di lana, arrivava dalla parte di oriente un bagliore grigio rosato, e dallo stesso punto arrivava anche il freddo pungente del mattino.
Di botto, Nejdanow trasalì e stette in ascolto. Poco lontano, una porta di giardino avea cigolato, e poi si era richiusa; una delicata figura di donna, avvolto il capo in uno scialle, con in mano un piccolo involto, emerse pianamente dall'ombra immobile dei salici sulla polvere molle della via e, traversata questa in punta di piedi, si diresse verso il bosco. Nejdanow le andò incontro.
— Marianna! — mormorò.
— Son io! — suonò basso una voce di sotto lo scialle.
— Di qua, seguimi! — disse Nejdanow prendendola pel braccio che portava l'involto.
Ella si strinse in sè, come presa da un brivido.
Si accostarono alla vettura, e fu destato il contadino. Questi sorse in piedi, s'infilò la cacciatora, balzò sul sedile, e raccolse le redini. I cavalli si riscossero, l'automedonte li calmò con voce roca e assonnata.
Nejdanow fece prender posto a Marianna sulla rete di corde, dopo avervi piegato sopra, a guisa di cuscino, il proprio mantello.... Le avviluppò i piedi in una coperta, poichè il fieno era un po' umido; le si sedette accanto, e poi, chinatosi verso il contadino, gli disse piano:
— Avanti! dove tu sai!
I cavalli, nitrendo e scotendo le criniere, si mossero; e la vettura, balzando sulle piccole ruote sgangherate, andò via di corsa.
Nejdanow sosteneva Marianna per la vita. Ella, scostandosi il fazzoletto dal viso, si volse a lui.
— Ah! che bel fresco! e come si sta bene!
— Sì — rispose il contadino — ci sarà molta brina.
Ce n'era già tanta infatti, che il mozzo delle ruote sfiorando i fili d'erba, ne facea schizzare sprazzi di perle; e tutt'intorno il verde dei prati luccicava come di acciaio brunito.
Marianna si strinse tutta in sè, colta da un brivido.
— Ah che bel fresco! — ripetette. — E la libertà! la libertà!
XXVII.
Solomine, cui si corse ad avvertire che un signore e una signora erano arrivati in vettura e domandavano di vederlo, si slanciò verso la porta della fabbrica.
Non domandò ai nuovi venuti come stessero in salute; salutò frettoloso con qualche cenno del capo; ordinò al contadino cocchiere di entrare nel cortile e guidandolo direttamente fino al proprio padiglione, aiutò Marianna a smontare.
Nejdanow saltò a terra dopo di lei.
Solomine fece loro traversare un lungo corridoio oscuro, e per un'angusta scaletta li menò al secondo piano in una parte remota del fabbricato. Aperta una porticina, entrò con essi in una cameretta con due finestre, discretamente arredata.
— Siate i benvenuti! — disse, sorridendo come sempre ma con più aperta cordialità. — Questo è il vostro alloggio. Ecco qua due camere contigue. Non è mica una reggia, ma si può contentarsene, e nessuno verrà qui a disturbarvi. Sotto le finestre c'è un così detto giardino, che io chiamo un orto, e che è murato tutt'intorno. Si sta insomma come a casa propria. Orsù, bene arrivata, cara signorina, e bene arrivato anche a te, Nejdanow.
E strinse loro la mano. I due giovani stavano immobili, senza togliersi i vestiti da viaggio, e guardavano diritto davanti tra stupiti e contenti.
— Ebbene, che è? — disse Solomine. — Sbarazzatevi! Che effetti avete portato?
Marianna mostrò il fagotto che aveva in mano.
— Non ho che questo.
— Io, — disse Nejdanow, — ho la sacca da viaggio e una valigia che ho lasciato giù nel biroccino. Vado subito....
— No, no, un momento....
Solomine aprì la porta.
— Paolo! — chiamò forte verso la scala. — C'è della roba nel biroccino. Portala qui, presto!
— Vengo subito! — rispose la voce dell'onnipresente.
Solomine tornò verso Marianna, che s'avea tolto lo scialle e si sganciava la mantiglia.
— Tutto è andato bene? — domandò.
— Tutto, sì.... Nessuno ci ha visti. Ho lasciato una lettera per la signora Sipiaghin. Non ho preso nè vestiti nè biancheria, perchè, visto che voi ci assegnerete il nostro posto.... (non osò aggiungere, chi sa perchè? in mezzo al popolo), non ne metteva il conto; non avrei forse potuto servirmene. E poi ho con me del denaro per comprare quel che ci vorrà.
— Tutto ciò si aggiusterà mano mano.... non dubitate. Ma ecco Paolo.... Vi presento il mio migliore amico di qua: potete contare ciecamente su lui.... come sopra un secondo me stesso. Hai detto a Tatiana pel bricco del tè? — soggiunse a mezza voce.
— Viene subito, — rispose Paolo, — e porta anche la panna e tutto il resto.
— Tatiana, — spiegò Solomine, — è sua moglie: sicura e fedele come lui, nè più nè meno. Fino a che voi stessa.... dico, sì, finchè non pigliate paese, Tatiana vi servirà, cara signorina.
Marianna gettò la mantiglia sopra un divanetto di cuoio in un angolo della camera. — Chiamatemi per nome, ve ne prego: non ci tengo a essere una signorina.... In quanto a domestiche, non ne ho bisogno. Non son partita di laggiù per avere una servitù a me. Non badate al mio costume: questo solo avevo. Bisognerà poi cambiar tutto, s'intende.
Il costume di color bruno, in drap de dame, era semplicissimo; ma, tagliato da una buona sarta di Pietroburgo, disegnava elegantemente la vita e le spalle di Marianna: era, insomma, alla moda.
— Via! se non l'accettate come domestica, diciamo che sia una compagna, all'americana.... Ma questo intanto non v'impedirà di prendere il tè. Benchè sia presto, dovete essere stanca. Adesso, io vado a dare un occhio alla fabbrica: più tardi ci rivedremo. Se avete bisogno di qualche cosa, domandatela a Paolo o a Tatiana.
Marianna gli porse vivamente le mani.
— In che modo potremo mai ringraziarvi? — gli disse guardandolo con affetto.
Solomine le carezzò dolcemente la mano.
— Potrei rispondere che non c'è luogo a gratitudine.... ma direi una bugia. Vi dirò più francamente che la gratitudine vostra mi fa un vero piacere. Sicchè, siamo pari. A rivederci!... Andiamo, Paolo!
Marianna e Nejdanow restarono soli.
Ella si slanciò verso di lui, e guardandolo come già avea guardato Solomine, ma con uno sguardo più giocondo, più tenero, più luminoso:
— Oh amico! — gli disse, — noi cominciamo una vita nuova.... Finalmente! Tu non ti figuri come mi sembri grazioso questo modesto quartierino a confronto di quei palazzi aborriti! E tu, di', sei contento?
Nejdanow le prese le mani e se le strinse al petto.
— Sono felice, Marianna, perchè comincio con te questa nuova vita. Tu sarai la mia stella, il mio sostegno, la mia forza....
— Caro!... Ma, scusami; vado un po' a rassettarmi. Aspettami qui. Torno subito.
Passò nella camera contigua e si tirò dietro la porta. Poi, un minuto dopo, aprendo un poco e sporgendo il capo:
— Com'è buono quel Solomine! — disse. Dopo di che, scomparve di nuovo, e si udì la chiave stridere nella toppa.
Nejdanow andò alla finestra, guardò nel giardino.... e senza saper perchè, fissò gli occhi intenti in un vecchio albero contorto e intristito.
Si riscosse poi, si stirò nelle membra, aprì la sacca da viaggio, e senza nulla prendervi, si mise a pensare.
Di lì a poco ricomparve Marianna, gaia, svelta, ravvivato il colorito dall'acqua fresca. E subito dopo Tatiana, la moglie di Paolo, portava il samovar, che è il bricco pel tè, le tazze, la panna e dei panini bianchi.
Tatiana faceva un contrasto perfetto con la figura zingaresca del marito: era una Russa vera e propria, robusta, bionda, bianca, senza niente in capo, con una larga treccia attorcigliata intorno a un alto pettine di osso. Lineamenti grossolani, ma piacenti; occhi grigi, buoni e pieni di franchezza. Indossava una veste d'indiana, un tantino sbiadita ma in buono stato; aveva le mani nette e belle, benchè grosse.
Entrando, fece un inchino tranquillo, disse con voce ferma e chiara: “Buona sera a lor signori!” e si diè a disporre sulla tavola il bricco, le tazze e tutto il resto.
Marianna le si avvicinò.
— Lasciate che vi aiuti, Tatiana. Se mi date un tovagliolo....
— Non serve, signorina, la fatica ci conosce. Il padrone m'ha detto: tutto quanto vi bisogna, non avete che da comandare, e noi siam qui per voi, con tutto il cuore.
— Tatiana, non mi chiamate signorina, ve ne prego.... Sono vestita così, ma.... ma io....
Lo sguardo persistente di Tatiana la turbò a segno che non potè compir la frase.
— E che cosa siete allora? — le domandò Tatiana con la sua voce tranquilla.
— Se volete.... infatti.... sono una signorina; ma voglio.... ma ho deciso di metter da parte certi pregiudizi, di diventare come tutte le semplici donne del popolo.
— Ah, capisco! Voi siete di quelle che si vogliono semplificare. Ce n'è molta adesso di questa gente.
— Come avete detto, Tatiana?... Semplificare?
— Sì.... è un modo di dire che abbiamo: farsi tutt'una cosa con la gente semplice, minuta, vivere come il popolo. È un'opera buona quella d'istruire il popolo, d'insegnargli a ragionare. Oh, ma la è dura, sapete! la è dura di molto! Che il Signore vi aiuti!
— Semplificarsi! — ripetette Marianna. — Lo senti, Alessio?... In questo momento noi siamo dei semplificati.
Nejdanow si mise a ridere.
— E chi è questo signorino, eh? un maritino? un fratello? — domandò Tatiana, mentre con le grosse mani andava pulendo le tazze, e con un sorrisetto arguto sulle labbra.
— No, — rispose Marianna, — nè marito nè fratello.
Tatiana rialzò la testa.
— Sicchè, voi vivete così, alla grazia di Dio! Anche questa è una cosa che si vede spesso, oggi. Un tempo, erano soli i vecchi credenti che facevano così; ora lo fanno anche un po' gli altri. Tanto sta che il Signore dia la sua benedizione e che si viva d'amore e d'accordo! Non c'è bisogno del prete per questo. Anche qui nella fabbrica ce n'abbiamo, e non son mica i peggiori.
— Come parlate benino, Tatiana e con quanto giudizio! A proposito, ho un favore da domandarvi. Vorrei cucirmi un vestito o comprarmelo bell'e fatto, così, come il vostro, o anche più semplice; e poi delle scarpe, delle calze, un fazzoletto da collo, tutto come l'avete voi. Ho il denaro che mi bisogna.
— Benissimo, è presto fatto, signorina.... cioè no.... non andate in collera! vi prometto che non ci ricasco più. Ma come ho da chiamarvi?
— Marianna.
— E vostro padre come si chiamava?
— O che fa cotesto? Chiamatemi semplicemente Marianna, com'io vi chiamo Tatiana.
— Sì.... ma non è la stessa cosa. Ditemi orsù, come si chiamava?
— E sia! Mio padre si chiamava Vincenzo. E il vostro?
— Il mio?... Osip.
— Ebbene, io vi chiamerò Tatiana Osipovna.
— Ed io a voi Marianna Vichentievna. Così davvero che s'andrà d'incanto!
— Voi prenderete il tè con noi, Tatiana Osipovna?
— Per la prima volta, non si rifiuta, Marianna Vichentievna; una tazzolina, soltanto; se no, Egoric mi sgrida.
— Chi è Egoric?
— Paolo, mio marito.
— Sedete, Tatiana Osipovna.
— Ecco fatto, Marianna Vichentievna.nota 8
Tatiana si mise a sedere, e incominciò a prendere il tè come sogliono i Russi, cioè rigirandosi fra le dita un pezzetto di zucchero cui mordeva di tanto in tanto, strizzando l'occhio e piegando un po' il capo.
Alle domande della signorina rispondeva senza timidezza; interrogava; raccontava. Parlò di Solomine come di un nume, e al marito assegnò il primo posto, immediatamente dopo il capo-fabbrica. Nondimeno, la vita della filanda le pesava assai.
— Non è la città, — diceva, — e non è il villaggio. Se non fosse pel signor Solomine, non ci resterei nemmeno un'ora.
Marianna ascoltava con attenzione, nè di ciò stupiva Nejdanow, seduto poco discosto, poichè per la giovanetta tutto ciò avea l'attrattiva del nuovo. In quanto a lui, gli pareva di aver visto e udito delle centinaia di donnicciuole sul tipo di Tatiana.
— Sentite, Tatiana Osipovna, — disse Marianna a un certo momento, — voi pensate che noi si abbia l'intenzione d'istruire il popolo: no, non è questo; noi vogliamo servirlo, essergli utili.
— Servirlo?... Ebbene, istruitelo, e l'avrete bell'e servito. Vedete, io, per esempio, quando mi son maritata, non sapevo nè leggere nè scrivere; adesso lo so, grazie al signor Solomine! Non è mica che mi abbia dato lezioni; pagò invece un vecchietto che m'insegnò. Eh! sono ancor giovane io, benchè grande e grossa!
Marianna stette un momento in silenzio.
— Vorrei, — riprese poi a dire, — imparare qualche mestiere.... Ma ne riparleremo. In verità, sono un cattiva sarta.... Se imparassi un po' di cucina, potrei far da cuoca.
Tatiana stupì.
— Da cuoca! come! ma le cuoche vanno a stare in casa dei ricchi, dei negozianti!... E i poveri si fanno la cucina da sè. Forse sì, potreste entrare in una di queste società operaie.... Oh, ma che brutta vita sarebbe, e che brutto mestiere!
— E sia pure che debba stare coi ricchi, purchè mi incontri coi poveri.... Se no, dove andrei a cercarli? Non avrei sempre un'occasione come quella di oggi, con voi!
Tatiana posò la tazza nella sottocoppa, con l'apertura in giù.
— Non è mica una faccenda agevole, — disse alla fine sorridendo; — non la si avvolge come un filo attorno al dito. Quel che so fare io, ve l'insegnerò volentieri; ma non sono una dottoressa, io! Parlatene a mio marito. Quello lì è tutt'un altro affare. Legge nei libri lui, e non c'è matassa che non vi sbrogli!
Qui, guardando a Marianna, la vide che con le dita si andava arrotolando una sigaretta.
— E sentite anche questa, Marianna Vichentievna; scusatemi, veh!... ma se proprio volete vivere come la gente del popolo, cotesto non va! (E accennava alla sigaretta). In quei mestieri lì, in quello di cuoca, per esempio, non si può mica fumare... Senza dire, che si vedrebbe subito che siete una signorina. Sì!
Marianna gettò la sigaretta dalla finestra.
— Non fumerò più... È un'abitudine che si fa presto a smetterla. Le donne del popolo non fumano; non conviene dunque ch'io fumi.
— Avete detto la verità, Marianna Vichentievna. Gli uomini si cavano questo grillo, anche in mezzo a noi; le donne, no, ecco!... Oh! ma adesso viene il signor Solomine in persona: sento il suo passo: nessuno meglio di lui vi spiegherà ogni cosa.
Infatti, si udì di fuori la voce di Solomine.
— Si può?
— Avanti, avanti! — rispose Marianna.
— È un'abitudine che ho presa in Inghilterra, — disse Solomine entrando. — Sicchè, come vi sentite? Non vi siete troppo annoiata?... Vedo che avete preso il tè con Tatiana.... È una donna di gran giudizio, sapete.... Intanto, oggi arriva qui il padrone, proprio male a proposito. E rimane anche a pranzo. Che farci!... è il padrone, si sa!
— Che uomo è? — domandò Nejdanow, venendo fuori dal suo cantuccio.
— Niente di straordinario.... Non è un gocciolone e non ha nemmeno inventato la polvere. Appartiene alla gente nuova, come dicono. Molto gentile, porta i guanti, ficca il naso un po' dappertutto, nè più nè meno che se fosse dei vecchi. È capace di spellarti per benino, e di pregarti con la massima grazia: “Favorite voltarvi dall'altra parte: c'è ancora un posticino che non ho spellato a dovere!...” Con me, però, è un pan di zucchero: gli è che di me non può fare a meno.... Son venuto a dirvi che oggi, forse e senza forse, non ci vedremo. Vi porteranno qui da desinare. Non vi mostrate nel cortile, mi raccomando. Che credete voi, Marianna, i signori Sipiaghin vi faranno cercare? vi correranno dietro?
— Credo di no, — rispose Marianna.
— Ed io son sicuro del contrario, — disse Nejdanow.
— Ad ogni modo, — riprese Solomine, — la prudenza non guasta, specialmente nei primi tempi. Poi, tutto si aggiusta.
— Sì.... Ma intanto, — osservò Nejdanow, — bisognerà avvertire Marchelow che io son qui.
— Perchè?
— È indispensabile; per la causa comune. Deve sempre sapere dove mi trovo. Gliel'ho promesso. Del resto, non è uomo da parlare a caso!
— Va bene. Manderemo Paolo.
— E il mio vestito sarà pronto? — domandò Nejdanow.
— Il costume, volete dire?... Altro che! Sara una mascherata.... a buon mercato anche. Andiamo, Tatiana!
Marianna e Nejdanow restarono di nuovo soli.
XXVIII.
Cominciarono, come la prima volta, dallo stringersi forte le mani. Poi Marianna esclamò:
— Aspetta, che t'aiuto a rassettar la camera.
E si diè a tirar fuori gli effetti dalla sacca da viaggio e dalla valigia.
Volle far da sè, perchè, diceva, bisognava assuefarsi a servire. Attaccò infatti qua e là i vestiti a dei chiodi che avea trovati nella tavola e che conficcò nelle pareti per via d'una spazzola. Mise la biancheria in un vecchio cassettoncino che era tra le due finestre.
— Che è questo? — esclamò ad un tratto; — una rivoltella? È carica? E a che ti serve una rivoltella?
— Non è carica.... Da' qui. In quanto a servire, capisci bene che nel nostro mestiere, non si va attorno senza questo gingillo.
Ella si mise a ridere, e tornò al suo lavoro, scotendo i vestiti e battendoli col palmo della mano. Cacciò sotto il canapè due paia di stivali. Alcuni libri, un fascio di carte e il famoso quaderno delle poesie, furono solennemente disposti sulla tavola in angolo, a tre piedi, che ella battezzò per tavolino da lavoro e scrivania in opposizione all'altra che era rotonda e che fu chiamata tavola da pranzo.
Ciò fatto, prese a due mani il quaderno poetico, lo alzò fino agli occhi e guardando Nejdanow di sopra all'orlo orizzontale, gli disse sorridendo:
— Leggeremo insieme, poi, quando le occupazioni ci lasceranno un po' di tempo, non è così?
— Dammi cotesto quaderno, che lo butti al fuoco! Non merita altro.
— Ma allora, perchè l'hai portato?... No, no, bruciarlo, mai! Del resto, si dice che tutti i poeti minacciano di ardere i loro scritti, e poi non ne fanno niente. In ogni caso, lo serbo io; starà più sicuro.
Inutile ogni protesta. Scappò in camera sua, tornò a mani vuote, sedette accanto a Nejdanow, e subito tornando ad alzarsi:
— Non sei ancora stato in camera mia, — disse. — Vuoi vederla? Non è mica peggiore della tua. Vieni, te la mostrerò.
Nejdanow la seguì.
La camera era alquanto più piccola dell'altra; ma i mobili li aveva più puliti e moderni. Sulla finestra era un vaso di cristallo con fiori. Nell'angolo, un letto di ferro.
— Vedi com'è gentile quel Solomine! — diss'ella. — Badiamo però a non lasciarci viziare: non ci toccherà sempre di avere un quartierino come questo. Sai che si dovrebbe fare? Trovare un posto insieme, fare in modo da non separarci.... Sarà difficile; insomma, vedremo. In ogni caso, tu non torni a Pietroburgo, non è così?
— E per che farci? Per seguire i corsi universitari o per dar lezioni?
— Sentiamo che ne dice Solomine, egli sa meglio quel che s'ha da fare e in che modo.
Tornarono nella camera di prima e di nuovo sedettero accanto. Fecero l'elogio di Solomine, di Tatiana, di Paolo; parlarono di Sipiaghin, della vita passata, scomparsa ad un tratto come in una nebbia: si strinsero le mani, scambiando sguardi raggianti; poi toccarono delle nuove classi nelle quali dovean penetrare e del modo da tenere per non destar diffidenza.
Nejdanow assicurò che, per meglio riuscire, bisognava non pensarci.
— Certo! — approvò Marianna, — visto che vogliamo semplificarci, come dice Tatiana.
— Non intendo cotesto.... Volevo dire che non bisogna sforzarsi....
Marianna lo interruppe con uno scroscio di risa.
— Pensavo a quel che dicevo poco fa, che noi siamo due semplificati.
Nejdanow rise anch'egli; poi divenne pensoso. E così pure Marianna.
— Alessio! — diss'ella alla fine.
— Che è?
— Mi pare che siamo un po' impacciati. I nouveaux mariés debbono provare qualche cosa di simile, il primo giorno del viaggio di nozze. Sono felici, felicissimi, ma anche impacciati.
Nejdanow ebbe un sorriso sforzato.
— Sai bene, Marianna, che noi non siamo dei nouveaux mariés.
Marianna sorse in piedi.
— La cosa dipende da te, — disse.
— In che modo?
— Ascoltami, Alessio, quando tu mi dirai, sulla tua parola di uomo onesto.... ed io ti crederò, perchè ti so onesto.... quando tu mi dirai di amarmi di quell'amore.... di quell'amore che lega per tutta la vita, io sarò tua!
Nejdanow arrossì e si volse un po' in là.
— Quando io ti dirò....
— Sì, solo allora.... Ma, vedi, tu non me lo dici adesso.... Oh sì, Alessio, tu sei un uomo onesto! Ed ora, parliamo di cose più serie.
— Ma, insomma, Marianna, non t'amo io forse?
— Lo so.... ed aspetterò. Ma la tua scrivania è ancora in disordine. Guarda, guarda! c'è un involto qui....
Nejdanow si slanciò.
— Lascia stare, Marianna, te ne prego.... Non toccare!
Ella volse il capo e alzò stupita le ciglia.
— È.... un segreto? Tu hai un segreto?
— Sì.... sì.... È un ritratto, insomma, ecco!
La parola gli era sfuggita.
— Un ritratto! — balbettò lentamente Marianna; — di donna?
Gli porgeva, così dicendo, l'involto; ma così male egli lo prese, che la carta si aprì.
— Ma.... è il mio ritratto! — esclamò Marianna. — Oh! allora, visto che è il mio, lo prendo!... E sei tu che l'hai fatto?
— No.... io no.
— E chi? Marchelow?
— Hai indovinato.
— E come si trova in mano tua?
— Mi è stato donato.... da lui.
— Quando?
Nejdanow le narrò ogni cosa. Marianna guardava un po' a lui, un po' al ritratto.... E tutti e due avevano un vago sentimento, che diceva loro: “Se lui si fosse trovato qui, in questa camera, avrebbe avuto il diritto di esigere....”
Ma il pensiero non fu formulato.... forse perchè ciascuno dei due lo leggeva nello spirito dell'altro.
Marianna rinvoltò il ritratto nella carta e lo posò sulla tavola.
— Bravo ragazzo! — mormorò. — Dove si trova ora?
— Dove?... A casa sua. Andrò a trovarlo domani o doman l'altro, per certi opuscoli che dovea darmi e che poi dimenticò al momento della partenza.
— Dimmi, Alessio, e tu credi che dandoti questo ritratto, egli abbia inteso rinunciare a tutto, assolutamente a tutto?
— Così mi è sembrato.
— E nondimeno, tu fai conto di trovarlo a casa?
— Senza dubbio.
— Ah!
Marianna abbassò gli occhi e abbandonò in grembo le braccia.
— Oh! ecco Tatiana che ci porta il desinare! — esclamò ad un tratto. — Che donna eccellente!
Tatiana apparve, coi tovaglioli e i piatti. Mettendo la tavola, narrò quanto era accaduto alla fabbrica.
— Sa che novità?... Il principale è
arrivato da Mosca con la macchina e s'è messo a correre di
sopra e di sotto come un indemoniato.... Non ne capisce niente, si
sa; ma lo fa per l'effetto, per l'esempio. Il signor Solomine lo
tratta come un bambino. Il principale gli ha voluto fare non so che
osservazione, che non stava nè in cielo nè in terra; e il signor
Solomine botta e risposta: “Vi
pianto in asso, ha detto, e buona notte!
” Allora il principale
acqua in bocca e docile come un agnello.... Più tardi pranzeranno
insieme. Il principale è venuto con un compagno. Quello lì poi
ammira tutto. Dev'essere un uomo d'oro: non apre bocca e non fa che
scuotere la testa. Un uomo grosso e grasso! Uno dei sopracciò di
Mosca. L'adagio ha ragione: “Mosca è
in fondo alla conca, tutto vi si ammonta.
”
— Come osservate bene ogni cosa! — esclamò Marianna.
— Ma sì, gli è per questo che si han gli occhi in fronte, — rispose Tatiana. — Ecco pronto il desinare. Mangiate di buon appetito. Io mi metto qui a sedere e starò a guardarvi.
I due giovani si misero a tavola. Tatiana sedette nel vano d'una finestra, facendo d'una mano sostegno alla guancia.
— Vi guardo, sì! — riprese a dire. — Come siete tutti e due piccini e delicatini! Che piacere a guardarvi! tanto piacere, che quasi quasi fa male.... Ah! piccioncini miei! voi vi accollate un fardello troppo greve! I giovani come voi, prima o dopo, vanno a finire in gattabuia: la gente dello Tzar non cerca che questo.
— Via mo, comare! non ci mettete
paura! — disse Nejdanow. — Voi
sapete il proverbio: “Chi pecora si
fa, il lupo se la mangia.
”
— Lo so.... lo so.... Ma i lupi di oggi hanno la gola stretta, e quando ci s'entra, non se n'esce più.
— Bambini ne avete? — domandò Marianna per mutar discorso.
— Ho un marmocchio che mi va già a scuola. Avevo una figliuoletta, ma l'ho perduta, poverina!... andò sotto una ruota.... Magari fosse morta subito! Ma no! penò tanti e tanti giorni. Da allora è che son divenuta così come sono, e che ogni pena mi tocca il cuore.... Prima no: ero più dura d'una selce, più dura del ferro!
— Come! e al vostro Paolo Egoric non gli volevate bene?
— Oh! che c'entra! quella lì è un'altra cosa! Le ragazze, si sa! Voi, per esempio, amate il signorino, non è così?
— Sì, l'amo.
— Molto?
— Molto.
— E allora....
Tatiana guardò Nejdanow, poi Marianna, e stette muta.
Per la seconda volta, per mutar discorso, Marianna ricordò a Tatiana che avea rinunziato a fumare, del che Tatiana la lodò assai. Poi riprese a parlare del suo costume, e ricordò a Tatiana la promessa fattale d'insegnarle un po' di cucina.
— E poi, ho ancora un'altra cosa da domandarvi: non potreste voi procacciarmi del buon filo crudo?... Vorrei fare delle calze.... così, semplici.
Tatiana rispose che tutto sarebbe eseguito appuntino; e difatti uscì subito dalla camera col suo passo fermo e sicuro.
— E noi, che faremo adesso? — disse Marianna; e, senza aspettar la risposta: — Ascolta: visto che solo domani incomincia il lavoro serio, che diresti se consacrassimo questa serata alle lettere? Leggiamo le tue poesie. Sarò giudice inesorabile.
Dopo un po' di resistenza, Nejdanow cedette e prese a leggere forte i versi del quaderno.
Marianna, sedutagli accanto, lo guardava in viso.
Come avea promesso, fu severa nei suoi giudizi. Varie poesie le dispiacquero. Preferiva le più brevi, di carattere lirico, senza la morale in fondo.
Nejdanow leggeva male: da una parte non osava declamare, dall'altra volea cansare la freddezza; insomma, nè carne nè pesce.
Marianna lo interruppe ad un tratto:
— Sai quella poesia di Dobroliubow, che comincia: E sia! morrò?
Nejdanow non se ne ricordava.
— Ebbene, sta a sentire.
E con intonazione un po' enfatica, Marianna recitò:
E sia, morrò! L'idea mi turba poco....
Solo un timor lo spirto accoglie in sè,
Che la morte non voglia un crudel gioco,
Per dileggio, compir sopra di me!
Temo che sulla gelida mia salma
Non versi le sue lagrime il dolor;
Che in uno zelo stupido dell'alma
Qualcun non m'orni la bara di fior!
Che non tragga spontanea e mesta folla
Di fidi amici dietro il cataletto;
Ch'io non diventi sotto la mia zolla
Triste argomento di devoto affetto.
Che tutto quanto con la brama ardente,
Ma sempre invano, osai vivo sperar,
Non venga con un riso seducente
L'assi della mia bara a consolar!...
Nejdanow notò che la poesia era troppo amara e dolorosa.
— In quanto a me, — soggiunse, — non avrei potuto scriverla, poichè non ho paura che si pianga sulla mia bara.
— Si piangerà, se io ti sopravvivo, — disse lentamente Marianna.
E levati gli occhi al soffitto, stette pensosa, e poi mormorò come fra sè:
— Ma come ha potuto fare il mio ritratto?... a memoria?
Nejdanow si volse vivamente.
— Sì, a memoria.
— È straordinario.... perchè, infine, non ha nessun talento per la pittura. Che volevo dire?... ah sì! a proposito dei versi di Dobroliubow.... Bisogna far dei versi come quelli lì, o come quelli di Puschkine....
— E come i miei, no?
— Come i tuoi?... I tuoi piacciono non perchè sian buoni, ma perchè tu sei buono, ed essi ti rassomigliano.
Nejdanow sorrise.
— Eccoci belli e sotterrati, loro ed io!
Marianna gli diè un colpettino sulla mano, chiamandolo cattivo. Poco dopo, disse di essere stanca e che se n'andava a dormire.
— A proposito, sai?— soggiunse scotendo i brevi capelli crespi, — io ho 137 rubli; e tu?
— Io, 98.
— Oh! siamo ricchi.... A domani dunque!
Uscì; ma pochi minuti appresso, sporse il capo dalla porta socchiusa e disse piano:
— Buona sera!
Si udì stridere la chiave. Nejdanow cadde a sedere sul divano e si nascose fra le mani la faccia. Poi, di botto si alzò, andò alla porta chiusa e battè con le nocche delle dita.
— Che è? — suonò la voce di Marianna.
— Non ti dico a domani, Marianna.... ma domani!
— Domani, — rispose dolcemente la voce.
XXIX.
Il giorno appresso, di buon mattino, Nejdanow tornò a bussare alla porta di Marianna.
— Sono io! — disse. — Puoi venire?
— Aspetta, vengo subito.
Uscì, e mandò un grido di sorpresa, quasi non lo avesse riconosciuto, tanto egli era trasformato.
Indossava una vecchia giacchetta di tela giallognola, dalla vita lunga e tutta bottoncini; era pettinato alla foggia russa, con la scriminatura nel mezzo; portava annodato al collo un fazzoletto turchino; in mano, un berretto dalla visiera rotta; ai piedi un par di stivali di pelle di vitello, grezzi e senza tintura.
— Giusto cielo! — esclamò Marianna, — come sei brutto!
Poi, gettategli le braccia al collo, lo abbracciò con più calore:
— Perchè mai ti sei travestito a cotesto modo? Mi hai l'aria di un povero borghesuccio infagottato.... o di un venditore ambulante.... o anche di un domestico messo a riposo.... Perchè cotesta giacchetta, e non già un camiciotto da operaio, o anche un semplice gabbano da contadino?
— Hai ragione, sì, — cominciò Nejdanow, più che mai impacciato e mortificato. Si sentiva talmente a disagio in quel suo costume, che badava solo a passarsi le mani sul petto come per spolverarsi. — Paolo mi ha assicurato che, in camiciotto o in gabbano, sarei stato subito riconosciuto; mentre che questa giacchetta, dice, si giurerebbe che l'ho portata tutta la mia vita. Il che, sia detto in parentesi, non è molto consolante pel mio amor proprio.
— Sicchè, — domandò con vivacità Marianna, — tu vuoi subito metterti all'opera?
— Sì, vorrei tentare.... benchè.... a pensarci bene....
— Beato te! — interruppe la fanciulla.
— È un uomo straordinario quel Paolo! — proseguì egli senza badarle. — Sa tutto; ha un par d'occhi che ti passano da parte a parte; e poi, di botto, ti fa un certo viso come se niente lo riguardasse di quanto gli accade intorno. È quanto mai servizievole, e nel tempo stesso si direbbe che metta ogni cosa in canzone.... M'ha portato gli opuscoli da casa di Marchelow, ch'egli chiama familiarmente Sergio.... In quanto a Solomine, gli è devoto anima e corpo e sarebbe pronto per lui a gettarsi nel fuoco.
— Anche Tatiana lo stesso.... Come si spiega questo cieco attaccamento che gli hanno tutti?
Nejdanow non rispose.
— E che opuscoli t'ha portato Paolo? — riprese Marianna.
— Ma.... i soliti.... quelli che si distribuiscono: La storia dei quattro fratelli.... E poi anche.... insomma i più popolari, i più noti.... Del resto, sono i migliori.
Marianna volse intorno uno sguardo inquieto.
— Ma che fa Tatiana che non si vede?... Avea promesso di esser qui di buon'ora....
— Ed eccola per servirvi! — si annunziò la contadina, entrando in camera con un fagotto sotto il braccio. — Non dubitate, che faremo in tempo. Vedeste che roba!
Marianna le corse incontro.
— Tutto avete portato?
— Tutto, — rispose l'altra trionfante e battendo della mano sul fagotto. — Tutto è qui dentro. Non c'è che la fatica di provarseli.... E poi, potete venir fuori, e pavoneggiarvi come una sposina!
— Oh! presto, andiamo, buona Tatiana! sbrighiamoci!
E Marianna se la trasse dietro nell'altra camera.
Rimasto solo, Nejdanow andò su e giù con passo grave e strascicante, figurandosi, chi sa perchè, esser quello il passo dei piccoli borghesi; fiutò con un certo riguardo prima una manica del vestito, poi l'interno del berretto, e fece boccaccie: si mirò in uno specchietto attaccato accanto alla finestra, e crollò la testa, riconoscendo pur troppo di non esser bello....
— In fin dei conti, tanto meglio! — pensò.
Scelse poi alcuni opuscoli, se li cacciò in tasca, e si studiò di pronunciare varie parole come le adopera il popolino, in tono ruvido e confidenziale. Ohe!... ragazzi!... compare!... alla salute!...
— Mi pare che mi ci accosti, — disse. — Ma via! a che serve fare il commediante?... C'è il vestito, e basta.
Si ricordò, a questo proposito, di un tal Tedesco, obbligato a fuggire attraverso la Russia e che parlava malissimo la lingua del paese. Avea comprato ad una fiera un berrettaccio da rivendugliolo, orlato di pelo di gatto; e doveva appunto a quel berrettaccio la fortuna di aver potuto afferrare il confine e mettersi in salvo.
In quel punto, entrò Solomine.
— Ah, ah! — esclamò, — eccoti in pieno assetto di guerra! Scusami, camerata; ma, a vederti così acconciato, non c'è più verso di darti del voi.
— Oh, ve ne.... te ne prego!... Del resto, volevo domandartelo.
— Troppo presto però.... Vero è che un poco d'esercizio ti ci voleva.... D'incanto! Ad ogni modo, bisogna ancora aver pazienza. Il principale non è andato via, e dorme come un ghiro.
— Uscirò più tardi. Farò un giretto nei dintorni, aspettando più precise istruzioni.
— Benissimo.... Senti però, Alessio.... I buoni conti fanno i buoni amici. Parliamoci chiaro: vedo che tu hai degli opuscoli: distribuiscili dove meglio ti pare, ma nella fabbrica, no!
— È perchè?
— Perchè, in primo luogo, la cosa sarebbe pericolosa per te; in secondo, perchè io ho dato parola al principale che qui non accadrebbe mai niente di simile: in fin dei conti la filanda è roba sua!... In terzo, qualche cosa s'è già iniziata, da noi; le scuole, per dirne una... e tu potresti mandare all'aria la baracca. Fa insomma quel che più ti pare, ma a tuo rischio e pericolo: io non mi oppongo: ma non toccare i miei operai.
— La prudenza non è mai di troppo, eh? — osservò Nejdanow con un ghigno beffardo.
Solomine ebbe il suo solito sorriso aperto ed ingenuo.
— Proprio così, camerata Alessio: non è mai di troppo. Ma chi vedo?... dove siamo?...
Queste due ultime esclamazioni gli erano strappate dall'improvviso apparir di Marianna sulla soglia della sua camera. Indossava una vesticciuola di cotonina fiorata, più volte lavata, un fazzoletto giallo sulle spalle, un altro rosso in capo. Tatiana, che veniva dopo, la contemplava con occhio bonario.
Vestita così semplicemente, la fanciulla pareva più fresca e più giovane.
— Signor Solomine, ve ne prego, non vi fate beffe di me! — diss'ella supplichevole, e facendosi rossa come un papavero.
— Ah! eccola la nostra bella coppia! — esclamò Tatiana, battendo le mani. — Soltanto, senti, bambino mio, e non andare in collera. Per bello, sei bello; ma, a petto della mia reginotta, ci fai magra figura.
— Fatto sta, — pensò Nejdanow, — ch'ella è un incanto. Oh, come l'amo!
— Vedi, — proseguì Tatiana, — ha scambiato il suo anello col mio. M'ha dato il suo d'oro, e ha preso il mio, che è d'argento.
— Le fanciulle del popolo non portano anelli d'oro, — disse Marianna.
Tatiana sospirò.
— Ve lo serberò, tortorella mia, non dubitate.
— Orsù, sedete!... Sedete tutti e due, — disse Solomine, il quale intanto, chinato un po' il capo da una parte, non avea smesso di guardar Marianna; — in altri tempi, se ben vi ricordate, si avea l'abitudine di riposarsi un tantino, prima di mettersi in viaggio.... E il viaggio vostro è lungo di molto, e pieno di triboli.
Marianna, non ancora rimessa dal suo turbamento, sedette; e così fecero Nejdanow e Solomine. Tatiana prese posto sopra un ciocco di legna che stava ritto.
Solomine stette a guardarli l'un dopo l'altro, e canticchiò, strizzando gli occhi:
Indietro tiriamci
Per meglio vedere....
Oh, com'è piacevole
Lo starsi a sedere!
Poi diede in un sonoro scroscio di risa, ma con tanta franchezza, che nessuno se n'ebbe a male, anzi tutti si misero di buon umore.
Ma, ad un tratto, Nejdanow si alzò.
— Vado via subito, — disse risoluto: — tutto ciò è molto grazioso, non lo nego, ma rassomiglia assai a un'operetta coi relativi travestimenti.... In quanto a te, Solomine, sta pur tranquillo! non toccherò un capello ai tuoi operai. Girerò per le vicinanze, e al ritorno conterò a Marianna tutte le mie avventure, se ci sarà da raccontare. Qua la mano, perchè mi porti fortuna!
— Non sarebbe meglio di assaggiar prima un sorso di tè? — insinuò Tatiana.
— Eh, no! perdita di tempo!... Se me ne vien voglia, entro in un'osteria o anche in una bettola.
Tatiana crollò il capo.
— Al dì d'oggi, su tutte le strade maestre, c'è tante osterie quante ci son pulci in una pelliccia di montone. Villaggi, poi, se ne trova ad ogni passo; e chi dice villaggio, dice bettola....
— Addio, a rivederci! — riprese Nejdanow, allontanandosi.
Ma non aveva ancora toccato la soglia, che gli sorse davanti Paolo, sbucando improvviso dall'ombra del corridoio, e gli presentò una lunga mazza dalla scorza incisa a spirale.
— Accettate questa, — disse; — vi servirà per appoggiarvi; più la poserete con la punta in avanti, e più comoda vi sarà.
Nejdanow prese la mazza ed uscì, seguito da Paolo.
Tatiana fece anche atto di alzarsi; se non che Marianna le si accostò e la trattenne.
— Aspettate, Tatiana, ho bisogno di voi.
— Torno subito; vado solo a cercare il bricco per il tè. Il vostro compagno è andato via a bocca asciutta, tanta fretta aveva.... Ma questa non è mica una ragione perchè anche voi facciate penitenza. In seguito, non dico.... C'è sempre tempo a pentirsi!
Tatiana uscì.
Solomine si alzò anch'egli e restò in fondo alla camera.
Quando finalmente Marianna si voltò dalla sua parte, un po' sorpresa di non udirgli pronunciare una sola parola, vide nel viso di lui, in quegli occhi che la fissavano, un'espressione nuova d'inquietudine, d'interrogazione, quasi di curiosità.
Si turbò e tornò ad arrossire. E Solomine, quasi gli rimordesse di essersi lasciato leggere nell'anima, prese a parlare con voce più forte dell'usato:
— Sicchè dunque, Marianna.... Ecco che avete incominciato.
— Ma che incominciato, signor Solomine! In verità, non posso negare che mi sento molto a disagio. Aveva ragione Alessio; sembra proprio che si rappresenti una operetta. Solomine tornò a sedere.
— Ma, scusatemi, Marianna.... Che cosa avevate in mente voi? che vi pareva mai si dovesse incominciare?... Le barricate forse, con tanto di bandiera in cima, e urrà alla repubblica?... In tutti i modi, non sarebbe stato affar vostro.... Mi spiego. Voi v'imbattete oggi o domani in una Lucheria qualunque, e vi mettete a insegnarle qualche cosa di buono; cosa tutt'altro che facile, perchè Lucheria è ottusa e caparbia, e per giunta diffida di voi.... Si figura, naturalmente, di non aver punto bisogno del vostro insegnamento.... Poi, in capo a due o tre settimane, una seconda Lucheria vi capiterà fra i piedi.... E intanto, per non perder tempo, laverete il viso a un marmocchio o gl'insegnerete l'abicì, o anche darete delle medicine a un malato.... Eccovi il principio bell'e pronto.
— Ma le suore di carità non fanno altro che questo!...
— Già, senza essere rivoluzionarie.
— Al contrario.... In tal caso, quale sarebbe lo scopo di.... (e accennava alle vesti che aveva indosso).... Insomma, voi mi capite. Io avevo sognato ben altro.
— Volevate offrirvi in olocausto?
Gli occhi della fanciulla lampeggiarono.
— Sì, sì, sì!...
— E Nejdanow?
— Oh! — esclamò ella scrollando le spalle. — S'intende che Nejdanow affronterebbe con me il sacrificio.... e se no, andrei sola!
Solomine la guardò fiso ed a lungo.
— Sentite, Marianna, e mandatemi buona la sconvenienza dell'espressione; ma, a mio modo di vedere, il pettinare un monello tignoso è già un bel sacrificio, anzi è tal sacrificio, di cui pochissimi sono capaci.
— Ma io non mi rifiuterei nemmeno a cotesto.
— Lo so, vi conosco. Voi sì, ne siete capace. E per ora lo fareste; aspettando, beninteso, di fare altro.
— Ma bisogna prima che prenda dei consigli da Tatiana.
— Benissimo, fate pure.... Risciacquerete le pentole, le scodelle, spennerete qualche pollastro.... E in seguito, chi sa?... salverete forse la patria.
— Vi burlate di me?
Solomine crollò dolcemente il capo.
— No, mia buona Marianna, credetemi! non mi burlo di voi. Le mie parole son verità sacrosante. Ai giorni nostri, voi altre donne russe, voi siete più fattive e più sensate di noi uomini.
Marianna alzò gli occhi, che aveva abbassati.
— Vorrei giustificare le vostre aspettazioni, signor Solomine.... e poi anche morire!
Solomine sorse in piedi.
— Eh no! vivete.... vivete! Questo è quel che più importa. A proposito, non vorreste sapere quanto succede ora a casa vostra, in seguito alla fuga?... Può darsi che abbian preso delle misure.... Basterà che ne diciate mezza parola al mio Paolo: in un batter d'occhio, vi mette a giorno di tutto.
— Che uomo straordinario il vostro Paolo, non è vero?
— Sì, abbastanza.... E così pure, quando verrà il momento di dovervi maritare con Nejdanow, sarà anche Paolo che penserà ad aggiustare ogni cosa con Zosimo.... quel tal prete di cui vi parlai, vi ricordate?... Ma finora, non ce n'è bisogno, eh?
— No.
— No?... ebbene, no!
Solomine si accostò alla porta, che separava le due camere, e si chinò sulla serratura.
— Che guardate? — gli chiese Marianna.
— Si chiude a chiave?
— Sì, si chiude, — mormorò ella.
Solomine le si volse, e la vide sempre con gli occhi bassi.
— Sicchè, — disse allegramente, — non serve sapere quel che hanno risoluto i Sipiaghin. – Siamo intesi.
E fece atto di uscire.
— Solomine!
— Che desiderate?
— Ditemi, di grazia, come mai voi, per solito così taciturno, trovate tante cose da dirmi?... Non vi potete figurare quanto ciò mi faccia piacere!
— Come mai? — e, così dicendo, Solomine prendeva le manine delicate della fanciulla fra le sue mani grosse e ruvide. — Come mai?... Ma, probabilmente, trovo gusto a discorrere con voi, perchè vi voglio molto bene. Addio.
Immobile e ritta, Marianna lo seguì con gli occhi, mentre quegli si allontanava, e stette un momento pensosa....
Poi se n'andò da Tatiana, che non aveva ancora portato il bricco. Bevve una tazza di tè; ma non si rifiutò a dare una mano alla cucina, a rassettare, a spazzare.... e perfino a ravviare i capelli arruffati d'un marmocchio.
All'ora del desinare, tornò in camera sua; nè ebbe ad aspettar molto l'arrivo di Nejdanow.
Stanco, coverto di polvere, questi si gettò, appena entrato, sul divano.
Ella corse a sedergli accanto.
— Ebbene? racconta! racconta!
Il giovane le rispose con voce fioca:
— Ti ricordi quei due versi che
dicono:
Se non fosse molto triste....
ti ricordi?
— Sicuro che mi ricordo.
— Ebbene, questi due versi si adattano perfettamente alla mia prima uscita.... Ma no! L'elemento comico ha avuto il disopra. In primo luogo, mi son persuaso che la cosa più facile di questo mondo è quella di recitare una parte: non c'è stato uno solo che abbia sospettato di me. Ma una difficoltà non avevo preveduto; cioè che bisogna sempre tenere in serbo una storiella qualunque, se no la gente ti domanda: “Di dove venite? che volete?...” e tu non hai che rispondere. Del resto, nemmeno questo è indispensabile. Basta invitare il camerata a trincare un bicchier d'acquavite nella bettola vicina, e contargli tutte le frottole che ti saltano in capo.
— E tu.... ne hai contate delle frottole? — domandò Marianna.
— Sì.... alla meglio. Inoltre, tutte le persone, proprio tutte, con le quali ho parlato, son dei malcontenti; ma non ce n'è una sola a cui prema di sapere in che maniera rimediare al malessere!... Fatto sta che come propagandista, io non son forte davvero: ho lasciato, senza dir verbo, due opuscoli in due capanne; un altro lo ho gettato sopra una carretta.... Che cosa ne uscirà, tu solo lo sai, o mio Dio!... Ho offerto ancora altri opuscoli a quattro individui. Uno mi ha domandato se si trattava di un libro di preghiere.... e non l'ha voluto. Un altro mi ha dichiarato di non saper leggere, ma l'ha preso pei bambini, visto che sul frontespizio c'era una figurina. Il terzo ha cominciato per ripetere: “Sicuro.... proprio così!” e poi, sul più bello, m'ha colmato di vituperi e ha buttato via il libercolo. L'ultimo, finalmente, lo ha accettato, ed anche s'è profuso in ringraziamenti, ma ho paura che non abbia capito un'acca di quanto gli ho detto. Oltre a ciò, un cane m'ha dato un morso ad una gamba; una donna, dalla soglia della sua capanna, m'ha minacciato con una forcina, vociando: “Uh! cialtroni! vagabondi che non siete altro! che il malanno vi colga quanti siete!” – E un soldato in congedo mi ha rincorso gridando: “Aspetta, camerata, che ti conciamo noi per le feste”! E dire che gli avevo pagato lo scotto e s'era ubbriacato a spese mie.
— E poi?...
— E poi.... Ho uno stivale troppo largo, che mi fa male alle dita.... E adesso ho una fame diabolica, e mi sento la testa che mi si spacca dall'acquavite che ho dovuto ingollare.
— Hai bevuto molto?
— No, pochissimo.... per dar l'esempio, capisci. Ma sono entrato in cinque osterie. E poi non la sostengo bene l'acquavite. Non mi fo capace come i nostri contadini la mandino giù! È una cosa inesplicabile!... Davvero, che se bisogna bere acquavite per mescolarsi al popolo, servitore umilissimo!
— E tu dici che nessuno ha sospettato di te?
— Nessuno. C'è stato bensì un oste, un omo pallido, dagli occhi bianchicci, che m'ha sbirciato pieno di diffidenza. L'ho inteso che diceva a sua moglie: “Tienilo d'occhio cotesto rossigno guercio!” (che fossi guercio non m'ero mai accorto) “È un ladruncolo. Basta guardar come beve sboccato”. Non capii che cosa significasse lo sboccato in un caso simile.... Forse s'era avveduto ch'io cercavo di spander l'acquavite sotto la tavola, senza farmi notare.... Oh! che scellerato mestiere per un esteta, mettersi a contatto della vita reale, quotidiana!
— Vuol dire che riuscirai meglio un'altra volta, — disse Marianna per consolarlo. — Sono però contenta che prendi il tuo primo tentativo dal lato umoristico. In sostanza, poi, non ti sei annoiato?
— No, anzi mi son divertito mezzo mondo. Ma so bene intanto che ripenserò a tutto questo, e me ne sentirò scorato, disilluso.
— No, no! io non ti ci farò pensare.... Ti narrerò quel che ho fatto io. Or ora ci serviranno da desinare.... E intanto, sappilo, ho mirabilmente.... lavato la pentola, nella quale Tatiana ci servirà la minestra di cavoli. Ti conterò poi tutto, per filo e per segno.
Nejdanow la guardò fiso, tanto che più volte ella si interruppe confusa.
Dopo desinare gli propose la lettura di un romanzo di Spielhagen. Ma non ne avea letto una pagina, ch'egli si alzò di botto, andò verso di lei e le cadde ai piedi. Ella si raddrizzò, ritraendosi, mentre Nejdanow, abbracciandole le ginocchia, le diceva di voler morire.... Non si mosse, non resistette. Sottomettevasi tranquilla alla stretta violenta, e lo guardava dall'alto con un'espressione calma, quasi carezzevole. Gli posò le mani sul capo, che febbrilmente egli cacciava nelle vesti di lei. Ma quella stessa calma potè su di lui più di qualunque resistenza. Si alzò e disse:
— Perdonami, Marianna, per quanto è avvenuto oggi ed ieri. Ripetimi che sei disposta ad attendere ch'io sia degno del tuo amore.... e perdonami!
— Ti ho dato la mia parola, e non saprei venir meno.
— Grazie.... addio!
Uscì. Marianna si chiuse in camera sua.
XXX.
Quindici giorni dopo, a quel medesimo posto, Nejdanow, chino sul suo tavolino a tre gambe, scriveva al suo amico Siline. La notte era inoltrata, e solo la fiamma vacillante di una candela di sego rischiarava la camera. Sul divano, per terra, erano sparsi i vestiti inzaccherati e gettati via a caso ed in fretta. Una pioggerella ostinata batteva contro i vetri della finestra. Un vento tiepido soffiava a momenti sui tetti, mandando dei lunghi gemiti.
“Mio caro Vladimiro,
“ti scrivo senza mettere indirizzo, anzi consegno la lettera a un
fattorino perchè la imposti ad un ufficio lontano di qua. La mia
presenza in questo paese è un segreto; tradire questo segreto,
sarebbe lo stesso che perdere un'altra persona con me. Ti basti
sapere che mi trovo in una grande fabbrica, in compagnia di
Marianna, già da due settimane. Siamo fuggiti dalla casa di
Sipiaghin lo stesso giorno che ti scrissi. Siamo qui ospitati da un
amico, che chiamerò Basilio; un uomo tutto cuore, e che è capo
della fabbrica stessa. La nostra dimora qui è soltanto temporanea.
Aspettiamo, per muoverci, il momento di agire. Vero è che, secondo
tutte le apparenze, questo momento è di là da venire. Mio caro
Vladimiro, io mi sento triste, oppresso, da non poterne più!
“Prima di tutto, ho da confidarti una cosa. Benchè andato via
insieme con Marianna, siamo sempre, ella ed io, come fratello e
sorella. Ella mi ama, e mi ha detto che sarà mia, se.... se io mi
sentirò in diritto di esigerlo. Però io non posso e non voglio
ingannare una donna che ha piena fede in me e nella mia onestà. So
che non ho mai amato, e che mai amerò altra donna più di quanto ami
lei. Ma tant'è! come potrei aver cuore di legar per sempre il suo
destino al mio?... legare una creatura viva e vitale a un cadavere,
o almeno a un uomo mezzo morto! Che direbbe la mia coscienza?... Tu
mi risponderai che se la passione fosse più forte, la coscienza
tacerebbe. Ma il fatto è che io sono un cadavere; un cadavere
onesto, se mai, e pieno di buone intenzioni. Non dire, te ne
scongiuro, che queste son le mie solite esagerazioni.... Tutto
quanto ti dico è verità sacrosanta, indiscutibile. Marianna è una
creatura dall'indole molto severa, costretta.... In questo momento,
è tutta assorta nella causa, in cui ha cieca fede.... Ed io
intanto....
“Ma lasciamo andar l'amore, i sentimenti personali e simili
grullerie.
Sono già due settimane e più che io mi accosto al popolo, e sarebbe
difficile escogitare una occupazione più balorda di questa. Certo,
la colpa è tutta mia. Io non sono slavofilo, io non son di quelli
che si educano per via del popolo, che si rifanno al contatto di
questo elemento ingenuo e gagliardo.... Io non me lo applico sul
ventre come un cataplasma di seme di lino.... No, io voglio invece
essere attivo, influire da me su cotesto popolo, inspirarlo,
guidarlo.... Ma come? ma che mezzo ho alle mani? ma che forza è la
mia?...
“Fatto sta che quando mi trovo in mezzo alla gente minuta, non son
buono che ad ascoltare ed osservare; ma per poco che si tratti di
aprir bocca, non mi raccapezzo più! Sento da me tutta la mia
insufficienza. Mi par di essere un pessimo attore costretto a
recitare una parte superiore ai suoi mezzi.
“Un sentimento di buona fede, un morso di coscienza, mi sorprende
sul più bello; e poi il dubbio, e poi anche un disgraziato istinto
satirico che io ritorco contro me stesso.
“Tutto questo, tu lo intendi, val meno di niente! Non ti so dire
che nausea mi prenda a vedermi così infagottato come sono, così
mascherato, secondo l'espressione di Basilio!
“Dicono che bisogna incominciare dallo studiare la lingua del
popolo, dal conoscerne i costumi, le abitudini.... Ciò è falso,
falsissimo. Fede vuol essere, fede in sè stesso, nei propri
principii, e poi si parli come vien viene!
“M'è accaduto di udire una specie di sermone spifferato da un
profeta di quelli che chiamano dissidenti.
“Che filatessa! che pasticcio di citazioni bibliche, di frasi
volgari, d'idiotismi! che scellerata pronuncia!... E poi sempre a
gracchiare la stessa antifona a proposito di non so che spirito che
lo aveva invasato....
“Se non che, aveva gli occhi come carboni ardenti, la voce sonora e
profonda: stringeva le pugna; pareva fuso in bronzo quell'uomo lì!
Gli astanti non ne capivano un'acca: eppure come pendevano dalle
sue labbra! come andavano in estasi! come gli correvano dietro
acclamando!
“Io invece, quando comincio a parlare, mi fo l'effetto di un
colpevole che supplichi perdono!... Farsi dissidente.... e perchè
no? La scienza loro si fa presto ad impararla.... ma la fede, la
fede, dove prenderla?...
“Marianna, quella sì che ha la fede! Appena albeggia, è già in
piedi e al lavoro. Passa il suo tempo con Tatiana, una brava donna,
piena di buon senso, che ci ha messo affezione a tutti e due.
“E con lei Marianna è sempre attiva, e si dà attorno, e non trova
requie, paziente e ostinata come una formica.
“È tutta lieta che le mani le divengano rosse e incallite, e
aspetta, di momento in momento, di salire il patibolo, se
occorra!... Ed io, quando mi provo a parlarle dei miei sentimenti,
provo una specie di vergogna; mi pare di stendere la mano sulla
proprietà altrui.... E poi quello sguardo!... Oh! quel terribile
sguardo, sottomesso, disarmato, che sembra dire: “Io son tua, se tu vuoi.... ma,
ricordati!... E a che poi servirebbe? Non c'è forse qualche
cosa di migliore e di più elevato al mondo?”
“Il che viene a dire, in altri termini: Indossa un camiciotto
d'operaio e va in mezzo al popolo!... Ed è precisamente quel che io
faccio.
“Oh! come maledico allora la mia natura nervosa, i miei sensi
troppo raffinati, la mia impressionabilità, i miei facili disgusti,
tutta questa incresciosa eredità di un padre aristocratico! Che
diritto aveva egli di gettarmi nella vita, dandomi degli organi in
perfetta disarmonia col mondo nel quale ero destinato a vivere?
Dare alla luce un uccello e scagliarlo nell'acqua! Partorire un
esteta e cacciarlo nel fango! Creare un amico del popolo, un
democratico, cui il solo odore dell'acquavite provoca la nausea e
poco meno che il vomito!...
“Ecco a che ne sono: a biasimar mio padre e a pigliarmela con lui.
Eh! se sono un democratico, la colpa è tutta mia, ed egli non ci ha
che vedere.
“Sì, Vladimiro, io non mi sento in me. Mi assalgono a momenti idee
nere, cattive....
“Ma, mi domanderai tu, possibile mai che per quindici giorni di
fila non ti sia capitato fra i piedi qualche cosa di consolante, un
essere qualunque, sia pure ignorante, ma leale, vivo, virtuoso?
“Che dirti? Non nego che la cosa sia accaduta.... Mi sono anzi
imbattuto in un ragazzo eccellente, natura schietta ed energica. Ma
ho un bel fare io, con tutti i miei opuscoli!... si vede che non
gli servono a niente. Paolo, uno degli impiegati della fabbrica
(uomo accorto e intelligente, che è il braccio dritto di Basilio, e
che col tempo sarà uno dei capi.... credo già di avertene parlato),
ha un amico contadino. Si chiama Elisario.... bel nome, non è
vero?... uno spirito limpido, indipendente, senza doppio fondo; ma
non appena si comincia a discorrere insieme, pare che un muro si
elevi tra lui e me! Mi guarda tranquillo, sicuro, con
un'espressione che dice chiaro: — No, no, no!
“Ce n'è anche un altro, che ho incontrato, un uomo impetuoso, tutto
fuoco. — “Non tante frasi
inzuccherate, caro signore,
” m'ha detto: “una sola parola! sei disposto, sì o no, a
darci tutti i poderi tuoi?
” — “Eh via! gli ho risposto, come ti salta in
mente che io sia un signore, un proprietario?
” (Mi ricordo
anche di aver soggiunto: Che Dio ti benedica!) — “Ma se tu sei del popolo, ha ribattuto, se sei
anche tu un povero diavolaccio, a che servono tanti discorsi?...
Non ci rompere le tasche, fammi il piacere!
”
“Un'altra cosa mi è venuto fatto di osservare: se qualcuno ti sta a
sentire con interesse e non si fa pregare per accettar gli
opuscoli, puoi giurare ch'è un cattivo arnese o una testa vuota.
Accade anche d'imbattersi in qualche buon parolaio, che la pretende
ad uomo saputo, e la cui scienza consiste a ripeterti mille volte
una parola, una frase favorita. Uno di costoro m'ha intronato con
la sua produzione! Checchè io dicessi, rispondeva sempre: —
Sicuro! proprio così! la produzione! Che il diavolo se lo
pigli!...
“Ancora un'osservazione.... Ti ricordi forse che, parecchio tempo
addietro, si parlò molto degli uomini soverchi, dei così detti
Amleti.... Ebbene, figurati che adesso se ne trovano perfino
fra i contadini, con un carattere speciale, beninteso.... La
maggior parte sono infermicci. Soggetti interessanti, però, che ti
stanno a sentire molto volentieri; ma per l'azione, non valgono
proprio niente, e somigliano in tutto e per tutto agli
Amleti di una volta.
“Che fare dunque? Fondare una tipografia clandestina? Ma a che
servirebbe?... Di opuscoli ne abbiamo anche troppi. Ce n'è di
quelli che dicono al contadino: “Fatti il segno della croce e impugna la
scure!
” ed altri che dicono soltanto: “Prendi la scure!
” lasciando la croce da
parte. Scrivere novelle a tesi, tratte dalla vita popolare?... È
probabile che non si troverebbe nemmeno a stamparle....
“O bisogna davvero impugnar la scure?... Ma contro chi, con chi,
perchè?... Perchè un soldato del governo vi tiri addosso con un
fucile del governo?... Non sarebbe, in fondo, che un suicidio un
po' più complicato dei soliti. Se ne fossi a questo, preferirei
ammazzarmi da me. Almeno, avrei la scelta del modo, dell'ora, del
posto preciso dove appoggiare la canna della pistola.
“In verità, mi pare che se scoppiasse ora, in un paese o
nell'altro, una guerra popolare, io correrei ad arrolarmi, non già
per liberare Tizio o Cajo (liberare gli altri, quando noi stessi
non siamo liberi!), ma per farla finita una buona volta!
“Il nostro amico Basilio, quello che ci ha dato ospitalità, è
davvero un uomo felice. È dei nostri, ma che serenità è la sua! che
posapiano! Se fosse un altro, lo caricherei d'ingiurie. Ma lui no,
non posso. Tutto insomma è questione di carattere, non già di
principii. Basilio ha un carattere, come si suol dire, tutto d'un
pezzo. E ha ragione, perbacco!
“Molte e molte ore le passa con Marianna e con me. E vedi caso
strano! Io amo Marianna e ne sono amato, (non sorridere, ti
assicuro che è la pura verità), eppure non trovo di che cosa
discorrere con lei, mentre poi con Basilio ella parla, discute,
ascolta. Non sono geloso neppur per ombra. Basilio si studia di
trovarle un posto; almeno ella lo sollecita di ciò tutti i momenti:
ma quando li guardo, son subito preso da una profonda amarezza.
“Eppure, non avrei che da dire una parola e il padre Zosimo
entrerebbe subito in iscena, e si canterebbe: Isaia
rallegrati!nota 9 – e tutto quel che segue. Ma
non per questo mi sentirei più felice, nè di mutato vi sarebbe
nulla di nulla. La mia situazione è senza uscita! Ah sì! la vita mi
ha scorciato, come soleva dire, ti ricordi?... quel beone
del nostro sarto, lamentandosi di sua moglie.
“Del resto, sento che la cosa non andrà per le lunghe. Una novità
quale che sia deve accadere.
“Non ero forse io che domandavo per primo l'azione immediata? non
ho io forse dimostrato in mille modi che urge metter fuoco alle
polveri?... Ebbene, il momento arriva, non dubitare!
“Non so se t'ho parlato d'un altro camerata, un uomo bruno e forte,
parente di Sipiaghin.... Costui ci prepara forse una certa
minestra, che non sarà facile mandar giù.
“Volevo finir la mia lettera; ma, che vuoi! checchè faccia, non mi
libero della versomania! A Marianna non leggo le mie poesie, perchè
non le piacciono. Tu invece le lodi qualche volta, e, soprattutto,
non ne parli mai a nessuno. Io era stato colpito da un fatto
singolare, da un fenomeno, comune a tutta la Russia.... Ma,
insomma, senza preamboli inutili, eccoti i versi che ho messi
insieme:
SONNO.
Dopo lunga stagione, ecco ritorno
Al natìo loco, e ingrato un senso io provo.
Volgo stupito gli occhi a me d'intorno
E nulla scorgo che mi sembri nuovo.
Così tranquillo l'ho lasciato un giorno,
Così dopo tant'anni or lo ritrovo,
Cheto, slombato, sonnolento. Ognora
L'anima immersa in una morta gora.
Dirute mura e case senza tetto,
Luridi cenci, visi emaciati,
Fango e sentore di miseria infetto,
Sguardi servili, impronti o rassegnati.
Tutto, sì, tutto nel primiero aspetto,
Nè le cose nè gli uomini mutati....
Liberi son; ma, per un fato strano,
Inerte pende la libera mano.
Nulla mutò. Forse in un punto solo
Sull'Europa e sull'Asia anzi sul mondo
Noi si può dire che impennammo il volo,
Nè ad altri il nostro popolo è secondo.
Se vuoi cercar dall'uno all'altro polo,
Non c'è chi dorma sonno più profondo
Siccome il sonno delle eterne notti
Di questi miei diletti compatriotti.
Tutto dorme ed ognor. Dorme il villaggio,
Dormono le città sera e mattina;
Seduti, in piedi, a casa od in viaggio,
In chiesa, a scuola, in piazza od in cucina.
Dorme il giudice, e il reo, l'idiota e il saggio,
Dormono tutti, al monte e alla marina;
Dorme il mercante, dorme il guardiano,
Sotto la neve e al sol meridiano.
Dorme il bifolco per i campi asciutti
Interminati della steppa enorme;
Semina, vanga, falcia, spicca i frutti,
Preso dal sonno in tutte le sue forme:
Babbo, mamma, piccin, dormono tutti.
Dorme chi batte e chi è battuto dorme.
Unica e sempre nella patria mia,
L'occhio sbarrato, veglia l'osteria....
Con la possente mano alta la brocca,
Che va votando in sonno ad ora ad ora,
Mentre il biondo licor spuma e trabocca,
Mentr'ella beve e di dormire ignora,
La fronte a Borea, i piedi nella rocca
Dove Prometeo attende Ercole ancora,
Di fumi involta la nevosa testa,
Dorme la santa Russia e non si desta.
“Scusami, te ne prego. Non ho voluto mandarti una lettera così
triste, senza farti un po' ridere, almeno in fondo.... Avrai certo
notato certe debolezze di metro e di rima.... ma non importa!
“Quando sarà che ti scriva un'altra lettera?... Dato pur che ti
scriva? Checchè di me avvenga, tu non dimenticherai, ne son
certo,
Il tuo fedele amico
A.N.
“P.S. – Sì, il nostro popolo dorme.... Ma io penso che se qualche cosa varrà a destarlo, non sarà mai quel che noi crediamo....”
Arrivato all'ultima parola, Nejdanow scagliò lontano la penna e disse a sè stesso:
— Orsù! adesso, cerca di dormire tu pure e di scordarti di tante scioccherie, incorreggibile versaiolo!
Si coricò, ma il sonno si fece aspettare a lungo.
La mattina, Marianna lo destò traversando la camera per andar da Tatiana; ma appena aveva egli avuto il tempo di vestirsi che la vide tornare, commossa profondamente e tutta ilare in viso.
— Sai, Alessio? Si dice che nel distretto di T.*** non lontano di qua, abbiano di già cominciato.
— Cominciato? Che cosa? Chi te l'ha detto?
— Paolo. Corre voce che i contadini insorgono, che non vogliono pagar le imposte, che fanno assembramenti....
— L'hai inteso proprio tu, coi tuoi orecchi?
— Tatiana me l'ha detto. Ma eccolo Paolo.... Domanda a lui.
Paolo entrò e confermò le notizie di Marianna.
— C'è dei torbidi nel distretto di T.*** questo è certo! — disse scotendo la barba e stringendo gli occhi neri luccicanti. — Ci ha da esser la mano di Marchelow. Son già cinque giorni che non torna a casa sua.
Nejdanow prese il berretto.
— Dove vai? — domandò Marianna.
— Ma.... laggiù nel distretto insorto, — rispose egli, corrugata la fronte e senza alzar gli occhi.
— Vengo anch'io allora. Ti seguo, naturalmente. Aspetta solo che prenda un fazzoletto pel capo.
— Non è affar da donne, — obbiettò cupo Nejdanow, sempre con gli occhi fissi a terra e con una specie di irritazione.
— No, no! Tu fai benissimo ad andare; altrimenti Marchelow ti terrebbe per un vigliacco.... Ma io vengo con te.
— Io non sono un vigliacco....
— Volevo dire ci prenderebbe per vigliacchi tutti e due. Andiamo!...
Marianna corse in camera a prendere il fazzoletto. Paolo mandò un suo oh! oh! d'inquietudine, e disparve nel punto stesso. Andava ad avvertire Solomine.
Prima che Marianna tornasse, Solomine entrava in camera di Nejdanow. Questi era davanti alla finestra, con la fronte appoggiata al braccio e il braccio contro il vetro.
Toccato leggermente sulla spalla, si volse di scatto. La barba e i capelli arruffati (non aveva avuto il tempo di aggiustarsi), gli conferivano un aspetto strano e selvaggio.
Anche Solomine, dal canto suo, era mutato negli ultimi quindici giorni. Avea la faccia ingiallita, che tradiva una certa sofferenza, il labbro superiore un po' sollevato che lasciava vedere i denti.... Pareva anch'egli turbato, per quanto il turbamento potea sfiorare quella sua anima equilibrata.
— Marchelow ha perduto le staffe, — disse. — La cosa può finir male, per lui prima di tutti.... e per altri anche....
— Io voglio andare a vedere di che si tratta! — interruppe Nejdanow.
— Ed io pure, — soggiunse Marianna, apparendo sulla soglia.
Solomine si volse lentamente verso di lei.
— Io non ve lo consiglierei, Marianna. Voi potreste tradirvi.... e tradire anche noi, senza volerlo e senza una necessità al mondo. Vada pure Nejdanow, e fiuti un po' che vento tira, se così gli piace. Ma voi che ci andreste a fare?...
— Io non voglio che vada via solo!
— Voi gli sarete d'impaccio....
Marianna volse un'occhiata a Nejdanow. Questi se ne stava ritto, immobile, accigliato.
— Ma se ci sarà un pericolo? — obbiettò ella.
Solomine sorrise.
— Non temete.... Quando il pericolo ci sarà, vi lascerò andare.
Marianna si tolse il fazzoletto dal capo e si mise a sedere.
— E tu, camerata, — disse allora Solomine volgendosi all'amico, — seriamente, rifletti un poco. È anche possibile che le notizie si siano gonfiate per via. In ogni caso, ti raccomando prudenza. Ti darò qualcuno che ti guidi. Torna presto. Me lo prometti, Nejdanow?... di', me lo prometti?
— Sì.
— Sul serio?
— Visto che qui tutti ti obbediscono, a cominciar da Marianna!
Uscì, ciò detto, senza un saluto. Paolo sbucò da un cantuccio oscuro, e corse avanti sulle scale, facendo risonare le scarpacce ferrate. Toccava a lui la cura di guidare il giovane.
Solomine andò a sedere accanto a Marianna.
— Avete udito le ultime parole di Nejdanow?
— Sì... È in collera che io obbedisca più a voi che non a lui. Ed è vero.... Io l'amo, gli voglio bene, ma gli è voi che sto a sentire. Egli m'è più caro, e voi mi siete più vicino.... non so come dire.
Solomine le carezzò dolcemente la mano.
— È un affaraccio; — disse alla fine. — Se Marchelow vi si è cacciato dentro, è perduto.
Marianna trasalì.
— Perduto?
— Sì. Non è uomo che faccia le cose a metà. Non si nasconde mai dietro gli altri.
— Perduto! — ripetette di nuovo Marianna, mentre le lagrime le rigavano il viso. — Ah! Solomine, quanta pena mi fa!... Ma non potrebbe anche trionfare?... perchè deve necessariamente perire?
— Perchè nelle imprese di questo genere, anche quando riescono a bene, i primi soccombono sempre. Ma in questa qui, non solo quelli di prima fila periranno, ma anche quelli della seconda, della decima.... della ventesima....
— Non arriveremo dunque mai?
— A che?... a quel che voi avete in testa?... Mai! Noi non lo vedremo con gli occhi nostri, con gli occhi del corpo. Oh! con quelli dell'anima, non dico.... Tutto è possibile....
— Ma allora, Solomine, ditemi....
— Che cosa?
— Perchè battete anche voi questa via?
— Perchè non ce n'è un'altra!... Per parlare più esattamente, Marchelow ed io miriamo allo stesso scopo, ma per vie diverse.
— Povero Marchelow! — sospirò con dolore Marianna.
Solomine tornò a carezzarle la mano.
— Via, via! Di positivo non c'è
ancora niente. Aspettiamo le notizie che Paolo ci porterà. In un
mestiere come il nostro, ci vuol fermezza. Gli inglesi dicono:
“Never say
die!
” È un buon proverbio, molto migliore dell'adagio
russo: “Se la disgrazia arriva,
spalanca le porte!...
” Che sugo c'è ad affliggersi prima del
tempo?
Si alzò, così dicendo.
— E il posto che mi avevate promesso? — domandò ad un tratto Marianna.
Le lagrime le brillavano sempre sulle guance; ma già gli occhi non eran più velati dalla tristezza.
Solomine tornò a sedere.
— Tanta fretta avete dunque di andar via?
— Oh no! ma vorrei esser utile, capite.
— Marianna, voi siete qui molto utile. Non ci lasciate ancora; aspettate.... E voi che volete? — domandò a Tatiana che entrava in quel punto.
Soltanto a Paolo dava del tu, perchè questi avrebbe provato troppo dispiacere ad esser trattato altrimenti.
— C'è di là una specie di femmina che domanda del signor Nejdanow, — rispose Tatiana, ridendo e agitando le braccia. — Ho tentato di spiegarle che qui non c'era mai stato.... Ma allora, lui....
— Lui, chi?
— Voglio dire, quella specie di femmina, che mi pare un uomo.... Ha scritto il suo nome sopra un pezzo di carta, eccolo qua, e m'ha detto di mostrarlo.... Dice che bastava questo per farla entrare, e che se veramente il signor Nejdanow non c'era, aveva tutto il tempo di aspettarlo.
Il pezzo di carta portava scritto in grosse lettere un nome: Masciùrina.
— Fate passare, — ordinò Solomine. — Non vi dispiace, Marianna, se la faccio entrar qui?... È anch'essa dei nostri.
— Niente affatto, ve ne prego anzi.
Pochi minuti dopo, videro entrare Masciùrina, vestita per l'appunto come l'abbiamo vista nelle prime scene di questa storia.
XXXI.
— Nejdanow non c'e? — domandò ella. Poi, riconosciuto Solomine, gli si accostò e gli porse la mano. — Buon giorno, Solomine!
Dalla parte di Marianna volse appena un'occhiata obliqua.
— Tornerà di qui a poco, — rispose Solomine. — Ma permettetemi di domandarvi come avete fatto a sapere....
— Ho saputo tutto da Marchelow.... Del resto, anche due o tre altre persone in città erano informate della cosa.
— Davvero?
— Sì. Qualcuno ha dovuto ciarlare. E poi hanno riconosciuto proprio lui, Nejdanow.
— Bel sugo il travestirsi! — brontolò Solomine. — Permettete che vi presenti, — soggiunse ad alta voce. — La signora Sinetsky, la signora Masciùrina. Sedete, prego.
Masciùrina fece un lieve cenno del capo e sedette.
— Ho una lettera per Nejdanow, e per voi, Solomine, una domanda verbale.
— Quale? da parte di chi?
— Da parte di una persona a voi nota.... Tutto, da voi, è pronto?
— No, niente è pronto.
Masciùrina spalancò gli occhi.
— Niente?
— Niente.
— Proprio.... niente?
— Proprio niente.
— Ed è così che dovrò rispondere?
— Nè più nè meno.
Masciùrina stette un poco sopra pensiero, e poi cavò di tasca una sigaretta.
— Mi date del fuoco?
— Eccovi un cerino.
— Quelli di laggiù, — riprese ella, dopo aver acceso, — si aspettavano a ben altro. Nei dintorni però le cose vanno altrimenti. Del resto, è affar vostro. Io son qui solo per un momento. Mi basta veder Nejdanow e dargli la lettera.
— Dove andate?
— Lontano....
La verità è che partiva per Ginevra, ma non volea dirlo a Solomine, che non le parea molto sicuro, senza contare di quell'altra estranea che era presente. Si mandava Masciùrina a Ginevra, benchè di tedesco sapesse ben poco, per portare a una persona a lei sconosciuta la metà di un pezzo di cartone sul quale era disegnato un grappolo d'uva, e inoltre una somma di 279 rubli d'argento.
— E Ostrodumow dov'è? con voi?
— No; ma non è lontano di qua. Si è fermato per via. Ma quello lì risponderà alla chiama. Non è uomo da venir meno, state pur tranquillo.
— E voi come siete venuta qui?
— Sopra una carretta, naturalmente. Datemi un altro cerino.
Solomine glielo porse bell'e acceso.
— Signor Solomine! — bisbigliò una voce dietro la porta. — Venite qui un momento.
— Chi è? che c'è di nuovo?
— Venite! — ripetette la voce in tono persuasivo e insistente. — Ci sono certi operai stranieri, che dicono qualche cosa, e Paolo è fuori.
Solomine si alzò ed uscì.
Masciùrina prese a guardar Marianna con tanta ostinazione e così a lungo, che questa se ne sentì imbarazzata.
— Perdonatemi, — disse ad un tratto con la sua voce burbera e a sbalzi, — io sono schietta e non so prendere le cose alla larga.... Non andate in collera; e se non vi piace di rispondere, non mi rispondete. Siete voi la signorina fuggita da casa Sipiaghin?
Marianna, un po' turbata, rispose nondimeno:
— Sì, son io.
— Permettete.... Datemi la mano! Scusatemi, ve ne prego. Voi dovete esser buona, poichè Nejdanow vi ama.
Marianna le strinse la mano, dicendole:
— Voi lo conoscete intimamente?
— Lo conosco, sì. Lo vedevo a Pietroburgo. Per questo è che vi parlo di lui. Marchelow mi ha detto pure....
— Ah! Marchelow! Da poco lo avete visto?
— Sì, da poco. Adesso, non è a casa sua.
— Dov'è andato?
— Dove gli è stato ordinato.
Marianna trasse un sospiro.
— Ah! signora Masciùrina, io ho paura per lui!
— Prima di tutto, io non sono una signora.... Smettete certe forme.... E poi, non dite ho paura, ve ne prego. Nè paura per noi, nè per gli altri. Non bisogna pensare a sè stessi, nè temere. A che pro?... D'altra parte, a pensarci bene.... Sì, capisco che per me la cosa non è difficile.... Io son brutta, io. Voi, invece, siete.... bella. Sicchè, è tutt'un'altra questione. (Così dicendo, chinava il capo e si volgeva in là). Marchelow mi diceva.... Sapeva della lettera che ho da consegnare a Nejdanow.... mi diceva: — Non andare alla fabbrica, non portare cotesta lettera.... se non vuoi disturbarli.... Ora, io vorrei non disturbarvi.... ma come fare con questa lettera?
— Bisogna assolutamente che gliela diate, — rispose Marianna. — Ma che buon cuore quel Marchelow! Credete davvero, Masciùrina, ch'egli debba soccombere o essere mandato in Siberia?
— E che vuol dire? Non si torna forse dalla Siberia? In quanto a soccombere, a perder la vita.... non tutte le vite si rassomigliano: chi l'ha dolce e chi l'ha amara.... Quella di Marchelow non è di zucchero raffinato, tutt'altro!
E tornava a fissare uno sguardo scrutatore sulla sua interlocutrice.
— È vero sì! siete una bellezza voi! — esclamò alla fine, — bella come un amore! Ma Nejdanow non viene.... Vorrei dar la lettera a voi. A che serve attendere?
— Gliela consegnerò fedelmente, state pur sicura.
Masciùrina appoggiò la guancia al palmo della mano e stette a lungo senza aprir bocca.
— Ditemi.... scusate veh!... Voi! l'amate molto?
— Sì.
Masciùrina crollò il capo.
— E non serve domandare se egli vi ama.... Orsù, vado via, se no, potrei non fare in tempo. Voi gli direte che son venuta.... e che lo saluto. Basta che gli diciate: È venuta Masciùrina. Vi ricorderete del mio nome?... sì?... La lettera poi.... Aspettate.... Dov'è che l'ho messa?
Si alzò, si voltò in là, per far le viste di frugar nelle tasche, e nel punto stesso si cacciò rapidamente in bocca un foglietto piegato e lo ingoiò.
— Ah, povera me! Sta' a vedere che l'ho perduta!... Proprio così!... E come si fa ora! e se qualcuno la trova?... No! si vede che non l'ho più.... Ecco che la cosa è riuscita come desiderava Marchelow.
— Cercate meglio, — mormorò Marianna.
— Ma no, a che serve!... Non ci pensiamo più. Per perduta, è perduta.
Marianna le si accostò.
— Ebbene datemi un bacio allora.
Masciùrina le gettò le braccia al collo e la strinse a sè con una forza virile.
— Non l'avrei fatto per nessuno, — disse con voce sorda. — È contro coscienza.... è la prima volta.... Raccomandategli di esser prudente. E voi pure! Siate attenta.... Tra poco, questo posto qui sarà pericoloso…. molto pericoloso per tutti. Andate via tutti e due, in tempo.... prima che.... Addio, addio! E poi, sentite, ditegli pure.... No, non gli dite niente.... niente!
Uscì impetuosa, tirandosi dietro la porta; e Marianna rimase sola, pensosa, in mezzo alla camera.
— Che vuol dir ciò? — esclamò alla fine. — Ma questa donna, si vede, lo ama assai più ch'io non l'ami. E perchè mi ha detto tante cose?... perchè Solomine è andato via frettoloso e non torna ancora?...
Andava ora su e giù per la camera. Uno strano sentimento la prendeva, misto di dispetto, di rammarico, di stupore.... Perchè non avea seguito Nejdanow? Solomine ne l'avea dissuasa.... Ma dov'era Solomine?... e che cosa accadeva intorno?... Evidentemente, se Masciùrina non avea dato quella lettera pericolosa, era stata mossa da un senso di compassione per Nejdanow.... Ma come mai aveva osato disobbedire?... Avea forse voluto mostrarsi generosa? E con che diritto? E perchè mai ella, Marianna, n'era così commossa?... Ma esisteva poi davvero questa commozione?...
Una donna brutta s'interessava di un giovane.... Che c'era, in fondo, di straordinario?... E perchè supponeva Masciùrina che l'affetto di Marianna per Nejdanow fosse più forte del sentimento del dovere?...
Poteva anche darsi che Marianna non desiderasse punto un tal sacrificio.... E che potea contenere quella lettera?... Un incitamento, un ordine all'azione immediata?... Ebbene? e poi?...
E Marchelow, intanto, è in pericolo.... E noi che facciamo?... Marchelow si studia di risparmiarci, ci dà la possibilità di esser felici, di non separarci.... Ma che sentimento lo muove? la magnanimità o il disprezzo?
Insomma, la nostra fuga da quella casa abborrita non avrebbe avuto alcuno scopo?!
Così pensava Marianna.... e un dispetto amaro le pungeva l'anima. Anche l'amor proprio era profondamente ferito. Perchè tutti si erano da lei allontanati, proprio tutti?” Quella donna l'avea chiamata bellina, graziosa... per poco non le avea dato della bambola! E perchè Nejdanow non era andato solo? perchè Paolo l'avea accompagnato?... Avea dunque bisogno di tutela....
E Solomine? Quali principii, in sostanza, erano i suoi?... Di rivoluzionario non avea niente.... Ed era forse possibile che qualcuno, considerandola come una bambina, si figurasse che ella non era capace di prender sul serio quanto accadevale intorno?
Tutti questi pensieri le turbinavano nella mente, confondendosi, urtandosi. Strette le labbra, incrociate al seno le braccia, andò a sedere presso la finestra e riprese la sua immobilità, senza nemmeno appoggiarsi alla spalliera della seggiola. Tutto il suo essere era intento, vibrante, pronto a scattare. Da Tatiana non voleva andare. Una sola cosa le premeva ora: aspettare.... E aspettava infatti con una ostinazione quasi rabbiosa.
Di tanto in tanto, la propria disposizione di spirito le pareva strana e incomprensibile.... Ma che! tanto peggio!... Un momento anzi le balenò il pensiero: — E se il motivo di tutto ciò non fosse che la gelosia?...
Ma poi, ricordandosi della figura della povera Masciùrina, alzò le spalle e fece un gesto con la mano come se allontanasse qualche cosa.
Aspettò a lungo. Finalmente udì un calpestìo frettoloso, due persone montavano la scala. Si volse alla porta e v'inchiodò gli occhi trepidante....
La porta si aprì, e Nejdanow apparve, sostenuto sotto il braccio da Paolo.
Era pallido come un cadavere, senza berretto. I capelli arruffati gli pendevano in umide ciocche sulla fronte; gli occhi guardavano fisi senza vedere. Si trascinava a fatica. Paolo lo guidò attraverso la camera e lo fece adagiare sul divano.
Marianna balzò dalla sedia.
— Che è stato? che ha? gli è venuto male?...
Ma Paolo, dopo aver messo a sedere Nejdanow, le rispose con un sorriso, guardandola di sopra la spalla:
— Non vi agitate.... Passerà presto.... Mancanza d'abitudine, capite.
— Ma che è? — insistette Marianna.
— S'è scaldato un po' troppo.... Ha bevuto a stomaco digiuno: questo è tutto.
Marianna si chinò su Nejdanow. Questi era sdraiato di traverso sul divano; la testa gli pendeva sul petto; gli occhi smarriti; il fiato esalava l'acquavite; era ubbriaco.
— Alessio! — esclamò ella involontariamente.
Egli sollevò a fatica le palpebre e tentò di sorridere.
— Ah, Marianna! — balbettò. — Tu ripetevi sempre.... sem.... sempli.... ficati: eccomi semplificato adesso. Siccome il nostro popolo è sempre ubbriaco, così.... anch'io.... si capisce....
Tacque di botto, mormorò qualche altra parola confusa, chiuse gli occhi, e si addormentò. Paolo lo aggiustò con ogni cura sul divano.
— Non vi disturbate, signorina Marianna, — ripetette. — Adesso si farà un bel sonno di due ore, e poi si sveglierà come se niente fosse accaduto.
Marianna volea sapere come la cosa fosse andata; ma le sue domande avrebbero trattenuto Paolo... Ed ella desiderava rimaner sola.... o piuttosto, non volea che Paolo lo vedesse più a lungo in quello stato umiliante.... Si ritirò verso la finestra. Paolo che tutto aveva compreso, avvolse i piedi del giacente in un mantello, gli acconciò un guanciale sotto la testa, ripetette ancora una volta: “È niente! è niente!” e uscì in punta di piedi.
Marianna si voltò verso il divano. La testa di Nejdanow affondava pesante nel guanciale; sul pallido viso di lui notavasi una tensione immobile come sul viso di un infermo grave.
— Ma come mai tutto questo è avvenuto? — pensò ella.