Il cronoscopio

 

Arnold Potterley, dottore in lettere, era Professore di Storia Antica. In sé, questo non era pericoloso. Quello che cambiava le cose da così a così era il fatto che avesse tutta l'aria di un Professore di Storia Antica.

Thaddeus Araman, Capo Dipartimento della Divisione di Cronoscopia, avrebbe saputo benissimo come regolarsi qualora il dottore Potterley fosse stato il proprietario di un mento largo e quadrato, di un paio d'occhi lampeggianti, di un naso aquilino e di due larghe spalle.

Invece, si ritrovava a fissare, attraverso la scrivania, un signore dal fare mite, i cui occhi d'un celeste scolorito lo fissavano dai due lati di un naso camuso; la cui persona gracile e inappuntabile sembrava portare stampato "latte e acqua" dai radi capelli castani alle scarpe ben lucidate che completavano l'abbigliamento classico e austero.

- Mi dica, dottor Potterley, in che cosa posso favorirla? - domandò amabilmente Araman.

- Signor Araman - disse il dottor Potterley, con una voce pacata che ben si accordava con il resto della persona - sono venuto da lei perché lei è la persona più importante, in fatto di cronoscopia.

Araman sorrise. - Non è esatto. Sopra di me c'è il Commissario Mondiale delle Ricerche e, sopra di lui, c'è il Segretario Generale delle Nazioni Unite. E al di sopra di entrambi, s'intende, ci sono i popoli sovrani della Terra.

Il dottor Potterley scuoteva la testa. - Loro non s'interessano di cronoscopia. Sono venuto da lei, signor Araman, perché da due anni, ormai, cerco di ottenere il permesso di esaminare il tempo (di fare un po' di cronoscopia, insomma) a proposito delle mie ricerche sull'antica Cartagine. Pare impossibile, non riesco a ottenerlo. Ho tutte le carte in regola, per poter condurre tali ricerche. Non vi è alcuna irregolarità in nessuna delle mie mire intellettuali e tuttavia...

- Non si tratta di irregolarità, ne sono certo - disse in tono conciliante Araman. Fece scorrere i sottili fogli di riproduzione del raccoglitore provvisoriamente intestato a Potterley. Erano stati prodotti da Multivac, la cui vasta mente analogica conservava tutta la documentazione del dipartimento. Una volta terminato il colloquio, i fogli si potevano benissimo distruggere, salvo essere eventualmente riprodotti su richiesta nel giro di pochi minuti.

E, mentre Araman sfogliava le pagine, la voce del dottor Potterley continuava a parlare, pacata e monotona.

- Premetto - stava dicendo lo storico - che il mio è un problema della massima importanza. Cartagine era il commercialismo dell'antichità portato allo zenith. La Cartagine pre-romana era, nell'antichità, quanto di più vicino e di più analogo all'America pre-atomica, almeno per quel che concerne il suo attaccamento ai commerci, agli scambi e agli affari in generale. I cartaginesi sono stati i marinai e gli esploratori più audaci, prima dei vichinghi; assai più intraprendenti, in questo campo, dei sopravvalutati greci.

"Conoscere Cartagine potrebb'essere molto utile, e tuttavia l'unica conoscenza che ne abbiamo è derivata dagli scritti dei suoi nemici più acerrimi, i greci e i romani. Cartagine stessa non scrisse mai niente in sua difesa e, se l'ha fatto, quei documenti non si sono salvati. Risultato, i cartaginesi sono sempre stati uno dei popoli più vilipesi della storia, e forse ingiustamente. L'esame cronoscopico potrebbe rimettere a posto le cose."

Disse tante altre cose ancora.

Sempre intento a scartabellare i fogli che aveva davanti, Araman all'improvviso osservò: - Deve rendersi conto, dottor Potterley, che la cronoscopia, o l'esame visivo del tempo, se preferisce, è un processo difficile.

Il dottor Potterley, che era stato interrotto, si accigliò e disse: - Ma io chiedo soltanto di esaminare determinati scorci di tempi e di luoghi che io stesso indicherei.

Araman sospirò. - Pochi scorci... magari uno solo... È un'arte incredibilmente delicata, mi creda. C'è il problema della messa a fuoco, quello di inquadrare la scena adatta e di riuscire a fermarla. C'è la sincronizzazione del suono, che richiede circuiti completamente indipendenti.

- Ritengo che il mio problema sia abbastanza importante da giustificare uno sforzo, per quanto notevole.

- Sì, professore. Non c'è dubbio - convenne subito Araman. Negare l'importanza di un problema di ricerca sarebbe stato imperdonabilmente scortese nei confronti dell'interessato. - Ma lei deve rendersi conto di quanto sia complesso ottenere anche la più semplice delle inquadrature. Senza contare che c'è una lunga lista d'attesa per il cronoscopio, nonché una lista d'attesa ancora più lunga per l'uso di Multivac, che ci guida nell'uso del delicato apparecchio.

Potterley si agitò, avvilito. - Ma non si può fare qualcosa? Sono due anni...

- Questione di priorità, professore. Sono spiacente... Sigaretta?

Lo storico si ritrasse spaventato a quell'offerta, gli occhi improvvisamente sgranati nel fissare il pacchetto che veniva spinto verso di lui. Meravigliato, Araman ritirò il pacchetto, fece l'atto di sfilarne una sigaretta per sé, poi preferì lasciar perdere.

Potterley mandò un sospiro di autentico sollievo, quando il pacchetto venne rimesso via. - Non c'è modo - domandò - di rivedere le cose, di far avanzare il più possibile la mia richiesta? Non so come spiegare...

Araman sorrise. Qualcuno, in circostanze analoghe, gli aveva addirittura offerto del denaro; il che, naturalmente, non aveva fruttato alcun vantaggio all'interessato. - Le decisioni sulla priorità vengono prese in base alle analisi del calcolatore. In nessun modo potrei alterare quelle decisioni arbitrariamente.

Potterley si alzò, rigido rigido, torreggiando in tutto il suo metro e ottantacinque di statura. - Allora, signore, non mi resta che salutarla.

- Arrivederla, dottor Potterley. E mi creda, sono desolato.

Araman gli offrì la mano, che Potterley sfiorò appena.

Uscito lo storico, un breve tocco di campanello portò nella stanza la segretaria. Araman le consegnò il raccoglitore.

- Questi - disse - Sì possono benissimo stracciare.

Di nuovo solo, sorrise con amarezza. Una nuova voce si aggiungeva ai servigi resi alla razza umana in venticinque anni di carriera. Servigi resi a forza di dire di no.

Quel Potterley, se non altro, era stato facile da liquidare. A volte, bisognava ricorrere a pressioni di ordine accademico, e magari far revocare addirittura i permessi di ricerca.

Cinque minuti più tardi, Araman aveva dimenticato il dottor Potterley. Né, ripensandoci in seguito, poté mai ricordare d'avere avuto qualche presentimento di pericolo.

 

Durante il primo anno di frustrazione, Arnold Potterley si era sentito semplicemente frustrato, appunto, ma nient'altro. Durante il secondo anno, però, quella frustrazione aveva dato origine a un'idea che da principio l'aveva atterrito e poi l'aveva affascinato. Due cose l'avevano trattenuto dal tentare di tradurre l'idea in azione, e nessuna di quelle due barriere era costituita dal fatto certo che l'idea era in contrasto con l'etica professionale.

La prima era semplicemente la speranza, mai spenta, che il governo desse finalmente il benestare, dispensandolo così dal tentare altre vie. Quella speranza era però svanita durante il colloquio con Araman, terminato poco prima.

La seconda barriera non era affatto una speranza bensì la triste consapevolezza della propria incapacità. Non era un fisico, lui, né conosceva qualche fisico al quale potersi rivolgere per avere aiuto. La Facoltà di Fisica dell'Università era formata da individui ben forniti di autorizzazioni e bene immersi nella loro specialità. Nella migliore delle ipotesi, non gli avrebbero nemmeno dato ascolto. Nella peggiore, l'avrebbero denunciato per anarchia intellettuale, con il rischio che gli venisse ritirata perfino l'autorizzazione a interessarsi di Cartagine.

Il primo accenno a un possibile scavalcamento di quella seconda barriera gli era balenato una settimana prima del colloquio con Araman, e lì per lì lui nemmeno se n'era accorto. Era stato a uno dei tè di facoltà. Potterley partecipava immancabilmente a quelle riunioni perché considerava un dovere il parteciparvi, e i suoi doveri lui li prendeva sul serio. Una volta là, tuttavia, giudicava che non fosse responsabilità sua aiutare la conversazione o fare nuove conoscenze. Sorseggiava una o due bibite, Potterley era astemio, scambiava qualche parola di cortesia con il decano o con i capi di dipartimento che aveva occasione di incontrare, elargiva un sorriso riservato agli altri ed era uno dei primi ad andarsene.

In circostanze normali, non avrebbe prestato nessuna attenzione, al più recente di quei tè, a un giovanotto che se ne stava in disparte, silenzioso e quasi diffidente. Mai si sarebbe sognato di rivolgergli la parola. Tuttavia, un groviglio di circostanze l'aveva indotto, quell'unica volta, a comportarsi in modo contrario alla sua natura.

Quel mattino a colazione, la signora Potterley aveva annunciato lugubremente d'avere sognato ancora una volta Laurel; ma stavolta una Laurel cresciuta; sebbene con lo stesso visetto di bambina di tre anni che la contrassegnava come la loro creatura. Potterley l'aveva lasciata parlare. C'era stato un tempo in cui aveva cercato di combattere, in lei, il pensiero troppo frequente della morte e del passato. Laurel non sarebbe tornata mai più, né attraverso i sogni né attraverso i ricordi. D'altra parte, se questo poteva consolare Caroline Potterley, tanto valeva lasciarla sognare e parlare.

Ma quel mattino, quando Potterley si era recato all'università, aveva scoperto d'essere una volta tanto suggestionato dalle assurdità di Caroline. Laurel cresciuta! Era morta da quasi vent'anni, la loro unica figlia; unica allora e sempre. In tutto quel tempo, nel pensare a lei, Potterley l'aveva sempre ricordata come una bambina di tre anni.

Ora pensava: ma se fosse viva adesso, non avrebbe tre anni, ne avrebbe quasi ventitré.

Senza riuscirci, si era sorpreso a cercare di immaginare una Laurel che cambiava con la crescita; di immaginarsela come una ragazza ormai adulta, di ventitré anni. Non c'era riuscito, naturalmente.

Però, aveva tentato. Laurel che usava il rossetto. Laurel che usciva con qualche ragazzo. Laurel... che si sposava!

Ed ecco come mai, nello scorgere il giovanotto che si teneva ai margini del gruppo un po' freddino di esponenti accademici, gli era venuto il pensiero donchisciottesco che, per quel che ne sapeva lui, un giovanotto come quello sarebbe potuto diventare il fidanzato di Laurel. Chissà, magari quello stesso giovanotto...

Laurel avrebbe potuto conoscerlo lì all'università, oppure una sera in cui il giovanotto avesse avuto occasione di cenare dai Potterley. I due giovani avrebbero magari simpatizzato. Senza dubbio Laurel sarebbe stata bellina, e quel giovane era di bell'aspetto. Di colorito bruno, con un volto scarno e serio e il portamento disinvolto.

Il tenue sogno a occhi aperti si dissolse, tuttavia Potterley si ritrovò a fissare scioccamente il giovane, non come una faccia estranea ma come un eventuale genero in un mondo immaginario. Si ritrovò ad aprirsi un varco verso lo sconosciuto. Era quasi una forma di auto-suggestione.

Tese la mano. - Sono Arnold Potterley, docente di Storia Antica. Lei è nuovo qui, vero?

Vagamente stupito, l'altro armeggiò per un attimo con il bicchiere, passandolo nella sinistra per poter stringere con la destra la mano offerta. - Piacere, professore, mi chiamo Jonas Foster. Sono un nuovo assistente di fisica. Inizio il lavoro questo semestre.

Potterley assentì. - Le auguro un felice soggiorno tra noi, e molto successo.

La cosa, al momento, era finita lì. Potterley era tornato in sé, un po' a disagio, si era reso conto del proprio imbarazzo e si era allontanato. Si era perfino voltato, una volta, ma l'illusione di quasi parentela con il giovane era scomparsa. La realtà era di nuovo ben concreta ed egli se l'era presa con se stesso per essere caduto preda degli sciocchi discorsi della moglie su Laurel.

Ma una settimana più tardi, mentre Araman ancora non aveva finito di parlare, il pensiero di quel giovanotto gli si era ripresentato alla mente. Un assistente di fisica. Un assistente nuovo. Era stato sordo, per caso, una settimana prima? C'era stato un corto circuito tra il suo orecchio e il suo cervello? O in lui si era prodotta una sorta di autocensura automatica, in vista dell'imminente abboccamento con il Capo di Cronoscopia?

Ma il colloquio era fallito, ed era stato il pensiero del giovane e delle poche parole scambiate con lui a impedire a Potterley di dilungarsi nelle sue istanze presso Araman. Al contrario, quasi non vedeva l'ora di tagliar corto e venir via.

Nell'autogiro espresso che lo riportava all'università, Potterley quasi si augurava di poter essere superstizioso. In tal caso, si sarebbe forse consolato con il pensiero che quell'incontro casuale e privo di significato era stato voluto in realtà da un Fato cognito e provvidenziale.

 

Jonas Foster era nuovo, ora, alla vita accademica. La lunga e stentata lotta per conseguire il dottorato faceva di chiunque un veterano. Il lavoro aggiuntivo come assistente volontario aveva quasi l'effetto di dare baldanza.

Ora, però, era l'Assistente Jonas Foster. Dinanzi a lui c'era la dignità della cattedra, ed egli si ritrovava in una sorta di rapporto nuovo nei confronti degli altri docenti.

Prima di tutto, da un loro voto sarebbero dipese le sue future promozioni. In secondo luogo, ancora non era in grado di stabilire, novellino com'era, quale particolare membro della facoltà avesse o non avesse ascendente sul decano o addirittura sul rettore magnifico. Sapeva di non essere un "politico" né si illudeva di poterlo diventare; d'altra parte, non c'era scopo di scavarsi la fossa da solo all'unico scopo di dimostrare a se stesso che non lo era.

Così, Foster ascoltava quello storico dai modi pacati il quale, sia pure in modo indefinibile, sembrava irradiare una strana tensione, e si guardava bene dal zittirlo bruscamente o dal metterlo alla porta. Quello, in ogni modo, era stato il suo primo impulso.

Si ricordava abbastanza bene di Potterley. Potterley l'aveva avvicinato a quel tè (che era stato un evento noiosissimo, tra parentesi). Gli aveva rivolto un paio di frasi in tono rigido, quasi con espressione stralunata, per poi tornare in sé con un sobbalzo e sgattaiolar via.

Li per lì, la cosa aveva divertito Foster, mentre ora...

Poteva darsi che Potterley avesse deliberatamente cercato di fare la conoscenza di Foster, o, piuttosto, di creare in lui l'impressione d'avere a che fare con una personalità un po' bislacca, con un individuo eccentrico ma innocuo. E ora, forse, stava sondando il modo di pensare di Foster, alla ricerca di opinioni eterodosse. Veramente, una tattica del genere avrebbero dovuto usarla prima di affidargli l'incarico di assistente. D'altra parte...

Potterley poteva anche essere serio, poteva non rendersi conto, in buona fede, di ciò che stava facendo. Oppure, poteva rendersi conto benissimo di tutto; poteva, in altre parole, essere né più né meno che una pericolosa carogna.

- Bene, ecco... - biascicò Foster, per guadagnare tempo, e intanto estraeva di tasca un pacchetto di sigarette, con l'intenzione di offrirne una a Potterley e di accenderne una per sé, il tutto con estrema lentezza.

Ma Potterley disse all'istante: - La prego, dottor Foster. Niente sigarette.

Foster rimase interdetto. - Scusi tanto.

- Le pare! Sono io che mi scuso. Non sopporto l'odore del fumo. Un'idiosincrasia. Non me ne voglia.

Era pallidissimo, infatti. Foster mise via il pacchetto.

Poi, avvertendo la mancanza di una sigaretta, tentò di uscirsene per il rotto della cuffia. - Sono lusingato che lei chieda un mio consiglio, dottor Potterley, gliel'assicuro, ma vede, non m'intendo di neutrinica. Non posso assolutamente fare qualcosa di professionale in quel senso, mi creda. Perfino esprimere un'opinione sarebbe scorretto e, francamente, preferirei che lei si astenesse dall'addentrarsi nei particolari.

La faccia compunta dello storico assunse un'espressione dura. - In che senso dice di non essere un esperto di neutrinica? Lei non è ancora niente, per ora. Non ha ancora ricevuto nessuna autorizzazione, vero?

- Questo è il mio primo semestre, gliel'ho detto.

- Lo so. Immagino che non abbia neppure fatto domanda, per ora, per questa o quella autorizzazione.

Foster abbozzò un sorriso. Nei tre mesi da che era all'università, non era ancora riuscito a mettere le sue richieste iniziali per autorizzazioni di ricerche in forma abbastanza decente per poterle passare a uno scrittore scientifico di professione, figuriamoci poi alla Commissione per le Ricerche.

(Il suo Capo Dipartimento, per fortuna, prendeva la cosa senza drammi. "Non abbia fretta, Foster" diceva "e veda di organizzare bene le idee. Si assicuri di sapere bene qual è la sua strada e dove la condurrà, perché, una volta ricevuta l'autorizzazione, la sua specializzazione verrà formalmente riconosciuta e, bene o male che vada, le rimarrà appiccicata per tutto il resto della sua carriera." Il consiglio era abbastanza trito, ma le cose trite avevano spesso il merito d'essere vere, e Foster sapeva riconoscere la verità.)

- Per gli studi fatti e per mia inclinazione, dottor Potterley - spiegò - sono un iperottico con un interesse secondario per la gravitica. Così ho definito me stesso, nel presentare domanda per questo incarico. Non sarà ancora la mia specializzazione ufficiale, forse, ma in seguito lo sarà, penso. Non potrebb'essere nessun'altra. Quanto alla neutrinica, è una materia che non ho neppure studiato.

- Perché, poi? - domandò subito Potterley.

Foster s'impermalì. Era il genere di indiscreta curiosità, riguardo allo stato professionale di un collega, che riusciva sempre irritante. - Nell'università che ho frequentato - rispose, e nel tono di cortesia c'era ora una nota un po' sorda - non c'era il corso di neutrinica.

- Dio buono, e dove ha studiato?

- Al M.I.T. - rispose tranquillamente Foster.

- In un politecnico così importante non c'è il corso di neutrinica?

- No, non c'è. - Foster si accorse di arrossire e, istintivamente, assunse un atteggiamento difensivo. - È un argomento altamente specializzato e non di grande valore. La cronoscopia, forse, è di qualche interesse, ma è soltanto un'applicazione pratica, per cui non ha sbocchi, diciamo.

Lo storico lo fissava, serio serio. - Mi dica una cosa. Sa dove posso trovare un esperto di neutrinica?

- No, non lo so - rispose chiaro e tondo Foster.

- Be', sa almeno indicarmi una scuola dove insegnino la neutrinica?

- No, non ne conosco.

Potterley sorrise, ma senza allegria.

Foster s'impermalì per quel sorriso, credette di scorgervi un insulto e s'irritò abbastanza da osservare: - Vorrei farle notare, professore, che sta uscendo dai suoi confini.

- Come?

- Dicevo che, come storico, il suo interesse in ogni sorta di scienza esatta, il suo interesse professionale, è... - Esitò, incapace di indurre se stesso a dire pane al pane.

- Contrario all'etica?

- Proprio così, dottor Potterley.

- Mi hanno spinto le mie ricerche, in quel senso - spiegò Potterley in un bisbiglio carico di tensione.

- Bene, non ha che da rivolgersi alla Commissione per le Ricerche. Se le permetteranno...

- Già fatto, e non ho ricevuto nessuna soddisfazione.

- Allora è chiaro che deve abbandonare l'idea. - Foster sapeva di parlare come un barbogio troppo zelante, ma non intendeva consentire a quell'uomo di cavargli qualche espressione d'anarchia intellettuale. Era all'inizio della sua carriera, non doveva correre stupidi rischi.

Ma l'osservazione, evidentemente, produsse i suoi effetti su Potterley. Senza preavviso, lo storico esplose in una tempesta verbale di irresponsabilità.

Gli studiosi, disse, potevano sentirsi liberi solo quando potevano seguire liberamente la loro libera curiosità. La ricerca, aggiunse, se costretta entro uno schema preordinato dai poteri che tenevano i cordoni della borsa diventava una schiavitù ed era condannata a impaludarsi. Nessuno, dichiarò, aveva il diritto di dettare interessi intellettuali agli altri.

Foster ascoltava incredulo quella filippica. Nessuna di quelle idee gli era estranea. Aveva sentito suoi compagni d'università parlare così allo scopo di scandalizzare i professori, e una o due volte si era divertito a sua volta ad atteggiarsi a ribelle. Chiunque avesse studiato la storia della scienza sapeva che molti, un tempo, l'avevano pensata così.

Eppure a Foster sembrava strano, quasi contro natura, che un moderno uomo di scienze potesse uscirsene in simili sciocchezze. Nessuno avrebbe sostenuto che si potesse mandare avanti uno stabilimento permettendo a ciascun operaio di fare quello che più gli piaceva, né che si potesse comandare una nave assecondando i capricci in conflitto tra loro dei singoli uomini di equipaggio. Sarebbe stato preso per scontato che, in ciascuno dei casi, dovesse esserci qualche forma di agenzia di controllo centralizzata. Perché della direzione e dell'ordine dovevano beneficiare uno stabilimento o una nave e non la ricerca scientifica?

Qualcuno poteva obiettare che la mente umana era qualitativamente diversa, in qualche modo, da una nave o da una fabbrica, ma la storia degli sforzi intellettuali dimostrava il contrario.

Quando la scienza era giovane e la complessità di tutto, o gran parte, di ciò che si sapeva rientrava nella portata di una mente individuale, forse il bisogno di una direzione non si sentiva. Vagare alla cieca lungo i sentieri dell'ignoranza poteva condurre per caso a meravigliose scoperte.

Ma, via via che la conoscenza aumentava, crescevano i dati che era necessario assorbire prima di poter organizzare "viaggi" nell'ignoranza che fossero di qualche utilità. Gli uomini dovevano specializzarsi. Il ricercatore necessitava delle risorse di una biblioteca che, da solo, non era in grado di mettere insieme, poi di strumenti che, come singolo, non poteva permettersi. Sempre di più il ricercatore individuale cedeva perciò il posto al gruppo di ricercatori e all'istituto delle ricerche.

I fondi necessari per la ricerca si facevano più imponenti via via che gli strumenti si facevano più numerosi. Quale università era così piccola, ormai, da non richiedere almeno un micro-reattore nucleare e un calcolatore a tre stadi?

Già secoli prima, i privati non erano in grado di finanziare la ricerca. Verso il 1940, soltanto il governo, le industrie maggiori e le grandi università o le grandi istituzioni potevano sovvenzionarla.

Nel 1960, perfino le maggiori università dipendevano interamente dalle assegnazioni governative, mentre gli istituti di ricerche non potevano esistere senza concessioni fiscali e sottoscrizioni pubbliche. Intorno al 2000, i consorzi industriali erano diventati una branca del governo mondiale e, da quel momento, il finanziamento della ricerca e di conseguenza la direzione in cui orientarla si erano centralizzati sotto un apposito dicastero.

 

Tutto si era svolto da sé, praticamente, e nel migliore dei modi. Ogni ramo della scienza si adattava esattamente ai bisogni del pubblico, e i diversi rami venivano coordinati in modo sistematico. I progressi tangibili dell'ultimo mezzo secolo testimoniavano in modo valido che la scienza non rischiava affatto la stasi.

Foster tentò di far presente qualcosa di tutto questo, e venne zittito con impazienza da Potterley, che replicò: - Lei ripete a pappagallo la propaganda ufficiale. Mi crederebbe se le dicessi che ha sotto il naso un esempio chiaramente in contrasto con le asserzioni di quella propaganda?

- No, francamente.

- Bene, perché dice che l'esplorazione del tempo è un'attività senza sbocchi? Perché la neutrinica sarebbe priva di importanza? Lo ha detto lei, e in modo categorico, anche. Però, non l'ha mai studiata. Confessa la sua completa ignoranza in materia. Nell'università che ha frequentato, non esisteva neppure il corso.

- E questo non basta a provare che è come dico io?

- Ah, ecco! La materia non viene insegnata perché non è importante. E non è importante perché non viene insegnata. È soddisfatto, sì, di questo modo di ragionare?

Foster era sempre più confuso. - C'è scritto anche nei libri.

- Eh, già. I libri dicono che la neutrinica non è importante. I suoi professori gliel'hanno detto perché a loro volta l'hanno letto nei libri. I libri lo affermano perché sono stati scritti da altri professori. Ma chi lo dice per esperienza personale diretta? Chi ha fatto ricerche in quel campo? Conosce qualcuno che ne abbia fatte, lei?

- Non vedo dove vogliamo andare a parare, dottor Potterley. Io ho del lavoro da svolgere e...

- Un momento. Prima voglio dirle qualcosa. Veda un po' lei come le suona. Secondo me, il governo sta facendo di tutto per sopprimere la ricerca sia in neutrinica, sia in cronoscopia. E sta impedendo ogni applicazione pratica della cronoscopia.

- Oh, no.

- Perché no? Possono benissimo farlo, se lo ricordi, lei che è in favore della ricerca diretta da un potere centrale. Basta che rifiutino i permessi di ricerca in un settore qualsiasi della scienza, perché quel settore muoia. Ora hanno ucciso la neutrinica. Possono farlo e l'hanno fatto.

- Ma perché?

- Non lo so il perché. Voglio che lo scopra lei. Lo farei io stesso, se ne sapessi abbastanza. Mi sono rivolto a lei perché è un giovanotto, con una cultura nuova di zecca. Possibile che le sue arterie intellettuali si siano già indurite? Non c'è curiosità, in lei? Non vuole sapere? Non vuole delle risposte precise?

Lo storico scrutava con aria intenta negli occhi di Foster. I loro nasi erano a pochi centimetri di distanza, e Foster era talmente confuso che non pensava nemmeno a scostarsi.

Per diritto, avrebbe potuto ordinare a Potterley di uscire. Se necessario, avrebbe potuto buttarlo fuori.

Non era il rispetto per l'età e per la posizione a trattenerlo, così com'è certo che gli argomenti di Potterley non l'avevano convinto. Piuttosto, era un piccolo punto d'orgoglio universitario.

Perché al M.I.T. non c'era un corso di neutrinica? Anzi, ora che ci ripensava, gli sorgeva il dubbio che in biblioteca non vi fosse neppure un testo su quella materia. Non ricordava d'averne mai visto uno.

Si soffermò a meditare su quella stranezza.

E fu la rovina.

 

Caroline Potterley era stata un tempo una bella donna. C'erano occasioni, come i pranzi e le cerimonie accademiche, in cui, grazie a uno sforzo considerevole, era ancora possibile salvare i resti di quella bellezza.

Nella vita d'ogni giorno, Caroline si afflosciava. Era il termine che applicava a se stessa, quello, nei momenti di autoavversione. Era diventata più grassoccia, con gli anni, ma la flaccidità della sua persona non era soltanto una questione di grasso. Era come se i muscoli avessero ceduto, divenendo inerti, per cui lei si trascinava, nel camminare, mentre sotto gli occhi le borse aumentavano e le guance si facevano via via più cascanti. Perfino i capelli grigi sembravano stanchi, non solo striminziti. Il fatto che fossero così lisci sembrava, più che altro, il risultato di una supina resa alla legge di gravità.

Caroline Potterley si guardava allo specchio e ammetteva d'essere in una delle sue giornate peggiori. Ne conosceva la ragione, anche.

Era l'aver sognato Laurel. Un sogno strano, in cui Laurel era adulta. Da quel momento si era sentita uno straccio.

D'altra parte, le dispiaceva d'averne parlato ad Arnold. Lui non aveva detto niente; non diceva più niente, ormai; ma ne soffriva. Era parso chiuso in se stesso, per diversi giorni di seguito. Forse, dipendeva anche dal fatto che si stava preparando ad affrontare quell'importante colloquio con un grosso funzionario governativo (continuava a ripetere che non si aspettava di cavarne niente), ma senza dubbio c'entrava anche il sogno di lei.

Era meglio ai vecchi tempi, quando lui le gridava esasperato: "Lascia andare il passato, Caroline! Parlarne non serve a riportare in vita Laurel, né serve sognarla!"

Era stato orribile per tutti e due. Tragicamente orribile. Lei non era in casa, il giorno della tragedia, e in seguito non si era più riavuta da un senso di colpa. Se fosse rimasta a casa, se non fosse uscita stupidamente, per cose non necessarie, sarebbero stati in due a prodigarsi. Uno di loro sarebbe riuscito a portare in salvo Laurel.

Il povero Arnold, da solo, non ce l'aveva fatta. Il cielo sapeva se aveva tentato. Per poco non era perito anche lui. Era uscito dalla casa in fiamme, barcollante, coperto di ustioni, semi-asfissiato e semi-accecato, con Laurel tra le braccia, già morta.

L'incubo di quei momenti perdurava, non si era mai dissipato del tutto.

In seguito, Arnold era riuscito lentamente a crearsi intorno una sorta di guscio. I suoi modi si erano fatti miti e pacati, e niente penetrava al di là di quella dolcezza, niente poteva scuoterla. Era diventato puritano, aveva abbandonato perfino i piccoli vizi, le sigarette, la propensione a uscire ogni tanto in un'esclamazione un po' forte. Aveva ottenuto il permesso per la preparazione di una nuova storia di Cartagine e aveva subordinato tutto il resto a quello scopo.

Lei aveva cercato di aiutarlo. Gli cercava i riferimenti bibliografici, gli batteva a macchina e gli microfilmava gli appunti. Poi, quella collaborazione era bruscamente cessata.

All'improvviso, una sera, Caroline si era alzata di scatto dalla scrivania, era corsa in bagno appena appena in tempo e aveva dato violentemente di stomaco. Il marito l'aveva seguita, confuso e preoccupato.

- Caroline, che cos'hai?

C'era voluto un po' di cognac per farla tornare in sé. - È vero? - aveva domandato subito. - Davvero lo facevano?

- Chi?

- I cartaginesi.

Lui la fissava e Caroline aveva cercato di spiegarsi per mezzo di perifrasi. Non aveva la forza di dirlo chiaramente.

I cartaginesi, sembrava, adoravano Moloch, nella forma di un idolo di bronzo che, nel ventre vuoto, aveva una fornace. In tempi di crisi nazionali, i sacerdoti e il popolo si radunavano e, dopo le cerimonie e le invocazioni di rito, alcuni bambini venivano abilmente scagliati, vivi, tra le fiamme.

Ai piccoli venivano fatti mangiare dei dolci, qualche istante prima del momento cruciale, affinché l'efficacia del sacrificio non venisse rovinata da sgradevoli grida di panico. I tamburi cominciavano tempestivamente a rullare, per coprire i pochi secondi di urla infantili. I genitori erano presenti, presumibilmente lusingati, perché quel sacrificio era caro agli dèi...

Arnold Potterley aveva aggrottato la fronte, con aria cupa. Perfide calunnie, le aveva spiegato poi, da parte dei nemici di Cartagine. Era desolato di non averla prevenuta in tempo. Simili bugie propagandistiche, alla fin fine, non erano una novità. Secondo i greci, gli antichi ebrei veneravano una testa d'asino, nel loro Tempio dei Templi. Secondo i romani, i primi cristiani erano mostri di crudeltà che sacrificavano bambini pagani nelle catacombe.

- Allora non è vero che lo facevano? - aveva domandato Caroline.

- Sono sicuro di no. I fenici primitivi, può darsi. Il sacrificio umano è abbastanza diffuso tra le civiltà primitive. Ma Cartagine al tempo del suo splendore non era una civiltà primitiva. Spesso il sacrificio umano cede il posto ad azioni simboliche, quali la circoncisione. I greci e i romani potrebbero aver confuso qualche simbolismo cartaginese con il rito delle origini, vuoi per ignoranza, vuoi per cattiveria.

- Sei sicuro?

- Ancora non posso esserne sicuro, Caroline, ma appena avrò accumulato indizi sufficienti, chiederò il permesso di ricorrere alla cronoscopia, e questo ci permetterà di risolvere la questione una volta per tutte.

- La cronoscopia?

- Sì, l'esame visivo del tempo. Possiamo mettere a fuoco l'antica Cartagine durante un periodo di crisi, che so, lo sbarco di Scipione l'Africano nel 202 a.C., per esempio, e vedere con i nostri stessi occhi che cosa accadde esattamente, e si stabilirà che ho ragione, vedrai.

Le aveva sorriso, battendole su una spalla con fare incoraggiante; ma lei, da quel momento, aveva sognato Laurel tutte le notti per due settimane di seguito, e mai più si era offerta di aiutarlo nelle sue ricerche su Cartagine. Né lui gliel'aveva chiesto.

Ora, però, doveva farsi forza perché Arnold stava per rincasare. Le aveva telefonato, appena di ritorno in città, per informarla che aveva visto il rappresentante del governo e che il colloquio era andato come lui prevedeva. Questo voleva dire che era stato un fiasco; eppure, la piccola sfumatura rivelatrice di depressione mancava completamente nella voce di Arnold, e i lineamenti di lui, per videofono, le erano sembrati perfettamente composti. Infine, Arnold le aveva precisato d'avere ancora qualcosa da sbrigare, prima di tornare a casa.

Sarebbe arrivato in ritardo, naturalmente, ma questo non aveva importanza. Nessuno dei due ci teneva in modo particolare a osservare l'orario dei pasti, né badava a quando i surgelati venivano tolti dal freezer, a cosa contenessero o a come funzionasse il meccanismo di auto-riscaldamento.

Al suo arrivo, tuttavia, Arnold la lasciò meravigliata. Non che vi fosse qualcosa di diverso, in lui, almeno in apparenza. La baciò come sempre, le sorrise, appese il cappello e s'informò per sapere se tutto era andato bene, durante la sua assenza. Insomma, un Arnold perfettamente normale. Quasi.

Caroline aveva imparato a notare certe piccole cose, e si accorgeva che nel fare di lui c'era qualcosa di vagamente "accelerato".

Quanto bastava per mostrare all'occhio esperto di lei che i nervi erano in tensione.

- È successo qualcosa? - gli domandò.

- Dopodomani sera avremo un ospite a cena, Caroline. Ti dispiace?

- No, figurati. È una persona che conosco già?

- No. È un nuovo arrivato. Un giovane assistente. Sono stato a parlare con lui. - D'improvviso Potterley si girò verso la moglie e l'afferrò per le braccia; le strinse un momento i gomiti, poi li lasciò andare, confuso, come sconcertato per aver avuto un momento di emozione.

- Quasi non riuscivo a farmi capire da quel ragazzo. Pensa un po'! è terribile, terribile, il modo come ci siamo piegati tutti sotto il giogo; l'attaccamento, che abbiamo, per il basto che ci portiamo sulle spalle.

La signora Potterley non era ben sicura di capire, ma da un anno vedeva suo marito diventare via via più ribelle; farsi di volta in volta più audace nelle sue critiche all'indirizzo del governo. - Non gli avrai fatto discorsi strampalati, spero - disse.

- In che senso, strampalati? Si occuperà un po' di neutrinica, per conto mio.

"Neutrinica" per la signora Potterley, era un nonsenso di quattro sillabe; ma le era chiaro, in ogni modo, che non aveva niente a che fare con la storia. - Arnold - protestò, debolmente - non mi piace che tu faccia certe cose. Perderai la tua posizione. E...

- È anarchia intellettuale, mia cara. Era questo che volevi dire, vero? Benissimo. Sono un anarchico. Se il governo non vuole permettermi di approfondire le mie ricerche, le approfondirò per conto mio. E quando avrò mostrato la strada, altri seguiranno... Se poi non la seguono, non fa nessuna differenza. È Cartagine che conta, e la conoscenza umana, non tu e io.

- Ma tu questo giovanotto non lo conosci. Metti che sia un agente del Commissario delle Ricerche?

- È poco probabile, ma correrò questo rischio. - Serrò la destra a pugno e la strofinò contro il palmo della sinistra. - È dalla mia, ormai. Ne sono certo. Non può fare a meno d'esserlo. So riconoscere la curiosità intellettuale, la vedo negli occhi di una persona, gliela leggo in faccia, in tutto l'atteggiamento, e per uno scienziato addomesticato è una malattia fatale. Perfino al giorno d'oggi ci vuole tempo per estinguerla, in un individuo, e i giovani sono vulnerabili... Oh, perché fermarsi davanti agli ostacoli? Perché non costruirci da noi il nostro cronoscopio e dire al governo che vada a...

S'interruppe bruscamente, scosse la testa e si allontanò.

- Speriamo che tutto vada bene - disse la signora Potterley, disperatamente certa che tutto sarebbe andato malissimo e spaventata, in anticipo, per la posizione accademica del marito e per la sicurezza della loro vecchiaia.

Era la sola, di tutti loro, ad avere un forte presentimento di guai. Sbagliava nel prevedere il genere di guai, naturalmente.

 

Jonas Foster era in ritardo di circa mezz'ora nell'arrivare a casa di Potterley, fuori del villaggio universitario. Fino a quella sera stessa, non aveva ancora deciso se sarebbe andato o meno. Poi, all'ultimo momento, aveva compreso di non poter commettere l'enormità sociale di disdire un appuntamento a cena un'ora prima di quella fissata. Senza contare, poi, il tarlo della curiosità.

La cena in sé risultò interminabile. Foster mangiava senza appetito. La signora Potterley era lontana e assorta; emerse da quello stato una sola volta, per domandare al giovane se era sposato e per fare un lieve verso di deplorazione nel sentire che non lo era. Quanto al dottor Potterley, s'informava in tono neutro della sua storia professionale e assentiva, compunto.

Tutto era posato, noioso - barboso, a dirla francamente - come più non sarebbe stato possibile.

Sembra un tipo così innocuo, pensava Foster.

Foster aveva passato gli ultimi due giorni a documentarsi sul dottor Potterley. Senza darlo a vedere, s'intende, quasi furtivamente. Non ci teneva troppo a farsi vedere nella Biblioteca di Scienze Sociali. La storia, veramente, era un po' una materia di confine, e i libri storici spesso erano letti per divertimento o per edificazione dal pubblico in generale. Tuttavia, un fisico non era esattamente "pubblico in generale". Se Foster si fosse dato alle letture storiche, subito sarebbe stato considerato un tipo strano, c'era da giurarlo, e dopo un po' il Capo del Dipartimento si sarebbe domandato se il nuovo assistente era davvero "l'uomo adatto al posto che occupava".

Così, era stato molto cauto. Si metteva sempre a sedere negli angoli più appartati e teneva la testa china quando entrava o usciva di là, alle ore più disparate.

Il dottor Potterley, aveva appurato, era autore di tre libri e di un buon numero di articoli sulle antiche civiltà mediterranee, e gli ultimi articoli (pubblicati sui Quaderni di Storia) trattavano tutti della Cartagine pre-romana, trattandola da un punto di vista troppo personale.

Questo, se non altro, collimava con la versione di Potterley e aveva in qualche modo sopito i sospetti di Foster... E tuttavia Foster sentiva che sarebbe stato molto più saggio, molto più prudente, aver troncato la cosa sul nascere.

Uno scienziato non dovrebb'essere mai troppo curioso, pensava, amaramente insoddisfatto di sé. È un lato pericoloso, questo.

Dopo cena, venne introdotto nello studio di Potterley, e sulla soglia si arrestò, trasecolato. Le pareti erano praticamente rivestite di libri.

Non semplici film. C'erano i film, naturalmente, ma erano superati di gran lunga dai libri: volumi stampati su carta. Non avrebbe mai pensato che esistessero ancora tanti libri e così in buono stato.

La scoperta preoccupava Foster. Perché una persona doveva desiderare di tenere in casa tutti quei libri? Senza dubbio erano tutti disponibili nella biblioteca dell'università o, alla peggio, presso la Biblioteca del Congresso, se proprio uno desiderava prendersi il piccolo fastidio di controllare l'esattezza di un microfilm.

C'era un elemento di segretezza, nel concetto di biblioteca privata. La cosa sapeva di anarchia intellettuale. Quell'ultimo pensiero, chissà perché, rassicurò Foster. Preferiva che Potterley fosse un anarchico autentico piuttosto che un agent provocateur intento a recitare una parte.

E, da quel momento, le ore cominciarono a passare con sorprendente rapidità

- Vede - spiegò Potterley, con voce chiara e per niente emozionato - Sì trattava di trovare, se possibile, qualcuno che, nel suo lavoro, avesse per caso usato il cronoscopio. Naturalmente, non potevo chiederlo apertamente, poiché sarebbe stata una ricerca non autorizzata.

- Già - convenne Foster in tono asciutto. Era un po' sorpreso che l'altro si fosse fermato davanti a una considerazione così secondaria.

- Ho usato metodi indiretti...

E come, se li aveva usati. Foster era impressionato dal volume di corrispondenza, riguardante piccoli punti controversi dell'antica cultura, che in ogni risposta riusciva in qualche modo a strappare precisazioni tipo: - Naturalmente, non avendo mai fatto uso della cronoscopia... - oppure - In attesa dell'approvazione della mia richiesta di dati cronoscopici, che al momento appare poco probabile...

- Ora, questi quesiti non sono buttati là così alla cieca - disse Potterley. - Esiste un fascicoletto, pubblicato mensilmente dall'Istituto di Cronoscopia, in cui si stampano fatti riguardanti il passato e verificati grazie all'esame visivo del tempo. Uno o due fatti alla volta.

"Quello che mi colpì, fin da principio, fu la banalità della maggior parte di quegli esempi, la loro insulsaggine. Perché ricerche del genere dovevano ottenere la priorità rispetto al mio lavoro? Così, ho scritto a persone che mi sembravano le più indicate per condurre ricerche nel senso descritto da quella pubblicazione. Tutte senza eccezione, come le ho dimostrato, non avevano fatto uso del cronoscopio. Ora, rivediamo la cosa punto per punto."

Alla fine Foster, con la mente zeppa di particolari accuratamente raccolti da Potterley, domandò: - Ma perché?

- Non lo so il perché - rispose Potterley - ma ho una mia teoria. L'invenzione originale del cronoscopio fu opera di Sterbinski - come vede, almeno questo lo so - e ottenne vasta pubblicità. Ma poi il governo s'impadronì dell'apparecchio e decise di impedire ulteriori ricerche in quel campo o l'uso indiscriminato di tale strumento. La gente, però, si sarebbe potuta mettere in curiosità di fronte al fatto che non veniva usato. La curiosità è un vizio inveterato, dottor Foster.

Già, convenne in cuor suo il fisico.

- Pensi un po' all'efficacia, allora - continuò Potterley - di asserire che il cronoscopio veniva usato normalmente. Da oggetto di mistero, l'apparecchio si sarebbe trasformato in cosa di ordinaria amministrazione. Non avrebbe più suscitato curiosità legittime o solleticato curiosità illecite.

- Lei, però, si è incuriosito - obiettò Foster.

Potterley si mostrò un po' innervosito. - Nel mio caso, era diverso - scattò. - Ho per le mani del lavoro che deve essere fatto, e non potevo certo adattarmi al modo ridicolo con cui quei signori menavano il can per l'aia.

è un tantino paranoico, per giunta, pensò cupamente Foster.

D'altra parte, paranoico o no, aveva messo il dito sulla piaga. Foster non poteva più negare che c'era qualcosa di poco chiaro nella faccenda della neutrinica.

Ma a che cosa mirava, Potterley? Foster ancora non si raccapezzava. Se Potterley non intendeva mettere alla prova l'etica di Foster, che cosa poteva volere?

Foster cercò di aiutarsi con la logica. Se un anarchico intellettuale, con un tocco di paranoia, voleva usare un cronoscopio ed era convinto che il "potere" facesse di tutto per impedirglielo, in che modo poteva reagire?

Supponiamo che io fossi al suo posto, pensò. Che cosa farei?

Lentamente, domandò: - Possibile che il cronoscopio non esista affatto?

Potterley trasalì. Fu come se nella sua compostezza generale si aprisse una crepa. Per un attimo, Foster poté cogliere un guizzo di qualcosa che non era affatto tranquillità

Ma lo storico conservò il suo equilibrio e disse: - Oh, no, deve esserci un cronoscopio

- Perché? L'ha visto, lei? L'ho forse visto, io? Potrebb'essere questa la spiegazione di tutto. Forse non è vero che vogliono impedirle l'uso di un oggetto di cui sono in possesso. Cercano di menare il can per l'aia, come dice lei, perché il cronoscopio non ce l'hanno.

- Ma Sterbinski è pur vissuto. Ha pure costruito un cronoscopio. Questi sono fatti, scusi.

- Questo è quello che dicono i libri fece notare freddamente Foster.

- Mi stia a sentire. - Potterley si protese verso il giovane e l'afferrò per una manica della giacca. - Ho bisogno del cronoscopio. Devo averlo, capisce? Non mi dica che non esiste. Quello che dobbiamo fare è di approfondire la conoscenza della neutrinica quanto basta per essere in grado...

Qui Potterley s'interruppe, bruscamente.

Foster liberò la manica. Non aveva bisogno che l'altro terminasse la frase. Fornì egli stesso la conclusione. - Costruirne uno tutto per noi? - disse.

Potterley fece una faccia strana, come se avesse preferito che il concetto non venisse espresso a chiare note. Ciò nonostante, replicò: - Perché no?

- Perché è fuori questione - disse Foster. - Se le mie informazioni sono esatte, Sterbinski spese vent'anni per costruire il suo apparecchio e svariati milioni per procurarsi il cumulo di autorizzazioni necessarie. Pensa che noi due potremmo rifare clandestinamente un lavoro di quel genere? Supponiamo pure che ne avessimo il tempo, e non l'abbiamo, e supponiamo ch'io potessi imparare tutto quello che occorre dai libri, del che dubito; dove andremmo a prendere il denaro e le attrezzature? Lei dimentica che il cronoscopio occupa qualcosa come un edificio di cinque piani, santo cielo!

- Allora non vuole aiutarmi?

- Be', le dirò quello che posso fare per lei. Forse dispongo di una via per riuscire ad appurare qualcosa...

- Quale sarebbe? - domandò subito Potterley.

- Lasciamo stare, non è importante. Però può darsi che mi riesca di scoprire quanto basta per dirle se il governo sta deliberatamente sopprimendo la ricerca cronoscopica. Forse le darò conferma delle prove che ha già, o forse potrò dimostrarle che si basa su indizi sbagliati. In un caso o nell'altro, non so quale utilità potrà trarne, ma non posso fare più di così. È il massimo.

Alla fine, Potterley accompagnò l'ospite alla porta. Era furibondo con se stesso. Perché si era lasciato andare al punto da far capire a Foster che stava addirittura pensando a costruirsi un cronoscopio tutto per sé? Era prematuro.

E perché quell'idiota, poi, aveva azzardato l'ipotesi che il cronoscopio non esistesse affatto?

Doveva esistere! Per forza! A che scopo insinuare che forse non esisteva?

E perché non era possibile costruirne un secondo? In cinquant'anni, da quando cioè Sterbinski aveva completato l'invenzione, la scienza aveva fatto progressi. L'essenziale era sapere com'era fatto.

Non c'era che dar modo al giovanotto di mettere insieme le prime nozioni. Pensasse pure, per il momento, di non poter fare più di così. Una volta imboccato il sentiero dell'anarchia, non gli sarebbe stato facile tornare indietro. Se anche il ragazzo non fosse stato spinto a continuare da qualcosa che aveva in sé, i primi passi sarebbero stati un errore sufficiente per costringerlo a proseguire su quella via. Potterley sentiva, quasi con certezza, che non avrebbe esitato a usare il ricatto.

Inviò all'ospite un ultimo saluto con la mano e guardò in su. Cominciava a piovere.

Sicuro! Il ricatto, se necessario... ma non si sarebbe lasciato fermare!

 

Foster guidava attraverso la squallida periferia della città e quasi non si accorgeva della pioggia.

Ripeteva a se stesso che era un idiota, ma che non poteva lasciare le cose come stavano. Doveva sapere. Malediceva la sua vena di indisciplinata curiosità ma... doveva sapere.

Intendiamoci, non sarebbe andato più in là di zio Ralph. Giurava a se stesso, solennemente, che là si sarebbe fermato. In tal modo, contro di lui non vi sarebbe stata alcuna prova, nessun indizio concreto. Zio Ralph non avrebbe commesso indiscrezioni.

Sotto un certo aspetto, lui si vergognava segretamente dello zio Ralph. Non l'aveva nominato, con Potterley, un po' per prudenza, un po' perché non ci teneva a vedere il sopracciglio inarcato, l'inevitabile mezzo sorriso. Gli scrittori di professione di cose di scienza, per quanto utili, restavano un po' al di fuori della cerchia, per così dire, venivano considerati con una sorta di compatimento, quasi di disprezzo. Il fatto che, come categoria, guadagnassero molto di più dei veri ricercatori, non faceva che peggiorare le cose, si capisce.

Tuttavia, c'erano occasioni in cui uno scrittore di scienza, in famiglia, poteva fare molto comodo. Non essendo veramente istruiti, non si specializzavano. Di conseguenza, un bravo scrittore di scienza sapeva praticamente di tutto... E lo zio Ralph era uno dei migliori.

 

Ralph Nimmo non aveva un titolo di studio, del che era piuttosto orgoglioso. "Un diploma" aveva detto una volta a Jonas Foster, quando entrambi erano molto più giovani "è il primo passo giù per una china rovinosa. Non vuoi sprecarlo, perciò ti iscrivi all'università, ti laurei e, naturalmente, ti specializzi. E di questo passo ti ritrovi ad essere un perfetto ignorante su tutto tranne che per una scheggia suddivisionale di qualcosa, ossia di niente.

"Se, al contrario, custodisci con cura la tua mente mantenendola sgombra di qualsiasi ingorgo di dati fino ad avere raggiunto una maturità, colmandola soltanto di intelligenza e addestrandola unicamente a pensare con chiarezza, ecco che ti ritrovi in possesso di uno strumento potente e puoi diventare uno scrittore di scienza."

Nimmo aveva ricevuto il suo primo incarico a venticinque anni, dopo avere completato il suo apprendistato e dopo neppure tre mesi di pratica. Gli era arrivato sotto forma di manoscritto denso e grumoso, il cui linguaggio non avrebbe impartito un barlume di comprensione neppure al lettore più qualificato, se non dopo un attento studio e un ispirato lavoro di congettura. Nimmo l'aveva smontato e rimesso insieme di sana pianta (dopo cinque lunghe ed esasperanti sedute con gli autori, che erano biofisici), rendendo il linguaggio svelto ed espressivo e levigandone lo stile così da dargli una gradevole scorrevolezza.

"Perché no?" diceva con fare tollerante al nipote, che opponeva alle sue critiche nei riguardi dei titoli di studio l'accusa di volersi mantenere ai confini della scienza. "Ma il confine è importante. I tuoi scienziati non sanno scrivere. Come pretendere che sappiano farlo, del resto? Nessuno si aspetta che siano campioni di scacchi o virtuosi di violino, perciò perché aspettarsi che sappiano mettere insieme le parole? Perché non lasciare anche questo agli specialisti?

"Santo cielo, Jonas, prova a leggere i testi di cento anni fa. Sconta pure il fatto che si tratta di scienza superata, ormai, e che alcune di quelle espressioni non si usano più. Cerca soltanto di leggere e di cavare un senso. Vedrai, è confusionario, dilettantesco. Ci sono pagine pubblicate inutilmente; interi articoli che sono assolutamente incomprensibili."

"Ma tu non ottieni nessun riconoscimento, zio Ralph" protestava il giovane Foster, che si preparava a iniziare i suoi studi universitari ed era pieno di illusioni, in proposito. "Eppure saresti stato un ricercatore straordinario."

"Lo ottengo, sì, il riconoscimento" diceva Nimmo. "Non credere che non lo ottenga. D'accordo, un biochimico o uno strato-meteorologo fanno mostra di guardarmi dall'alto, però mi pagano profumatamente. Prova un po' a sentire che cosa succede quando qualche chimico rinomato scopre che la Commissione gli ha diminuito l'assegno annuale per le spese di stesura. Si impegnerà a fondo per procurarsi i fondi necessari a permettersi me, o qualcuno come me, anziché farsi assegnare uno ionografo per registrare."

Sorrideva al nipote, allegramente, e Jonas Foster sorrideva di rimando. In realtà, Jonas era orgoglioso del suo panciuto zio, dalla faccia rotonda e dalle dita a spatola, che per vanità tentava di coprire con i pochi richiamati il deserto del suo cranio e andava vestito come un pagliaio mezzo sfatto perché quella negligenza era il suo marchio di fabbrica. Sì, Foster si vergognava un po' dello zio, ma al tempo stesso ne era orgoglioso.

Ora, Foster fece irruzione nell'appartamento in disordine di suo zio, ma non era certo in vena di sorridere. Era più vecchio di nove anni, ora, e lo era anche zio Ralph. Per altri nove anni, lavori e saggi di ogni ramo della scienza erano passati per le sue mani per essere limati e riscritti, e un po' di ciascuno di quei lavori era penetrato nella sua capace mente.

Nimmo stava mangiando un grappolo d'uva, ficcandosi i chicchi in bocca uno alla volta. Gettò un grappolo a Foster, che l'afferrò al volo, poi si chinò a raccattare alcuni chicchi che si erano staccati ed erano finiti per terra.

- Lascia, lascia. Non preoccuparti - disse con noncuranza Nimmo. - Un volta alla settimana viene una donna a fare le pulizie. Che c'è? Sei in difficoltà per la stesura della tua domanda di autorizzazione?

- Ancora non sono arrivato a questo.

- No? Sbrigati, figliolo. Stai aspettando che mi offra di darle il tocco finale?

- Non potrei permettermi un artista come te, zio Ralph.

- Oh, andiamo. È tutto in famiglia. Garantiscimi tutti i diritti di pubblicazione divulgativa e non dovrai tirar fuori un centesimo.

Foster assentì. - Se dici sul serio, affare fatto.

- Affare fatto, certo.

Era un rischio per Ralph, naturalmente, ma Foster conosceva abbastanza bene le capacità di scrittore di scienza di Nimmo per rendersi conto che, in certi casi, poteva essere un affare d'oro. Certe scoperte sensazionali di pubblico interesse sull'uomo primitivo, o su una nuova tecnica chirurgica, oppure su una branca qualsiasi della spazionautica potevano trasformarsi in un servizio molto molto rimunerativo in uno qualsiasi dei mezzi di comunicazione di massa.

Era stato Nimmo, per esempio, a rielaborare, per uso scientifico, la serie di saggi di Bryce e collaboratori che illustrava la struttura interessantissima di due virus del cancro, incarico per il quale aveva chiesto il compenso addirittura risibile di millecinquecento dollari, purché fossero inclusi tutti i diritti di pubblicazione popolare. Poi aveva riscritto lo stesso lavoro, in esclusiva, in forma semidrammatica da rappresentarsi sul video tridimensionale: aveva ricevuto un anticipo di ventimila dollari più i diritti di noleggio, che stavano ancora arrivando a distanza di cinque anni.

Foster domandò, andando dritto allo scopo: - Zio, quanto ne sai di neutrinica?

- Di neutrinica? - Gli occhi piccini di Ralph Nimmo avevano un'espressione sorpresa. - Ma ti occupi di questo? Credevo si trattasse dell'ottica pseudo-gravitica.

- Mi occupo di o.p.g., infatti. Ma in questo momento mi sto interessando di neutrinica.

- Be', non mi sembra una cosa ben fatta. Stai andando fuori binario. Lo sai anche tu, vero?

- Spero che non mi denuncerai alla Commissione solo perché m'è venuta una piccola curiosità.

- Forse dovrei farlo, prima che tu vada a cacciarti in qualche guaio. La curiosità rappresenta un pericolo, per gli scienziati. Ho visto tanti casi, io. Uno studioso si muove tranquillamente lungo un problema, poi la curiosità lo induce a seguire un viottolo imprevisto. E così, senza sapere com'è stato, si ritrova ad aver fatto poco o niente per la sua ricerca vera e propria, a non sapere come giustificare una richiesta di rinnovo del progetto. Ho visto più...

- Io voglio sapere soltanto - spiegò pazientemente Foster - che cosa ti è passato tra le mani, ultimamente, sulla neutrinica.

Nimmo si appoggiò all'indietro, masticando pensosamente alcuni chicchi. - Niente. Mai niente. Non ricordo d'avere mai riscritto lavori di neutrinica.

- Come! - Foster era sinceramente stupefatto. - E chi se ne occupa, allora?

- Ora che me lo domandi - disse Nimmo - non lo so. Non ricordo che qualcuno ne abbia mai parlato, alla convenzione annuale. Credo che non si faccia quasi niente, in quel campo.

- Perché?

- Ehi, non scaldarti in quel modo! Io non ho fatto niente. Così a occhio e croce, direi...

- Non lo sai, insomma? - Foster era esasperato.

- Senti, ora ti dico tutto quello che so io di neutrinica. Riguarda le applicazioni del movimento dei neutrini e le forze che ne conseguono...

- Certo. Proprio come l'elettronica tratta delle applicazioni del movimento degli elettroni e delle forze che ne conseguono, e la pseudo-gravitica tratta delle applicazioni dei campi gravitazionali artificiali. Non sono venuto da te per questo. È tutto qui quello che sai?

- E inoltre - disse Nimmo, senza scomporsi - È la base dell'analisi visiva del tempo, e questo è tutto quello che so.

Foster si lasciò cadere in poltrona e prese a massaggiarsi una guancia scarna con aria di grande concentrazione. Si sentiva rabbiosamente insoddisfatto. Senza formularlo in modo esplicito nella propria mente, aveva covato la certezza che, in un modo o nell'altro, Nimmo gli avrebbe citato qualche rapporto recente, gli avrebbe indicato lati interessanti della moderna neutrinica, lo avrebbe rimandato da Potterley in grado di dire che l'anziano storico si sbagliava, che si era basato su dati inesatti, che aveva tirato conclusioni sbagliate.

Poi, avrebbe potuto tornarsene al suo vero lavoro.

Così, invece...

E va bene, disse rabbiosamente a se stesso, non stanno conducendo molte ricerche in quel campo. Basta, questo, a parlare di soppressione deliberata? E se la neutrinica fosse realmente una disciplina sterile? Può darsi che lo sia. Io non lo so. Potterley meno che mai. Perché sprecare le risorse intellettuali dell'umanità per niente? Oppure, i lavori potrebbero essere tenuti segreti per qualche ragione più che legittima. Potrebbe darsi...

Il guaio era che... doveva saperlo! Non poteva lasciare le cose così come stavano. Non poteva, no!

- Esiste un testo di neutrinica, zio Ralph? - domandò. - Un testo chiaro e semplice, voglio dire. Un testo elementare.

Nimmo rifletteva, gonfiando le guance grassocce in una serie di sospiri scoppiettanti. - Fai certe domande, tu! Il solo che abbia mai sentito nominare era di Sterbinski e... e Vattelapesca. Non l'ho mai visto, ma una volta ho revisionato qualcosa dove se ne parlava. Sterbinski e La Marr, ora mi ricordo.

- Sarebbe quello Sterbinski che ha inventato il cronoscopio?

- Penso di sì. Il che ci dice che il libro dovrebbe essere buono.

- C'è un'edizione recente? Sterbinski è morto circa trent'anni fa.

Nimmo si strinse nelle spalle, senza rispondere.

- Puoi saperlo?

Rimasero qualche istante in silenzio, mentre Nimmo spostava la sua mole, facendo cigolare il divano sul quale era seduto. Poi, lo scrittore di scienza osservò: - Non faresti meglio a spiegarmi di che si tratta?

- Non posso. Mi aiuterai ugualmente, zio Ralph? Puoi procurarmi una copia di quel testo?

- Bene. Tutto quello che so di pseudo-gravitica sei stato tu a insegnarmelo. Devo essertene grato. Facciamo così: ti aiuterò, ma a una condizione.

- Quale?

Il più anziano assunse improvvisamente un tono molto serio. - Che sarai prudente, Jonas. È chiaro che stai uscendo dai binari, qualsiasi cosa tu stia facendo. Non buttare all'aria la tua carriera soltanto perché sei curioso su un argomento che non ti è stato assegnato, e che non è affar tuo. Capito?

Foster assentì, ma non aveva nemmeno ascoltato. Stava pensando intensamente.

Una settimana più tardi, Ralph Nimmo portò la sua mole tondeggiante fino all'alloggetto di due stanze che Jonas Foster occupava al villaggio universitario e annunciò, in un rauco bisbiglio: - Ho qui una cosa.

- Cos'è? - Foster si era fatto immediatamente ansioso.

- Una copia dello Sterbinski e La Marr - La sfilò, o per meglio dire ne fece sporgere un angolino, dalla tasca del suo ampio soprabito.

 

Quasi automaticamente, Foster sbirciò porta e finestre per assicurarsi che fossero chiuse o protette da tende, poi tese la mano.

La scatola del film era mezzo sconquassata dal tempo e, quand'egli l'aprì, ne uscì una pellicola sbiadita e friabile. - Tutto qui? - disse, in tono brusco.

- Gratitudine, ragazzo mio, gratitudine! - Nimmo si mise a sedere, borbottando, e si frugò in tasca per prendere una mela.

- Oh, ti sono grato, certo ma... È talmente vecchio!

- Cara grazia avere trovato quello. Ho tentato di procurarmi qualcosa di meglio presso la Libreria del Congresso. Niente da fare. Per quel libro occorreva un permesso speciale.

- E questo allora dove te lo sei procurato?

- L'ho rubato. - Nimmo addentava e masticava la polpa tutt'intorno al torsolo. - Dalla Biblioteca Pubblica di New York.

- Come hai fatto?

- Semplicissimo. Avevo accesso agli scaffali, s'intende. Così, ho approfittato di un momento in cui non c'era nessuno, ho scavalcato la catena che isolava un settore e sono venuto via di là con questo. Sono molto fiduciosi, per fortuna. Ci vorranno anni, credo, prima che si accorgano della scomparsa... Però mi raccomando, nipote: non far vedere a nessuno che ce l'hai tu.

Foster fissava la pellicola come se scottasse.

Nimmo gettò il torsolo rosicchiato ed estrasse dalla tasca una seconda mela. - Certo, è strano. Non esiste niente di più recente, nell'intero campo della neutrinica. Non una monografia, non un articolo... niente, nemmeno una nota. Non una sola riga, da quando è stato inventato il cronoscopio.

- Hmm - mugolò Foster, con aria assente.

 

Foster lavorava di sera, in casa di Potterley. Non poteva fidarsi delle sue due stanzette al villaggio universitario, per quello scopo. Quel lavoro serale diventava a poco a poco più importante, per lui, delle proprie domande di specializzazione.

Da principio, il lavoro consisteva unicamente nel vedere e rivedere il testo filmato. In un secondo momento, si trattò più che altro di pensare (a volte mentre una sezione del libro scorreva sul proiettore tascabile, completamente dimenticata).

Talvolta, Potterley veniva a osservare, a sedersi accanto al giovane, per fissarlo ansiosamente, come se si aspettasse che i processi mentali di questo si solidificassero e diventassero visibili in tutte le loro sinuosità. Interferiva in due modi soltanto: non permetteva a Foster di fumare e qualche volta parlava.

Non erano mai tentativi di fare conversazione ma, piuttosto, un monologo che si svolgeva a voce sommessa, e con il quale, si sarebbe detto, egli quasi non si aspettava di imporre l'attenzione.

Più che altro, era come se Potterley intendesse scaricare una pressione interna.

Cartagine! Sempre Cartagine!

Cartagine, la New York dell'antico Mediterraneo. Cartagine, impero commerciale e regina dei mari. Cartagine, tutto quello che pretendevano d'essere Siracusa e Alessandria. Cartagine, calunniata dai nemici e muta in propria difesa.

Era stata sconfitta una volta dai romani e poi cacciata dalla Sicilia e dalla Sardegna, ma era riuscita a recuperare abbondantemente le sue perdite estendendo il suo dominio in Spagna e, con Annibale, aveva dato ai romani sedici anni di terrore.

Alla fine, aveva perso una seconda volta, si era rassegnata al proprio destino e, sia pure con mezzi ridotti, si era ricostruita un'esistenza zoppicante entro un territorio rattrappito, riuscendoci così bene che Roma, gelosa, l'aveva trascinata di proposito in una terza guerra. Al che Cartagine, con le sue sole mani e con la sua tenacia, si era armata di nuovo e aveva costretto Roma a lottare per ben due anni, in una guerra che era terminata soltanto con la distruzione completa della città, i cui abitanti preferivano perire tra le fiamme delle loro case piuttosto che arrendersi.

- Poteva mai la gente lottare così per una città e per un sistema di vita grami come gli antichi scrittori li descrivevano? Annibale è stato grande come mai nessun generale romano e i suoi soldati gli erano fedelissimi. Perfino i nemici più acerrimi avevano parole di lode per lui. Eppure, era cartaginese. È di moda dire che si trattava di un cartaginese atipico, migliore degli altri, una specie di gemma finita tra la spazzatura. Ma allora perché era così fedele a Cartagine, fedele fino alla morte, anche dopo anni di esilio? Parlano di Moloch...

Non sempre Foster ascoltava ma, qualche volta, non poteva farne a meno; e allora rabbrividiva e si sentiva morire al sanguinario racconto di quei sacrifici di bambini.

Ma Potterley, serio serio, aggiungeva: - Eppure, mi creda, non è vero. È soltanto una frottola fabbricata duemilacinquecento anni fa dai greci e dai romani. Loro avevano gli schiavi, le crocifissioni, le torture, le lotte tra gladiatori. Erano tutt'altro che stinchi di santi. La storia di Moloch è proprio quello che, in secoli più recenti, sarebbe stata definita propaganda di guerra: una menzogna spudorata. Ma io posso provare che era una calunnia. Posso provarlo e, perdiana, lo farò... lo farò...

E Potterley, nel suo fervore, biascicava ripetutamente tra sé quella promessa.

Anche la signora Potterley veniva a trovarlo, ma meno di frequente, in genere nelle sere del martedì e del giovedì, quando il dottor Potterley teneva dei corsi serali e di conseguenza non era presente.

Si metteva a sedere buona buona, quasi senza dire una parola, la faccia flaccida e bianca come il gesso, gli occhi inespressivi, tutto l'atteggiamento distante e assorto.

La prima volta, un po' a disagio, Foster aveva cercato di invogliarla ad andarsene.

- La disturbo? - aveva domandato lei, con voce incolore.

- Oh, no, le pare - aveva mentito Foster, sulle spine. - Solo che... ecco... - Non era riuscito a completare la frase.

Lei aveva assentito, come se stesse accettando un invito a restare. Poi aveva aperto una borsa di lavoro che aveva portato con sé, ne aveva tolto alcuni fogli di vitron e aveva cominciato a tesserli insieme con rapidi, delicati movimenti, per mezzo di un paio di sottili depolarizzatori, i cui fili alimentati a batteria creavano l'impressione che lei stesse reggendo un grosso ragno.

Una sera, la signora Potterley osservò, sottovoce: - Mia figlia, Laurel, ha la sua età.

Foster trasalì, tanto per il suono improvviso di quelle parole che per il loro significato. - Non sapevo che avesse una figlia, signora Potterley - disse.

- È morta. Anni fa.

Il vitron, sotto l'esperta manipolazione di lei, cresceva, trasformandosi in un indumento che Foster non era ancora riuscito a riconoscere dalla forma ancora irregolare. Al giovane non era rimasto che mormorare, stupidamente: - Mi dispiace.

La signora Potterley sospirò. - Sogno spesso di lei. - E gli alzò in faccia gli occhi azzurri, assenti.

Foster trasalì e distolse lo sguardo.

Un'altra sera, lei domandò, tirando uno dei fogli di vitron che tendeva ad appiccicarlesi all'abito: - Che cos'è, esattamente, l'esame del tempo?

Quelle parole irruppero in una catena di pensieri particolarmente complessa, e Foster replicò, un po' sbrigativo: - Può spiegarglielo anche il dottor Potterley.

- Ha tentato. Mio Dio, sì. Ma credo che non abbia molta pazienza, con me. Continua a chiamarlo cronoscopia. Si vedono davvero le cose del passato, come su uno schermo tridimensionale? Oppure l'apparecchio emette soltanto degli schemi punteggiati, come quel calcolatore che usa lei?

Foster fissò con disgusto il suo calcolatore tascabile. Funzionava abbastanza bene, ma ogni operazione andava eseguita a mano e i risultati venivano dati in codice. Ora, se avesse potuto usare il calcolatore dell'università... Bah, perché sognare? Sentiva già di dare nell'occhio così, a portarsi via un calcolatore portatile stretto sotto il braccio tutte le sere, nell'uscire dal suo studio.

- Personalmente - disse - non ho mai visto il cronoscopio; ma ho l'impressione che si vedano le immagini e si sentano i rumori, anche.

- Si sente anche la gente parlare?

- Penso di si. - Poi, mezzo disperato: - Senta, signora Potterley, rimanere qui dev'essere tremendamente noioso, per lei. Mi rendo conto che le sembra scortese lasciare un ospite abbandonato a se stesso, ma le assicuro, signora, non deve sentirsi in obbligo di...

- Non mi sento in obbligo - replicò lei. - Me ne sto seduta qui, e aspetto.

- Aspetta? E che cosa aspetta?

Con fare composto, lei spiegò: - Ho ascoltato quello che ha detto la prima sera. La prima volta che ha parlato con Arnold, insomma. Ho origliato.

- Ha origliato...?

- So che non è una cosa ben fatta, ma ero terribilmente in pensiero per Arnold. Qualcosa mi diceva che stava per fare ciò che non doveva fare, e volevo almeno sapere di che si trattava. Poi, quand'ho sentito... - Tacque, chinandosi sul vitron, come per scrutarlo più da vicino.

- Che cos'ha sentito, signora Potterley?

- Che lei non voleva costruire un cronoscopio...

- Be', naturale che non volevo!

-... ho sperato che forse avrebbe cambiato idea.

Foster la fissava con gli occhi fuori della testa. - Se ho ben capito lei viene qui con la speranza che io costruisca un cronoscopio? Aspetta che io ne costruisca uno?

- Spero proprio che lo faccia, dottor Foster. Lo spero tanto.

Era come se, all'improvviso, un velo opaco le fosse caduto dalla faccia, lasciandole tutti i lineamenti nitidi e ben delineati, ridandole il colore alle guance, una scintilla di vita nello sguardo, e nella voce le vibrazioni di qualcosa che assomigliava a uno stato di animazione.

- Non sarebbe meraviglioso averne uno? - bisbiglia. - La gente del passato potrebbe rivivere. Re, faraoni e... la gente, la gente normale. Spero che lei riesca a costruirlo, dottor Foster. Sapesse, quanto me lo auguro...

Soffocata dall'intensità delle sue stesse parole, lasciò scivolare dalle ginocchia i fogli di vitron. Si alzò e corse su per la scaletta dello scantinato, mentre gli occhi di Foster seguivano la goffa persona di lei in fuga con uno sguardo di meraviglia e di costernazione.

 

Il lavoro incideva sempre più a fondo nelle notti di Foster e lo lasciava insonne e penosamente irrigidito nel pensiero. Era quasi un'indigestione mentale.

Le sue domande di autorizzazione vennero finalmente affidate, molto zoppicanti, a Ralph Nimmo. Confusamente, Foster pensava: "Non saranno accettate".

Se fossero state respinte, naturalmente, la cosa avrebbe provocato uno scandalo al dipartimento e, probabilmente, alla fine dell'anno accademico, l'università non gli avrebbe rinnovato l'incarico.

Sì e no se ne preoccupava. Pensava al neutrino, al neutrino, solo e unicamente al neutrino, la cui traccia descriveva brusche curve e sterzate, trascinandolo ansante lungo sentieri inesplorati, che nemmeno Sterbinski e La Marr avevano seguito.

Telefonò a Nimmo. - Zio Ralph, mi servono alcune cose. Ti telefono da fuori, non dal villaggio universitario.

La faccia di Nimmo era gioviale, sul video dell'apparecchio, ma la sua voce era severa. - Hai bisogno di un corso sull'arte di comunicare, questo sì. Sto sudando sette camicie per mettere la tua domanda in forma intelligibile. Se è per questo che mi telefoni...

Foster scuoteva la testa con impazienza. - No, no, non è per questo. Ecco che cosa mi serve. - Scrisse qualcosa in fretta su un pezzo di carta, che poi mostrò, tenendolo davanti al ricevitore.

Nimmo fischiò. - Di', ma di quanti miracoli mi credi capace, tu?

- Sono cose che puoi procurarmi, zio Ralph. Lo so che puoi.

Nimmo rilesse la lista con silenziosi movimenti delle labbra carnose. Si era fatto serio.

- Cos'accadrà, una volta che avrai messo insieme queste cose? - domandò.

Foster scosse la testa. - Avrai i diritti esclusivi per la pubblicazione divulgativa di quello che eventualmente salterà fuori, come sempre. Ma ti prego, per ora non farmi domande.

- Ti ripeto, non posso fare miracoli.

- Questo puoi farlo. Devi riuscirci. Sei uno scrittore di scienza, non un ricercatore. Non devi rendere conto di niente. Hai amicizie e relazioni d'ogni genere. Tutta gente disposta a chiudere un occhio, vero, pur di avere un aiuto da te la prossima volta che dovranno pubblicare qualcosa?

- La tua fiducia in me, nipote, è commovente. Proverò.

 

Nimmo riuscì. Il materiale e tutta l'attrezzatura vennero trasportati a casa Potterley una sera a ora tarda, con una vettura privata. Nimmo e Foster trasportarono dentro il tutto, sbuffando e arrancando, poiché non erano avvezzi agli sforzi fisici.

Potterley si fermò sulla soglia dello scantinato, una volta andato via Nimmo. Pacatamente, s'informa: - A che cosa serve?

Foster si rialzò una ciocca di capelli dalla fronte e si massaggiò piano piano un polso mezzo slogato. - Voglio tentare qualche semplice esperimento - disse.

- Davvero? - Gli occhi dello storico brillavano per l'emozione.

Foster si sentiva sfruttato. Aveva l'impressione d'essere trascinato lungo una strada pericolosa da dita che lo afferravano per il naso; la sensazione di chi vede perfettamente il pericolo che lo aspetta in fondo alla strada, e tuttavia cammina, ostinato e deciso. Quel che era peggio, sentiva che quella stretta autoritaria sul naso partiva da lui medesimo.

 

Era stato Potterley a cominciare, era Potterley che stava là, ora, gongolante; ma l'impulso di agire era suo e di nessun altro.

In tono acre, disse: - Ora avrò bisogno di tranquillità, Potterley. Non posso avere sempre d'intorno lei e sua moglie, a darmi fastidio.

Se si offende, pensava, mi cacci pure fuori. Almeno tutto questo finirà, una buona volta.

Il cuor suo, però, non credeva affatto che l'essere cacciato da quella casa potesse mettere fine alla faccenda.

Del resto, non andò così. Potterley non mostrava affatto d'essere offeso. Il suo sguardo mite era rimasto tale e quale. - Ma certo, certo, dottor Foster - disse subito. - Avrà tutta la tranquillità che desidera.

Foster lo guardò allontanarsi. Ecco che si ritrovava a marciare come prima lungo la strada del pericolo, ostinatamente contento della cosa e furibondo con se stesso per quella contentezza.

Prese l'abitudine di fermarsi a dormire su una branda nel seminterrato dei Potterley e di passare da loro l'intera fine settimana.

Durante quel periodo, arrivò la notizia che le sue richieste di specializzazione (rielaborate da Nimmo) erano state approvate. Il Capo del Dipartimento glielo comunicò e si congratulò con lui.

Foster lo guardò con aria assente e mormorò: - Ah, bene. Mi fa piacere - con così poca convinzione che l'altro aggrottò la fronte e si allontanò, senza aggiungere altro.

Foster non dedicò un istante di più alla notizia dell'approvazione. Era una faccenda secondaria, di nessuna importanza. In progetto aveva qualcosa che contava davvero, un test decisivo da tentare in serata.

Vi dedicò una sera, una seconda, una terza, poi, stanco morto ma quasi fuori di sé per l'agitazione, chiamò Potterley.

Potterley scese subito e si guardò intorno, in mezzo a tutti quei marchingegni fatti in casa. Con la sua voce pacata, osservò: - Le bollette della luce sono molto salate. Non è della spesa che mi preoccupo, ma la cosa potrebbe destare sospetti. Si può rimediare, in qualche modo?

Era una serata calda, ma Potterley indossava tanto di camicia abbottonata e di giacca da casa. Foster, che era in canottiera, sollevò gli occhi arrossati dalla stanchezza e disse con voce tremante: - Non ne avremo per molto, dottor Potterley. L'ho fatta scendere perché devo comunicarle qualcosa. Costruire un cronoscopio è possibile. Piccolo, si capisce, ma è possibile.

Potterley si appoggiò alla ringhiera della scala, come se le gambe non lo reggessero. Riuscì a bisbigliare: - È possibile costruirlo... qui?

- Qui nel seminterrato - confermò Foster, esausto.

- Gran Dio! Lei diceva...

- Lo so, lo so benissimo - scattò Foster, spazientito. - Dicevo che non era possibile. Non sapevo niente, allora. Sterbinski stesso non sapeva niente.

Potterley scuoteva la testa. - Ma è sicuro? è certo di non sbagliarsi, dottor Foster? Non reggerei al colpo se...

- Non mi sbaglio, no. Maledizione, professore, se la sola teoria fosse stata sufficiente, l'invenzione del cronoscopio l'avremmo avuta più di cent'anni fa, quando l'esistenza del neutrino era appena stata postulata. Purtroppo, i primi che se ne occuparono lo consideravano soltanto una particella misteriosa, senza massa o carica, che non poteva essere individuata. Era soltanto qualcosa che serviva a far quadrare i conti e a salvare il principio di conservazione dell'energia.

Non era certo che Potterley capisse di che cosa lui stava parlando. Ma non gliene importava. Aveva bisogno di sfogarsi, di esprimersi a voce alta per alleggerire un poco il groviglio dei suoi pensieri... E doveva in qualche modo preparare il terreno per quello che ancora doveva comunicare a Potterley.

- Fu Sterbinski - riprese - il primo a scoprire che il neutrino irrompeva attraverso la barriera dello spazio-tempo e che viaggiava nel tempo come viaggiava nello spazio. Inventò un registratore neutrinico e imparò il modo di interpretare lo schema della corrente dei neutrini. Naturalmente, il flusso era stato deviato e deformato da tutta la materia che aveva attraversato nel suo passaggio attraverso il tempo, e le deformazioni potevano essere analizzate e convertite in immagini della materia che aveva operato quelle deformazioni. L'analisi visiva del tempo era possibile. Perfino le vibrazioni dell'aria potevano essere individuate nello stesso modo e convertite in suono.

Era evidente che Potterley non ascoltava. - Sì, sì - disse a un tratto - ma quando lei potrà costruire un cronoscopio?

- Mi lasci finire - lo esortò Foster. - Tutto dipende dal metodo usato per individuare e analizzare la corrente dei neutrini. Quello di Sterbinski era complicato e tortuoso. Richiedeva montagne di energia. Ma io ho studiato pseudogravitica, dottor Potterley, la scienza dei campi gravitazionali artificiali. Mi sono specializzato nel comportamento della luce in tali campi. È una scienza nuova. Sterbinski non ne sapeva niente. Se l'avesse conosciuta, avrebbe subito intravisto un metodo migliore e assai più efficiente per individuare i neutrini usando un campo pseudo-gravitico. Se io, all'inizio, avessi saputo qualcosa di più sui neutrini, l'avrei visto subito.

Potterley s'illuminò. - Lo sapevo - disse. - Quelli al governo hanno un bel fermare le ricerche sulla neutrinica, ma non potranno mai impedire che le scoperte di altri settori della scienza si riflettano sulle conoscenze in quella materia. Questo per quanto riguarda le direttive centralizzate della scienza. In ogni modo, dottor Foster, torno a ripeterle che io me l'immaginavo, lo pensavo già da tanto tempo, da prima che lei venisse a lavorare qui.

- E io mi congratulo con lei, per questo - disse Foster - però c'è una cosa...

- Oh, ma non parliamone più. Mi dica, invece, la prego: quando potrà costruire un cronoscopio?

- Sto cercando di dirle qualcosa, dottor Potterley. Un cronoscopio non le servirà proprio a niente. - (Oh, finalmente gliel'ho detto, pensò tra sé Foster.)

Lentamente, Potterley scese gli ultimi gradini, per andare a fermarsi di fronte a Foster. - Che cosa intende dire? In che senso, non mi servirà a niente?

- Non potrà vedere Cartagine. È questo che mi premeva soprattutto di dire. Non potrà mai vedere Cartagine.

Potterley scosse leggermente la testa. - Oh, no, si sbaglia. Se avremo il cronoscopio, basterà mettere a fuoco esattamente...

- No, dottor Potterley, non è una questione di fuoco. Ci sono fattori casuali che influiscono sul flusso dei neutrini proprio come influiscono su tutte le particelle subatomiche. È quello che possiamo definire il principio di indeterminazione. Quando il flusso viene registrato e interpretato, il fattore casuale viene fuori come una sorta di "sbavatura". Come una scarica, diciamo, tanto per usare il linguaggio delle trasmissioni. Più si cerca di penetrare a ritroso nel tempo, più le scariche sono pronunciate. Oltre un certo limite, le scariche sommergono completamente l'immagine. Sono riuscito a rendere l'idea?

- Non c'è che da aumentare la potenza - mormorò Potterley, con voce stranamente opaca.

- Non servirebbe. Quando le scariche offuscano il particolare, amplificando il particolare non faremmo che amplificare la scarica. Se anche lei fa l'ingrandimento di una pellicola sovresposta, non vede niente ugualmente, vero? Perciò, si metta bene in mente quello che le dico. La natura fisica dell'universo crea dei limiti. La casuale agitazione termica delle molecole d'aria crea dei limiti alle possibilità di captare i suoni molto deboli di un apparecchio. La lunghezza di un'onda luminosa o di un'onda di elettroni pone dei limiti alle dimensioni degli oggetti che possono essere individuati attraverso un apposito strumento. Tutto questo vale anche per la cronoscopia. Il tempo si può esaminare, ma solo fino a una certa distanza.

- Quale? Quant'è, questa distanza?

Foster prese un lungo respiro. - Un secolo e un quarto. Quello è il limite massimo.

- Ma il bollettino mensile pubblicato dalla Commissione parla quasi esclusivamente di storia antica. - Lo storico rise, incerto. - È chiaro che lei si sbaglia. I dati in possesso del governo risalgono fino al 3000 a.C.

- Da quando ha deciso di prestar fede a quei signori? - volle sapere Foster, con fare sprezzante. - Ha cominciato col dire che mentivano, e col darne le prove, ossia col dimostrare che nessuno storico aveva mai fatto uso del cronoscopio. Non le è chiaro il perché, ora? Nessuno storico potrebbe servirsene, salvo qualcuno interessato alla storia contemporanea. Nessun cronoscopio, per quanto potente, potrebbe esaminare il tempo in data anteriore al 1920.

- Lei si sbaglia. Lo pensa, ma non sa proprio tutto - protestò Potterley -

- Ma che cosa pretende, che la verità si pieghi così come fa comodo a lei? Si convinca! La parte sostenuta dal governo, in tutto questo, è stata di perpetuare una mistificazione.

- Perché?

- Non lo so il perché.

Il naso camuso di Potterley fremeva. Gli occhi erano dilatati, sporgenti. - La sua è soltanto una teoria, dottor Foster. Costruisca un cronoscopio - lo supplicò. - Lo metta assieme, così proveremo.

Foster afferrò Potterley per le spalle in una stretta improvvisa, feroce. - Crede che non l'abbia fatto? Crede che le avrei detto tutto questo prima d'avere controllato in tutti i modi a mia disposizione? L'ho già costruito. È tutt'intorno a lei. Guardi!

Corse verso il quadro degli interruttori. Li fece scattare, uno per uno. Toccò e regolò svariate manopole, spense le luci in alto. - Aspetti. Lasci che si scaldi, prima.

C'era un piccolo chiarore verso il centro di una delle pareti. Potterley farfugliava parole incoerenti, ma Foster si limitò a gridargli di nuovo: - Guardi!

La chiazza luminosa si fece più vivida e più delineata, s'infranse in un insieme di chiaro-scuri. Uomini e donne! Confusi. Con i lineamenti pochissimo marcati. Braccia e gambe simili a semplici striature. Un'automobile antiquata, poco nitida ma riconoscibile come quelle di più di un secolo innanzi, che usavano benzina per alimentare motori a combustione interna, passò velocemente sul quadro.

- Siamo verso la metà del ventesimo secolo, suppergiù. Ancora non ho collegato l'audio, perciò manca il sonoro. Possiamo sempre aggiungerlo, eventualmente. In ogni modo, quel periodo è pressappoco il massimo al quale si possa arrivare. Mi creda, non è possibile mettere a fuoco il passato più di così.

- Costruisca una macchina più grande e più potente - disse Potterley. - Provi a perfezionare i circuiti.

- Gliel'ho detto, non si va contro il principio di indeterminazione, proprio come non è possibile andare a vivere sul sole. Ci sono limiti fisici a quello che è possibile fare.

- Mente. Non le credo. Io...

Una nuova voce risuonò, si levò stridula per riuscire a farsi sentire. - Arnold! Dottor Foster!

Il giovane fisico si girò di scatto. Il dottor Potterley parve impietrirsi per un lungo istante, poi disse, senza voltarsi: - Che cosa vuoi, Caroline? Lasciaci soli.

- No! - La signora Potterley scese le scale. - Ho sentito. Non potevo fare a meno di ascoltare. È un cronoscopio quello che lei ha lì, dottor Foster? Un cronoscopio, qui nello scantinato?

- Sì, signora Potterley. È l'apparecchio per esaminare il tempo, anche se un po' rudimentale. Ancora non può captare i suoni e l'immagine è molto confusa, però funziona.

La signora Potterley intrecciò le mani e se le premette con forza sul seno. - È meraviglioso. È meraviglioso!

- Non è affatto meraviglioso - scattò Potterley. - Quest'idiota non riesce ad andare più indietro del...

- Oh, insomma! - lo interruppe Foster, esasperato.

- Vi prego! - gridò la signora Potterley - lasciatemi parlare. Arnold, non capisci che, purché si possa andare indietro di vent'anni, potremo rivedere la nostra Laurel? Che ce ne importa di Cartagine e di tutta l'antichità? E Laurel, quella che vogliamo vedere. Sarà di nuovo viva, per noi. Lasci qui quella macchina, dottor Foster. Ci faccia capire solo come funziona.

Foster fissò la signora, poi il marito. Il dottor Potterley si era fatto bianco come un lenzuolo. Sebbene la sua voce si mantenesse bassa e pacata, la sua calma era in qualche modo scomparsa. - Sciocca! - disse.

- Arnold! - protestò debolmente Caroline.

- Sei una sciocca, ti ripeto. Che cosa vuoi vedere? Il passato. Un passato morto e sepolto. Forse che Laurel farà una sola cosa che già non abbia fatto? Vedrai una sola cosa che già non hai visto, tu? Che cosa vuoi fare, continuare a vivere e a rivivere quei tre anni, osservando una bambina che non crescerà mai, per quanto tu possa osservarla?

La sua voce sembrava lì lì per incrinarsi, ma non s'incrinò. Potterley si avvicinò alla moglie, l'afferrò per le spalle e la scrollò in malo modo. - Sai che cosa ti succederà, se fai una cosa del genere? Verranno a prenderti per portarti via, perché diventerai pazza. Pazza, si. Vuoi finire in un manicomio? Vuoi che ti rinchiudano, che ti facciano la sonda psichica?

La signora Potterley si liberò dalla stretta. Non c'era più traccia di mollezza o di aria assente, in lei. Si era trasformata in una virago. - Voglio vedere la mia bambina, Arnold. È in quella macchina, e io la Voglio.

- Non è in quella macchina! Là c'è soltanto un'immagine. Lo capisci? Un'immagine! Qualcosa che non ha niente a che fare con la realtà!

- Voglio la mia bambina. Mi senti? - Gli si lanciò contro, urlando, tempestandolo di pugni. - Voglio la mia bambina!

Lo storico indietreggiò sotto il furore di quell'assalto. Foster si mosse, per mettersi tra loro, quando la signora Potterley, singhiozzando disperatamente, crollò al suolo.

Potterley si girò, afferrò un tubo metallico, strappandolo dal suo supporto e scostandosi di scatto prima che Foster, inebetito da tutto ciò che stava accadendo, potesse fare un gesto per trattenerlo.

- Indietro! - ansimò Potterley altrimenti la uccido, parola mia!

Poi calò l'oggetto con forza, e Foster istintivamente si scostò.

Potterley si accanì con furia su ogni parte della struttura, e Foster, dopo il primo fragore di vetro in frantumi, rimase a guardare, allibito.

Potterley sfogò la sua rabbia, poi si fermò calmo calmo in mezzo ai rottami e alle schegge e si rivolse a Foster, in un bisbiglio: - Ora esca di qui! Non torni mai più! Se per tutto questo ha dovuto sostenere delle spese, mi mandi il conto e io lo pagherò. Glielo pagherò raddoppiato.

Foster si strinse nelle spalle, raccattò la camicia e si avviò su per i gradini del seminterrato. Sentiva la signora Potterley singhiozzare disperatamente e quando, arrivato in cima alla scala, si girò per gettare un ultimo sguardo, vide che il dottor Potterley era chino su di lei, la faccia stravolta dal dolore.

 

Due giorni dopo, mentre la giornata di lavoro volgeva al termine e Foster si stava guardando svogliatamente attorno per vedere se c'era del materiale per i suoi studi approvati di recente che desiderava portare a casa da esaminare, il dottor Potterley apparve ancora una volta. Si fermò sulla porta aperta della stanza di Foster.

Era inappuntabilmente vestito, come sempre. Sollevò la mano in un gesto che era troppo vago per essere un saluto, troppo breve per essere una supplica. Di sasso, Foster lo fissava.

Potterley disse: - Ho aspettato fino alle cinque, fino a che lei... Permette che entri?

Foster assentì.

- Immagino che dovrei chiederle scusa per il mio comportamento - continuò Potterley. - Ero terribilmente deluso: non ero del tutto padrone di me. In ogni modo, è stato imperdonabile.

- Accetto le sue scuse - disse Foster. - Si tratta soltanto di questo?

- Mia moglie le ha telefonato, credo.

- Sì, infatti

- È addirittura isterica, da qualche giorno. Diceva d'averle telefonato, ma non potevo avere la certezza che...

- Sì, ha telefonato.

- Potrebbe... sarebbe tanto gentile da dirmi che cosa voleva?

- Voleva un cronoscopio. Ha detto che aveva del denaro suo. Era disposta a pagarmelo.

- Si è... le ha fatto qualche promessa?

- Le ho detto che non ero nel ramo costruzioni.

- Bene - mormorò Potterley, gonfiando il petto in un sospiro di sollievo. - La prego, se telefonerà ancora, non le risponda. Non è... non è del tutto...

- Senta, dottor Potterley - disse Foster - non voglio intromettermi nelle vostre beghe domestiche, ma sarà meglio che lei si prepari a una verità. Il cronoscopio può essere costruito da chiunque. Fatta eccezione per alcuni elementi molto semplici, acquistabili presso qualche speciale centro di vendita, è possibile costruirlo nel laboratorio di casa. La parte video, per lo meno.

- Ma a nessun altro verrà l'idea oltre lei, vero? Non l'ha avuta nessuno, finora.

- Non intendo tenere segreta la cosa.

- Ma non può renderla pubblica. Si tratta di ricerca illegale.

- Non ha più nessuna importanza, dottor Potterley. Se perderò le mie autorizzazioni, pazienza! Se l'università si dispiacerà, vuol dire che darò le dimissioni. Le ripeto, non ha nessuna importanza.

- Ma non può far questo!

- Finora - osservò Foster - non gliene importava affatto ch'io rischiassi i miei permessi e la mia posizione. Perché adesso si preoccupa tanto? Lasci che le spieghi una cosa, del resto. Al principio, quando lei venne da me, io credevo nella ricerca organizzata e diretta dall'alto; nella situazione esistente, in altre parole. La consideravo un anarchico intellettuale, dottor Potterley, e perciò pericoloso. Ma, per un motivo o per l'altro, io stesso mi sono comportato da anarchico per mesi, e ho raggiunto grandi risultati.

"Quei risultati sono stati conseguiti non perché io sia uno scienziato brillante. Niente affatto. La verità era che la ricerca scientifica era stata diretta dall'alto, appunto, e c'erano rimasti vuoti che potevano essere riempiti da chiunque avesse guardato nella direzione giusta. E chiunque avrebbe potuto farlo, se il governo non avesse cercato di impedirlo con tutte le forze.

"Ora cerchi di capirmi. Io sono sempre convinto che la ricerca programmata e diretta può essere utile. Non sono in favore di un ritorno all'anarchia totale. Ma deve pur esserci una via di mezzo. La ricerca può essere diretta pur conservando la flessibilità. A uno scienziato dev'essere permesso di seguire la sua curiosità, per lo meno durante il tempo libero."

Potterley si mise a sedere. In tono conciliante, disse: - Discutiamo un momento di quanto ha detto, Foster. Io apprezzo il suo idealismo. Lei è giovane. Vuole la luna. Ma rischia di distruggere se stesso attraverso concetti sbagliati su come dovrebb'essere la ricerca. L'ho trascinata io in tutto questo. Mi sento responsabile e biasimo me stesso amaramente. Ho agito in maniera emotiva. L'interesse per Cartagine mi accecava, così mi sono comportato da perfetto idiota.

- Vorrebbe fammi credere d'essere completamente cambiato in due giorni? - protestò Foster. - Cartagine non conta più niente? Il fatto che il governo sopprima le ricerche non ha più importanza?

- Perfino un vecchio idiota come me può imparare qualcosa, Foster. Ed è stata mia moglie, a insegnarmelo. Ora comprendo il motivo per il quale il governo ha soppresso la neutrinica. Fino a due giorni fa, non lo conoscevo. E, avendolo compreso, lo approvo. Lei ha visto mia moglie reagire alla notizia di un cronoscopio nella nostra cantina. Io avevo sempre pensato a un apparecchio da usarsi per scopi scientifici. Caroline, invece, non vedeva altro che il piacere personale di ritornare nevroticamente a un passato altrettanto personale, un passato morto. Il ricercatore puro, Foster, fa parte di una piccola minoranza. Le persone come mia moglie sarebbero in soprannumero.

"Per il governo, incoraggiare la cronoscopia avrebbe significato rendere visibile il passato di chiunque. I funzionari sarebbero stati soggetti a ricatti e a pressioni pericolose, perché chi mai, su questa terra, ha un passato assolutamente limpido? Governare in maniera organizzata si sarebbe reso forse impossibile."

Foster si passò la lingua sulle labbra. - Sì, il governo potrebbe anche avere delle giustificazioni ai suoi stessi occhi. C'è di mezzo, tuttavia, un principio molto importante. Chi può dire quali altri progressi scientifici vengano ostacolati solo perché i ricercatori sono costretti a percorrere un binario troppo rigido? Se il cronoscopio può divenire il terrore di alcuni uomini politici, be', è un prezzo che dev'essere pagato. Il pubblico deve rendersi conto che la scienza dev'essere libera, e non c'è modo più efficace per farglielo sapere che rendere pubblica la mia scoperta, in una maniera o nell'altra, legalmente o illegalmente.

Potterley aveva la fronte imperlata di sudore, ma la sua voce si manteneva calma. - Oh, non solo per pochi politici, dottor Foster. Non s'illuda. Sarebbe un terrore anche per me. Mia moglie passerebbe tutto il suo tempo a far rivivere la nostra figlioletta morta. Si ritrarrebbe sempre di più dalla realtà. Diventerebbe pazza a forza di rivivere sempre le stesse scene. E non si tratta soltanto del mio terrore. Ci sarebbero altri, come lei. Figli in cerca dei loro genitori morti, o della loro passata giovinezza. Avremmo un mondo intero tutto proiettato verso il passato. Sarebbe la follia.

- I giudizi morali non possono intralciare il passo, professore - obiettò Foster. - Non c'è un solo progresso, in nessun momento della storia, che l'umanità non abbia avuto l'abilità di pervertire.

L'umanità deve avere anche l'abilità di prevenire. Quanto al cronoscopio, la gente si stancherà ben presto di frugare nel passato. Rivedranno gli amati genitori fare qualcuna delle cose che usavano fare, dopo di che perderanno il loro entusiasmo per tutta la faccenda. Ma tutto questo è secondario. Per me, quello che conta è il principio.

- All'inferno i principi - disse Potterley. - Non riesce a capire gli uomini e le donne, oltre che i principi? Non capisce che mia moglie rivivrà l'incendio che uccise la nostra bambina? La conosco, so che non potrà farne a meno. Vorrà seguirlo passo passo, come per cercare di impedirlo. Lo rivivrà infinite volte, sempre nella speranza che le cose vadano diversamente. Quante volte intende far morire Laurel, mi dica? - La voce aveva ora un che di roco.

Un dubbio attraversò la mente di Foster. - Che cosa teme esattamente che sua moglie possa scoprire, dottor Potterley? Cos'accadde, la sera dell'incendio?

Subito lo storico si nascose la faccia tra le mani, scosso da singhiozzi senza lacrime. Foster si girò in là, a disagio, e rimase a fissare fuori della finestra.

Dopo un po', Potterley riprese a parlare. - È passato tanto tempo, speravo d'avere smesso di tormentarmi! Caroline era uscita. Io ero rimasto a fare da baby-sitter. Entrai nella stanza della bambina, per vedere se si fosse scoperta nel sonno. Avevo con me la sigaretta... Fumavo, a quei tempi. Devo averla spenta ben bene, prima di posarla nel portacenere, sul cassettone. Stavo sempre molto attento. La bambina dormiva tranquilla. Me ne tomai in soggiorno e mi addormentai davanti al video. Mi svegliai, tossendo, circondato dal fuoco. Non ho idea di come si sviluppò l'incendio.

- Ma pensa che possa essere stata la sigaretta, è così? - disse Foster. - La sigaretta che, per una volta, aveva dimenticato di schiacciare?

- Non lo so. Ho cercato di salvare Laurel, ma me la sono ritrovata morta tra le braccia, quando sono uscito da quell'inferno.

- E non ha mai parlato a sua moglie di quella sigaretta, immagino.

Potterley scosse la testa. - Però vivo con questo rimorso.

- Solo che ora, grazie al cronoscopio, la signora verrà a sapere. Be', forse non fu la sigaretta. Forse lei l'aveva spenta davvero. Non è possibile, questo?

Le poche lacrime si erano asciugate sulle guance di Potterley. Il rossore si era attenuato. - È un rischio che non posso correre, Foster... Ma non si tratta soltanto di me. Il passato ha i suoi terrori in serbo per la maggior parte della gente. Non scateni quei terrori contro la razza umana.

Foster camminava su e giù. In un certo senso, tutto questo spiegava la ragione del fanatico, irragionevole desiderio di Potterley di riscattare i cartaginesi, di deificarli, soprattutto di smentire la storia dei loro feroci sacrifici a Moloch. Liberandoli dalla colpa dell'infanticidio per mezzo del fuoco, Potterley liberava simbolicamente se stesso dalla medesima colpa.

Così, quello stesso incendio che l'aveva spinto a provocare la costruzione di un cronoscopio, lo stava ora spingendo a provocarne la distruzione.

Foster guardò rattristato il maturo studioso. - Riesco a mettermi nei suoi panni, dottor Potterley, ma tutto questo va al di là dei sentimenti personali. Io devo assolutamente infrangere questa stretta che tiene la scienza per la gola.

- Confessi piuttosto - scattò Potterley, fuori di sé - di inseguire la fama e la ricchezza che si accompagnerebbero a una simile scoperta.

- Non avevo pensato a queste cose, veramente, ma può anche darsi che sia così. Sono soltanto un essere umano, alla fin fine.

- Non tacerà sulla sua scoperta?

- No, per nessun motivo al mondo.

- Bene, quand'è così... - lo storico si alzò e rimase per un momento immobile, a fissarlo con occhi di fuoco.

Foster visse un istante di terrore. L'altro era più anziano di lui, era più gracile, più debole, non sembrava armato. Tuttavia...

- Se sta pensando di uccidermi, o di fare qualcosa di altrettanto insano - disse - sappia che ho chiuso quei dati in una cassetta di sicurezza, e che verranno ritrovati, in caso di mia sparizione o di mia morte.

- Non faccia l'idiota - replicò Potterley, e uscì.

Foster chiuse la porta, girò la chiave e sedette a riflettere. Si sentiva ridicolo. Non aveva messo un bel niente in nessuna cassetta di sicurezza. In circostanze normali, un'azione così da melodramma non gli sarebbe mai passata per la testa. Ora, però...

Sentendosi ancora più sciocco, Foster passò un'ora intera a scrivere formule relative all'applicazione dell'ottica pseudo-gravitica alla dinamica dei neutrini e qualche diagramma per i particolari tecnici della costruzione. Chiuse il tutto in una busta e, sopra, vi scrisse il nome di Ralph Nimmo.

Passò una notte piuttosto inquieta e il mattino dopo, nel recarsi all'università, passò in banca a consegnare la busta, con appropriate istruzioni a un funzionario, il quale gli fece firmare una carta per permettere l'apertura della cassetta dopo la sua morte.

Poi Foster telefona a Nimmo per dirgli dell'esistenza della busta, rifiutando però di spiegare che cosa contenesse.

Non si era mai sentito così ridicolmente imbarazzato come in quel momento.

 

Quella notte e la seguente, Foster continuò a dormire malissimo, perché ormai si trovava faccia a faccia con il problema tutt'altro che semplice di dare pubblicazione ai dati ottenuti in via clandestina.

 

Gli Estratti dell'Associazione per la Pseudo-gravitica, ossia la rivista con la quale Foster aveva più spesso a che fare, non avrebbe voluto neppure prendere in considerazione un lavoro che non includesse la magica nota a piede di pagina: - Il lavoro descritto in questo articolo è stato reso possibile dall'Autorizzazione N° tale-e-tale rilasciata dalla Commissione di Ricerca delle Nazioni Unite.

Né, doppiamente, l'avrebbe preso in considerazione la Rivista di Fisica.

C'erano, si sa, pubblicazioni di minor conto disposte a chiudere un occhio sulla natura dell'articolo per amore dell'argomento sensazionale, ma la cosa avrebbe richiesto un piccolo opuscolo da distribuire tra gli studiosi in generale. In tal caso, avrebbe potuto perfino fare a meno dei servizi di uno scrittore professionista, sacrificando l'eleganza della forma alla rapidità. L'essenziale era trovare un tipografo di fiducia. Zio Ralph poteva suggerirgliene qualcuno.

S'incamminò lungo il corridoio che portava al suo studio e intanto si domandava ansiosamente se convenisse sprecare altro tempo o se invece, anche per non dare a se stesso la possibilità di tergiversare ulteriormente, non fosse meglio arrischiarsi a telefonare a zio Ralph direttamente dallo studio. Era talmente assorto in quei gravi pensieri da non accorgersi che la sua stanza era occupata finché non si spostò dall'attaccapanni per avvicinarsi alla scrivania.

C'era il dottor Potterley seduto là, e un altro individuo che Foster non conosceva.

Foster li fissò. - Che cos'è quest'invasione?

- Mi dispiace - disse Potterley - ma dovevo fermarla.

- Permetta che mi presenti - interloquì lo sconosciuto. Aveva grandi denti, un po' irregolari, e li metteva bene in mostra quando sorrideva. - Sono Thaddeus Araman, Capo Dipartimento della Divisione di Cronoscopia. Sono qui per parlarle, in seguito a informazioni avute dal professor Arnold Potterley e confermate dalle nostre stesse fonti di...

Ansimante, Potterley interloquì: - Mi sono addossato tutta la colpa, dottor Foster. Ho spiegato che sono stato io a convincerla, contro la sua volontà, e a spingerla a passare sopra all'etica professionale. Mi sono offerto di accettare la piena responsabilità e l'eventuale punizione. Non desidero che lei rimanga danneggiato, in nessun modo. Ho agito unicamente perché la cronoscopia non deve essere permessa!

Araman assentiva. - Si è assunto la colpa, proprio come dice, dottor Foster, ma ormai la cosa non è più in mano sua, naturalmente.

- E allora? - replicò Foster. - Che cosa intende fare? Bocciare ogni mia eventuale richiesta di autorizzazione?

- È in mio potere - assicurò Araman.

- Ordinare all'università di togliermi l'incarico?

- Anche questo è in mio potere, s'intende.

- Benissimo, faccia pure. Anzi, la consideri già cosa fatta. Lascerò questo studio immediatamente, con lei. Manderò a ritirare i miei libri. Se insiste, lascerò anche i libri. È tutto?

- Non è tutto - disse Araman. - Deve impegnarsi a non fare ulteriori ricerche sulla cronoscopia, a non costruire cronoscopi. La terremo sotto sorveglianza fino a tempo indeterminato, per essere più sicuri che manterrà la promessa.

- E se io rifiutassi di promettere? Che cosa può farmi? Ricercare al di fuori del mio campo sarà forse contrario all'etica professionale, ma non è certo un reato.

- Nel caso della cronoscopia, mio giovane amico - precisò pazientemente Araman - È un reato. Se necessario, la chiuderemo in un carcere e ce la terremo.

- E perché? - proruppe Foster. - Che cos'ha di particolare, la cronoscopia?

- È così e basta - rispose Araman. - Non possiamo autorizzare ulteriori sviluppi in quel campo. Il mio stesso incarico è, principalmente, di impedire che questo avvenga, e io sono ben deciso a svolgerlo. Disgraziatamente, non ero a conoscenza né lo era nessun altro del dipartimento, del fatto che l'ottica dei campi pseudo-gravitazionali avesse una applicazione così immediata nella cronoscopia. D'ora in avanti, però, la ricerca verrà pilotata in modo da ovviare anche a questo inconveniente.

- Non servirà - dichiarò Foster. - Salterà fuori qualche altro legame che né lei né io ci sogniamo. La scienza è un tutto unico. Se si vuole fermarne una parte, bisogna fermare il tutto.

- In teoria è senza dubbio così - disse Araman. - In pratica, però, per cinquant'anni ce la siamo cavata benissimo nel mantenere la cronoscopia al punto in cui l'aveva lasciata Sterbinski. Avendo fermato lei in tempo, dottor Foster, possiamo sperare di continuare così all'infinito. E non saremmo arrivati così vicini alla catastrofe, del resto, se io non mi fossi limitato ad accettare il dottor Potterley per quello che sembrava.

Araman si girò verso lo storico e inarcò un sopracciglio con una sorta di divertita auto-deplorazione. - Temo, professore, d'averla liquidata, in occasione del nostro primo colloquio, come uno studioso di storia e niente di più. Se avessi fatto il mio dovere fino in fondo, prendendo accurate informazioni su di lei, tutto questo non sarebbe accaduto.

- C'è qualcuno - domandò bruscamente Foster - al quale sia permesso l'uso del cronoscopio governativo?

- Non è permesso a nessuno, per nessun motivo, al di fuori della nostra divisione. Lo dico perché mi è chiaro, ormai, che lei questo l'ha già intuito. L'avverto, però, che se andasse a ripeterlo si tratterebbe di un reato, non di un'indiscrezione.

- E il vostro cronoscopio non riesce a risalire più in là di centoventicinque anni circa, e così?

- È così.

- Allora il vostro bollettino, con i suoi esempi di analisi del tempo antico, è una turlupinatura?

- Con le cognizioni che ha acquisito - rispose freddamente Araman - va da sé che lei lo sa con certezza. Confermo, tuttavia, la sua osservazione. Il bollettino mensile è una mistificazione.

- Quand'è così - disse Foster - non prometto affatto di ignorare le mie scoperte in fatto di cronoscopia. Se vuole arrestarmi, faccia pure. La mia difesa, al processo, sarà sufficiente a distruggere il castello di carte della ricerca indirizzata e a farlo crollare miseramente. Una cosa è dirigere le ricerche; ben altro paio di maniche è sopprimerle, privando l'umanità dei loro benefici.

- Mettiamo bene in chiaro una cosa, dottor Foster - disse Araman. - Se lei non collabora, finirà direttamente in carcere. Non vedrà nessun avvocato, non ci sarà nessuna accusa ufficiale, non si terrà nessun processo. Rimarrà in carcere e basta.

- Eh, no - scattò Foster - ora lei tenta un bluff. Non siamo più nel ventesimo secolo, che cosa crede?

Ci fu del trambusto fuori della stanza, uno stropiccio di passi, un grido acuto che Foster fu certo di riconoscere. La porta si spalancò, o piuttosto venne sfondata, e tre figure quasi avvinghiate avanzarono nella stanza, incespicando.

Nell'avanzare, una delle tre levò una mano che brandiva un'arma e ne calò il calcio con forza sul cranio di un'altra.

La persona colpita al capo esalò un lungo sospiro e crollò in avanti, inerte.

- Zio Ralph! - gridò Foster.

Araman osservava, accigliato. - Mettetelo su quella sedia - ordinò - e andate a prendere un po' d'acqua.

Ralph Nimmo era tornato in sé e si massaggiava la testa con fare esitante e disgustato. - Non c'era bisogno di usare le maniere forti, Araman - disse.

- Vi conoscete? - domandò Foster.

- Ho già avuto a che fare con lui - disse Nimmo, sempre massaggiandosi il capo. - Se è qui nel tuo studio, ragazzo mio, sei nei guai.

- Anche lei, Nimmo, anche lei - replicò Araman, furente. - So bene che il dottor Foster l'ha consultata sui testi di neutrinica.

Nimmo corrugò la fronte, poi tornò a spianarla con un sussulto, come se il movimento gli avesse causato una sofferenza. - Ah, sì? - disse. - E cos'altro sa di me?

- Ben presto sapremo tutto, di lei. Nel frattempo, quanto ho detto è sufficiente per incriminarla. Che cosa è venuto a fare, qui?

- Mio caro dottor Araman - disse Nimmo, ritrovando in parte la propria baldanza - l'altro ieri, quest'asino di mio nipote mi ha telefonato. Aveva chiuso dei misteriosi dati dentro...

- Non dirglielo! Non dire niente! - gridò Foster.

Araman gli lanciò un'occhiata gelida. - Sappiamo già tutto, dottor Foster. La cassetta di sicurezza è stata aperta, il suo contenuto rimosso.

- Ma come fate a sapere... - la voce di Foster si spense su una nota di disperato avvilimento.

- In ogni modo - riprese Nimmo - ho capito che la rete si stava chiudendo intorno a lui e, dopo avere preso alcune misure, sono venuto qui a dirgli di piantar lì quello che stava facendo, perché non era il caso di giocarsi la carriera.

- Questo vuol dire che lei sa quello che sta facendo? - domandò Araman.

- Lui non mi ha mai detto niente - rispose Nimmo - ma io sono uno scrittore di cose di scienze, e di esperienza ne ho tanta. Il ragazzo, Foster, è specializzato in ottica pseudo-gravitica, e lui stesso mi ha istruito sull'argomento. Ha voluto che gli procurassi un testo di neutrinica e io, prima di darglielo, ho dato una rapida scorsa. So addizionare due più due. In seguito, Jonas mi ha chiesto di procurargli certe parti di attrezzature di fisica, e anche quello era un indizio. Correggetemi se sbaglio, ma, secondo me, mio nipote ha costruito un cronoscopio semi-portatile a bassa potenza. Sì, o... sì?

- Sì. - Pensosamente, Araman tira fuori una sigaretta, e non badò minimamente al dottor Potterley (silenzioso e inebetito, come se fosse tutto un sogno) il quale si ritrasse, con un'esclamazione soffocata, per scostarsi dal piccolo cilindro bianco. - Un altro errore commesso da me. Dovrei dare le dimissioni. Anche su lei, Nimmo, avrei dovuto esercitare una sorveglianza, invece di concentrare tutta l'attenzione su Potterley e su Foster. Tempo non ne ho avuto molto, veramente, e lei è finito qui da sé, per fortuna, ma questo non basta a scusarmi. Lei è in arresto, Nimmo.

- Con quale imputazione? - volle sapere lo scrittore.

- Ricerca non autorizzata.

- Mai fatto ricerche in vita mia. Non potrei, non essendo uno scienziato riconosciuto. E, quand'anche ne avessi fatte, non è certo un reato.

- È inutile, zio Ralph - proruppe Foster, furibondo. - Quel burocrate se le fa da sé, le leggi.

- In che senso? - domandò Nimmo.

- Nel senso che può imprigionare una persona a vita, senza processo.

- Storie - disse Nimmo. - Non siamo nel ventesimo...

- L'ho detto anch'io - replicò Foster. - Non ha fatto una piega.

- Be', sono tutte storie - scattò Nimmo. - Stia a sentire, Araman. Mio nipote e io abbiamo dei parenti e siamo sempre rimasti in contatto con loro. Anche il professore ne avrà, immagino. Non s'illuda di farci sparire così, come se niente fosse. Ci saranno delle inchieste e scoppierà uno scandalo. Non siamo nel ventesimo secolo, ripeto! Perciò, se crede di spaventarci, si sbaglia di grosso.

La sigaretta si spezzò tra le dita di Araman, che la scaraventò via con un gesto violento. - Io non so proprio che cosa fare, maledizione - scattò. - È la prima volta che si verifica un fatto del genere... Voialtri tre non avete un'idea di quello che avete combinato, razza di idioti! Non capite niente. Volete starmi a sentire, almeno?

- Certo, sentiamo! - replicò Nimmo, con fare truce.

- Il passato, per voi, è morto e sepolto - disse Araman. - Se qualche volta avete discusso della cosa, mi gioco il collo che avrete usato quest'espressione: il passato è morto e sepolto. Se sapeste quante volte l'ho udita, questa frase, vi si rivolterebbe lo stomaco, come succede a me.

"Quando la gente pensa al passato, ci pensa come a una cosa finita, tramontata, di tanto tempo fa. Noi la incoraggiamo a pensarla così. Quando diamo dei resoconti sull'analisi del tempo, parliamo sempre di secoli fa, anche se, come ormai sapete benissimo, andare più indietro di un secolo, un secolo e un quarto, non è possibile. La gente accetta tutto questo. Il passato significa la Grecia, Roma, Cartagine, l'Egitto, l'Età della Pietra. Più è remoto, meglio è.

"Ora, voi tre sapete che un secolo o poco più è il limite, perciò che cosa significa il passato per voi? La vostra adolescenza. La prima ragazza. La vostra povera mamma. Significa: vent'anni fa, trent'anni fa, cinquant'anni fa. Più è remoto, meglio è... Ma dove comincia realmente, questo benedetto passato?"

Tacque, con rabbia. Gli altri lo fissavano e Nimmo si mosse, a disagio.

- E allora - riprese Araman - quando è cominciato? Un anno fa? Cinque minuti fa? Un secondo fa? Non è evidente che il passato è cominciato un istante fa? Dire passato è un modo diverso di indicare un presente tuttora in atto. Che accade se mettete a fuoco il cronoscopio sul passato di un centesimo di secondo fa? Non state forse osservando il presente? Cominciate ad afferrare il concetto?

- Accipicchia - mormorò Nimmo.

- Accipicchia - lo scimmiottò Araman. - Dopo che Potterley è venuto a raccontarmi tutta la storia, l'altra sera, come credete che abbia tenuto d'occhio lui e Foster? L'ho fatto con il cronoscopio, seguendo i momenti chiave che precedevano di un attimo il presente.

- Ed è così che ha saputo della cassetta di sicurezza? - domandò Foster.

- Certo, e ogni altro fatto di rilievo. Ora, che cosa credete che accadrebbe, signori miei, se lasciassimo trapelare la notizia che un cronoscopio si può installare in casa? La gente comincerebbe col rivedere la propria giovinezza, i genitori e così via, ma ben presto si renderebbe conto delle infinite altre possibilità. La massaia, dimenticata la sua povera mamma scomparsa immaturamente, si metterebbe a sorvegliare la vicina, oppure il marito in ufficio. L'uomo d'affari terrebbe d'occhio il concorrente; il datore di lavoro la sua impiegata.

"L'intimità scomparirebbe dalla faccia della terra. La linea telefonica in comune, l'occhio che spia da dietro la tenda sarebbero inezie paragonate a questo. I divi del video sarebbero osservati da vicino da tutti in ogni loro istante. Ognuno avrebbe il proprio spione sempre in agguato, al quale non sarebbe possibile sottrarsi. Neppure l'oscurità rappresenterebbe una via di salvezza, perché la cronoscopia può essere regolata a mezzo di raggi infrarossi e le figure umane divengono visibili grazie al loro stesso calore corporeo. Le figure sarebbero sfuocate, d'accordo, e lo sfondo si presenterebbe buio, ma questo solleticherebbe ancora di più la curiosità, probabilmente... Come se non lo sapessi, che già ora gli addetti alla macchina si azzardano a fare simili esperimenti, nonostante le norme che lo proibiscono."

Nimmo sembrava sofferente. - Si può sempre vietare la fabbricazione privata...

Araman si girò verso di lui, inferocito. - Si può, ma crede davvero che serva? Ritiene possibile legiferare con buoni risultati contro il bere, il fumare, l'adulterio e lo spettegolare dietro le spalle della gente? E questo miscuglio di indiscrezione e di morbosità lasciva avrebbe sull'umanità una presa assai più forte di tutte queste cose messe insieme. Buon Dio, in tanti secoli di sforzi non siamo neppure riusciti a spazzar via il traffico dell'eroina e lei mi parla di leggi contro un contegno per sorvegliare e osservare chicchessia, in qualsiasi momento ci piaccia e che può essere costruito nel laboratorio di casa?

- Non pubblicherò niente - dichiarò all'improvviso Foster.

Quasi in singhiozzi, Potterley fece eco: - Nessuno di noi aprirà bocca. Deploro...

Ma Nimmo lo interruppe: - Lei, Araman, ha detto di non avere seguito me con il cronoscopio.

- Me n'è mancato il tempo - ammise stancamente Araman. - Le cose, viste al cronoscopio, non vanno più in fretta che nella vita reale. Non è possibile affrettare il tempo del film, come nella lettura di un libro filmato. Abbiamo passato ben ventiquattr'ore a cercare di catturare i momenti importanti durante gli ultimi sei mesi di Potterley, e di Foster. Non c'era tempo di fare altro, ed era già sufficiente.

- No, non lo era - disse Nimmo.

- Di che cosa sta parlando? - C'era un'improvvisa, indicibile espressione di allarme, negli occhi di Araman.

- Le ho detto che Jonas, mio nipote, m'aveva telefonato per dirmi che aveva messo informazioni importanti dentro una cassetta di sicurezza. Si comportava come se fosse in guai seri. È mio nipote. Dovevo cercare di levarlo dai pasticci. Ho sbrigato alcune cose, poi sono corso qui a dirgli che cos'avevo fatto. Gliel'ho detto, Araman, subito dopo il mio arrivo, subito dopo che il suo giannizzero aveva cercato di stordirmi, che avevo preso alcune misure.

- Cosa? Per amor del cielo, quali misure...?

- Ho spedito i particolari del cronoscopio portatile a una mezza dozzina dei miei soliti sbocchi pubblicitari; tutto qui.

Non una parola. Non un suono. Non un respiro. Erano tutti al di là di ogni possibile manifestazione.

- Non fissatemi in quel modo - gridò Nimmo. - Non capite perché l'ho fatto? Avevo già i diritti per le pubblicazioni divulgative. Jonas ve lo confermerà, spero. Sapevo che lui non poteva pubblicare scientificamente in nessun modo legale. Ero certo che stesse progettando di pubblicare illegalmente e che avesse chiuso del materiale nella cassetta di sicurezza proprio per questa ragione. Pensavo che, se avessi reso noti i particolari prematuramente, la responsabilità sarebbe stata tutta mia. La sua carriera non sarebbe rimasta compromessa. E se anche, come risultato, mi fossi visto privare della mia licenza di scrittore scientifico, il possesso esclusivo dei dati del cronoscopio mi avrebbe permesso di vivere di rendita. Jonas sarebbe andato su tutte le furie, naturalmente, ma gli avrei spiegato il mio ragionamento e avremmo finito per dividere i proventi al cinquanta per cento... Non state là a fissarmi in quel modo. Come facevo a sapere...

- Nessuno sapeva niente - disse con amarezza Araman - ma tutti avevate preso per scontato che il governo agisse in modo stupidamente burocratico, perfido, tirannico, divertendosi a sopprimere la ricerca così, per il gusto di farlo. Neppure per un attimo vi è venuto in mente che stessimo facendo del nostro meglio per proteggere l'umanità.

- Non stiamocene seduti qui a perdere tempo - gemette Potterley. - Sentiamo quali sono i nomi delle persone informate della cosa...

- Troppo tardi - disse Nimmo. - Hanno avuto più di una giornata a disposizione. La voce ha avuto tutto il tempo di circolare. I miei corrispondenti avranno telefonato a un certo numero di fisici per far controllare i miei dati prima di procedere alla pubblicazione, e quelli si saranno telefonati l'un l'altro per passarsi la notizia. Una volta che gli scienziati abbiano messo assieme neutrinica e pseudo gravitica, il cronoscopio domestico diverrà una scoperta ovvia. Prima che la settimana sia trascorsa, almeno cinquecento persone sapranno come costruire un piccolo cronoscopio, e come faremo per catturarle tutte? - Le guance grassocce erano terree. - Immagino che non esista un modo di far rientrare il fungo atomico nella sua bella e lucente sfera d'uranio.

Araman si alzò. - Proveremo, Potterley, ma sono d'accordo con Nimmo. È troppo tardi. Che specie di mondo avremo d'ora in poi, non lo so, non saprei dirlo, ma quello che conoscevamo è andato completamente distrutto. Finora, ogni abitudine, ogni usanza, ogni forma di vita ha sempre dato per scontato un certo grado di intimità, ma tutto questo è finito, ormai.

S'inchinò a tutti e tre con fare ironicamente cerimonioso.

- Fra tutt'e tre, avete creato un mondo nuovo. Mi congratulo. Buon soggiorno nella vasca dei pesci a voi, a me, a tutti, e possa ognuno di voi arrostire all'inferno per l'eternità. L'arresto, signori, è revocato.

 

 

Titolo originale: The Dead Past

Prima edizione: Astounding, aprile 1956

Traduzione di Hilia Brinis