Nathaniel Hawthorne
IL GIOVANE SIGNOR BROWN
(Young Master Brown, 1835)
Il fantastico puritano della Nuova Inghilterra nasce dall’ossessione della dannazione universale, che trionfa nel terribile sabba di questo racconto. Tutti gli abitanti del villaggio – compresi i più bigotti – sono streghe! Non per nulla Nathaniel Hawthorne (1804-1864) era discendente da uno dei giudici che condannarono le streghe di Salem. In questo racconto, certo il più rivelatore della sua religiosità disperata, il sabba viene rappresentato secondo l’immagine che se ne facevano gli inquisitori (con in più un interessante sincretismo con i riti magici degli Indiani), ma esso coinvolge l’intera società puritana che gli inquisitori volevano salvare.
Prima di Poe e talvolta meglio di Poe, Hawthorne fu il grande narratore fantastico degli Stati Uniti d’America.
Al tramonto, il giovane signor Brown uscì nella strada della cittadina di Salem, ma, appena varcata la soglia, subito trasse indietro il capo per scambiare un ultimo bacio con la sua giovane moglie. E Fede, come era giustamente chiamata la moglie, sporse la graziosa testolina dalla porta, lasciando che il vento scherzasse coi nastrini rosa della cuffia, mentre diceva a Brown:
«Amore mio» gli diceva sottovoce, e con visibile tristezza, quando le labbra furono accosto agli orecchi del marito «ti prego, rinvia questo tuo viaggio all’alba, e passa la notte nel tuo letto. Una donna sola è tormentata da tali sogni e siffatti pensieri, che qualche volta ha paura di se stessa. Ti prego, resta con me questa notte, mio caro marito, questa notte più che ogni altra, in tutto l’anno.»
«Mio amore e mia Fede» rispose il giovane Brown «di tutte le notti dell’anno, è proprio in questa che devo lasciarti. Il mio viaggio, come lo chiami tu, deve esser compiuto, andata e ritorno, tra questo momento e l’alba di domani. E poi, mia gentile e graziosa moglie, forse che tu già dubiti di me, dopo appena tre mesi che siamo sposati?» «E allora che Dio ti benedica!» esclamò Fede coi suoi nastrini rosa «e possa trovar tutto in ordine al tuo ritorno.»
«Amen!» concluse Brown. «Recita le tue preghiere, cara Fede, e vattene a letto appena scende la sera, e non correrai alcun pericolo.»
Così si separarono e il giovane proseguì il suo cammino; quando stava per svoltare all’angolo della chiesa, si girò e scorse la testa di Fede, che continuava a guardarlo con un’aria melanconica, malgrado i suoi graziosi nastrini rosa.
“Povera, piccola Fede!” pensò, perché il suo cuore avvertì una punta di rimorso. “Che sciagurato sono mai, a lasciarla, e per una gita come questa! Inoltre, mi ha accennato a dei sogni. Mi è parso, quando parlava, che il suo visino fosse sconvolto, come se un sogno l’avesse avvertita di ciò che ho intenzione di fare stanotte. Ma no, no. È impossibile. Solo a sospettare una cosa simile, ne morrebbe. Ebbene, lei è un angelo del Cielo, sceso su questa terra, e dopo questa notte io mi terrò stretto alle sue sottane e la seguirò in Paradiso.”
Dopo la quale eccellente risoluzione per il futuro, il giovane Brown si sentì più che autorizzato a porre in atto il suo colpevole disegno. Aveva infilato un sinistro viottolo, oscurato dai più cupi alberi della foresta, che a malapena si aprivano per permettere allo smilzo sentiero di insinuarsi tra loro, e subito si chiudevano alle spalle. Sarebbe stato difficile immaginare ambiente più solitario, con questo per giunta, che in tale solitudine il viandante ignora chi possa celarsi dietro gli innumeri tronchi d’albero e tra i folti rami che si intrecciano sul suo capo, così che, per solitario che egli si trovi, potrebbe benissimo attraversare un’invisibile moltitudine.
“Ci può essere un maledetto pellirossa dietro ognuno di questi alberi” si disse il buon Brown, che si voltò a guardarsi timoroso alle spalle, soggiungendo: “E se il diavolo in persona mi camminasse al fianco?”.
Con il capo ancora voltato all’indietro, percorse un gomito della strada e, guardando dinanzi a sé, scorse la figura di un uomo, vestito con sobrio decoro, che se ne stava seduto al piede di un vecchio albero. Come il giovane Brown si avvicinò, questi si alzò e prese a camminare alla sua altezza.
«Siete un po‘ in ritardo, mio caro Brown» disse questi. «Il campanile di Old South stava suonando, quando ho attraversato Boston, e sono ormai quindici buoni minuti.»
«È stata Fede, che mi ha fatto perder tempo» rispose il giovane con voce titubante, a causa dell’improvvisa, anche se non del tutto inaspettata, comparsa del suo compagno.
Ormai per la foresta si era diffusa un’ombra cupa, anche più densa in quella parte che i due percorrevano. Per quello che si poteva vedere, si sarebbe detto che il secondo viandante fosse sui cinquanta: in apparenza apparteneva alla stessa classe sociale di Brown, al quale rassomigliava abbastanza, anche se la rassomiglianza si doveva rintracciare piuttosto nell’espressione che non nei lineamenti. Comunque, si sarebbe potuto scambiarli per padre e figlio. E tuttavia l’anziano, sebbene fosse vestito con la semplicità del suo compagno più giovane, e rivelasse la stessa semplicità di maniere, aveva un’indescrivibile aria di persona che conosce il mondo, e che non si sarebbe trovato a disagio alla tavola del governatore o alla corte di re Guglielmo, nel caso che i suoi affari avessero richiesto la sua presenza in uno di quei due luoghi. Ma l’unica cosa che in lui si poteva riscontrare di indiscutibilmente notevole e fuori del comune era il bastone, che raffigurava un grosso serpente nero, scolpito con tanta arte che si aveva l’impressione di vederlo snodarsi e guizzare come fosse vivo. Naturalmente doveva trattarsi di una semplice illusione ottica, favorita dalla luce così fioca.
«Forza, mio caro Brown» esclamò il suo compagno di viaggio «è un passo piuttosto stracco il vostro, per cominciare un viaggio. Prendete il mio bastone, se vi sentite stanco così presto.»
«Amico» rispose l’altro, fermandosi di colpo «ho mantenuto la promessa perché vi ho incontrato qui, ma adesso ho ferma intenzione di tornare donde son partito. Mi son nati dei dubbi in merito a quanto voi ben sapete.»
«Ah, ti son nati dei dubbi, eh?» rispose l’individuo dal serpente, sorridendo tra sé e sé. «Bene, continuiamo a camminare, e potremo discuterne durante il viaggio, e se non riesco a convincerti, potrai tornare a casa. Siamo appena entrati nella foresta.»
«Siam già andati fin troppo oltre!» esclamò Brown, riprendendo inavvertitamente a camminare. «Mio padre non è mai entrato nel bosco con delle intenzioni come le mie, né il padre suo prima di lui. Siamo sempre stati una famiglia di uomini onesti, buoni cristiani dal tempo dei martiri, e credo sarò io il primo, di nome Brown, che abbia mai preso questo cammino e frequentato…»
«Simile compagnia, stavi per dire» osservò l’anziano, interpretando la sua esitazione. «L’hai imbroccata, mio caro Brown! Io conosco la tua famiglia, così come conosco ogni altra famiglia puritana, e non è dire cosa da poco. Sono stato io che ho aiutato tuo nonno, il giudice, quando, a Salem, fece conciare per le feste quella povera quacquera, e sono stato io che ho offerto a tuo padre quel ramo di pino, acceso al mio stesso focolare, col quale appiccò il fuoco a un villaggio di pellirosse, al tempo della guerra di re Filippo. Sia l’uno che l’altro furono miei ottimi amici, e più di una bella passeggiata abbiam fatto lungo questo sentiero, tornandone allegri dopo mezzanotte. Non fosse che per il loro ricordo, sarei lieto di diventare tuo amico.»
«Se è veramente come voi dite» replicò il giovane Brown «mi stupisco che non abbiano mai parlato di queste cose. O meglio, no, non me ne stupisco, dato che la minima insinuazione del genere li avrebbe fatti espellere ambedue dalla Nuova Inghilterra. Noi siamo gente devota, e per di più caritatevole, e certe scelleraggini non le possiamo tollerare.»
«Scelleraggini o no» replicò il viandante dal bastone contorto «io ho molte conoscenze nella Nuova Inghilterra. I diaconi di molte chiese hanno bevuto il vino della comunione con me; gli assessori di parecchie città mi hanno eletto presidente, e conto una maggioranza tanto alla Corte Suprema che nelle corti generali. Anzi, il governatore e io…
Ma questi… sono segreti di Stato.»
«Ma è possibile?» esclamò il giovane Brown, contemplando con profondo stupore il suo imperturbabile compagno. «È vero, d’altronde, che non ho nulla a vedere col governatore e il Consiglio. Essi seguono il loro cammino, e un semplice contadino come me non deve cacciarci il naso. Ma se dovessi continuare per questa strada, come potrei sostenere lo sguardo di quel sant’uomo del nostro pastore di Salem? Oh, la sua voce mi farebbe tremar tutto, sia le feste che i giorni delle conferenze!»
Fino a questo punto il viandante più anziano aveva ascoltato con debita gravità; a queste ultime frasi non poté frenare uno scoppio di risate, che lo scosse così violentemente che il suo serpentino bastone parve guizzare tutto in segno di simpatia.
«Ah, ah, ah» sghignazzava, e pareva non la smettesse più. Infine riuscì a controllarsi un poco e aggiunse: «Be‘, di‘ ciò che vuoi, mio caro Brown, di‘ pure, ma, ti prego, non farmi morire dalle risa».
«Be‘, per finirla una volta per tutte» rispose Brown, notevolmente irritato «vi è mia moglie Fede. Le spezzerei il suo cuoricino, venisse a saperlo, e io preferirei spezzare il mio, prima!»
«Be‘, se parli così» ammise l’altro «va‘ per la tua strada, caro Brown. Manco per venti vecchie, del tipo di quella che ci arranca davanti, vorrei che Fede potesse correre qualche pericolo!»
Nel dir così, egli indicò col bastone una figura femminile che li precedeva per il sentiero, e nella quale il povero Brown riconobbe una dama molto pia ed esemplare, che gli aveva insegnato il catechismo quando era bambino e che, unitamente con il pastore e il diacono Gookin, gli era tuttora guida morale e spirituale.
«È veramente strano che la buona signora Cloyse si trovi così lontana nella foresta, e al calar della notte» osservò. «Ma, col vostro permesso, caro amico, preferirei prendere una scorciatoia per i boschi, in modo da lasciarmela alle spalle, quella eccellente e pia cristiana. Non conoscendovi, potrebbe chiedere con chi mi trovo e dove mai vado.» «Come vuoi» rispose il compagno «va‘ pure per la scorciatoia, io seguo il sentiero.»
E così il giovane piegò da una parte, ma volle tener d’occhio il suo compagno, che avanzò tranquillo per il sentiero, finché non si trovò a distanza di un bastone dalla vecchia signora. Quella, intanto, camminava quanto più in fretta poteva, e procedeva con notevole velocità, considerati gli anni che aveva. Intanto borbottava alcune parole confuse, senza dubbio una preghiera. Il viandante sollevò il bastone, e toccò il collo vizzo e rugoso con ciò che pareva la coda del serpente.
«Che diavolo…!» urlò la pia vecchia.
«Dunque, la mia buona Cloyse riconosce il suo vecchio amico, eh?» chiese il viandante fermandosi dinanzi a lei, e poggiandosi sul guizzante bastone.
«Ma si tratta veramente di vostra signoria?» esclamò la buona signora. «Ma è proprio lui, e con il preciso sembiante del mio antico compare, il buon Brown, il nonno di quello sciocchino che vive oggi. Ma potrebbe vostra signoria credermi, se gli dicessi che il mio manico di scopa è improvvisamente scomparso, rubato, come ben sospetto, da quella strega, che meriterebbe di venir impiccata, della signora Cory, e quando ero già tutta unta con succo d’apio, tormentilla e lupata…»
«Mescolato con farina fina e grasso di neonato» completò l’individuo, che aveva assunto il sembiante del vecchio Brown.
«Eh… lo conosce il recipe, vossignoria!» esclamò la vecchia signora, ridacchiando. «E così, come vi dicevo, già tutta pronta per la riunione, ma senza cavallo da saltarci in groppa, mi sono decisa a venirci a piedi, perché m’hanno detto che questa sera verrà presentato alla comunità un grazioso giovanotto. Ma ora, solo che vossignoria mi offra il braccio, e ci arriveremo in un battibaleno.»
«Purtroppo non posso» rispose il suo amico. «Non posso offrirvi il braccio, o mia gentile signora Cloyse, ma, se volete, eccovi il mio bastone.»
Così dicendo glielo buttò ai piedi, dove è probabile che si animasse, essendo una delle verghe che il suo possessore aveva, tempo addietro, imprestato ai maghi d’Egitto. Tuttavia questo fatto il nostro caro Brown non riuscì a chiarirlo. Aveva sollevato gli occhi al cielo dallo stupore; quando li abbassò non scorse più né la buona signora Cloyse, né l’anguiforme bastone, ma solo il suo compagno di viaggio, che lo aspettava, tranquillo e sereno, come non fosse capitato nulla.
«Quella vecchia m’aveva insegnato il catechismo!» dichiarò il giovane; e in quella semplice esclamazione erano implicite mille amare considerazioni!
Così continuarono ad andare avanti. Il vecchio viandante esortava il compagno ad affrettarsi e a perseverare nel cammino intrapreso, discorrendo con tanta abilità che gli argomenti parevan nascere nella mente stessa del suo interlocutore, anziché venir suggeriti da lui. Mentre procedevano, divelse un ramo d’acero, che gli servisse da bastone, e cominciò a nettarlo dei rametti e delle piccole fronde tuttora umide di vespertina rugiada. Nel preciso istante in cui le sue dita toccavano le fronde, queste inaridivano misteriosamente e diventavan secche, quasi fossero rimaste ai raggi del sole una buona settimana. La coppia continuò di buon passo, finché improvvisamente, in un’oscura depressione della strada, il nostro signor Brown sedette su un ciocco d’albero, e rifiutò di proceder oltre.
«Amico» dichiarò ostinato «ormai sono deciso. Non faccio un altro passo. Se una sciagurata vecchia preferisce finire in Inferno, invece di avviarsi verso il Paradiso, come io pensavo, è forse questa una valida ragione perché io debba abbandonare la mia diletta Fede, e seguir quella laggiù?»
«Attendi un poco e cambierai idea» gli replicò il suo compagno, tranquillo. «Siedi pure e riposati, e quando ti sarai deciso a riprendere il cammino, ecco questo mio bastone, che ti sarà d’aiuto.»
Senza pronunziare un’altra parola buttò al suo compagno il bastone d’acero, e improvvisamente scomparve alla vista, come se fosse svanito nell’ombra, che sempre più si addensava. Il giovane rimase alcuni momenti seduto sul margine della strada, complimentandosi vivamente, e pensando alla limpida e integra coscienza con la quale, il mattino dopo, avrebbe potuto incontrare il suo pastore, guardar negli occhi il caro e buon vecchio diacono Gookin; e pregustando la pace con cui avrebbe dormito quella notte, che doveva essere trascorsa in modo così peccaminoso, e invece poteva passare in pura letizia tra le braccia della sua Fede! Nel corso di queste piacevoli e virtuose meditazioni, il nostro Brown udì il trotto di alcuni cavalli lungo la strada, e ritenne opportuno celarsi al margine del sentiero, conscio del peccaminoso scopo che l’aveva condotto fino a quel punto, sebbene ormai avesse così felicemente superato ogni tentazione.
Il trotto dei cavalli si approssimava sempre più, e così le voci gravi dei cavalieri, due vecchi, che conversavan tranquilli tra loro. Questi suoni parvero passare lungo la strada, a poche spanne dal nascondiglio del giovane, ma, senza dubbio per la profonda tenebra che regnava in quell’angolo, egli non riuscì a scorgere né i viandanti né i loro cavalli. Sebbene strusciassero contro le fronde degli alberi, non parve che intercettassero, neppure per un momento, il fioco lucore che pioveva dalla striscia di cielo, sotto il quale dovevan pure esser passati. Il nostro povero Brown si accoccolò per terra, si rizzò in piedi, spostando con le braccia i rami ne emerse col capo quanto osava, senza riuscire a discernere l’ombra più tenue. La cosa lo irritò, tanto più che avrebbe potuto giurare, se una cosa simile fosse stata umanamente concepibile, che aveva riconosciuto le voci del pastore e del diacono Gookin. che discorrevano tranquilli tra loro, come eran soliti fare quando si recavano a qualche ordinazione o concilio della chiesa. Mentre erano ancora a portata d’orecchio, uno dei cavalieri si fermò, per svellere un rametto.
«Posto al bivio, mio reverendo signore» dichiarò la voce che sembrava quella del diacono «preferirei mancare un banchetto per un’ordinazione che la riunione di stanotte. M’han detto che ci saranno dei confratelli venuti nientemeno che da Falmouth e anche più lontano, e altri dal Connecticut e Rhode Island, e inoltre parecchi stregoni dei pellirosse che, a modo loro, di magia diabolica ne sanno quasi quanto i migliori tra noi. Senza contare che c’è una pura e pia giovane, che deve essere presentata alla comunità.»
«Benissimo, diacono Gookin!» replicò in tono solenne la voce del pastore. «Ma spronate, o giungeremo tardi. Lo sapete che non si può cominciare nulla, finché non arrivo io sul posto.»
Gli zoccoli ripresero a scalpitare, e le voci, che così stranamente conversavano per l’aria, attraversarono il bosco, dove non erano mai convenuti fedeli, né solitario cristiano aveva ancora pregato. Dove potevan dunque recarsi quei due santi uomini, nel cuore della pagana foresta?
Il nostro giovane amico si appoggiò al tronco di un albero, temendo di cader per terra, sconvolto, gravato dalla profonda tristezza che gli premeva il cuore. Alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se veramente ci fosse ancora un cielo sul suo capo. Sì, la volta celeste s’inarcava su di lui e le stelle palpitavano tutte.
«Col cielo lassù e Fede al mio fianco, mi sento di resistere anche al diavolo!» esclamò il povero Brown.
Mentre ancora contemplava la volta del firmamento, e aveva già sollevato le mani, come per pregare, una nube attraversò lo zenit, sebbene non s’avvertisse il minimo soffio di vento, e gli nascose le lucenti stelle. L’azzurro cielo era visibile ovunque, tranne che sul suo capo, dove questa nera massa nubilosa volava rapida, in direzione del nord. Dall’alto, come dalle profondità della nube, gli giunse un confuso e dubbio suono di voci. A volte avrebbe giurato che poteva distinguere gli accenti dei suoi concittadini, uomini e donne, credenti e miscredenti, molti dei quali aveva incontrato al tavolo della comunione, altri visto gozzovigliare nella taverna. Il momento dopo i suoni eran così indistinti, che si chiese se avesse effettivamente udito alcunché, tranne il murmure della vecchia foresta, che sussurrava nell’aria immota. Poi gli giunse un’ondata più forte di quelle note voci, quotidianamente udite sotto i raggi del sole nella sua Salem, ma non mai, prima d’allora, percepite come piovessero da una notturna nuvola. Vi era soprattutto una voce, voce di giovane donna, che pareva esalar lamenti d’ambigua pena e al tempo stesso chiedere un favore, che forse temeva ottenere, mentre l’intera moltitudine invisibile, santi e peccatori, sembravano esortarla a continuare.
«Fede!» urlò Brown, in tono d’angoscia e disperazione, e gli echi della foresta lo beffarono, ripetendo: «Fede! Fede! Fede!» come se tanti altri, miserabili e smarriti, la cercassero ovunque in quel deserto.
Il grido d’angoscia, rabbia e terrore stava ancora vibrando nella notte, quando l’infelice marito trattenne il respiro, sperando di cogliere una risposta. Udì un urlo, immediatamente soffocato da un più forte mormorio di voci, che svanivano in lontane risate, mentre la nera nube si allontanava rapida, lasciando il cielo limpido e muto sulla testa del povero giovane. Ma qualcosa fluttuò leggero per l’aria e si impigliò nel ramo di un albero. Il tapino l’afferrò: era un nastro rosa.
«La mia Fede è scomparsa!» esclamò, dopo un momento di pietrificato stupore. «Non c’è più nulla di buono sulla terra, e il peccato non è che un nome. Vieni, Satana, vieni, il mondo è tuo!»
Folle di disperazione, tanto che scoppiò in una lunga e sonora risata, il nostro povero Brown afferrò il suo bastone e riprese il viaggio, a una tale andatura che sembrava volar per il sentiero della foresta, più che non camminare o correre. La strada diveniva sempre più selvaggia e sinistra, sempre più debolmente tracciata, finché scomparve, lasciandolo nel cuore della nera solitudine, senza che per ciò egli rallentasse la corsa, preda di quell’istinto che guida i mortali al peccato. Tutta la foresta risuonava di gridi tremendi: schianti d’alberi, ululato di belve, urli di pellirosse; mentre il vento a volte rintoccava come la remota campana di una chiesa, a volte emetteva un immenso ruggito che investiva il viandante; quasi l’intera natura lo deridesse con un urlo di scherno. Ma era lui il principale orrore di tutta la scena, e non paventava certo altri orrori.
«Ah! ah! ah!» sghignazzò il povero Brown, quando il vento parve deriderlo. «Proviamo un po‘, a chi ride più forte. Non illudetevi di potermi atterrire con le vostre diavolerie. Venite, streghe e maghi, incantatori pellirosse, vieni tu stesso, Satana, in persona, ed ecco che qua arriva il signor Brown. Dovete tanto voi temere lui, quanto lui voi!»
In verità, per tutta la foresta incantata, sarebbe stato impossibile scorgere qualcosa più terrificante del volto di Brown. Volava tra i neri pini e brandiva il suo bastone, gesticolando come un pazzo, e ora vomitava una serqua d’orrende bestemmie, ora emetteva tali risate, che tutti gli echi del bosco gli sghignazzavano intorno come demoni. Il Maligno, nel suo genuino aspetto, è meno ripugnante di quando infuria nel petto di un uomo. E così continuò a procedere l’indemoniato finché, rutilante tra gli alberi, non si vide innanzi una rossa luce, che brillava e faceva pensare a quei falò di tronchi e frasche, abbattuti per dissodare una foresta, che, quando vengono accesi, tingono il cielo d’una sinistra vampa, nel cuore della tenebra. Egli si soffermò, in una pausa della bufera che l’aveva travolto fin là, e udì il crescendo di ciò che sembrava un inno intonato da numerose voci, diffondersi solenne da una certa distanza. Conosceva l’aria: era una di quelle sovente cantate dalla congregazione della sua chiesa. La strofa si spense greve e lenta, e venne prolungata da un coro, non costituito da voci umane, ma da tutti i suoni della foresta maledetta, che insieme scrosciavano in tremenda armonia. Brown lanciò un urlo, che si perse alle sue stesse orecchie, sommerso dagli urli della selva.
Nella pausa di silenzio si fece avanti furtivo, finché la luce non gli colpì direttamente gli occhi. A un’estremità della radura, stretta dalla massa compatta della foresta, sorgeva una roccia che poteva far vagamente pensare a un rozzo altare o a un pulpito, ed era circondata da quattro pini in fiamme, con la cima incendiata ma il tronco intatto, simili a candele accese per qualche funzione vespertina. Anche i folti cespugli, cresciuti a sommo della roccia, erano in fiamme e ardevan nella notte, illuminando a lampi tutta la radura. Ogni ramoscello, ogni festone di foglie crepitava. A seconda che il fuoco aumentava o diminuiva d’intensità, una folla numerosa appariva, spariva nell’ombra, poi ne riappariva, emergendo, per così dire, dalla tenebra e popolando il cuore di quella solitudine selvaggia.
“Compagnia ben grave, e cupamente vestita” si disse il nostro Brown.
In verità era così. Sotto quel gioco alterno di luce ed ombra, si scorgevano in quella folla volti che, il giorno dopo, sarebbe stato possibile vedere nel Consiglio della provincia, altri che, una domenica dopo l’altra, sui più sacri pulpiti dell’intero paese, avrebbero levato occhi devoti al cielo, o inclinato uno sguardo benigno sugli affollati banchi della chiesa. Alcuni affermano che persino la moglie del governatore fosse presente. Certo v’eran dame d’alto rango, che gli erano ben note, e mogli di onorevoli mariti, e vedove in gran moltitudine, e vecchie zitelle, che godevan tutte un’eccellente reputazione, e tenere fanciulle che tremavano, per timore che le loro madri potessero scorgerle. Se l’improvviso divampare della luce, che brillò a un tratto nella tenebra, non abbacinò la vista del nostro caro Brown, egli riconobbe una ventina di fedeli della chiesa di Salem, specialmente noti per la santità della loro vita. Il vecchio e buon diacono Gookin era arrivato, e restava alle costole di quel venerabile santo che era il suo pastore. Ma, irriverentemente commisti con questa gente grave, rispettata e pia, con questi anziani della chiesa, queste caste dame e immacolate vergini, vi erano uomini di vita dissoluta, donne di fama assai dubbia, sciagurati dediti ai più volgari e repugnanti vizi, a volte addirittura sospetti di orrendi delitti. Ed era strano vedere che i buoni non si ritraevano dai malvagi, e che i malvagi non avvertivano la minima soggezione dei buoni. Sparsi qua e là tra i loro nemici dal volto pallido si potevano notare preti e stregoni pellirosse, che avevano sovente atterrito le native foreste con incantesimi, più tremendi di quanti abbia mai praticato la magia inglese.
“Ma dove è Fede?” si chiese Brown, e a questo tenue barlume di speranza subito si mise a tremare.
Venne intonata un’altra strofa dell’inno, una lenta aria melanconica, quale amano le persone pie, ma che accompagnava parole che esprimevano quanto di più peccaminoso la natura umana sa concepire e oscuramente accennavano a peggio ancora. I semplici mortali non riusciranno mai a sondare la scienza demoniaca. Le strofe si susseguivano; tra l’una e l’altra si udiva sempre il coro selvaggio che muggiva, come le canne più basse di un organo possente. Alla fine dell’inno si sentì un boato, come se il ruggito dei venti e lo scroscio dei fiumi e l’ululato degli animali, e ogni altra voce della discorde e selvaggia foresta si fossero fuse e accordate con le voci dei colpevoli, per rendere omaggio al principe di tutto. I quattro pini ardenti emisero una fiamma più alta, e oscuramente scoprirono forme e visi orribili tra le volute di fumo che si arricciavano sull’empia assemblea. Nello stesso momento il fuoco, che ardeva sulla roccia, divampò anche più rosso e formò una specie di rutilante arco sulla sua base, ove era apparsa un’immagine. Sia detto senza la minima intenzione di offesa, ma quella figura rassomigliava non poco, nell’abito e nei modi, a qualche grave sacerdote della Nuova Inghilterra.
«Fate avanzare i neofiti!» urlò una voce, che echeggiò per la radura e destò gli echi della foresta.
A queste parole Brown avanzò dall’ombra degli alberi e si accostò alla congregazione, cui si sentiva legato da una vergognosa fratellanza, per la simpatia di quanto v’era di più malvagio nel fondo del suo cuore. Avrebbe potuto giurare che la forma del suo defunto padre gli faceva segno di avanzare, occhieggiando da una voluta di fumo, mentre una donna, i cui tratti imprecisi parevan sconvolti dalla disperazione, alzava al cielo la mano come per fermarlo. Era forse sua madre? Ma egli si sentiva impotente, non riusciva a indietreggiare di un passo, non seppe resistere neppure nel pensiero, quando il ministro e il buon diacono Gookin lo afferrarono per le braccia e lo condussero presso la roccia ardente. Verso lo stesso luogo avanzava pure la snella forma di una donna velata, condotta dalla santa signora Cloyse, la pia insegnante di catechismo, e da Marta Carrier, cui il diavolo aveva promesso di farla, un giorno, regina dell’inferno. Era veramente un’abominevole strega. Come si trovarono sotto il baldacchino ardente, i due proseliti si fermarono.
«Benvenuti, figli miei» disse la tenebrosa persona «benvenuti alla comunità della vostra razza. Sebbene così giovani, già avete scoperto la vostra vera natura, il vostro destino. Figli miei, guardatevi alle spalle.»
Quelli si voltarono: rutilanti in un velo di fiamma apparivano gli adoratori del Maligno; un sorriso di benvenuto brillò sinistro su ciascun volto.
«Ecco» riprese la forma ammantata di scuro «ecco tutti quelli che voi avete riverito sin dalla prima giovinezza. Li credevate più santi di voi e provaste orrore dei vostri stessi peccati, paragonandovi alle vite che quelli conducevano, vite fatte di santità, preghiera, aspirazioni celesti. Ed ecco che li trovate tutti nell’assemblea che mi adora. Questa notte vi sarà concesso di conoscere le loro segrete azioni: ecco anziani della chiesa che, malgrado la loro barba bianca, hanno sussurrato lascive parole alle giovani fanti della loro casa; ecco più di una donna che, bramando le gramaglie della vedovanza, ha propinato una pozione al marito che stava andando a letto, e gli ha permesso di dormire il suo ultimo sonno sopra il suo petto; ecco imberbi giovani che hanno anticipato l’ora di ereditare la ricchezza dei loro padri; ecco tante gentili fanciulle – no, non arrossite, mie colombe – che hanno scavato una piccola fossa nel giardino quando, ai funerali di un neonato, non ero presente che io, unico invitato. In virtù della simpatia, che i vostri cuori umani avvertiranno per il peccato, riconoscerete tutti i posti – chiesa o camera da letto, strada, campo, o foresta – dove sia stato commesso un delitto, ed esulterete nell’accorgervi che la terra intera è tutta sozza di peccato, che è un’immensa macchia di sangue. Anzi, ben più. Avrete la facoltà di penetrare in ogni petto il profondo mistero del peccato, la fontana di tutte le arti dannate, che, inesausta, fornisce più malvagi impulsi di quanto la forza umana – di quanto la mia potenza al suo massimo – sappia tradurre in azioni. E ora, figli miei, contemplatevi.»
Essi ubbidirono, e al bagliore delle torce accese in Inferno, lo sciagurato uomo scorse la sua Fede, la moglie il suo marito, tremebondo davanti all’empio altare.
«E dunque eccovi qui, o figli miei» disse la figura in tono profondo, solenne, quasi triste nella disperata gravità, come se la sua natura, un tempo angelica, avesse tuttora la facoltà di addolorarsi per la nostra miserabile razza. «Fidando l’uno nel cuore dell’altra, vi eravate ostinati a sperare che la virtù non fosse tutta un sogno. Ora siete disingannati. Il male è la natura stessa dell’umanità, il male dev’essere la vostra unica felicità. Ancora una volta vi do il benvenuto, figli miei, nella comunità della razza vostra.»
«Benvenuti» gridarono gli adoratori del Maligno, in un urlo di disperazione e trionfo.
I due giovani restarono immobili, l’unica coppia, si sarebbe detto, che ancora esitasse sull’orlo della malvagità, in questo mondo perduto. Nella roccia era stato scavato da natura una specie di bacino. Conteneva acqua, arrossata da quella luce sinistra? O era sangue? O forse liquido fuoco? Colà comunque lo Spirito del Male tuffò la mano sua, preparandosi a imprimere il segno del battesimo sulle due fronti, perché anche loro potessero partecipare al mistero del peccato e divenire consci delle colpe segrete degli altri, sia in opere che in pensieri, meglio di quanto non lo fossero adesso delle proprie. Il marito rivolse uno sguardo alla sua pallida moglie, Fede guardò lui. Quali insozzati e miserabili individui non sarebbero apparsi, al prossimo sguardo che si fossero rivolti, rabbrividendo di ciò che avrebbero rivelato e, al tempo stesso, scoperto!
«Fede! Fede!» urlò il marito. «Alza gli occhi al cielo e resisti al Maligno.»
Egli non seppe mai se Fede gli obbedisse. Non aveva finito di gridar quelle parole che si ritrovò nel cuore di una calma e solitaria notte, e prestava ascolto al muggito del vento, che si spegneva greve in lontananza. Barcollando si appoggiò contro la roccia, ed era fredda, umida, mentre un ramoscello, che poco prima era tutto fiamma, gli spruzzò la guancia della sua più gelida rugiada.
Il mattino dopo il nostro giovane signor Brown percorreva lentamente le strade di Salem, e si guardava in giro come trasognato. Il buon vecchio pastore, che faceva quattro passi accanto al cimitero, per farsi venire appetito per la colazione e preparare il sermone, impartì una benedizione a Brown, che gli passava accanto. Ma questi si ritrasse da quel venerabile sant’uomo, come per evitare un anatema. Il vecchio diacono Gookin stava pregando a casa sua: dalla finestra aperta si udivano le sacre parole della preghiera. “Quale Dio starà mai pregando, quel vecchio stregone?” si chiese il povero Brown. Quella santa donna della signora Cloyse, quella eccellente cristiana, ritta, ai primi raggi del sole, presso la finestra, catechizzava una bimbetta, che le aveva portato una pinta di latte appena munto. Brown non seppe resistere e strappò la bimba dalle grinfie di quel demonio. Svoltato l’angolo della chiesa vide subito la testolina di Fede coi suoi nastrini rosa, che scrutava ansiosa, e nel vederlo si abbandonò a tali eccessi di gioia, che gli corse incontro saltellando, e per poco non lo baciava davanti all’intero villaggio. Ma Brown le rivolse uno sguardo severo e triste, e continuò il suo cammino senza neppur salutarla.
Non potrebbe darsi che il nostro povero amico si fosse addormentato nella foresta, e avesse soltanto sognato quello strano e tremendo sogno del sabba?
Datene l’interpretazione che volete; certo fu un sogno ben sventurato per l’infelice! Da quella notte si mostrò severo, triste, sempre immerso in cupe meditazioni, senza più fiducia, per non dire addirittura disperato. Le domeniche, quando la congregazione intonava un qualche sacro inno, egli non poteva prestargli ascolto, perché i suoi orecchi percepivano quell’altro inno del peccato sommergere le voci e disperdere il canto religioso. Quando il pastore parlava dal pulpito con la forza di una fervida eloquenza e, la mano posata sulla Bibbia aperta, trattava delle sacre verità della nostra religione, e di vite santificate e di morti trionfanti, e della beatitudine o della indescrivibile miseria che ci attendono in futuro, allora il nostro povero Brown impallidiva, temendo che il tetto della chiesa dovesse crollar tra fulmini su quel canuto bestemmiatore e sui fedeli. Sovente, svegliandosi improvvisamente nel cuore della notte, egli si ritraeva dal seno di Fede, e sia al mattino che alla sera, quando la famiglia si inginocchiava a pregare, mormorava cupo, tra sé e sé, fissando uno sguardo severo sulla moglie, e poi le volgeva le spalle. Quando, trascorsa una lunga vita, venne condotto al cimitero, canuto cadavere seguito da Fede, ormai vecchia, e dai figli e dai nipoti in pia processione, e da non pochi vicini, sulla sua pietra tombale non venne inciso alcun versetto di speranza, perché la sua ora estrema era stata cupa, velata di tenebra.