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5 agosto 1999
L’aspirante Vegesack si fece il segno della croce ed entrò.
Il commissario Vrommel era steso davanti alla scrivania e stava facendo gli esercizi per le gambe.
«Un istante» gli disse.
Vegesack si sedette e rimase a osservare il suo capo. Gli esercizi sembravano piuttosto faticosi; Vrommel ansimava come un tricheco arenato e il cranio pelato luccicava paonazzo come un semaforo. Quando ebbe finito rimase un momento disteso a terra per riprendersi. Poi si alzò e andò a sedersi dietro la scrivania.
«Tu vai in ferie domani?»
Vegesack annuì.
«Domani, sì.»
«Il tempo non è dei migliori.»
«No» disse Vegesack.
«Meglio la settimana scorsa.»
«Sì.»
Vrommel aprì un cassetto della scrivania. Tirò fuori un fazzoletto di carta e si asciugò la fronte e il cocuzzolo della testa.
«Il caso Van Rippe. È ora di tirare un po’ le somme.»
«Dobbiamo archiviarlo?» chiese Vegesack.
«Non archiviarlo» rispose Vrommel. «Non si archivia un’inchiesta per omicidio così, come se niente fosse. Ho parlato di tirare le somme. Un caso difficile, e non siamo arrivati da nessuna parte. O no?»
«No.»
«Ridurremo le risorse impegnate. Ormai sono passate tre settimane. A partire da ora, solo indagini di routine.»
«Capisco» disse Vegesack.
«Ho bisogno di un rapporto su quello che abbiamo ottenuto finora. Pensavo a una breve conferenza stampa domani mattina. Devo riferire anche in alto loco. Quei piccoli scout di Wallburg non sono stati di grande utilità.»
«Non molto.»
Vrommel si schiarì la gola.
«Perciò se ti metti a buttar giù quel rapporto, puoi lasciarmelo sulla scrivania prima di andare a casa. Hai tutta la giornata a disposizione.»
Vegesack annuì.
«E non dilungarti troppo. Solo i fatti. È nella concisione che si scorge il maestro.»
Vegesack accennò ad alzarsi.
«C’è altro?»
«In tal caso te l’avrei detto» rispose Vrommel. «Sulla mia scrivania, dunque. Buone ferie e tieniti in forma.»
«Grazie» disse l’aspirante Vegesack, e lasciò la stanza.
Ewa Moreno si svegliò e guardò l’ora.
Le dodici meno dieci.
Si rese conto di trovarsi nel proprio letto e che nonostante tutto non aveva dormito più di nove ore. Cercò un solo muscolo che non le dolesse, ma non ne trovò.
Mi sento come se avessi novant’anni, pensò. E questa dovrebbe essere un’attività salutare?
Era andata a dormire poco prima delle tre. Era rientrata alle due, ma aveva avuto la forza di farsi un bagno caldo prima di infilarsi a letto. Se non l’avesse fatto, probabilmente ora non sarebbe neppure riuscita a muoversi. L’ultima tappa della vacanza in bicicletta con Clara Mietens era stata di settantacinque chilometri, di cui gli ultimi trenta sotto la pioggia e con il vento contrario. Secondo i programmi, avrebbero dovuto approfittare di un piacevole vento da est alle spalle e arrivare a Maardam con il tramonto davanti a loro. Ma erano partite un po’ più tardi di quanto avevano previsto.
Vento da est? pensò Ewa Moreno, mettendosi cautamente a sedere sul bordo del letto. Mai visto a Maardam. Quando si erano separate sulla Zwille alle due meno un quarto, Clara Mietens aveva solennemente giurato che, se mai fosse riuscita a rialzarsi dal letto, la prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stato legare un’ancora alla sua maledetta bici (a sei marce, di cui solo due funzionanti), di gettarla nel Langgraacht e di intonare un salmo.
Per il resto, la vacanza non era andata così male. Fino al gran finale. Otto giornate stupende: tenda, bagni, chiacchierate, pedalate (mai con il vento contrario e sotto la pioggia) e ozio nella pittoresca regione di Sorbinowo. La tenda rossa di Clara era nuova e facile da montare e smontare. Il tempo era stato magnifico. Fino al giorno prima.
Si fece una doccia. Dieci minuti dopo sentì di avere ancora un corpo. I suoi pensieri si diressero in un’altra direzione.
Inevitabile, ovviamente. Era il momento di tornare alla realtà. Senza esitazione.
Si infilò la vestaglia e controllò la posta. Fatture, pubblicità, quattro cartoline e l’accredito dello stipendio. Interessante.
Poi ascoltò la segreteria telefonica. Dopo una sofferta decisione, aveva lasciato a casa il cellulare. Avrebbe trovato parecchi messaggi, pensava.
E in effetti era così. Di tutto un po’; due allegri saluti da Mikael Bau, per esempio, e un messaggio da parte di sua madre che spiegava che loro (lei e suo padre, presumibilmente, a meno che non fosse successo qualcosa di straordinario mentre lei era in vacanza) stavano per andare in aeroporto per partire alla volta della Florida, e che sarebbero tornati solo alla fine di agosto.
Nel caso lei avesse cercato di contattarli e via dicendo.
Undici messaggi in tutto, aveva spiegato la pacata voce femminile sul nastro.
Ma niente da Baasteuwel.
Niente da Vegesack o da Kohler. Niente da Münster.
Niente neppure da Selma Perhovens.
Eh, sì, pensò Ewa Moreno, e uscì a comprare qualcosa per la colazione. Mai illudersi di essere davvero importanti.
Quella sera, quando finalmente riuscì a trovare l’ispettore Baasteuwel, erano le sei e mezzo.
«Ah, sei tornata?» constatò lui.
«Ieri sera. Credevo che ti saresti fatto sentire.»
«L’ho fatto, ma non mi piace lasciare messaggi senza dire nulla.»
«Davvero? Allora?»
Baasteuwel fece una pausa.
«Abbiamo mollato.»
«Mollato?»
«Sì. Era la cosa migliore. È la conclusione cui siamo giunti Kohler e io. Adesso sono in ferie.»
Un breve lampo di incredulità attraversò la mente di Ewa Moreno.
«Che diavolo stai dicendo?» esclamò. «E Vrommel? Dicevi che era solo questione di tempo.»
Sentì che Baasteuwel si accendeva una sigaretta.
«Stammi a sentire» disse. «Su questo punto devi credermi. Non è stato possibile mettere le mani su quel bastardo come credevamo. Io e Kohler eravamo assolutamente d’accordo di interrompere le indagini. Come Vegesack. Non c’era più niente a cui aggrapparsi, nessun motivo per andare avanti. Non per come si era evoluta la faccenda.»
«Evoluta?» domandò Moreno. «Che cosa intendi? Non capisco.»
«Lo so» ammise Baasteuwel. «In ogni caso è andata così. Saresti d’accordo con me, se conoscessi certi dettagli.»
«I dettagli? Quali dettagli?»
«Parecchi, in effetti. Ti garantisco che era la soluzione migliore. È andata così, capita spesso, dovresti saperlo.»
I pensieri le si affollavano in testa. Si pizzicò due volte il braccio per controllare di essere sveglia. Poi riprese.
«Avevi giurato che avresti incastrato Vrommel» lo aggredì rabbiosa. «Una ragazza innocente è scomparsa e un uomo è stato assassinato. Sei entrato in polizia per per poter beccare i farabutti e adesso...»
«Questa volta non è stato possibile.»
«E Van Rippe?»
«Il caso è nelle mani del commissario. Kohler e io eravamo stati chiamati solo come rinforzi nella fase iniziale delle indagini, non dimenticarlo. Il caso non è più nostro.»
Ewa Moreno scostò il ricevitore dall’orecchio e lo guardò con sospetto per un paio di secondi.
«Sto parlando davvero con l’ispettore Baasteuwel della polizia di Wallburg?» domandò poi.
Baasteuwel scoppiò in una breve risata.
«In carne e ossa» assicurò. «Ma mi sembra di cogliere una certa impazienza nella voce dell’ispettore. Sembra quasi che abbia qualche dubbio.»
«Esatto» disse Moreno. «Maledettamente esatto. Non capisco che lingua parli. Lasci perdere un omicidio e una ragazza scomparsa e te ne vai in ferie. Da quale lato hai avuto l’emorragia cerebrale?»
«Nel mezzo» spiegò Baasteuwel cordiale. «Lo ammetto, posso sembrare un po’ fumoso quando sono in vacanza. Ma se vuoi davvero sapere qualcosa di più su queste faccende di Lejnice, posso provare a concentrarmi e accontentarti...»
«È il minimo che tu possa fare» disse Ewa Moreno. «Quando e dove?»
«Domani?»
«Prima è meglio è.»
Baasteuwel parve riflettere.
«Da qualche parte a Maardam, magari? Così giocherai in casa.»
«Volentieri» disse Moreno.
«Il vecchio Vlissingen esiste ancora?»
«Altroché.»
«Bene» disse Baasteuwel. «Domani alle sette può andare? Prenoto un tavolo.»
«Perfetto» disse Moreno.
Mise giù e fissò fuori dalla finestra. Il vetro aveva appena cominciato a rigarsi di una pioggerellina sottile.
Non capisco, pensò. Non ci capisco nulla.