TERRE VERGINI
“Convien dissodare la terra
vergine non già con aratro che ne sfiori la superficie, ma col
vomero che affonda e squarcia
”.
(Giornale d'un agronomo)
I.
Era la primavera dell'anno 1868 e batteva appena il mezzogiorno.
Nella via degli Ufficiali, a Pietroburgo, arrampicavasi su per una buia e sudicia scaletta d'una casa a cinque piani un uomo sui ventisette anni, sciattato e povero in arnese. Con uno strofinìo pesante delle ciabatte, dondolando sfiaccolato il corpo massiccio e goffo, arrivò questo uomo finalmente in cima alla scaletta, si fermò davanti a una porta sgangherata e socchiusa, e senza darsi il fastidio di suonare il campanello, andò oltre, sbuffando come un mantice, e si trovò in una piccola e scura anticamera.
— È in casa Nejdanow? — gridò con voce alta e baritonale.
— No, ci sono io invece, — suonò dalla camera contigua una voce femminile, non però meno burbera.
— Chi? Masciùrina? — domandò il nuovo venuto.
— In petto e in persona. E voi chi siete? forse Ostrodumow?
— Pimen Ostrodumow, — rispose l'altro, mentre si andava cavando le caloscie. Poi, sospesa ad un chiodo la vecchia mantellina che aveva indosso, entrò nella camera donde la voce femminile era venuta.
Era una camera bassa, sudicia, dalle pareti tinte di verdognolo, rischiarata a mala pena da due finestrette polverose. Per tutta mobilia, non c'era che un lettuccio di ferro in un cantuccio, una tavola nel mezzo, poche seggiole spaiate e una scansia carica di libri.
Sedeva accanto alla tavola una donna sulla trentina, dai capelli arruffati, vestita di lana nera. Fumava tranquillamente una sigaretta.
Vedendo entrare Ostrodumow, non aprì bocca, contentandosi di porgergli una mano grossolana e rossa. Quegli, anche in silenzio, la strinse. Poi, lasciatosi cadere sopra una seggiola, cavò di tasca un mezzo sigaro, e lo accese al fuoco che Masciùrina gli offriva.
Nè una parola, nè uno sguardo. L'uno e l'altra si dettero a spingere nugoli di fumo azzurriccio nell'aria grigia e già abbastanza affumicata della camera.
Benchè al viso non si somigliassero, aveano i due fumatori non so che di comune. Figure ruvide e sciamannate; grosse labbra, grossi denti, grossi nasi: Ostrodumow, per giunta, era butterato: l'una e l'altro però portavano una loro impronta di onestà, di laboriosità, di proposito.
— Avete visto Nejdanow? — domandò finalmente Ostrodumow.
— Sì. Tra poco sarà qui. È andato alla libreria a portare i libri.
Ostrodumow sputò in là prima di riattaccare il dialogo.
— O che gli piglia ora che non istà fermo un momento? Non c'è verso di coglierlo, mai!
Masciùrina cavò un'altra sigaretta e l'accese al mozzicone della prima.
— Si secca, — disse poi.
— Si secca! — ripetette Ostrodumow in tono di rimprovero. — Questa sì ch'è bella! Tutta la baracca addosso a noi, tutti per noi i sopraccapi, e Dio voglia che si fili diritto, e il signorino si secca!
— È arrivata la lettera da Mosca? — domandò Masciùrina dopo un momento di silenzio.
— Sì, avant'ieri.
— E l'avete letta?
Ostrodumow accennò di sì col capo.
— Ebbene? che dice?
— Che dice?... Tra breve, capite, bisognerà partire.
Masciùrina si tolse la sigaretta dalle labbra.
— E perchè poi? Laggiù, sento dire, va tutto d'incanto.
— Per andare, va..... soltanto, c'è un certo figuro che ciurla un po' nel manico. Bisognerà sostituirlo, mutargli destinazione, o anche allontanarlo a dirittura. E poi c'è anche dell'altro. Anche voi chiamano.
— Me?... nella lettera?
— Sì, nella lettera.
Masciùrina scrollò i folti capelli, che le cadevano in cerfugli disordinati sulla fronte e sulle ciglia, raccolti in groppo dietro la nuca.
— E sia! — brontolò. — Se c'è l'ordine, si sa che bisogna obbedire.
— Naturalmente. Ma senza i denari non se ne fa nulla: e dove pigliarli questi denari maledetti?
Masciùrina stette alquanto pensosa.
— Nejdanow li ha da trovare, — disse poi a mezza voce, quasi parlando a sè stessa.
— E gli è proprio per questo che son venuto, — notò Ostrodumow.
— Avete con voi la lettera? — domandò di botto Masciùrina.
— Si sa. Volete leggere?
— Date qua... Anzi no, non serve. La si leggerà insieme, poi.
— Vi ho detto la verità precisa, — borbottò Ostrodumow; — non dubitate.
— E chi è che dubita?...
Si rifece il silenzio. I globi azzurrognoli del fumo seguitarono a sollevarsi in nube su quelle due teste capellute. Suonò nell'anticamera un calpestìo.
— Eccolo! — esclamò Masciùrina.
L'uscio fu spinto con precauzione, e una testa nera si sporse dalla semiapertura.
Non era però quella di Nejdanow.
Era invece una testa piccina, nera, irsuta. Sotto una fronte rugosa e due folte sopracciglia luccicavano due occhietti bigi e vivacissimi. Un naso rincagnato, quasi impertinente, aggiungeva espressione alla bocca rosea e beffarda. Quella testa si volse curiosa in qua e in là, sorrise, mise in mostra due file di dentini bianchissimi, ed entrò nella camera insieme col suo busto scriato, con due braccini da fantoccio e con due gambette un po' torte.
Una specie di disprezzo pietoso si dipinse in viso a Masciùrina e Ostrodumow. "Ah, costui!” parve che esclamassero internamente.
Nè una parola, nè un gesto. Se non che, la singolare accoglienza non turbò niente affatto il nuovo arrivato, anzi, a vedere, gli procurò una certa soddisfazione.
— Che vuol dir ciò? — diss'egli con voce stridula. — Un duetto, eh? E perchè non un terzetto?... Ma dov'è il tenore di grazia?
— Domandate forse di Nejdanow, signor Paclin? — venne su in tono serio Ostrodumow.
— Per l'appunto, egregio signor Ostrodumow: di lui.
— Arriverà tra poco forse, signor Paclin.
— Ecco una notizia consolante, egregio signor Ostrodumow.
L'omiciattolo dalle gambe torte si volse a Masciùrina, che se ne stava accigliata e tutta assorta a fumare la sua sigaretta.
— Come state, gentilissima... gentilissima... Che rabbia, non c'è caso che mi venga in mente il vostro nome!
Masciùrina scrollò le spalle.
— Non serve che ve ne ricordiate! Sapete chi sono, e basta. Che vuol dir poi: come state?... O non vedete forse che son viva?
— Giustissimo, perfettamente giusto! — esclamò Paclin stringendo le sopracciglia e allargando le narici. — Se non foste viva, il vostro umilissimo servo non avrebbe ora il piacere di vedervi qui e di chiacchierar con voi... Attribuite la mia domanda alla cattiva e antiquata abitudine. In quanto al nome però, convenite che fa così brutto il darvi senz'altro del Masciùrina... So bene che voi firmate le lettere, come il gran Bonaparte: Masciùrina, basta così! Ma discorrendo, capite...
— O chi vi prega di discorrer con me?
Paclin ebbe un risolino nervoso e parve masticare un boccone acre.
— Orsù, smettiamola, carina. Qua la mano, e non andate in collera! Vi conosco oramai per una donna eccellente... e nemmeno io sono un furfante... Da brava! una stretta di mano, e abbasso il malumore!
Stendeva, così dicendo, la mano. Masciùrina lo guardò di sbieco, ma non ebbe coraggio di opporre una ripulsa.
— Se vi è proprio indispensabile di saper come mi chiamo — disse poi, sempre di mala grazia, — sappiatelo pure: mi chiamo Tecla.
— Ed io, Pimen, — soggiunse Ostrodumow con la sua voce da baritono.
— Ah! benissimo! mille volte obbligato! Ma, in tal caso, ditemi, o Tecla, ditemi anche voi, o Pimen, perchè diancine tutti e due mi trattate costantemente con una così discutibile amorevolezza, mentre io invece....
— Masciùrina trova, — interruppe Ostrodumow, — e non è mica sola a fare questa osservazione, trova che non si può fare assegnamento sopra un uomo che guarda tutte le cose dal lato comico.
Paclin fece una giravolta sui talloni.
— Eccolo! — esclamò. — Ecco il granchio che pigliano sempre coloro che mi giudicano, rispettabile Pimen! In primo luogo: non è vero ch'io rida sempre. In secondo: la cosa non fa male a nessuno. In terzo: si può benissimo contare su di me, come è dimostrato dalla lusinghiera fiducia di cui più d'una volta ho goduto nelle stesse vostre file! Io sono un uomo onesto, rispettabile Pimen!
Ostrodumow bofonchiò qualche cosa fra i denti, e Paclin, crollando il capo, ripetette, senza ombra di sorriso questa volta:
— No!... non rido sempre io! Non son mica un uomo allegro io! Guardatemi, non vi dico altro.
Ostrodumow alzò gli occhi. Infatti, quando non atteggiava le labbra al sorriso, quando taceva, Paclin assumeva un'espressione triste, quasi spaurita. Gli bastava però aprir la bocca, perchè il viso gli diventasse comico e perfino maligno.... Ostrodumow non disse nulla.
Paclin si volse di nuovo a Masciùrina.
— E lo studio come va?... sentiamo! Fate progressi nella vostra veramente filantropica professione?... Deve essere un affar serio, parola d'onore, aiutare l'inesperto cittadino nella sua prima entrata in questo basso mondo.
— Nessuna fatica, basta che il cittadino in questione sia un po' più grande di voi, — ribattè Masciùrina, che testè avea passati gli esami di levatrice.
Un anno e mezzo avanti, abbandonata la civile e non agiata sua famiglia nella Russia meridionale, Masciùrina se n'era venuta a Pietroburgo con soli sei rubli d'argento in saccoccia. Ammessa ad una scuola di ostetricia ne avea seguiti i corsi, ed era riuscita alla fine a guadagnarsi l'ambito diploma. Era ragazza, ed anche molto pudica. Niente di strano! dirà forse qualche scettico, ricordando quel che s'è detto della figura di lei poco avvenente. Strano invece e anche raro! ci permettiamo di dir noi.
Alla pungente risposta Paclin diè in una risata.
— Brava! — esclamò. — Me la son meritata! Perchè son rimasto quel nano che sono?... Ma insomma, si può sapere dove s'è sprofondato il padron di casa?
Non senza un perchè mutava discorso. Per quanto facesse, non si dava pace di essere così minuscolo e così brutto. Tanto più la cosa gli coceva, in quanto che nudriva per le donne in genere una passione furiosa. Che cosa non avrebbe sacrificato per dar loro nel genio! La coscienza del miserevole aspetto molto più lo mortificava che non la bassa estrazione e la insignificante posizione sociale. Il padre, semplice borghese, s'era tirato su con tutte le male arti fino al grado di consiglier titolare, brigando, ingarbugliandosi in liti, maneggiandosi da affarista. A furia di amministrare per conto altrui case e poderi, era riuscito per conto proprio a mettere insieme una piccola sostanza; se non che, datosi al bere, se l'avea tutta ingollata. Il giovane Paclin, conosciuto anche sotto il nomignolo derisorio di Sansone, era stato educato in una scuola di commercio, dove aveva imparato il tedesco a perfezione. Dopo varie vicende più che fortunose, s'era acconciato finalmente in una casa privata di affari con 1500 rubli di onorario annuo. Questa somma gli serviva, alla meno peggio, al sostentamento proprio, di una zia inferma e della sorella gobba.
Poco meno che trentenne, avea fatto intima conoscenza con molti e molti studenti, giovanotti focosi, cui dava nel genio quella sua cinica improntitudine, quella sicurezza di sarcasmo, quella coltura superficiale e senza pedanteria. Tratto tratto però gli toccava d'ingoiar qualche pillola un po' ostica. Una volta, per un motivo o per l'altro, era arrivato in ritardo ad una riunione politica. A prima entrata, prese a profondersi in iscuse.... “Ha avuto paura il povero Paclin!” insinuò qualcuno dei convenuti; e tutti a sgangherarsi dalle risa. Paclin, facendosi animo, si unì al coro giocondo, benchè il cuore gli dolesse dentro “L'ha imbroccata il furfante!” pensò con dispetto.
Avea conosciuto Nejdanow in una osteria greca, dove andava a desinare, e dove a momenti non si peritava di esprimere opinioni molto libere e taglienti. Asseriva che le inclinazioni democratiche le doveva soprattutto alla detestabile cucina greca, che gli rovinava e gl'irritava il fegato.
— Sì.... dicevo.... dove diancine s'è cacciato il padron di casa? — ripetette Paclin. — Da un pezzo in qua, se non mi sbaglio, l'amico è fuor di chiave. O che sia innamorato. Dio liberi!
Masciùrina aggrottò la fronte.
— È andato a cercare non so che libri.... Ha altro pel capo che innamorarsi; e di chi poi?...
Poco mancò che Paclin non ribattesse: — E voi? — Si contenne però e disse forte:
— Mi preme vederlo, perchè ho da parlargli di un affar grave.
— Che affare? — venne su Ostrodumow. — Il nostro forse?
— Potrebbe anche darsi che si tratti di affari vostri.... cioè nostri, di tutti noi, se non vi dispiace.
Ostrodumow tossì in tono equivoco.
— Vè' il furbo come s'insinua! — pensò.
— Ah! finalmente, eccolo che viene! — esclamò ad un tratto Masciùrina.
Negli occhi piccini e non belli, fissi all'uscio dell'anticamera, si accese un momento come una scintilla di tenerezza, quasi riflesso fuggevole d'un bagliore dell'anima....
La porta si aprì, e questa volta l'aspettazione non fu delusa.
Col berretto in capo, con un fascio di libri sotto il braccio, entrò un giovane sui ventitrè anni, Nejdanow in persona.
II.
Alla vista dei congregati in camera sua, si fermò sulla soglia, girò gli occhi intorno, gettò libri e berretto, e senza aprir bocca si accostò al letto e si pose a sedere sulla sponda.
Il bel suo viso pallido, che pareva ancor più pallido pel color fosco dei folti capelli rossigni, esprimeva il malumore e lo sconforto.
Masciùrina si volse un po' in là, mordendosi le labbra. Ostrodumow borbottò:
— Alla fine!
Paclin fu il primo ad avvicinarsi a Nejdanow.
— Che hai, amico del cuore?... che ti piglia, o russo Amleto? Qualcuno forse t'ha fatto arrabbiare? Ovvero, così, senza motivo, ti s'è abbuiata l'anima?...
— Smetti, te ne prego, o russo Mefistofele, — rispose irritato Nejdanow. — Ho altro pel capo che far guerra con te di punzecchiature spuntate.
Paclin sogghignò.
— Pecchi di proprietà, mio caro: se pungono, lo spuntato non va; se poi sono spuntate, vuol dire che non pungono.
— Bene, bene.... Lo sappiamo che sei spiritoso.
— E tu nervoso.... A meno che non ti sia davvero capitato qualche malanno. Sentiamo un po', ch'è successo?
— Niente di particolare.... Questo però è successo, questo succede tutti i giorni, che non si può metter fuori il naso in questa insopportabile città senza urtare in una volgarità, in una ingiustizia, in una sordidezza, in una balordaggine! Parola d'onore, non ci si può vivere.
— Mi pare, — osservò Ostrodumow, — che hai già fatto inserire un annunzio nei giornali, facendo sapere che cerchi un posto e che saresti anche pronto a mutar cielo.
— E muterei con la massima gioia!... Tutto sta a trovare un imbecille che mi offra il posto in discorso.
— Prima di tutto bisogna adempiere qui il proprio dovere, notò Masciùrina, seguitando a guardar di lato.
— Sarebbe a dire? — domandò Nejdanow, voltandosi di botto verso di lei.
Masciùrina strinse le labbra.
— Ostrodumow ve lo dirà.
Nejdanow si volse a Ostrodumow; ma questi si contentò di tossire borbottando a modo suo che non c'era furia, e che ogni cosa dovea venire a suo tempo.
— Via mo, senza scherzo, — tornò in mezzo Paclin; — hai saputo qualche novità? qualche altro malanno?
Nejdanow balzò dal letto, come spinto in su da una molla.
— E che altri malanni ti bisognano? — gridò con voce stridente. — Mezza Russia muor di fame, il giornale di Mosca trionfa, si vuol rimettere in candeliere il classicismo, si proibiscono le casse degli studenti, dapertutto spionaggio, oppressioni, denuncie, calunnie, menzogne spudorate, non c'è un palmo di netto da mettervi il piede.... e non gli basta a lui, e tutto per lui è poco, e aspetta un nuovo malanno, e si figura che io faccia la celia.... Hanno arrestato Basanow, — soggiunse abbassando la voce; — l'ho saputo alla libreria.
Ostrodumow e Masciùrina alzarono insieme la testa.
— Mio diletto amico, Alessio Dmitrevic Nejdanow, — disse Paclin, — tu sei agitato, e la cosa è spiegabile fino a un certo punto.... Ma hai forse dimenticato in che tempi viviamo e in che paese? Sai bene che, da noi, un uomo che anneghi deve fabbricare con le proprie mani il fuscellino di paglia cui attaccarsi! Non c'è mica da perdersi in lamentazioni e sdilinquimenti.... L'irritarsi è dei ragazzi.... Bisogna saper guardare il diavolo in faccia!
— Già, già, si capisce! — interruppe Nejdanow infastidito, e corrugando la fronte come per uno spasimo.
— Lo si sa da tutti che tu sei un uomo energico, che non hai paura di niente e di nessuno.
— In quanto a paura, — tentò di rispondere l'omiciattolo, — io sarei per dire....
— Ma chi può aver denunciato Basanow? — arzigogolava Nejdanow, senza dar retta all'importuno. — Davvero, non mi ci raccapezzo!
— Chi?... Un amico, s'intende. Gli
amici son fatti a posta per questo, e come son bravi anche! Povero
te, se non stai in guardia!... Io avevo un amico, figuratevi, un
uomo d'oro, a vederlo: e che pena si dava per me! e come gli stava
a cuore la mia riputazione! Un giorno, per dirvene una, mi piomba
addosso, gridando a squarciagola: “Vedi
un po' che calunnia balorda!... Vanno dicendo che voi avete
avvelenato, nè più nè meno, vostro zio!... Una cosa da ridere!... E
contano pure che una certa sera, presentato non so più dove, voi
voltaste la schiena alla padrona di casa, e che questa non se ne
dava pace, e piangeva di rabbia!... Che scioccherie, eh? che
melensaggini da pettegole!” Ebbene, l'anno appresso, ebbi a
bisticciarmi con cotesto tenero amico, ed egli, in una lettera di
commiato, ha il muso di scrivermi: “Voi, che uccideste vostro zio.... Voi, che
non vi vergognaste di oltraggiare una rispettabile signora,
voltandole le spalle.... ecc. ecc.
” Ecco che cosa sono gli
amici!
Ostrodumow e Masciùrina si scambiarono un'occhiata.
— Ehi, Nejdanow, — intonò quegli con la sua voce baritonale, dando a veder chiaramente di voler troncar netto alle chiacchiere inutili, — ha scritto Basilio Nicolaevic, da Mosca.
Nejdanow trasalì leggermente e abbassò la testa.
— Che scrive? — domandò alla fine.
— Ecco qua.... Insieme con lei, s'ha da partire.
E con un moto delle ciglia accennava a Masciùrina.
— Come? chiamano anche lei?
— Anche lei, sì.
— Ma di che si tratta insomma?
— Non ci vuol molto a capirlo.... di denari.
Nejdanow si scostò dal letto e andò verso la finestra.
— Che somma?... grossa?
— Cinquanta rubli.... Meno di questo, impossibile.
Nejdanow stava muto.
— Pel momento, non me li trovo, — bisbigliò finalmente, battendo con le dita il tamburo sui vetri della finestra; — ma.... non m'è forse difficile di procacciarmeli.... Li troverò. Hai qui la lettera?
— La lettera?... Sì, cioè.... mi pare....
— Ma che misteri son cotesti che mi fate? — esclamò Paclin. — Ho forse demeritato della vostra fiducia?... Dato pure che io non approvi in tutto e per tutto quel che volete, dirò così, intraprendere, vi par davvero che io sia uomo da tradire o soltanto da ciarlare?
— Senza intenzione, magari — brontolò Ostrodumow.
— Nè con intenzione, nè senza!... Ecco qua la signora Masciùrina, che mi sbircia, e sorride.... ed io vi so dire....
— Io non sorrido niente affatto! — protestò di mala grazia Masciùrina.
— Ed io vi so dire, — proseguì Paclin, — che voi, signori miei belli, non avete fiuto; che non sapete distinguere quali sono e dove i vostri amici! Voi dite: Quell'uomo ride?... dunque non è serio.
— O che si ha torto? — insinuò, sempre acre, Masciùrina.
— Voi adesso, per esempio, — riprese Paclin con più energia e senza raccogliere il guanto, — avete bisogno di denari.... Nejdanow pel momento non ne ha.... Ebbene, li darò io.
Nejdanow si voltò frettoloso.
— No.... no!... A che serve?... Li troverò da me.... Mi farò anticipare una parte della pensione.... Anzi, mi viene ora a mente di essere io in credito. Basta: da' qua la lettera, Ostrodumow.
Ostrodumow, alla bella prima, non si mosse. Poi si guardò intorno, si piegò con tutto il corpo e, rimboccatisi i calzoni, tirò fuori dal gambale d'uno stivale un foglio grigiastro accuratamente piegato.
Prima di porgerlo a Nejdanow, non si sa perchè, vi soffiò sopra. Nejdanow prese il foglio, lo aprì, lo percorse attentamente con gli occhi e lo passò a Masciùrina.
Costei si alzò da sedere, lesse e rese il foglio a Nejdanow, benchè Paclin stendesse la mano.
Con una scrollata di spalle, che potea significare molte cose, Nejdanow diè la misteriosa lettera a Paclin, il quale, lettala a sua volta, strinse le labbra e solennemente la depose sulla tavola.
Allora accese un grosso fiammifero, che sparse intorno un gran puzzo di pece, e preso il foglio lo sollevò ben alto in modo che tutti vedessero e lo abbruciò fino all'ultimo, senza riguardo alle dita. Poi, gettò la cenere nel caminetto.
Nessuno aprì bocca, nessuno si mosse durante questa funzione. Tutti gli occhi erano inchiodati a terra. Ostrodumow, contegnoso e grave, Nejdanow stizzito, Paclin contegnoso e rigido, Masciùrina solenne come una sacerdotessa.
Passarono così due minuti.... Poi, tutti, dal più al meno, si sentirono impacciati. Paclin fu il primo a rompere l'increscioso silenzio.
— Sicchè? — esclamò di botto. — Si accetta o no il mio sacrificio sull'altare della patria? Mi si accorda la grazia di contribuire agl'interessi comuni, se non con l'intera somma, almeno con venticinque o trenta rubli?
Nejdanow prese fuoco ad un tratto. La stizza che gli bolliva dentro non aspettava che un qualunque pretesto per traboccare.
— T'ho già detto che non serve, non serve, non serve! Hai capito? Non permetterò mai una cosa simile, mai! Li trovo io i denari, e subito anche. Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno!
— Ohe, fratello, — osservò Paclin, — ho capito, sai: rivoluzionario sei, democratico no!
— Sta a vedere che mi darai anche dell'aristocratico!
— E perchè no?... Fino ad un certo punto sei tale....
Nejdanow ebbe un sorriso sforzato.
— Vuoi alludere, bontà tua, al fatto disgraziato che io son figlio illegittimo. Non serve che ti affatichi, caro mio.... Anche senza di te, non c'è pericolo che me ne scordi.
Paclin battè palma a palma.
— Ma via, Nejdanow, che hai quest'oggi? Pigli tutto a rovescio; non ti riconosco....
Nejdanow fece con la testa e le spalle un moto d'impazienza.
— Capisco che t'abbia dato sui nervi l'arresto di Basanow; ma sai bene che la colpa è tutta sua, imprudente com'era.
— Non facea mistero dei propri convincimenti, — notò severa Masciùrina. — Non tocca a noi condannarlo!
— D'accordo: ma avrebbe anch'egli fatto bene a pensare un po' agli altri, che adesso potrà compromettere.
— Bel concetto che ne avete! — tuonò a sua volta Ostrodumow. — Basanow è uomo di carattere, e non c'è pericolo che denunci qualcuno.... In quanto poi a prudenza, volete che ve lo dica?... Non a tutti è dato di esser prudenti, signor Paclin!
Paclin, punto sul vivo, fece atto di rimbeccare; ma Nejdanow lo trattenne.
— Signori! — esclamò, — ve ne prego, lasciamo andare la politica!
Successe un silenzio.
— Ho incontrato oggi Scoropichin, — disse alla fine Paclin, — il critico esteta di tutte le Russie, l'insopportabile entusiasta! È in continua fermentazione quell'uomo lì: nè più nè meno che una bottiglia di cervogia tappata alla diavola con due chicchi d'uva passa tenuti col dito.... Fischia, stride, schizza, e quando tutta la schiuma è svaporata, restano in fondo poche gocce di liquido inacidito, che non solo non cava la sete ma ti dà la colica.... Pernicioso individuo per la gioventù!
Il paragone, benchè esatto e ingegnoso, non fece sorridere nessuno. Il solo Ostrodumow osservò che dei giovani capaci di pigliar passione per l'estetica non metteva conto darsi pena, quand'anche Scoropichin li facesse ammattire.
— Ma no, scusate! — esclamò Paclin, accalorandosi in ragione inversa dell'interesse destato in altri; — ammetto pure che la questione non sia politica, ma è sempre una questione grave. Secondo Scoropichin, tutta quanta l'arte antica non serve più a niente, pel solo fatto di essere antica.... Ma, in tal caso, l'arte non sarebbe che una moda, e tanto varrebbe non parlarne affatto! Se proprio non ha in sè niente di stabile, di eterno, vada pure all'inferno! Nella scienza, nella matematica, per esempio, forse che Ellero, Laplace, Gauss, sono da buttar nel cestino?... Signor no!... voi anzi siete pronti ad accettarne il verbo e a riconoscerne l'autorità. E perchè no, di grazia, quella di Raffaello o di Mozart? son forse costoro degli imbecilli, sol perchè artisti? Convengo, sì, che le leggi dell'arte sono meno determinabili di quelle della scienza; ma esistono, ma hanno vigore.... Chi non le vede, è cieco: volontario o no, ma cieco!
Paclin tacque.... e nessuno disse verbo. Tutti pareano colpiti da mutismo, o anche da un senso di pietoso disprezzo per l'oratore. Il solo Ostrodumow disse poco dopo:
— Sia che si voglia, a me non importa niente di quei cosiffatti giovani che si fanno abbindolare da Scoropichin.
— Che ti colga il malanno! — pensò Paclin. — Meglio è che me ne vada.
Fece atto di andar verso Nejdanow e di prendere il cappello, quando ad un tratto, senza alcun rumore o picchio preventivo, suonò nell'anticamera una voce forte e squillante: una voce, per dir così, nobile, bene educata, poco meno che fragrante.
— È in casa il signor Nejdanow?
Tutti si guardarono stupiti.
— È in casa il signor Nejdanow? — ripetette la bella voce sonora.
— Sì, è in casa — rispose alla fine lo stesso Nejdanow.
La porta si aprì con discreta lentezza, e un signore entrò, cavandosi il lucido cappello dalla testa rotonda e ben rasa. Era un uomo sui quaranta, alto della persona, diritto, dignitoso, con indosso un elegante soprabito dal bavero di castoro, benchè già si fosse sulla fine di aprile.
Nejdanow, Paclin, la stessa Masciùrina, lo stesso Ostrodumow furono colpiti da quella sicurezza di portamento, da quella tranquilla affabilità di saluto.
Tutti, senza volerlo, sorsero in piedi.
III.
Il signore elegante andò alla volta di Nejdanow e gli parlò amabilmente sorridendo.
— Ebbi già il piacere d'incontrarla e di conversar con lei, signor Nejdanow, ieri l'altro, a teatro, se pur ne ha serbata memoria....
Si arrestò, aspettando. Nejdanow fece un cenno del capo e arrossì.
— Sì?... benissimo! Ed oggi, vengo da lei in seguito all'annunzio che ha fatto inserire nei giornali. Avrei caro di scambiar con lei due parole, se però non disturbo i signori qui presenti.
S'inchinò, così dicendo a Masciùrina e accennò con la mano inguantata a Paclin e Ostrodumow.
— No.... tutt'altro, — rispose un po' impacciato Nejdanow. — Questi signori permettono.... Si metta a sedere, la prego!
Il visitatore amabilmente s'inchinò e, presa per la spalliera una seggiola, la trasse a sè, senza però mettersi a sedere, visto che tutti gli altri erano in piedi. Girò intorno soltanto gli occhi vivaci, benchè chiusi a mezzo.
— Addio, Nejdanow, — disse Masciùrina di botto, — ripasserò più tardi.
— Ed io pure, — soggiunse Ostrodumow, — io pure, a più tardi.
Passando davanti al visitatore e quasi per fargli dispetto, Masciùrina prese la mano di Nejdanow, la strinse con forza, e andò via senza salutar nessuno. Ostrodumow le tenne dietro, stropicciando senza una ragione al mondo i piedi per terra e borbottando fra i denti una frase incomprensibile, all'indirizzo dell'importuno bavero di castoro. Questi li seguì con uno sguardo amabile e leggermente curioso. Si volse poi a Paclin, come se aspettasse di vedergli imitar l'esempio di quei due. Ma Paclin, che fin dal primo apparire dello sconosciuto aveva atteggiato le labbra a un suo speciale sorrisetto, si era tirato da parte e rincantucciato, senza dar segno di volersi muovere. Allora il visitatore sedette, e Nejdanow fece lo stesso.
— Il mio nome è Sipiaghin.... forse non vi è nuovo, — incominciò con orgogliosa modestia.
Importa però, prima di andar oltre, narrare in qual modo Nejdanow lo avesse conosciuto a teatro.
Si dava la famosa commedia di Ostrovski: Ciascuno al posto suonota 1
Prima di desinare, Nejdanow era andato al botteghino e vi avea trovato gran gente. Volea prendere un biglietto di platea; ma nel punto stesso che si accostava allo sportello, un ufficiale che gli stava dietro, sporgendogli il braccio di sopra al capo e agitando un biglietto di tre rubli, gridò al bigliettinaio: “A lui forse vi tocca di dare il resto; a me no.... Favoritemi un biglietto di seconda fila... Vado di fretta!” — “Scusi, signor ufficiale” con voce aspra gli si volse Nejdanow, “a me serve precisamente un biglietto di seconda fila”, e così dicendo buttò nello sportellino una carta di tre rubli, che costituiva tutto quanto il suo capitale disponibile. Il bigliettinaio gli diè il domandato biglietto, e la sera stessa Nejdanow fece la sua comparsa nella fila aristocratica del teatro Alessandro.
Era male in arnese, senza guanti, con gli stivali non lustrati.... Sentivasi a disagio, e di ciò stesso s'indispettiva. A destra gli stava seduto un generale tutto luccicante di decorazioni; a sinistra, quel medesimo signore elegante, il cui apparire, due giorni dopo, avea tanto disturbato Ostrodumow e Masciùrina.
Il generale sogguardava tratto tratto a Nejdanow, come a una cosa sconveniente, inattesa e perfino offensiva. L'altro invece gli volgeva delle occhiate, oblique sì, ma non del tutto nemiche.
Tutti coloro che circondavano Nejdanow sembravano, prima di tutto, altrettante personalità. In secondo luogo, conoscevansi benissimo l'un l'altro, si scambiavano frasi, parole mozze, esclamazioni, saluti, di sopra alla testa dell'intruso.... E questi sedeva immobile e impacciato nella sua ampia e soffice poltrona, che gli pareva, a dir poco, uno strumento di tortura. La vergogna, l'ira, il dispetto lo tormentavano. Alla commedia non badava; agli attori meno che mai.... Quand'ecco — o maraviglia! — tra un atto e l'altro, il suo vicino di sinistra, non già il generale decorato, ma l'altro che di nessun ordine era insignito gli volse la parola affabilmente, con una sua insinuante e carezzevole degnazione. Parlò della commedia di Ostrowski, esprimendo il desiderio di saper da Nejdanow, come da uno dei rappresentanti della giovane generazione, che cosa egli ne pensasse.
Stupito, poco meno che spaventato, Nejdanow rispose a bella prima con parole tronche e scucite.... Gli batteva forte il cuore. Ma poi si arrabbiò con se stesso. Perchè agitarsi?... non era forse un uomo come tutti gli altri?... E senza più, prese ad esprimere le sue opinioni, franco, disinvolto, e a poco a poco con tanto calore e a voce così alta da incomodare evidentemente il suo vicino dalle decorazioni.
Nejdanow era un ardente ammiratore di Ostrowski; ma con tutta la venerazione che dimostrava all'ingegno del gran commediografo, non poteva approvare in quella commedia Ciascuno al posto suo la palese intenzione di screditare la civiltà nel personaggio ridicolo di Vichorew, l'ufficiale dimissionario di cavalleria.
L'affabile vicino stette ad ascoltarlo con grande attenzione, con interesse; e nell'intervallo seguente, riappiccò la conversazione, non più a proposito della commedia, ma così, in genere, toccando vari argomenti di ordine sociale, scientifico e perfino politico. Gli andava a genio il giovane ed eloquente interlocutore.
Nejdanow, come già poco innanzi, non solo non si riguardò, ma, come suol dirsi rincarò la dose. “Visto che mi fai il ficcanaso, te la spiffero tutta!” pensava. Il generale, oramai più che disturbato, lo sbirciava irritato e sospettoso.
Finito lo spettacolo, il signore elegante si accomiatò gentilmente da Nejdanow, senza però domandargli del nome e senza dirgli il proprio. Fermatosi sullo scalone, per aspettar la carrozza, fu avvicinato dall'aiutante di campo, principe G., suo intrinseco amico.
— Ti guardavo dal mio palco, — gli disse il principe sorridendo sotto i baffi profumati. — Sai tu con chi discorrevi?
— No davvero; e tu?
— Un ragazzo di talento, eh?
— Così mi pare. Chi è?
Qui il principe gli si chinò all'orecchio e bisbigliò in francese:
— È mio fratello.... Sì, fratello.... Figlio naturale di mio padre.... Si chiama Alessio Nejdanow. Un giorno o l'altro ti conterò.... Mio padre non se l'aspettava, epperò gli fu imposto quel nome di Nejdanow, quasi non atteso.... Gli ha però fatto una posizione.... il lui a fait un sort, passandogli una certa pensione mensuale. Un ragazzo di cervello. Ed ha anche avuto, grazie sempre a mio padre, una buona educazione. Soltanto è un tantino fuor di chiave, una specie di repubblicano.... A casa nostra non viene.... Il est impossible! Addio.... Chiamano la mia carrozza....
Il principe si allontanò in fretta, e il giorno appresso il signore elegante lesse nel giornale l'annunzio fatto inserire da Nejdanow, e si presentò a casa di lui....
— Il mio nome è Sipiaghin, — incominciò lo sconosciuto sedendo e volgendo al suo interlocutore uno sguardo insinuante. — Ho appreso dai giornali che desiderate un posto di precettore, e son venuto a farvi una proposta. Io sono ammogliato. Ho un figlio unico, di nove anni: un ragazzo, per dir la verità, pieno di qualità eccellenti. La maggior parte dell'estate e dell'autunno si sta in campagna, nel dipartimento di S.*** a sole cinque verste dalla città. Ecco dunque di che si tratta: vorreste voi favorirci della vostra compagnia pel tempo delle vacanze?... Insegnereste a mio figlio un po' di lingua russa e di storia, precisamente come è detto nel vostro annunzio.... Oso sperare che sarete contento di me, della mia famiglia e della stessa posizione della nostra villetta. Bellissimo giardino, aria eccellente, casa spaziosa.... Consentite?... In tal caso, non mi resta che conoscere le vostre condizioni, benchè per questo rispetto, — soggiunse Sipiaghin con un leggero sorriso, — non credo che possano sorgere fra noi difficoltà di sorta.
Durante tutto questo discorso, Nejdanow stette a guardarlo fiso, osservando la piccola testa un po' piegata indietro, la fronte stretta e bassa ma intelligente, il delicato naso di tipo latino, gli occhi piacenti, le labbra ben disegnate, dalle quali scorreva un così dolce eloquio, le lunghe basette all'inglese....
— Che vuol dir ciò? — andava pensando. — Perchè quest'uomo si arrabbatta a farmi la corte?... Evidentemente, è un aristocratico... ed io? Come mai ci siamo accozzati? E che motivo lo ha spinto dalla mia parte?
S'era così sprofondato in questi suoi dubbi, che non pensò ad aprir bocca, nemmeno quando Sipiaghin, terminato il discorso, tacque aspettando una risposta.
Sipiaghin gettò un'occhiata nel cantuccio, dove Paclin s'era ficcato, anch'egli tutt'occhi e tutt'orecchi.
— O che forse la presenza di un terzo gli impedisce di rispondere?....
Alzò le ciglia, quasi accettando in muta rassegnazione la stranezza del posto e delle condizioni in cui spontaneamente erasi cacciato.... Poi, alzando anche la voce, ripetette la prima domanda.
Nejdanow si riscosse.
— Certo, sì, — pronunciò frettoloso e quasi impacciato, — consento.... volentieri.... benchè debba riconoscere che non posso esimermi da una certa maraviglia.... visto e considerato che non ho avuto nessuna raccomandazione.... e poi,... e poi le stesse opinioni espresse da me l'altra sera a teatro avrebbero piuttosto dovuto influire ad allontanarvi....
— In ciò v'ingannate a partito, egregio signor.... Alessio Dmitrevic, mi pare? non è così? — interruppe, sorridendo Sipiaghin. — Io, oso dirlo, son conosciuto come uomo di principii liberali, progressisti.... Epperò, vedete, le vostre opinioni, fatta la tara di tutto ciò che è proprio dell'età giovanile, inclinata sempre, non ve l'abbiate a male, veh!... ad una tal quale esagerazione, le vostre opinioni, dico, non sono niente affatto in contraddizione delle mie, ed anzi mi piacciono molto pel loro calore, dirò così, verginale!
Sipiaghin parlava senza il minimo stento: la frase leccata, limpida, gli scorreva dalle labbra come onda di miele.
— Mia moglie partecipa in un certo senso al mio modo di vedere, — proseguì. — Anzi, se l'ho da dire, le sue opinioni si accostano un po' più alle vostre che alle mie.... Si sa: questione di anni! Quando, il giorno successivo al nostro incontro, lessi nel giornale il vostro nome, che voi, sia detto di passata, contro l'uso comune pubblicaste insieme con l'indirizzo... (in quanto al nome, lo avevo già saputo in teatro), allora questo fatto, questa... circostanza mi colpì. Ci vidi una specie di... mandatemi buona l'espressione superstiziosa... ci vidi, dirò così, il dito del destino! Voi avete testè accennato a non so che raccomandazioni; ma per me non ne vedo il bisogno. Il vostro aspetto, la fisonomia, tutta la persona m'ispirano vivissima simpatia. Non chiedo altro. Ho l'abitudine di affidarmi ai miei occhi, alla mia impressione.... Sicchè, posso sperare? Consentite?...
— Grazie, sì, volentieri, — rispose Nejdanow, — e farò il possibile per rispondere degnamente alla vostra fiducia.... Soltanto, permettete che di una cosa io vi prevenga: precettore di vostro figlio, sì; aio, no. Prima di tutto, non me ne sento capace, e poi non voglio rendermi schiavo e perdere a dirittura la mia libertà.
Sipiaghin agitò leggermente in aria la mano, come se scacciasse una mosca.
— Rassicuratevi, egregio signor Nejdanow.... Voi non siete pasta che se ne possa cavare un aio; senza dire che io non ne ho bisogno. Cerco un precettore, lo trovo, lo prendo: ecco tutto. Ebbene, le condizioni? l'onorario, diciamo? il vile metallo?
Nejdanow non seppe, lì per lì, che cosa rispondere.
— Sentite, — disse Sipiaghin, chinandosi col busto e sfiorando amabilmente con la punta delle dita il ginocchio del suo interlocutore; — fra gente come si deve, simili questioni si risolvono con due parole. Vi offro cento rubli al mese; le spese di trasferta, andata e ritorno, a mio carico.... Siete contento?
Nejdanow tornò ad arrossire.
— È molto più di quanto avevo in mente di domandare... perchè... io....
— Bene, bene, non se ne parli più, — interruppe Sipiaghin — Considero la cosa come fatta, e voi... come persona di famiglia.
Si alzò da sedere, lieto e soddisfatto, come se avesse ricevuto un regalo. Ogni suo movimento spirava una gioconda famigliarità, un buon umore scherzoso.
— Si parte fra giorni, — soggiunse in tono disinvolto. — Mi piace andare incontro alla primavera in campagna, benchè l'indole delle mie occupazioni m'incateni alla prosa e alla città.... Permettete dunque che conti il vostro primo mese, a cominciar da oggi. Mia moglie col ragazzo sono digià a Mosca a quest'ora. Sono andati avanti. Li troveremo in campagna, nel seno, dirò così, della natura. Ce n'andremo voi ed io, come due scapoli.... Eh, eh, eh!
Sipiaghin ebbe una sua risatina furbesca e nasale.
— Ed ora....
Dalla tasca del soprabito cavò un taccuino di argento niellato e vi prese con due dita un biglietto di visita.
— Ecco il mio indirizzo. Passate da me, anche domani, se vi piace. Così... verso le dodici.... Faremo ancora quattro chiacchiere. Vi svolgerò certe mie idee in materia di educazione.... Decideremo poi insieme per la partenza....
— E sapete?... (e così dicendo lo prendeva per mano, abbassando la voce e piegando un po' il capo a destra), se mai vi abbisognasse un'anticipazione, una caparra, dirò così.... Non abbiate riguardi, ve ne prego.... anche tutto un mese....
Nejdanow non sapea davvero che cosa rispondere, e guardava sempre incerto, confuso, a quel viso affabile, sorridente, e nel tempo stesso estraneo, che gli si accostava con tanta benevolenza e con così affettuosa premura.
— No?... non vi abbisogna? — bisbigliò Sipiaghin.
— Se permettete, — rispose finalmente Nejdanow, — ve lo dirò domani.
— Benissimo, siamo intesi! Sicchè, a rivederci! A domani!
Gli lasciò la mano che avea stretta, e fece atto di uscire.
— Scusatemi, — disse Nejdanow ad un tratto, — vorrei domandarvi.... Voi avete testè accennato di aver saputo il mio nome in teatro. Da chi, se è lecito?
— Da chi?... Da una vostra buona conoscenza, un parente quasi.... il principe G.***
— L'aiutante di campo?
— Sì; proprio da lui.
Nejdanow arrossì, molto più di prima, e aprì la bocca.... Ma nulla disse. Sipiaghin tornò a stringergli la mano, in silenzio questa volta, e inchinatosi prima a lui, poi a Paclin, uscì, mettendosi il cappello e sorridendo soddisfatto. Era cosciente, si vedeva, della profonda impressione che la sua visita avea dovuto produrre.
IV.
Non appena avea Sipiaghin varcato la soglia, Paclin balzò dal suo cantuccio e prese a congratularsi con Nejdanow.
— L'hai pescato lo storione! e che storione! — gridava ridendo e battendo dei piedi in terra. — Ma sai tu chi è quello lì?... Il noto, il famoso Sipiaghin, ciambellano, una delle colonne della società, un ministro in pectore!
— Non lo conoscevo affatto, lo vedo ora per la prima volta — rispose accigliato Nejdanow.
Paclin allargò le braccia in atto disperato.
— E qui proprio sta il guaio, caro il mio Alessio, che noi non conosciamo nessuno! Vogliamo fare, disfare, voltar sottosopra il mondo intero.... e viviamo lontani da questo medesimo mondo, bazzichiamo solo con tre o quattro amici, giriamo in tondo sempre ad un posto....
— Scusami, — interruppe Nejdanow, — cotesto non è vero. S'intende che coi nemici nostri non vogliamo far conoscenza; ma invece coi nostri pari, con gente affine, col popolo, manteniamo rapporti cordiali e continui....
— Adagio, adagio! — a sua volta gli diè Paclin sulla voce. — In primo luogo, riguardo ai nemici, ti ricorderò quel che dice Goethe del poeta, cioè che per intendere il poeta bisogna andare nella patria del medesimo:
“Wer den Dichter will
verstehen
”
“Muss ins Land
des Dichters gehen....
”
ed io dico invece:
Wer die Feinde will verstehen
Muss ins Land des Feindes gehen....
Fuggire i nemici, ignorarne le abitudini e le azioni, è balordaggine! Ba...lor...dag...gi...ne! Quando mi salta il grillo di andar nel bosco a caccia del lupo, bisogna bene che ne conosca il covo.... In secondo luogo, tu stesso hai parlato or ora di rapporti col popolo... Eh, anima mia!... nel 1862 anche i Polacchi andarono al bosco; e noi oggi ci cacciamo nel medesimo bosco, cioè a dire in mezzo al popolo, il quale è per noi non meno buio e silenzioso d'una foresta vergine!
— E che s'avrebbe a fare secondo te?
— Gl'Indiani si gettano sotto il carro di Giagrenat, — rispose Paclin con voce cupa, — e sono beati di farsi schiacciare. Il nostro Giagrenat lo abbiamo noi pure.... In quanto a schiacciare, ci schiaccia; ma la beatitudine è di là da venire.
— Ma che s'ha da fare, sentiamo? — gridò stizzito Nejdanow. — Scrivere novelle morali, suggestive?
Paclin chinò il capo sulla spalla sinistra e aprì le braccia.
— In tutti i casi, delle novelle tu potresti scriverne, perchè non ti manca la vena letteraria.... Via mo, non andare in collera! smetto subito. So che non ti garba esser trattato da letterato.... Ma io son d'accordo con te: comporre di cotesti pasticci infarciti di morale, lardellati di frasi al così detto novo stile: “Ah! io vi amo! sussultò ella....” “Non me ne importa niente! si grattò egli in risposta....” non ne mette proprio il conto! Ed è perciò che io batto il chiodo: entrate in rapporti con tutte le classi sociali, a cominciar dalla più alta! Non affidarsi in tutto e sempre su gente della risma di Ostrodumow.... Brava gente, non dico di no, onestissima.... ma stupida! stupida! Guarda un po' al nostro comune amico. Le stesse suole delle scarpe son diverse da quelle che portano le persone intelligenti! Hai visto come è scappato? e perchè?... per non trovarsi nella stessa camera, per non respirare la stessa aria insieme con un aristocratico!
— Ti prego di non parlar così di Ostrodumow in presenza mia, — lo ammonì Nejdanow. — Se porta le scarpe massicce, gli è che queste costano meno.
— Io non volevo dire....
— E se non vuol rimanere nella medesima camera con un aristocratico, io non so che lodarlo di questo.... Soprattutto poi, è un uomo quello lì che intende il sacrificio, e, se occorre, è anche pronto a morire.... Il che, sia detto ad onor del vero, non c'è da sperarlo da te....
Paclin fece boccacce e accennò alle sue gambette da storpio.
— Ci mancherebbe questo che andassi alla guerra! Via mo, lasciamo stare.... Ti ripeto: mi rallegro cordialmente della conoscenza che hai fatto col signor Sipiaghin; ed anzi ne prevedo un gran vantaggio nell'interesse di noi tutti.... della nostra causa comune. Tu entri di primo acchito nel gran mondo. Conoscerai da vicino quelle leonesse, quelle donne dal corpo di velluto e dalle molle di acciaio, com'è detto nelle Lettere dalla Spagna.... Studiale, amico, studiale! Se tu fossi un epicureo, avrei paura per te, parola d'onore! Ma tu miri a ben altro; e non è per questo che accetti il posto di precettore.
— Lo accetto — ribattè Nejdanow, — per buscarmi un tozzo di pane.... Ed anche per liberarmi un po' di voi altri. — soggiunse mentalmente.
— Capisco! capisco! Ed è per questo che non mi stanco di raccomandarti: studia, studia quel mondo!... Ma che profumo ha lasciato qui quel signore! — soggiunse fiutando in aria. — Ambra di prima qualità, come la voleva la sindachessa del Revisore di Gogol.
— Ha domandato di me al principe G.*** — disse Nejdanow con voce sorda, tornando ad appoggiarsi alla finestra. — Adesso, vuol dire, tutta la mia storia gli è nota.
— Beninteso! E che perciò?... Scommetto che proprio questo gli ha fatto saltare il grillo di sceglierti a precettore. Hai un bel dire tu, ma sei tu pure un aristocratico.... di sangue; proprio quel che faceva al fatto suo!... Ma io mi perdo in chiacchiere, e il tempo vola. Corro a bottega, dai miei speculatori. A rivederci, amico!
Andò verso la porta, si fermò in tronco e tornò indietro.
— Senti, Alessio — disse in tono insinuante; — or ora hai respinto i miei servigi.... e poi adesso so che hai fatto denari.... Permettimi ad ogni modo di offrir qualche cosa, sia pure una bazzecola, per la causa comune! Se altro non posso, lascia almeno che mi renda utile con la scarsella! Ecco qua: metto sulla tavola un meschino biglietto da dieci rubli.... Accettato?
Nejdanow non rispose verbo e non si scrollò.
— Chi tace, afferma. Grazie! — esclamò allegramente Paclin, e disparve.
Nejdanow restò solo....
Seguitava a guardare attraverso i vetri della finestra all'angusto e buio cortile, dove non arrivavano nemmeno i raggi del sole estivo, e lo stesso buio gli si rifletteva in volto.
Nejdanow era figlio, come già sappiamo, del principe G.***, un ricco sfondolato, aiutante generale, e della governante delle sue figlie, avvenente istitutrice, morta il giorno stesso del parto. Avea ricevuto la prima educazione nel pensionato d'uno svizzero, pedagogo rigido e intelligente, e a suo tempo era entrato all'Università. Avrebbe voluto seguire i corsi di legge e avviarsi per la carriera giuridica; ma il babbo generale, che non potea soffrire i nichilisti (in quella facoltà ce n'eran di molti), lo incamminò invece per l'estetica, come lo stesso Nejdanow eprimevasi con sarcasmo, cioè per la facoltà di filosofia della storia. Il padre non lo vedeva che tre o quattro volte all'anno; mostravasi però sollecito della sorte di lui, e, venuto a morte, gli legò in memoria della povera Anastasia (così chiamavasi la madre), un capitale di seimila rubli, i cui interessi gli venivan passati, a titolo di pensione, dai principi G.***, fratelli suoi naturali. Non aveva torto Paclin, dandogli dell'aristocratico. Tutto in lui tradiva la nobiltà di razza: piccolezza delle orecchie, delle mani, dei piedi; lineamenti delicati, carnagione quasi muliebre, capelli folti e morbidi, voce un po' roca ma piacente. Era terribilmente nervoso, impressionabile, capriccioso anche e pieno d'amor proprio. La falsa posizione, nella quale fin dai primi anni era stato messo, lo avea reso puntiglioso e irritabile; ma la connaturata nobiltà dell'animo gl'impediva di diventar sospettoso e diffidente.
La stessa falsa posizione spiegava a sufficienza le contraddizioni singolari della sua natura. Amante della nettezza fino alla meticolosità, schizzinoso all'estremo, faceva di tutto per sembrar burbero e cinico a parole. Idealista per indole, ardente e casto, audace e timido nel tempo stesso, vergognavasi, come di vizi imperdonabili, di cotesta timidezza e di cotesta castità, facendosi un dovere di mettere in ridicolo i così detti ideali. Avea gentilezza di cuore e nondimeno fuggiva la gente; si ombrava per un nonnulla; dimenticava le offese.
Non sapea perdonare al padre di averlo messo per la carriera dell'estetica. Apertamente, al cospetto di tutti, occupavasi solo di quistioni politiche e sociali. Predicava all'occasione i più radicali principii, per convincimento acquisito non già per amor di rettorica.... E in segreto intanto beavasi dell'arte, della poesia, della bellezza in tutte le sue manifestazioni.... Arrivava perfino a scriver versi.... Nascondeva con la massima gelosia il quaderno in cui li scriveva; e di tutti gli amici il solo Paclin, per finezza di fiuto, ne avea subodorato l'esistenza. Niente lo offendeva, niente lo feriva tanto, quanto la minima allusione a cotesta sua imperdonabile debolezza del versificare.
Grazie al severo pedagogo svizzero, possedeva una conoscenza abbastanza estesa di fatti, e non rifuggiva dalla fatica. Lavorava anzi volentieri, benchè, a dire il vero, un po' febbrilmente e senza nesso.
Gli amici gli volean bene, attirati com'erano dall'intima rettitudine di lui, dalla bontà costante, dal carattere leale.
Se non che, non era nato Nejdanow sotto buona stella nè la vita gli sorrideva: tutt'altro. Egli stesso profondamente lo sentiva; e a malgrado della devozione degli amici, si vedeva intorno lo squallore della solitudine.
Seguitava a starsene davanti alla finestra, pensando con malinconico fastidio al viaggio imminente, a quel nuovo e improvviso mutamento della sorte. Non si rammaricava già di lasciar Pietroburgo; non vi lasciava niente che gli stesse proprio a cuore; e poi ben sapeva di dovervi tornare in autunno. E nondimeno una vaga trepidazione l'opprimeva, un involontario sconforto gli fiaccava ogni energia.
— Bel precettore, in fede mia! — andava pensando. — Bella pasta di pedagogo!
Si rimproverava quasi di aver così presto accettato l'offerta e la conseguente responsabilità. Il rimprovero nondimeno era ingiusto. Nejdanow era fornito di cognizioni sufficienti e, a dispetto del mutabile umore, i giovanotti andavano a lui senza esservi sforzati ed egli stesso prendeva agevolmente a volerli bene.
La tristezza che ora lo invadeva era quel senso inerente ad ogni mutamento di posto e di abitudini, senso cui van soggetti tutti i malinconici, tutte le persone meditabonde. I caratteri vivaci, sanguigni lo ignorano; si rallegrano anzi a qualunque interruzione di vita quotidiana, alla più piccola novità nel mondo che sta loro intorno.
A poco a poco, tanto era sprofondato nei suoi pensieri, Nejdanow incominciò, senza pur saperlo, a tradurli in parole. I sentimenti varii e cozzanti trovavano, spontaneamente, una forma sonante, poco meno che metrica.
— Eh via, balordo! — esclamò con rabbia, — sta' a vedere che mi metto a improvvisar versi!
Si riscosse, lasciò la finestra, vide il biglietto di dieci rubli lasciato da Paclin sulla tavola e, cacciatoselo in tasca, prese a camminar su e giù per la camera.
— Bisognerà che prenda la caparra, — andava ragionando fra sè; — in fin dei conti, l'offerta di quel signore non è disprezzabile.... Cento rubli.... Cinquanta per far tacere i creditori, cinquanta o settanta pel viaggio.... e il resto a Ostrodumow. E anche questo, il biglietto di Paclin, a lui.... Senza contare che qualche altra cosa c'è ancora da riscuoterla da Marchelow....
Mentre così andava calcolando, gli si ridestarono dentro le vibrazioni poetiche di poco innanzi. Si fermò, stette pensoso un poco, e volti gli occhi in là, cercò quasi a tentoni, ed aprì un cassetto della tavola.
Vi cacciò proprio in fondo le mani, e ne trasse fuori un quaderno tutto scribacchiato.
Cadde a sedere e, sempre con gli occhi rivolti in là, prese la penna e, brontolando sotto il naso, scotendo tratto tratto i capelli, cancellando, rifacendo, si diè a buttar giù un verso dopo l'altro....
La porta dell'anticamera si aprì a mezzo, e la testa di Masciùrina apparve. Nejdanow non se n'accorse e seguitò il suo lavoro.
Masciùrina stette immota a guardarlo. Poi, crollando di qua e di là il capo, fece per allontanarsi.
Ma Nejdanow alzò ad un tratto la testa, si volse ed esclamò con dispetto:
— Ah! voi!
Il quaderno, nel punto stesso, spariva in fondo al cassetto.
Allora Masciùrina con passo sicuro e virile venne avanti.
— Mi manda qui Ostrodumow, — disse staccando bene le parole, — per sapere quando proprio sarà possibile avere i denari. Se vi riuscirà di procacciarveli per oggi, partiremo stasera.
— Per oggi è impossibile, — rispose Nejdanow, aggrottando le sopracciglia. — Tornate domani.
— A che ora?
— Alle due.
— Sta bene.
Masciùrina stette muta un poco, e poi stese la mano a Nejdanow.
— Vi ho disturbato, a quanto pare: scusatemi. E poi, lo sapete, vado via. Chi sa se ci rivedremo più? Vi dico addio, ecco.
Nejdanow le strinse le dita fredde e arrossite.
— Avete visto da me quel signore?... Ci siamo accordati. Vado a star con lui come precettore. La sua villa è nel dipartimento di S.*** a poca distanza dalla città.
Il viso di Masciùrina s'illuminò di un lieto sorriso.
— Ah! non è lontano! Sicchè è anche possibile che prima o dopo ci si riveda.... Può darsi che ci mandino da quelle parti.
Masciùrina trasse un sospiro.
— Ah, Nejdanow!
— Che c'è? — domandò questi.
Masciùrina si chiuse di botto in un contegno riservato.
— Niente.... Addio! Niente.
E di nuovo strettagli la mano, si allontanò.
— E dire, — pensò Nejdanow, — che in tutta Pietroburgo nessuno m'è così devoto come questa.... bisbetica! Ed è anche capitata in tempo per disturbarmi... Del resto, tutto per lo meglio!
La mattina del giorno appresso, Nejdanow si presentò a casa del signor Sipiaghin, e fu ricevuto in uno splendido gabinetto, ornato di mobili di stile severo, quali si convenivano alla dignità di un gentiluomo, di un liberale e di un personaggio ufficiale.
Sedeva questi ad una enorme scrivania, sulla quale in bell'ordine eran disposte molto carte che non servivano a niente e a nessuno, non che un gigantesco coltello di avorio, che non avea mai tagliato o sfogliato niente.
Per tutta un'ora, Nejdanow prestò ascolto all'elegante libero pensatore, si deliziò del suo eloquio melato, tutto saggezza e condiscendenza, e ricevette alla fine i desiderati cento rubli di anticipazione.
Dieci giorni dopo, quel medesimo Nejdanow, sdraiato sul divano di velluto di un compartimento riservato, a fianco del nobile personaggio non che liberale gentiluomo, correva alla volta di Mosca sulle malferme rotaie della ferrovia Niccolò.
V.
Nel salotto d'una grande casa con frontone greco e relativo colonnato, costruita nel 1825 dal famoso agronomo e dentista nota 2 Sipiaghin, padre del nostro personaggio, la moglie di costui, Valentina Michailowna, signora molto avvenente, aspettava da un momento all'altro l'arrivo del marito, annunziatole da un telegramma.
L'addobbatura del salotto avea l'impronta del gusto più recente e più delicato. Tutto spirava grazia, agiatezza, ospitalità cortese; tutto, dai vaghi rabeschi dei parati e delle tende di cretonne alle forme svariate dei gingilli di maiolica, di bronzo, di cristallo, sparsi sulle tavole e sulle mensolette; tutto armonicamente, soavemente fondevasi nei raggi limpidi di un giorno di maggio, che entravano liberi e giocondi per le alte finestre spalancate. L'aria del salotto, impregnata di fragranza di mughetti (grossi mazzi di questi incantevoli fiori primaverili biancheggiavano qua e là), agitavasi a momenti al soffio d'una brezza che aleggiava pianamente fra le piante del rigoglioso giardino.
Che quadro incantevole! E la stessa padrona di casa, Valentina Michailowna Sipiaghin, ne completava l'effetto, vi dava significato e movimento.
Era una donna alta della persona, sulla trentina, dai capelli fulvi, dall'incarnato fresco e bruno, che ricordava la Madonna della cappella Sistina, dagli occhi profondi, vellutati, meravigliosi.
Le labbra aveva un po' larghe e pallide, le spalle un poco sollevate, le mani un po' grandi.... Ma, a malgrado di ciò, chiunque avesse visto con che grazia disinvolta ella aggiravasi pel salotto, ora chinando sui fiori la svelta persona e aspirandone con un sorriso il profumo, ora rimettendo a posto una porcellana giapponese, ora con rapido atto aggiustandosi davanti allo specchio i lucidi capelli e appena appena stringendo i bellissimi occhi, chiunque, diciamo, avrebbe esclamato dentro di sè o anche ad alta voce, di non aver mai prima incontrato una creatura più seducente!
Un bel ragazzo sui nove anni, ricciuto, in costume scozzese, con le gambette nude, pettinato e lisciato con la massima cura, arrivò di corsa nel salotto e si arrestò in tronco alla vista di Valentina Sipiaghin.
— Che c'è, Nicoletto? — domandò ella.
Avea la voce, non meno degli occhi, carezzevole e vellutata.
— Senti mamma — rispose impacciato il ragazzo, — è la zia che m'ha detto di venir qua.... per portarle dei mughetti.... in camera sua.... Non ce n'ha nemmeno uno.
Valentina Michailowna prese pel mento il figliuoletto e gli fece alzare la testolina lucida e ricciuta.
— Va a dire alla zia che mandi a prendere i mughetti dal giardiniere. Questi fiori qui son miei, e non voglio si tocchino. Le dirai pure, bada bene, che non mi piace veder disturbate le mie abitudini. Saprai ripetere appuntino le mie parole?
— Sicuro! — balbettò il ragazzo.
— Ebbene, ripeti.
— Dirò.... dirò.... che non vuoi.
Valentina Michailowna diè in una sua risatina tutta dolcezza.
— Vedo che non si può ancora affidarti degli incarichi. Non importa.... Dirai alla meglio quello che ti viene in testa.
Il ragazzo baciò in fretta la mano della madre, scintillante di anelli, e scappò via di corsa.
Valentina Michailowna gli tenne dietro con gli occhi, trasse un sospiro, e si avvicinò ad una gabbia dorata, ai ferri della quale col becco e con le zampe s'arrampicava un piccolo pappagallo verde. Minacciatolo scherzosamente con la punta del dito, Valentina si lasciò andare sopra un divanetto basso, e preso da un tavolino intarsiato l'ultimo numero della Revue des Deux Mondes, si diè a voltarne le pagine.
Un rispettoso colpo di tosse le fece alzar gli occhi.
Sulla soglia stava ritto un cameriere di bell'aspetto, in livrea e cravatta bianca.
— Che c'è, Agostino? — domandò Valentina Michailowna sempre con la stessa soavità di voce.
— Il signor Simone Petrovic Colomeizew è di là. Può passare?
— Passi, passi, s'intende. E avvertite la signorina Marianna di favorire in salotto.
Valentina Michailowna gettò sul tavolino il fascicolo della Revue des Deux Mondes, e appoggiatasi alla spalliera del divanetto, alzò gli occhi al soffitto e divenne pensosa, il che, per dir la verità, le stava molto bene.
Simone Petrovic Colomeizew , giovane di trentadue anni, entrò nel salotto con andatura languida e disinvolta, sorridendo amabilmente, facendo un grazioso inchino obliquo e subito con mirabile elasticità raddrizzandosi. Parlava con voce tra melata e nasale. Con profondo rispetto prese la mano della padrona di casa, e con venerazione la baciò....
Da tutto questo era facile indovinare che il nuovo venuto non era un provinciale, nè un qualunque vicino di campagna, ma un vero e proprio rappresentante del gran mondo della capitale.
Vestiva correttissimamente all'inglese. La punta colorata del bianco fazzoletto di batista sbucava in triangolo dalla tasca ben liscia del farsetto screziato. Da un largo nastro di seta nera dondolava un monocolo. Il color cinerino dei guanti svedesi rispondeva alla tinta smorta dei calzoni a scacchi.
Coi capelli tagliati a spazzola, raso con la massima cura, il viso del signor Colomeizew avea non so che di muliebre. Gli occhi, piccolini e poco discosti l'uno dall'altro, il naso sottile e leggermente aquilino, le labbra carnose e colorite.
Padrone di sè, come uomo di raffinata educazione, affabile in ogni suo atto, Colomeizew era però anche soggetto a divenir burbero e cattivo, per poco che si pungessero i suoi principii conservatori, patriottici e religiosi. Oh! allora si trasformava ed era inesorabile! La languidezza degli occhi brillava di un fuoco maligno; le labbra graziose articolavano sgraziate parole e facevano un appello disperato all'autorità!
La famiglia di Simone Colomeizew discendeva da semplici agricoltori. Ma il tempo, si suol dire, è un gran galantuomo e non sempre ha buona memoria. Fatto sta che il nostro Simone si teneva in buona fede per aristocratico puro sangue; tratto tratto accennava anche a una derivazione diretta dai baroni von Hallenmeier, uno dei quali era stato feld-maresciallo austriaco nella guerra dei Trent'anni.
Simone Colomeizew, addetto al ministero della Corte imperiale, aveva il grado di gentiluomo di camera. Il patriottismo gli aveva impedito di prendere la carriera diplomatica, alla quale tutto parea che lo chiamasse: educazione, abitudine del mondo, successi con le donne, aspetto piacente.... Mais quitter la Russie — jamais! Aveva una certa sostanza; avea relazioni di conto; godeva fama di uomo capace e devoto all'ordine.... un peu trop féodal dans ses opinions, come esprimevasi il famoso principe B.***, uno degli astri maggiori dei circoli ufficiali di Pietroburgo.
Nel dipartimento, dove la famiglia di Sipiaghin villeggiava, Simone Colomeizew veniva a passare due mesetti di congedo, per dare un occhio all'amministrazione dei poderi, il che voleva dire un po' stringere i freni, un po' terrorizzare, un po' mungere. Senza di che, evidentemente, non era possibile andare avanti.
— Facevo conto di trovar già qui l'amico Sipiaghin, — disse, dondolandosi con grazia e poi di botto volgendo un'occhiata di fianco, ad imitazione di un personaggio molto in voga.
Valentina Michailowna strinse leggermente le ciglia.
— Altrimenti non sareste venuto?
Colomeizew diè un balzo indietro, tanto gli parve ingiusta la domanda della signora Sipiaghin.... Ingiusta ed assurda.
— Signora Valentina! — esclamò, — di grazia! È mai possibile di sospettare soltanto....
— Via, via! sedete. Mio marito Boris sarà qui tra poco. Ho già mandato la carrozza alla stazione per rilevarlo. Un tantino di pazienza, e lo vedrete. Che ore sono?
— Le due e mezzo, — rispose Colomeizew cavando dal taschino del panciotto un massiccio orologio d'oro smaltato, e mostrandolo alla signora Sipiaghin. — Avete mai visto il mio orologio?... Me l'offrì in dono Michele, sapete... il principe di Serbia.... Michele Obrenovic. Ecco le sue cifre, guardate. Siamo amici intrinseci. Quante volte s'è andati a caccia insieme! Un ragazzo d'oro, sapete!... E poi anche un pugno di ferro, da vero uomo di Stato. Oh, non gli piace di scherzare, vi assicuro! Tutt'altro!
Colomeizew si abbandonò sopra una seggiola, incrociò le gambe e si diè a stirare il suo guanto sinistro.
— Ci vorrebbe qui, in questo dipartimento, un uomo di questo genere!
— O che? Avete forse a dolervi di qualche cosa?
Colomeizew arricciò il naso.
— Autonomia provinciale.... una bella cosa, non nego.... Ma a che serve?.... Serve a indebolire l'amministrazione centrale e a far nascere.... pensieri superflui.... ( Colomeizew agitava in aria la mano sinistra, libera dalla pressione del guanto).... e speranze irrealizzabili (così dicendo, si soffiò sulla mano). Testè m'è accaduto di parlarne a Pietroburgo.... mais bah! Il vento spira per un altro verso. Anche vostro marito.... figuratevi! Del resto, lo si sa da tutti ch'è un liberale!
La signora Valentina si raddrizzò sul divanetto.
— Come? Anche voi, signor Colomeizew, fate l'opposizione al governo?
— Io? l'opposizione? Mai e poi mai! Per nulla al mondo! Mais j'ai mon franc parler. Qualche volta mi permetto un ditino di critica, ma mi sottometto sempre.
— Ed io al contrario: non critico e non mi sottometto.
— Ah! mais c'est un mot! Se permettete, comunicherò la vostra osservazione al mio amico.... Ladislas, vous savez... sta scrivendo un romanzo del gran mondo, e già me n'ha letto varii capitoli. Sarà un successo, vedrete! Nous aurons enfin le gran monde russe par lui méme.
— Dove si pubblicherà?
— Nel Messaggero Russo naturalmente. È la nostra Revue des Deux Mondes. Vedo già che voi la leggete.
— Sì. Ma sapete, da un pezzo in qua diventa noiosa.
— Può darsi.... può darsi.... Anche il Messaggero Russo, per dir la verità, per dirla alla moderna, mi pare che abbia preso un pochettino la sbornia.
Colomeizew rise di soddisfazione: la sbornia e il pochettino gli parevano una bella graziosità.
— Mais c'est un journal, qui se respecte, — proseguì. — Ed è questo quel che preme. Per conto mio, vi confesserò francamente che ben poco m'interesso della letteratura russa.... Volta e gira, non vi figurano che dei plebei. Si è arrivati al punto, figuratevi, che l'eroina del romanzo è una cuoca, una semplice e volgarissima cuoca, parole d'honneur! Ma il romanzo di Ladislas lo leggerò di certo. Il y aura le petit mot pour rire.... e anche la tesi, l'intenzione, soprattutto questa! la tendenza, voglio dire... I nichilisti saranno smascherati e coperti d'ignominia.... di ciò m'è garante il modo di pensare di Ladislas, qui est très-correct.
— Non così il suo passato, — notò la Sipiaghin.
— Ah! jetons un voile sur les erreurs de sa jeunesse! — esclamò Colomeizew, e si strappò il guanto destro.
La signora Valentina tornò ad aggrottar leggermente le sopracciglia. Le piaceva civettare un tantino con quei suoi occhi meravigliosi.
— Signor Colomeizew, — disse, — permettete che vi domandi perchè adoperate così spesso tante parole francesi?... Mi pare che... scusate veh!.. mi pare che sia una moda un tantino antiquata.
— Perchè? perchè?... Non a tutti è dato di possedere da maestri la propria lingua, come, per esempio, voi. In quanto a me personalmente, io riconosco la lingua nazionale come la lingua, dirò così, legale, la parola dei decreti, la voce del governo, e ne ammiro la purezza e fo tanto di cappello ai puristi... Ma è la lingua quotidiana, e non si può dire che basti a tutto.... Come tradurreste, per esempio, la mia esclamazione de tout à l'heure, quando ho detto a proposito di un'osservazione vostra: C'est un mot? Sentiamo, su! È una parola.... una parola....
— Io avrei detto: È una parola indovinata.
Colomeizew rise.
— Una parola indovinata!... Ma non sentite forse che in quell'indovinata c'è della pedanteria? che tutto lo spirito è svaporato?
— È inutile, non mi persuaderete.... Ma che è che Marianna non si fa vedere?
Così dicendo, suonò un campanello. Subito comparve un piccolo lacchè vestito da cosacco.
— Ho fatto pregare la signorina Marianna di venire qui, in salotto. Forse non gliel'han detto?
Il cosacchino non ebbe tempo di rispondere.
Alle sue spalle, sotto l'arco della porta, apparve una giovinetta, con indosso una larga casacca di colore oscuro e coi capelli tagliati corti, alla mascolina.
Era Marianna Vichentewna, nipote di Sipiaghin dal lato materno.
VI.
— Scusatemi, ve ne prego — disse avanzandosi verso la signora Valentina, — ero occupata e arrivo in ritardo.
Fatto poi un cenno di saluto a Colomeizew si tirò da parte, e andò a sedere sopra uno sgabelletto vicino alla gabbia del pappagallo, il quale, non appena l'ebbe vista, battè delle ali e sporse il becco verso di lei.
— Perchè sei andata a sedere così lontano, Marianna? — si dolse la signora Valentina seguendola con gli occhi, — Preferisci di star più vicina al tuo piccolo amico? Figuratevi, signor Colomeizew, che quella bestiola è addirittura innamorata della nostra Marianna.
— È una bestiola di spirito, si vede!
— E me, invece, non mi può soffrire.
— Possibile? Vuol dire che voi forse lo molestate.
— Mai; al contrario. Gli do sempre dello zucchero... Ma dalle mie mani non vuol niente. Questione di simpatia e di antipatia.
Marianna guardò di sottecchi a Valentina, e Valentina a Marianna.
Queste due donne non si struggevan d'amore l'una per l'altra.
A confronto della zia, Marianna potea quasi parere bruttina. Viso tondo, naso grosso e aquilino, occhi grigi, ma grandi e vivaci, sopracciglia delicate, labbra sottili. Portava tagliati i rossi e folti capelli, il che le conferiva un aspetto virile. Da tutto il suo essere spirava non so che di energico e di temerario, di ansiosa impazienza, di ardore sentimentale. Avea piccolissimi i piedi e così pure le mani. La personcina svelta, forte, ben fatta, ricordava le statuette fiorentine del secolo XVI. Camminava diritta e leggera.
La condizione di lei in casa dei Sipiaghin era piuttosto incresciosa. Il padre, uomo intraprendente e molto capace, di origine semipolacca, era riuscito a guadagnarsi le spalline di generale: se non che un fulmine a ciel sereno lo aveva incenerito. Colto in flagranza di malversazione, era stato giudicato, privato del grado, cancellato dal libro della nobiltà, mandato in Siberia. Amnistiato in processo di tempo, tornò, ma non gli venne fatto di riafferrar la fortuna e morì nella più squallida miseria. Sua moglie, sorella di Sipiaghin e madre di Marianna, che era unica figlia, non resse al colpo fatale e non molto stette a seguire il disgraziato marito.
Fu allora che lo zio Sipiaghin accolse sotto il proprio tetto l'orfana nipotina.
Ma a costei era insopportabile quella vita d'inferiorità e di soggezione. Aspirava alla liberazione, all'indipendenza, con tutte le energie dell'anima indomita; e tra lei e la zia bolliva una lotta assidua, benchè segreta. La signora Valentina teneva la nipote in conto di atea e nichilista; dal canto suo, Marianna odiava in persona della zia la sua inevitabile tiranna.
Con lo zio serbava un contegno schivo e riservato, come con tutti gli altri: sentimento sdegnoso anzi che timido, poichè ad ogni timidezza il suo carattere era estraneo.
— Strana cosa l'antipatia, — osservò Colomeizew. — A tutti è noto, per esempio, che io sono un uomo profondamente religioso; ortodosso nel senso più largo della parola.... Eppure non posso soffrire i preti.... Sol che ne veda la zazzera e il ciuffo, che volete? mi si rivolta dentro non so che....
E così dicendo, cercava di rappresentare quel non so che battendosi del pugno sul petto.
— Se non mi sbaglio, — osservò Marianna, — son sempre i capelli che vi danno sui nervi. Son certa che non potete soffrire, per esempio, di veder qualcuno che abbia tagliati i capelli come me.
La signora Sipiaghin alzò lentamente le ciglia e piegò un po' di lato la testa, come maravigliandosi della scioltezza delle odierne fanciulle nel cacciarsi in mezzo ai discorsi. Colomeizew sorrise con indulgenza.
— Certamente — rispose, — io non posso non rammaricarmi per quel tesoro di magnifici capelli, com'erano i vostri, signorina Marianna, condannati a cadere sotto il taglio inesorabile delle forbici.... Ma in quanto ad antipatia, nemmeno l'ombra.... In tutti i casi, il vostro esempio sarebbe capace, dirò così, di convertirmi!
L'avrebbe detto in francese, ma non stava più, dopo l'osservazione della padrona di casa.
— Grazie al cielo — venne su la signora Sipiaghin, — Marianna non porta ancora occhiali; e poi non ha ancora fatto divorzio dai colletti e dai mezzi guanti.... Si occupa però, con mio sincero cordoglio, di scienze naturali. Credo pure che la questione del femminismo la interessi molto.... Non è vero, Marianna?
Tutto ciò era detto con lo scopo di pungere Marianna e di metterla in un certo imbarazzo. Ma la giovinetta non si scrollò.
— Sì, zia, — rispose tranquilla, — leggo tutti gli scritti che vi si riferiscono. M'ingegno di capire in che proprio consista la questione.
— Che vuol dire esser giovani! — si volse la signora Sipiaghin a Colomeizew; — voi ed io non ci occupiamo più di queste cose, eh?
Colomeizew sbozzò un sorrisetto di compiacenza. Bisognava in tutti i modi sostenere la celia spiritosa dell'amabile signora.
— La signorina Marianna, — disse poi, — è ancora piena di quell'idealismo.... di quel romanticismo, dirò così, giovanile.... il quale, col tempo....
— Del resto, io mi calunnio, — lo interruppe la signora Sipiaghin. — Cotesto problema interessa anche me. Non son poi invecchiata del tutto.
— Anch'io, anch'io me n'interesso molto, — esclamò frettoloso Colomeizew; — ma, se fosse in me, proibirei di parlarne.
— Proibireste di parlarne? — fece eco Marianna.
— Sicuro! Direi al pubblico: interessatevi quanto più vi pare, ma.... acqua in bocca! (E si metteva un dito sulle labbra). In tutti i casi, proibirei che se ne parlasse per le stampe.... Inesorabilmente!
La signora Sipiaghin sorrise.
— E che? Secondo voi, si dovrebbe istituire una commissione presso il ministero per risolvere la questione?
— E perchè no, di grazia? Voi forse vi figurate che noi la risolveremmo peggio di tutti codesti affamati scribacchini, che non vedono oltre la punta del naso e si atteggiano a genii di prim'ordine? Nomineremmo presidente Boris Sipiaghin, il vostro rispettabile marito....
— Badate, veh! — esclamò, ridendo forte la signora Valentina; — se sapeste a momenti che sorta di giacobino è Boris!
— Cocò, cocò, cocò, — gridò dalla sua gabbia il pappagallo.
La signora Valentina lo minacciò agitando il fazzoletto.
— Non impedire alle persone intelligenti di discorrere!... Marianna, portalo via!
Marianna si volse alla gabbia e prese a solleticar con l'unghia il collo della bestiuola.
— Sì — proseguì la Sipiaghin, — qualche volta Boris fa stupire anche me. C'è in lui, non so, come la vena del tribuno.
— C'est parce qu'il est orateur! — approvò con grande calore Colomeizew. — Vostro marito ha il dono della parola, come nessun altro al mondo, ed è abituato a brillare.... ses propres paroles le grisent.... e poi anche il desiderio della popolarità.... Del resto, credo che adesso sia un po' malcontento, non è vero? Il boude? eh?
La signora Sipiaghin volse gli occhi dalla parte di Marianna.
— In verità, non ho avuto occasione di notare, — disse poi, dopo un breve silenzio.
— Sì, — riprese Colomeizew in tono pensoso, — non si può negare che un torto gliel'abbiano fatto nella faccenda della croce....
La signora Sipiaghin ammiccò, accennando a Marianna.
Colomeizew fece un cipiglio tra comico e serio, come per dire:
— Ho capito!
Poi, d'improvviso, e senza una necessità al mondo, esclamò:
— Signorina Marianna!... anche quest'anno avete intenzione di dar lezioni?
Marianna, che badava al pappagallo, si voltò.
— Anche questo v'interessa, signor Simone Colomeizew?
— Certamente! moltissimo anzi.
— E non lo proibireste questo?
— Ai nihilisti proibirei perfino di pensare alle scuole.... Ma sotto la guida del clero.... e con la debita sorveglianza sul clero stesso, s'intende.... sarei il primo a sostenere la necessità dell'insegnamento.
— Bravissimo! ma intanto, io non so che cosa farò quest'anno. Si andò così male l'anno scorso!... E poi, in estate, che scuola vorreste fare!
Quando parlava, Marianna arrossiva a poco a poco, come se il parlare le costasse uno sforzo: effetto, in gran parte, di amor proprio.
— Non sei forse preparata abbastanza? — domandò la signora Sipiaghin con un tremito ironico nella voce.
— Può anche darsi.
— Come! — tornò ad esclamare Colomeizew. — Che mi tocca di sentire! O Numi! Per insegnare l'abicì alle bimbe dei contadini c'è bisogno di preparazione?...
Ma in quel punto stesso, arrivò correndo Nicoletto, col grido:
— Mamma! mamma! arriva il babbo!
E subito dopo, dondolandosi sui larghi piedoni, comparve una signora dai capelli bianchi, in cuffia e scialle color arancio, ed annunziò anch'essa che Boris Sipiaghin era alle viste.
Questa vecchia signora era zia di Sipiaghin, e si chiamava Anna Zacharowna.
Tutti i personaggi raccolti in salotto si alzarono in fretta e corsero nell'anticamera, e di là per la scala verso l'ingresso principale della villa.
Un lungo viale di pini menava dalla strada maestra a cotesto medesimo ingresso; e già vedevasi venir avanti sotto la verde arcata una carrozza con tiro a quattro.
Valentina, precedendo gli altri, sventolava il fazzoletto; Nicoletto gridava dall'allegrezza....
Il cocchiere con polso fermo ed atto magistrale arrestò in tronco i cavalli, il lacchè balzò dalla serpe e per poco non strappò lo sportello della carrozza, ed ecco, con un benevolo sorriso sulle labbra, negli occhi, per tutta la faccia, e fattasi con una lieve scrollatina di spalla cadere la mantellina, Boris Sipiaghin mise piede a terra.
Valentina Michailowna, con graziosa sollecitudine, gli gettò le braccia al collo e tre volte lo baciò. Nicoletto pestava dei piedi in terra e tirava il padre di dietro per la falda del soprabito....
Questi però volle innanzi tutto abbracciare la vecchia Anna Zacharowna, dopo essersi cavato il brutto e sconveniente berretto da viaggio. Salutò poi amabilmente Marianna e Colomeizew, usciti anch'essi a dargli il benvenuto (con Colomeizew scambiò un vigoroso shakehands all'inglese come se scotesse il batacchio d'una campana), e solo allora si volse a dar retta al figlio e, sollevatolo fra le braccia, se lo accostò con grande amorevolezza al viso.
Mentre tutto ciò accadeva, sbucò dalla carrozza Nejdanow, adagio e quasi mortificato. Fermatosi accanto alla ruota sinistra davanti, stette a guardar di sottecchi e senza togliersi il cappello.
Valentina Michailowna, nel momento che abbracciava il marito, sbirciò di sopra la spalla di lui quel nuovo personaggio. Già sapeva, per avviso avutone dal marito stesso, dell'arrivo del precettore.
Tutta la brigata, continuando a scambiar saluti e strette di mano col padrone di casa, mosse su per la scala, ornata in pompa di qua e di là da servi di ambo i sessi.
Nessuno della numerosa famiglia fu ammesso al bacio della mano essendo già da tempo abolite queste asiaticherie. Si limitarono a inchinarsi rispettosamente; ai quali inchini Sipiaghin rispondeva più con le ciglia e col naso che con la testa.
Seguendo gli altri, anche Nejdanow andò su per l'ampia gradinata. Entrato che fu in anticamera, Sipiaghin, che già lo cercava con gli occhi, lo presentò alla moglie, ad Anna Zacharowna, a Marianna. Chiamato a sè Nicoletto, gli disse: “Questo signore è il tuo maestro. Sii rispettoso ed ubbidiente. Per ora dàgli la mano.”
Nicoletto stese timidamente la mano, e spalancò tanto d'occhi in viso allo sconosciuto; ma non trovandovi forse niente di particolare o di simpatico, tornò ad attaccarsi ai panni del genitore.
Nejdanow si sentiva a disagio, proprio come in quella famosa sera del teatro. Indossava un soprabito più che malandato; aveva la faccia e le mani lorde di polvere.
Valentina Michailowna gli disse qualche frase amabile; ma egli non ne afferrò bene le parole e nulla rispose. Notò solo con quanta tenerezza ella guardasse il marito e come gli si stringesse ai fianchi affettuosa. Di Nicoletto non gli andò a genio la chioma ricciuta ed unta. Alla vista di Colomeizew, pensò: “Che muso liscio costui!” Agli altri non badò nè punto nè poco.
Sipiaghin due volte girò intorno la testa, dignitosamente, come per riconoscere e salutare i suoi penati. Poi, con voce sonora e limpida, si volse ad uno dei servi:
— Ivan, accompagna il signor precettore alla camera verde, e portagli anche il suo baule.
Significò nel tempo stesso a Nejdanow, che potea andare a ristorarsi dal viaggio e a darsi una spazzolata. Il pranzo si serviva in tavola alle cinque precise.
Nejdanow s'inchinò e tenne dietro ad Ivan verso la così detta camera verde, che trovavasi al secondo piano.
Tutti gli altri passarono in salotto. Si rinnovarono complimenti e saluti. Comparve anche la vecchia governante semicieca, per fare omaggio al padrone, il quale, sol per riguardo agli anni, le diè a baciar la mano.
Fatte poi le sue scuse al signor Colomeizew, si ritirò in camera, accompagnato dall'amorosa consorte.
VII.
La camera bella e spaziosa, nella quale il domestico condusse Nejdanow, dava con le finestre sul giardino. Eran queste aperte, e una lieve brezza agitando le bianche tende, le faceva arrotondare come vele e sgonfiar di nuovo. Riflessi di luce dorata sfioravano tratto tratto il soffitto; tutta l'aria intorno era piena di una fragranza primaverile, tra umida e frizzante.
Nejdanow cominciò dal mandar via il servo. Cavò dal baule la sua poca roba, si lavò, mutò di vestiti. Il viaggio lo avea spossato. Due giorni di assidua compagnia con un uomo sconosciuto, di conversazione varia, scucita e perfettamente inutile, gli aveano dato una grande irritazione nervosa. Un senso amaro, misto di fastidio e di dispetto, gli scendeva fino al fondo dell'anima: uno scoramento disperato, una rabbia impotente contro la propria pusillanimità.
Si avvicinò alla finestra e prese a guardar nel giardino. Era un giardino di altri tempi, tutto di terra vegetale, come non se ne trovano di simili di qua da Mosca. Posto sul dolce declivio d'un poggio, dividevasi in quattro ben distinti scompartimenti. Sul davanti della casa, per duecento passi, stendevasi il parterre, intersecato da viali diritti e ben battuti, ornato di acacie, di lilla, di aiuole verdeggianti. A sinistra, passando davanti le scuderie, l'orto propriamente detto, abbondante di pomi, pere, susine, lamponi, ribes. Di fronte, formando un perfetto rettangolo, elevavansi i pini del viale principale. Sulla destra, la veduta era limitata dalla strada, chiusa da un doppio filare di pioppi dai riflessi argentei. Di mezzo al folto delle betulle piangenti emergeva il tetto convesso dell'agrumeto.
Tutto quanto il giardino rideva nel primo rigoglio primaverile. Non ancora udivasi l'estivo ronzio degli insetti; le foglie ancor tenere pareano mandare un bisbiglio: qua e là trillavano i fringuelli; due tortorelle tubavano, sempre sul medesimo albero; un cuculo mandava all'aria il suo verso, mutando di posto ogni volta, e di lontano, di là dallo stagno del mulino, giungeva lo stridìo giocondo delle cornacchie, simile al cigolare di molte ruote di carro.
Su tutta questa vita giovane, tranquilla, solitaria, libravansi come ali di uccelli indolenti gruppi di nuvolette bianche e leggiere.
Nejdanow guardava, ascoltava, aspirava l'aria refrigerante.
Insensibilmente, e senza che pur se n'avvedesse, una serenità grande gli s'insinuava nell'anima.
Giù intanto, in una camera da letto, si parlava di lui per l'appunto. Sipiaghin andava narrando alla moglie della conoscenza fatta a teatro, delle cose dettegli dal principe G.***; dei discorsi fatti durante il viaggio.
— Un ragazzo intelligente — ripeteva, — e colto anche! Un po' caldo di cervello, se si vuole, ma questo, tu lo sai, non m'importa gran che.... Cotesta gente, almeno, ha un'ambizione, un ideale.... E poi Nicoletto è ancora troppo ragazzo, e non c'è pericolo che gli si attacchino certe scioccherie....
La signora Valentina ascoltava il marito con un sorrisetto tra amabile e beffardo, come se quegli le andasse facendo la confessione di una sua scappatella.
Compiacevasi anzi in certo modo che il suo seigneur et maítre, un uomo così basato, un personaggio così importante, fosse ancora in grado di fare una ragazzata, come un qualunque birichino di dodici anni. Ritto davanti allo specchio, con una camicia bianca come neve, con brettelle di seta azzurra, Sipiaghin cominciò a ravviarsi i capelli all'inglese, cioè con due spazzole alla volta; e la signora Valentina, montata sopra uno sgabelletto turco, lo informava intanto delle novità domestiche, della carteria che pur troppo andava malino, del cuoco che bisognava mutare, della chiesa cui andava rifatto lo stucco delle pareti, di Marianna, di Colomeizew....
Esisteva tra i due coniugi una fiducia sincera e un pienissimo accordo. Vivevano veramente in amore e consiglio come esprimevansi i nostri vecchi. E quando Sipiaghin, dato l'ultimo colpo alla sua toeletta, domandò cavallerescamente la mano a Valentina, quando ella gliele porse tutte e due, e con tenero orgoglio stette a contemplare come il marito una dopo l'altra le baciasse, il sentimento che dipingevasi nei loro volti era un sentimento di bontà e di rettitudine, benchè da una parte splendesse in occhi degni di Raffaello e dall'altra in due occhietti comuni di personaggio ufficiale.
Alle cinque precise, Nejdanow discese verso la sala da pranzo, chiamatovi non già dallo squillo d'una campana ma dalle vibrazioni lamentose di un gong cinese.
Tutta la brigata era già raccolta. Sipiaghin tornò a salutarlo dall'alto della sua cravatta e gli accennò al posto assegnatogli a tavola tra Anna Zacharowna e Nicoletto.
Anna Zacharowna era una vecchia zitella, sorella del fu padre di Sipiaghin. Spirava da tutta la persona un acuto odore di canfora, come sogliono i vecchi vestiti conservati a lungo, ed aveva un aspetto irrequieto e accasciato nel tempo stesso. Compiva in casa le funzioni di sorvegliatrice o governante di Nicoletto; epperò, al veder Nejdanow collocato tra sè e il ragazzo, non seppe dissimulare un gran malumore sul viso arcigno e rugoso.
Nicoletto, per conto suo, guardava furtivo ed obliquamente al nuovo commensale. Lo svelto ragazzo capì alla bella prima che il signor precettore trovavasi a disagio e impacciato, visto che non alzava gli occhi e non mangiava quasi niente. La cosa gli piacque, avendo temuto fino a pochi momenti prima di aver da fare con un uomo rigido e collerico.
La signora Valentina guardava anch'essa, di tanto in tanto, dalla parte di Nejdanow.
— Ha una cert'aria da studente, — pensava, — e si vede subito che non ha vissuto nel mondo. Viso interessante però! ed è anche originale il colore dei capelli, come in quel tale apostolo che gli antichi maestri italiani dipingevano con la chioma rossigna.... E le mani son pulite e ben fatte, non c'è che dire.
Tutti, s'intende, dal più al meno, osservavano Nejdanow, studiandosi, per tacita intesa, di risparmiarlo, di lasciarlo tranquillo, almeno nei primi momenti. Di ciò egli era contento e, nel tempo stesso, irritato.
La conversazione era principalmente sostenuta da Sipiaghin e Colomeizew. Si discorreva di amministrazione provinciale, del governatore, delle contribuzioni stradali, dei riscatti, delle conoscenze comuni di Pietroburgo e di Mosca, del recente liceo del signor Catcow, della difficoltà di trovar lavoratori, di multe e permessi di caccia, ed anche di Bismark, della guerra del 1866, e di Napoleone III, che Colomeizew esaltava come un eroe. Il giovane gentiluomo di camera formulava opinioni estremamente retrograde; e a tal segno si accalorò da ricordare — per celia beninteso — il brindisi di un tal signore suo conoscente ad un banchetto onomastico: “Bevo agli unici principii da me riconosciuti” — aveva esclamato quel bollente proprietario di fondi, — “bevo alla salute dello staffile e dello sciampagna.... del Knut e dello sciampagna ”
La signora Valentina aggrottò le sopracciglia, e osservò che la citazione era de très mauvais goût.
Sipiaghin invece espresse delle idee liberalissime. Redarguì Colomeizew con parole cortesi, e perfino scherzose, ma senza dar gran peso all'incidente.
— I vostri timori a proposito di emancipazione, egregio amico, — disse fra le altre cose, — mi ricordano il giornale che il nostro bravo e rispettabile Alessio Ivanic Tweritinow mise fuori nel 1860 e che andò leggendo per tutti i saloni di Pietroburgo. C'era, fra le tante, una frase felicissima a proposito del contadino libero dai ceppi, con in mano la fiaccola incendiaria, squassata trionfalmente al cospetto della patria. Bisognava vederlo e sentirlo!... gonfiava le gote, sbarrava gli occhi, vociava con la sua boccuccia da bambino: “La fiaccola! la fiaccola!... andrà attorno con la fiaccola incendiaria!” Ebbene, l'emancipazione è oramai un fatto compiuto.... Dov'è, ditemi voi, il contadino con la fiaccola?
— Tweritinow, — ribattè Colomeizew in tono cupo, — s'ingannò solo in questo, che non sono i contadini a portare intorno la fiaccola incendiaria.... ma altri
A queste parole, Nejdanow, che fino a quel momento non s'era quasi accorto di Marianna, seduta a tavola dalla stessa sua parte, si trovò a scambiar con lei una rapida occhiata, e subito sentì di aver con lei, con quella fanciulla pensosa e concentrata, comunanza di idee e poco meno che di razza. Nessuna impressione gli avea fatta, quando Sipiaghin lo aveva a lei presentato; perchè dunque, ora, s'era volto appunto da quella parte ed avea scambiato quello sguardo?... Altra questione prese a tormentarlo: — non era forse vile, non era ignominioso, starsene così a udire di quelle disgustose opinioni, senza protestare in alcun modo, anzi dando a credere, con un colpevole silenzio, di approvarle?...
Tornò a guardare a Marianna, e gli sembrò di leggerle negli occhi la risposta a quel dubbio.
— Aspetta! non è ancor tempo.... Non mette il conto.... Non mancherà l'occasione....
Il pensiero di essere capito lo solleticava piacevolmente.
Prestò di nuovo attenzione alla conversazione comune.... La signora Valentina era sottentrata al marito, e si esprimeva più liberamente, più radicalmente di lui. Ella non giungeva a comprendere, proprio no!... come un uomo educato, colto, giovane, potesse sostenere certi principii così antiquati, così coperti di muffa!
— Del resto, — soggiunse, — son sicura che voi parlate così, per amor della frase, per dire una facezia!... In quanto a voi, signor Alessio Nejdanow (e si volse a lui con un amabile sorriso), so bene che voi non partecipate ai timori del signor Simone Colomeizew.... Boris mi ha informato dei discorsi tenuti con lui durante il viaggio.
Nejdanow arrossì, chinò la testa sul piatto e borbottò poche parole incomprensibili: non già che si sentisse impacciato, ma non avea l'abitudine di barattar discorsi e guerreggiar di frasi con persone così brillanti. La signora Valentina seguitava a sorridergli; il marito approvava, condiscendente.... Il signor Colomeizew, per suo conto, s'incastrò il monocolo tra il naso e le ciglia, e fissò attentamente il piccolo studente che si faceva lecito di non partecipare ai suoi timori....
Fatto sta che a questo modo non era facile imporre a Nejdanow: tutt'al contrario. Sotto quello sguardo scrutatore il giovane si raddrizzò e guardò fisso a sua volta il gentiluomo di camera. E con la stessa prontezza di sentimento, che gli avea rivelato in Marianna un'amica, indovinò in Colomeizew un nemico giurato!
Anche Colomeizew ebbe la stessa impressione.... Si lasciò cadere il monocolo, si voltò in là e tentò di sbozzare un sorriso.... Ma la cosa non gli riuscì. La sola Anna Zacharowna, che in segreto lo adorava, prese mentalmente le sue parti, e ancor più s'inacerbì contro il non chiesto vicino, che era venuto a separarla da Nicoletto.
Di lì a poco il pranzo terminò. Si passò tutti sulla terrazza per sorbire il caffè. Sipiaghin e Colomeizew accesero i sigari. Il primo fece atto di offrire un regalia autentico a Nejdanow; ma questi rifiutò.
— Ah sì! dimenticavo! — esclamò Sipiaghin. — Voi fumate soltanto le vostre sigarette.
— Strano gusto! — notò fra i denti Colomeizew.
Poco mancò che Nejdanow non scoppiasse.
Fu lì lì per gridare: — “Conosco benissimo la differenza tra un regalia e una sigaretta, ma non voglio essere obbligato a nessuno!” Si contenne però.... e si legò al dito questa seconda impertinenza del suo nemico.
— Marianna! — chiamò forte ad un tratto la signora Valentina; — non far cerimonie, sai, davanti a una persona nuova.... Fuma pure il paquitos. Tanto più, — soggiunse, volgendosi, — che a quanto sento dire, nella vostra società tutte le signorine fumano.
— Per l'appunto — rispose secco Nejdanow.
Erano le prime parole da lui dette alla signora Sipiaghin.
— Ed io intanto non fumo, — proseguì ella, stringendo graziosamente gli occhi vellutati. — Sono un po' antiquata, come vedete.
Marianna, con lentezza studiata, come per far dispetto alla zia, prese il paquitos, la scatola dei fiammiferi e incominciò a fumare. Nejdanow accese anch'egli la sigaretta, chiedendo a lei un po' di fuoco.
La sera era splendida. Nicoletto in compagnia di Anna Zacharowna discese in giardino. Tutti gli altri si fermarono ancora un'oretta sulla terrazza a godersi la frescura. La conversazione continuava abbastanza animata.... Colomeizew si attaccò alla letteratura; e anche qui il signor Sipiaghin diè bella prova di liberalismo, sostenendo l'indipendenza delle lettere, dimostrandone l'utilità, ricordando anche Chateaubriand e il fatto significativo che l'imperatore Alessandro Pavlovic aveagli conferito l'ordine di Sant'Andrea. Nejdanow non prese parte al discorso. La signora Valentina lo guardava sempre con una certa espressione come se da una parte ne approvasse il modesto riserbo e dall'altra se ne maravigliasse alcun poco.
Quando fu servito il tè, si passò di nuovo in salotto.
— Abbiamo qui, caro precettore — disse Sipiaghin, — una pessima abitudine: tutte le sere si giuoca a carte.... e, per giunta, ad un giuoco proibito: la stucolca, una specie di lansquenet, di macao, figuratevi! Mi guardo bene dall'invitarvi.... Del resto, Marianna sarà così buona da suonarvi qualche cosa a pianoforte. Spero che la musica vi piaccia, eh?
E senza aspettar la risposta, andò a prendere il mazzo di carte.
Marianna sedette a pianoforte ed eseguì, nè bene nè male, alcune Romanze senza parole di Mendelssohn.
— Charmant!... Charmant!... quel touché! — gridava da lontano Colomeizew come scottato, ma in fatti per semplice dovere di cortesia.
In quanto a Nejdanow, a malgrado della speranza espressa dal padron di casa, non aveva nessuna passione per la musica.
Sipiaghin intanto, la moglie, Colomeizew ed Anna Zacharowna sedettero al tavolino di giuoco.
Nicoletto venne a dar la buona notte e, ricevuta la benedizione dei genitori, con l'aggiunta di un bicchier di latte invece di tè, se n'andò a dormire, mentre il padre gli gridava dietro che il giorno appresso si cominciavano le lezioni....
Qualche momento dopo, vedendo che Nejdanow se ne stava senza saper che fare in mezzo al salotto, sfogliando distratto le pagine di un albo di fotografie, Sipiaghin gli disse di non riguardarsi, che andasse pure a riposare, visto che dovea essere stanco dal viaggio. In casa loro, la divisa principale era una sola: libertà!
Nejdanow profittò del permesso, e preso commiato da tutti, si allontanò. Nell'uscire dal salotto s'imbattè in Marianna: e, guardatala di nuovo negli occhi, si persuase ancora una volta che avrebbe in lei trovata un'amica, benchè ella, non che sorridergli, avesse invece aggrottate le sopracciglia.
Trovò la sua camera tutta pregna d'una profumata frescura: le finestre eran rimaste aperte fino a sera. In giardino, proprio dirimpetto alla sua finestra, un usignuolo metteva le sue note brevi e armoniose. La volta del cielo andava come accendendosi sulle vette scure dei pini, per l'imminenza della luna.
Nejdanow accese una candela. Irruppero dal buio giardino sciami di farfallette grigie notturne, alitando e turbinando intorno alla fiamma giallognola agitata dalla brezza.
— Strana cosa! — andava pensando Nejdanow, quando fu a letto. — I padroni di casa mi hanno l'aria di brava gente, liberali, umani... e nondimeno ci si sente oppressi. Un ciambellano... un gentiluomo di camera.... Insomma, la notte porta consiglio, e non è il caso di fare del sentimentalismo!
In quel punto stesso, nel giardino sottostante il guardiano battè sodo e lungamente sulla tabella metallica.
Un grido prolungato suonò:
— All'erta!
Al quale un'altra voce lugubre fece eco in lontananza:
— All'erta!
— Questa sì che è nuova! — esclamò Nejdanow. — Par di stare in una fortezza!