John Sheridan Le Fanu

LO SPETTRO E IL CONCIAOSSA

 

(The Ghost and the Bonesetter, 1838)

 

Del più famoso autore di storie di fantasmi della letteratura inglese vittoriana, John Sheridan Le Fanu (Dublino 1814-1873; era irlandese protestante, discendente da ugonotti francesi), presentiamo un racconto giovanile, probabilmente il primo da lui pubblicato. The Ghost and the Bonesetter è un caso intermedio tra il racconto fantastico di scuola “gotica” e la trascrizione d’una leggenda del folklore locale. L’uomo “senza paura” che passa la notte in un castello infestato da un fantasma è un vecchio tema delle fiabe popolari d’ogni paese. Nella narrazione di Le Fanu, a questo tema s’innesta una tradizione irlandese per cui l’ultimo sepolto in un cimitero deve andare in giro a cercare acqua per i morti più anziani, assetati per via delle fiamme del purgatorio. Come effetto di questa credenza, capita che se due funerali si svolgono contemporaneamente, s’assista a una corsa tra loro per lasciare al morto ultimo arrivato il penoso incarico. (Guido Almansi, segnalando questo episodio, ricorda il funerale a corsa pazza in Entr’acte di René Clair.)

L’originale è scritto secondo la pronuncia anglo-irlandese; il suo spirito è tutto nel tono di narrazione orale. È uno dei rari racconti di Le Fanu in cui l’ironia sia dominante.

 

Nel rivedere le carte del mio defunto amico Francis Purcell, tanto stimato e rispettato, che per quasi cinquant’anni svolse le difficili mansioni del parroco in un paese dell’Irlanda meridionale, mi è capitato in mano questo documento. È uno dei tanti dello stesso genere, essendo stato Purcell un curioso e diligente raccoglitore di antiche tradizioni locali – una merce di cui il luogo in cui risiedeva era ricchissimo. La raccolta e l’organizzazione di queste leggende era, per quanto io ricordo, il suo hobby; ma non avevo mai saputo che il suo amore per il meraviglioso e lo strano fosse arrivato al punto da spingerlo a mettere per iscritto i risultati delle sue ricerche, finché, come esecutore testamentario, non mi trovai in possesso di tutti i suoi manoscritti. A quanti possono pensare che la stesura di questi racconti sia incompatibile con il carattere e le abitudini di un parroco di campagna, è necessario ricordare che esisteva un tempo un tipo di prete – quelli della vecchia scuola, una razza ormai estinta – le cui abitudini erano per molte ragioni più raffinate e i gusti più letterari di quanto lo siano quelli degli ex allievi dì Maynooth.

È forse necessario aggiungere che la superstizione illustrata in questo racconto, e cioè che l’ultimo cadavere a essere sepolto è obbligato, immediatamente dopo la sua inumazione, a fornire agli altri inquilini del cimitero in cui giace acqua fresca per alleviare la sete ardente del purgatorio, è diffusa in tutta l’Irlanda del sud. Chi scrive può attestare il caso di un ricco e rispettabile agricoltore, ai confini di Tipperary, che, in segno d’affetto per la sua compianta consorte, mise nella sua bara due paia di scarpe, uno leggero e uno pesante, uno per il tempo asciutto e l’altro per le giornate di pioggia; voleva in tal modo alleviare le fatiche delle sue inevitabili camminate per procurare l’acqua e somministrarla alle assetate anime del purgatorio. Si sono anche avuti accesi e disperati conflitti nei casi di due cortei funebri che s’avvicinavano insieme allo stesso cimitero; ognuno dei quali si sforzava di assicurare al proprio caro una priorità di sepoltura, e quindi l’immunità dalla tassa imposta alle capacità pedonali dell’ultimo arrivato. Non molto tempo fa, avvenne che i membri di uno dei cortei, temendo di far perdere questo vantaggio al loro defunto amico, raggiunsero il cimitero passando per una scorciatoia e, violando uno dei pregiudizi più radicati, gettarono addirittura la bara oltre il muro di cinta, per non perdere tempo con l’entrare dal cancello. Si potrebbero citare innumerevoli esempi dello stesso genere, a dimostrare quanto sia diffusa questa superstizione tra i contadini del sud. Ma non voglio trattenere oltre il lettore con osservazioni introduttive, e passo subito a presentargli il seguente:

 

Estratto dai manoscritti del defunto

Reverendo Francis Purcell di Drumcoolagh

 

Racconto i particolari che seguono, per come posso ricordarli, con le stesse parole di chi me li ha raccontati. Può essere necessario notare che egli era quello che si suol definire uno che parla bene, avendo per parecchio tempo istruito i giovani d’ingegno della sua parrocchia natia in quelle arti liberali e in quelle scienze che riteneva utile professare – circostanza questa che può spiegare la presenza di certi paroloni nel corso del suo racconto, notevoli più per il loro effetto eufonico che per essere correttamente applicati. Passo quindi, senza altre introduzioni, a presentarvi le meravigliose avventure di Terry Neil.

«Be‘, dunque, questa è una strana storia, e vera come è vero che lei sta seduto lì; e oso anche dire che non c’è ragazzo nelle sette parrocchie che potrebbe raccontarla meglio o più correttamente di me, perché è proprio a mio padre che è successa, e tante volte l’ho sentita dalla sua stessa bocca; e posso dire con fierezza che la parola di mio padre era incredibile come il giuramento di un qualunque proprietario terriero del paese; al punto che se un poveruomo si fosse cacciato in qualche sfortunato pasticcio, era lui che si presentava in tribunale a difenderlo; ma questo non significa niente – era un uomo onesto e sobrio, a parte un certo debole per il bicchiere, come lei può trovarne solo andando in giro per tutta una giornata; e nei dintorni non c’era uno che lo valesse per sgobbare nei campi e scavar fossi; ed era formidabile anche nei lavori di carpenteria e nel sistemare vecchie sarchiatrici e cose del genere. Dopo un po‘ si mise ad aggiustare ossa, ed era del tutto naturale, perché nessuno valeva quanto lui nell’accomodare la gamba di uno sgabello di un tavolo; e naturalmente non c’era conciaossa che avesse tanti clienti – uomini e bambini, giovani e vecchi – e a memoria d’uomo non c’erano mai state tante ossa rotte e rimesse a posto. Be‘, Terry Neil, così si chiamava mio padre, cominciò a sentirsi il cuore leggero e la borsa pesante, e si comprò una piccola fattoria nelle terre del signor Phalim, proprio sotto il vecchio castello, ed era proprio un posticino simpatico; dalla mattina alla sera delle povere creature, che non ce la facevano neanche più a mettere un piede per terra, arrivavano continuamente da tutte le direzioni per farsi giuntare le ossa.

«Insomma, eccellenza, andava tutto a meraviglia; ma era uso che quando Sir Phalim lasciava il paese, alcuni dei suoi fittavoli si stabilissero nel vecchio castello per sorvegliarlo, per una specie di omaggio alla famiglia – ma era anche un omaggio molto spiacevole per i fittavoli, poiché nessuno di loro ignorava che nel vecchio castello succedevano cose strane. I vicini avevano sentito raccontare che il vecchio nonno dello squire, un vero gentiluomo, che Dio l’abbia in gloria, tra tutti quelli che hanno mai portato scarpe ai piedi, aveva l’abitudine di andare in giro in piena notte, da quando gli era scoppiato un vaso sanguigno mentre estraeva un tappo da una bottiglia, come lei e io potremmo fare, e con l’aiuto di Dio sicuramente faremo; ma questo non significa niente. Il fatto è che, come stavo dicendo, il vecchio squire aveva l’abitudine di uscire dalla cornice, dove era appeso il suo ritratto, e di rompere bottiglie e bicchieri, che Dio abbia pietà di noi, e di bere tutto quello che gli capitava – e per questo non c’è poi tanto da rimproverarlo; dopo di che se entrava qualcuno della famiglia, tornava al suo posto e assumeva un’aria innocente come se non ne sapesse nulla – quel vecchio birichino.

«Be‘, eccellenza, come stavo dicendo, una volta la famiglia del castello dovette andare a Dublino per una settimana o due; e così, come al solito, ad alcuni fittavoli toccò di andare a stare lì e la terza notte toccò a mio padre. “Oh, per tutti i diavoli” diceva a se stesso, “io devo starmene alzato tutta la notte, e intanto quel vecchio spirito vagabondo, sia lodato Iddio” diceva, “se ne andrà in giro per la casa a combinare guai di tutti i generi.” Comunque non poteva assolutamente esimersi, e così fece buon viso a cattivo gioco e al tramonto salì al castello con una bottiglia di whisky e una d’acqua santa.

«Pioveva piuttosto forte e la serata era buia e tetra, quando mio padre entrò, e si spruzzò addosso l’acqua santa e non passò molto tempo che dovette mandar giù una tazza di whisky per non sentir freddo al cuore. Fu il vecchio maggiordomo, Lawrence O‘ Connor, che gli aprì la porta – lui e mio padre erano sempre andati molto d’accordo. Così, quando vide chi era e mio padre gli ebbe detto che toccava a lui montar la guardia al castello, si offrì di fargli compagnia; e può star sicuro che questo a mio padre non dispiacque affatto. Così Larry disse.

«“Abbiamo un po‘ di fuoco in salotto” disse.

«“E perché non nel salone?” disse mio padre, che sapeva che il quadro del vecchio squire era appeso in salotto.

«“Non si può accendere un fuoco nel salone” disse Lawrence, “perché nel camino c’è un nido di corvi.”

«“Oh, allora” disse mio padre, “stiamocene in cucina; è molto sconveniente che uno come me se ne stia in salotto” disse.

«“Ma non è possibile, Terry” disse Lawrence, “se dobbiamo rispettare le vecchie usanze, tanto vale farlo nel modo più corretto” disse.

«“Al diavolo le vecchie usanze” disse mio padre – ma a se stesso, capisce, perché non voleva far sapere a Lawrence di aver paura.

«“Oh, benissimo” disse, “d’accordo, Lawrence”; e così andarono entrambi in cucina, aspettando che venisse acceso il fuoco in salotto – il che non richiese molto tempo.

«Be‘, eccellenza, poco dopo tornarono di sopra, e si sedettero comodamente davanti al fuoco del salotto e si misero a parlare e a fumare e a bere; e per di più c’era un bel fuoco scoppiettante di legna e di erba che scaldava loro la pelle.

«Be‘, come dicevo, signore, continuarono a conversare e a fumare nel modo più piacevole, finché a Lawrence non cominciò a venir sonno, e questo era più che naturale, trattandosi di un vecchio servo, abituato a dormire molto.

«“Oh no” disse mio padre, “non ti starai addormentando?”

«“Ma neanche per idea” disse Larry. “Sto solo chiudendo gli occhi, per impedire che il profumo del tabacco me li faccia lacrimare” disse. “Quindi, non occuparti di quello che faccio io” disse già un po‘ brillo (perché aveva uno stomaco forte, che Dio l’abbia in gloria), “e continua con la tua storia” disse. “Io ti sto ascoltando” disse chiudendo gli occhi.

«Be‘, mio padre, vedendo che parlare non serviva a niente, continuò con la sua storia. Era, a proposito, la storia di Jim Soolivan e della sua capra che stava raccontando – ed è una storia divertente – e con tante sorprese da tener sveglio tutto un dormitorio, e a maggior ragione da impedire a un cristiano d’addormentarsi. E come la raccontò mio padre, credo che non si sia mai sentito niente di simile né prima né dopo d’allora, perché ne urlò ogni parola, come se fosse disposto a restar senza fiato pur di tenere sveglio il vecchio Larry; ma fu tutto inutile, perché divenne rauco e prima che lui arrivasse alla fine della storia, Larry O’Connor si era già messo a russare come una cornamusa.

«“Oh, per tutti i diavoli” disse mio padre, “non è terribile” disse, “che questa vecchia carogna, oltre che mio amico, si addormenti in questa maniera, quando siamo tutti e due nella stessa stanza di uno spirito” disse. “Che la croce di Cristo ci protegga” disse; e stava già per scuotere Lawrence sino a svegliarlo, quando gli venne in mente che se fosse riuscito nel suo intento, lui se ne sarebbe sicuramente andato a letto, lasciandolo completamente solo, e sarebbe stato ancora peggio.

«“Oh, be‘” disse mio padre, “non voglio disturbare questo poveraccio. Non sarebbe né gentile né amichevole” disse, “tormentarlo mentre sta dormendo; vorrei solo essere anch’io nelle stesse condizioni” disse.

«Dopo di che cominciò a camminare avanti e indietro e a dire le sue preghiere, finché non si trovò tutto coperto di sudore, mi scusi l’espressione. Ma questo non gli servì a nulla; e allora per calmarsi si bevve un altro mezzo litro di whisky.

«“Oh” disse, “volesse Iddio che io fossi così tranquillo come questo Larry. Forse se ci provassi, riuscirei a dormire”; e detto questo trascinò una grossa poltrona accanto a quella di Lawrence e ci si accomodò come meglio gli fu possibile.

«Ma c’era una cosa strana che mi ero scordata di dirle. Suo malgrado, non poteva fare a meno di dare ogni tanto una sbirciatina al quadro, e notò immediatamente che i suoi occhi lo seguivano dappertutto e lo fissavano e ammiccavano ovunque lui andasse. “Oh” disse quando se ne accorse, “non ho più molte speranze ed è stata una grande sfortuna il giorno in cui ho messo piede in questo posto sciagurato; ma adesso non serve a niente spaventarsi, se devo morire, tanto vale che traspiri impavidamente.”

«Be‘, eccellenza, cercò di mettersi il più possibile a suo agio, e due o tre volte fu anche lì lì per addormentarsi, se non fosse stato per la tempesta che fuori gemeva e cigolava tra i grandi rami pesanti ed entrava fischiando nei vecchi camini del castello. Poi, dopo una grande e ruggente folata di vento, si sarebbe potuto credere che i muri del castello stessero per crollare visto come tremavano. Ma all’improvviso la tempesta cessò, e tutto fu silenzio quasi come in una sera di luglio. Ma, eccellenza, non aveva smesso di soffiare da più di tre minuti, quando gli sembrò di udire una sorta di rumore da sopra il caminetto; e allora mio padre aprì gli occhi quel tanto che bastava a farsi un’idea di quel che gli succedeva attorno, e vide, parola, il vecchio squire uscire dal quadro, come se si stesse togliendo la sua giubba da cavallerizzo, sino a sbarazzarsene completamente e a saltare dal caminetto sul pavimento. Be‘, quel vecchio mascalzone – e a mio padre questo parve il più sporco dei suoi tiri – prima di mettersi a fare qualcosa di strano, si fermò un attimo a sentire se i due uomini stavano dormendo; e appena pensò che fosse tutto tranquillo, allungò una mano, prese la bottiglia del whisky e ne ingoiò almeno mezzo litro. Dopo di che, eccellenza, ingurgitata la sua dose, chiuse per bene la bottiglia e la rimise esattamente nel posto in cui era prima. E cominciò a camminare avanti e indietro, con un’aria sobria e solida come se non avesse mai fatto niente del genere. E ogni volta che gli passava davanti, mio padre aveva l’impressione di sentire un grande odore di zolfo, cosa che gli metteva addosso una grande paura; perché sapeva che era zolfo quello che bruciava all’inferno, con tutto il rispetto per vostra eccellenza. E comunque lo aveva sentito dire tante volte da Padre Murphy e lui sapeva per forza che cosa doveva esserci – è morto poi, che Dio lo abbia in gloria. Comunque, eccellenza, mio padre era abbastanza calmo prima che lo spettro cominciasse a passargli davanti; e talmente vicino, Dio abbia pietà di noi, che l’odore di zolfo gli toglieva addirittura il respiro; e poi gli venne un tale accesso di tosse da cascare quasi dalla poltrona su cui si era seduto.

«“Ah ah!” disse lo squire, fermandosi a un paio di passi di distanza e voltandosi verso mio padre, “sei tu, dunque? Come va, Terry Neil?”

«“Al servizio di vostra eccellenza” disse mio padre (per quanto glielo permetteva la paura, perché ormai era più morto che vivo»; “e sono fiero di vedere vostra eccellenza stasera” disse.

«“Terence” disse lo squire, “tu sei un uomo rispettabile” ed era la pura verità “un uomo sobrio e laborioso, e un esempio d’ubriachezza per tutta la parrocchia” disse.

«“Grazie eccellenza” disse mio padre facendosi coraggio, “lei è sempre stato un uomo cortese, che Dio l’abbia in gloria.”

«“Che Dio m’abbia in gloria” disse lo spettro (e divenne tutto rosso in faccia per la rabbia). “Che Dio m’abbia in gloria. Ma, brutto zoticone” disse, “lurido ignorante, non ti hanno insegnato le buone maniere? Se sono morto, non è colpa mia” disse, “e non ho bisogno di sentirmelo ripetere ogni momento da gente della tua risma” disse pestando i piedi sul pavimento, tanto da far temere che le assi si sarebbero fracassate sotto il suo peso.

«“Oh” disse mio padre, “io sono solo un povero stupido ignorante” disse.

«“Non sei assolutamente altro” disse lo squire, “ma non è per ascoltare le tue ciance o per conversare con uno come te che sono venuto su – volevo dire giù” e per quanto piccolo fosse stato il suo sbaglio, mio padre se ne accorse benissimo. “E adesso ascoltami, Terence Neil” disse lui. “Io sono sempre stato un buon padrone per Pathrick Neil, tuo nonno.”

«“È vero, eccellenza!” disse mio padre.

«“E credo inoltre di essere sempre stato un uomo sobrio e perbene” disse lo squire.

«“È questa la sua fama” disse mio padre (era una grossa bugia, ma non poteva fare a meno di dirla).

«“Be‘” disse lo spettro, “benché io fossi uno degli uomini più sobri in circolazione – o almeno dei gentiluomini più sobri, e benché io sia stato in molti periodi un cristiano estemporaneo, e un uomo estremamente caritatevole e disumano con i poveri” disse; “nonostante tutto questo non sto per niente comodo dove sono adesso come era mio diritto aspettarmi.”

«“Oh, è un vero peccato” disse mio padre; “forse vostra eccellenza vuole che io ne parli con Padre Murphy?” «“Taci, miserabile vagabondo” disse lo squire, “non è alla mia anima che sto pensando – e mi stupisce che tu abbia l’empietà di parlare a un gentiluomo della sua anima – e quando vorrò sistemare questa cosa” disse dandosi una pacca sulla coscia, “mi rivolgerò a persone che sanno come vanno trattati gli uomini come me. Non è la mia anima” disse, mettendosi a sedere di fronte a mio padre; “non è la mia anima che mi dà veramente fastidio – ma la mia gamba destra” disse, “che mi sono rotto a Glenvarloch il giorno in cui ho ucciso il nero Barney.”

«(Mio padre venne poi a sapere che era il nome di un cavallo, caduto sotto di lui, dopo aver saltato la grande siepe che costeggia la valletta.)

«“Spero” disse mio padre, “che vostra eccellenza non si senta a disagio per averlo ucciso.”

«“Sta‘ zitto, stupido” disse lo squire, “e ti spiegherò perché la gamba mi dà fastidio. Nel luogo dove passo gran parte del mio tempo” disse, “a parte quel poco che mi è concesso per guardarmi attorno qui dentro, devo camminare molto più di quanto abbia mai fatto, e molto più di quanto vorrei, anche perché devi sapere” disse, “che la gente in mezzo alla quale mi trovo ha una smodata passione per l’acqua fredda, e non c’è niente di meglio per loro; e, inoltre, là il tempo è più caldo che piacevole e io ho il compito” disse, “di aiutare a portare l’acqua e personalmente ne ricevo una razione ben misera, ed è un lavoro molto faticoso e stancante, te lo assicuro, perché hanno tutti una sete incredibile e bevono tutto quello che le mie gambe possono portargli” disse; “ma quello che proprio mi ammazza è la debolezza di questa mia gamba e voglio che tu le dia uno strattone o due per rimetterla a posto” disse, “tutto qui quello che voglio.”

«“Oh, ma eccellenza” disse mio padre (che non aveva nessuna voglia di mettere le mani addosso allo spettro), “io non avrei mai la spietatezza di fare una cosa simile a vostra eccellenza” disse; “lo faccio solo con le povere creature come me.”

«“Basta con le chiacchiere” disse lo squire, “eccoti la mia gamba” disse alzandola verso di lui, “tirala con tutte le tue forze e se non lo farai, per le potenze immortali, non ci sarà osso della tua carcassa che non ridurrò in polvere. ”

«Udendo questo, mio padre capì che non sarebbe servito a niente discutere, e così prese la gamba e continuò a tirare e a tirare finché, Dio ci benedica, non ebbe il viso madido di sudore.

«“Tira, maledetto” disse lo squire.

«“Ai suoi ordini, eccellenza” disse mio padre.

«“Tira più forte” disse lo squire.

«Mio padre tirò più forte che poteva.

«“Ho bisogno di un goccio” disse lo squire tendendo una mano verso la bottiglia, “per farmi un po‘ di coraggio.” Ma, per quanto sveglio, si sbagliò, e prese l’altra bottiglia. “Alla tua salute, Terence” disse, “e adesso tira con tutte le tue forze” e dicendo questo sollevò la bottiglia d’acqua benedetta, ma fece appena in tempo ad accostarsela alla bocca che emise un grido, da far credere che l’intera stanza dovesse spaccarsi in due, e fece un balzo che lasciò nelle mani di mio padre la gamba staccatasi dal corpo; lo squire crollò sul tavolo, e mio padre piombò supino sul pavimento dall’altra parte della stanza. Quando rinvenne il gaio sole del mattino stava splendendo attraverso le imposte, e lui giaceva sulla schiena, con la gamba di una di quelle vecchie poltrone staccata dal suo incastro e stretta nella sua mano e diretta verso il soffitto, e il vecchio Larry dormiva profondamente e russava più forte che mai. Quel mattino mio padre andò da Padre Murphy, e da quel giorno sino alla morte non trascurò mai di confessarsi né di andare a messa, e quello che raccontava era tanto più facilmente creduto per il fatto che ne parlava solo di rado. In quanto allo squire, cioè allo spettro, non so se sia stato perché non gli piaceva quel liquido o perché aveva perso la gamba, fatto sta che non risulta sia più andato in giro.»