III. Le brache del magistrato
Detto questo, credo che sia l’ora di alzare il sipario e, seguendo l’uso delle nostre antiche commedie, dare un calcio nel didietro a messer Prologo, che sta diventando oltraggiosamente prolisso, tanto che dal suo esordio le candele sono già state smoccolate tre volte. Si affretti dunque a terminare, come Bruscambille, scongiurando gli spettatori «di pulire le imperfezioni del suo discorso con le spazzole delle loro umanità, e di ricevere un clistere di scuse negli intestini della loro impazienza»; ecco è finito, l’azione sta per cominciare.
L’azione si svolge in un grande salone oscuro e rivestito in legno. Il vecchio magistrato, seduto in un’ampia poltrona scolpita, con le zampe ritorte, e la spalliera coperta dalla sua foderina di damasco a frange, si prova un paio di brache sbuffanti, nuovissime, che gli ha appena portato Eustachio Bouteroue, apprendista di mastro Goubard, drappiere calzettaio. Allacciandosi i cordoncini, messer Chevassut si alza e si siede successivamente, rivolgendo di tanto in tanto la parola al giovanotto, che, rigido come la statua di un santo, si è seduto sull’angolo di uno sgabello e lo guarda timido ed esitante.
«Uhm! quelle hanno fatto il loro tempo!» dice spingendo via col piede le vecchie brache che si è appena tolte; «mostravano la corda come un’ordinanza proibitiva della prevostura; e poi, tutti i pezzi si dicevano addio… un addio straziante!»
Tuttavia il faceto magistrato raccolse ancora il vecchio “indumento necessario” per prendervi la borsa, dalla quale trasse alcune monete.
«Certo» proseguì «noialtri gente di legge i nostri vestiti li portiamo a lungo, per via della toga sotto la quale li indossiamo finché il tessuto resiste e le cuciture si mantengono solide; per questo, siccome tutti devono vivere, anche i ladri, e per conseguenza i drappieri calzettai, non toglierò niente dai sei scudi che mastro Goubard mi domanda; ai quali aggiungo generosamente uno scudo tosato per il garzone di bottega, a patto che non lo cambi a minor prezzo, ma lo faccia passare per buono a qualche sciocco borghese, adoperando, a questo scopo, tutte le risorse del suo cervello; altrimenti, conservo il detto scudo per la questua di domani domenica, a Notre-Dame.»
Eustachio Bouteroue prese i sei scudi e lo scudo tosato, e fece una gran riverenza.
«Su via ragazzo, si comincia a “mangiucchiare” alla drapperia? Sapete guadagnare sulle misure, sul taglio, e “appioppare” agli avventori roba vecchia per nuova, grigio per nero?… Sapete mantenere insomma la vecchia reputazione dei venditori dei Mercati?»
Eustachio alzò gli occhi sul magistrato con un certo spavento; poi, pensando che scherzasse, si mise a ridere; ma il magistrato non scherzava.
«Non mi piacciono» aggiunse «le ladronerie dei mercanti; il ladro ruba e non inganna; il mercante ruba e inganna. Un uomo furbo, dalla lingua sciolta e che sa di latino, compra un paio di brache, discute a lungo sul prezzo e finisce per pagare sei scudi. Viene poi un onesto cristiano, di quelli che qualcuno chiama “gonzi”, altri “buoni avventori”, se accade che compri un paio di brache uguali a quelle dell’altro, e confidando nel calzettaio che giura sulla propria onestà in nome della Vergine e dei Santi, le paghi otto scudi, non lo compiangerò, perché è uno sciocco. Ma, mentre il mercante conta le somme che ha ricevuto e fa risuonare con soddisfazione i due scudi, che sono la differenza fra la prima e la seconda vendita, passa davanti alla bottega un pover’uomo, che viene portato in galera per aver rubato da una tasca qualche sporco fazzoletto bucato: “Ecco uno scellerato” grida il mercante; “se la giustizia fosse giusta, quel furfante dovrebbe essere arrotato vivo, ed io andrei a vederlo” continua a dire, tenendo sempre stretti nella mano i due scudi. Eustachio, cosa pensi che accadrebbe se, secondo il desiderio del mercante, la giustizia fosse giusta?»
Eustachio non rideva più; il paradosso era troppo inaudito perché lui pensasse a rispondere, e la bocca da cui usciva lo rendeva quasi inquietante. Godinot Chavessut, vedendo il giovanotto sbalordito come un lupo preso in trappola, si mise a ridere con quel suo particolare riso, gli dette uno schiaffetto sulla guancia e lo congedò. Eustachio discese tutto pensieroso la scala con la balaustra di pietra, quantunque sentisse da lontano, nel cortile del Palazzo, la trombetta di Galinette la Gaiine, il buffone del celebre ciarlatano Geronimo, che chiamava i minchioni a sentir le sue facezie e a comperare le droghe del suo padrone; questa volta non vi prestò ascolto, e decise di traversare il Ponte Nuovo per raggiungere il quartiere dei Mercati.