22
«La terra è rotonda» disse Henning Keeswarden, sei anni e cinque mesi.
«Un sacco rotonda» disse Fingal Wielki, appena quattro anni e nove mesi, ma zelante sostenitore di tutto ciò che sembrava nuovo e moderno. Soprattutto se era il suo adorato cugino a sostenerlo.
«C’è gente dall’altra parte» dedusse il piccolo Henning. «Ti rendi conto?»
Fingal annuì convinto. Ovvio che se ne rendeva conto.
«Se scaviamo una buca profonda profondissima dritto giù nella Terra, veniamo fuori dall’altra parte.»
«Dall’altra parte» confermò Fingal.
«Bisogna scavare un sacco profondo, ma poi c’è solo da scendere giù e uscire dalla buca dall’altra parte. Dai cinesi.»
«I cinesi» ripeté Fingal. Era un po’ incerto su chi fossero realmente, ma non voleva darlo a vedere. «Bisogna scavare un sacco un casino!» disse invece.
«Adesso cominciamo» disse Henning. «Abbiamo tutto il giorno. Io un’altra volta ho scavato una buca che quasi passava attraverso tutta la Terra. Ero quasi arrivato, ma poi ho dovuto smettere per andare a mangiare. Però ho sentito che parlavano là sotto.»
«Parlavano?»
Fingal non riuscì a trattenere lo stupore.
«I cinesi. Perché ero vicinissimo. Ho messo l’orecchio vicino al fondo della buca e li sentivo che parlavano. Anche se non capivo cosa dicevano, perché parlano in un’altra lingua, i cinesi. Allora, scaviamo una buca che arriva fino dall’altra parte adesso?»
«Certo che sì» disse Fingal.
I cugini scavarono. La paletta di Fingal era rossa e un po’ più nuova di quella di Henning, che era blu e piuttosto consumata. Forse dopo il precedente scavo verso la Cina, ed era comprensibile. Ma una paletta rossa scava sempre più in fretta di una blu.
Era ancora mattino. Erano appena arrivati in spiaggia in compagnia delle rispettive mamme. Le madri, due sorelle, erano sdraiate ad abbronzarsi un po’ il seno; quella era una delle spiagge dove era consentito.
Scavare non era difficile. Almeno all’inizio. Poco dopo, però, la sabbia accumulatasi cominciò a scivolare di nuovo nella buca. Henning disse che dovevano allargare l’apertura.
Era davvero noioso scavare in superficie quando lo scopo era arrivare dall’altra parte, dai cinesi, ma se i cugini volevano farcela, dovevano essere preparati a qualche seccatura. E disposti a darsi da fare.
Perciò Henning e Fingal ce la misero tutta.
«Stai zitto, così capisco se si sente qualcosa!» disse Henning quando la buca fu così profonda che, standoci dentro in piedi, spuntavano solo le spalle e la testa. Almeno nel caso di Fingal, che era dieci centimetri più basso del cugino.
«Shh!» disse Fingal a se stesso, tenendosi l’indice sulle labbra mentre Henning premeva l’orecchio contro la sabbia bagnata.
«Si sente qualcosa?» volle sapere quando Henning si fu tirato su, intento a togliersi la sabbia dall’orecchio.
«Poco poco» disse Henning con aria competente. «Ci manca ancora un pezzetto. Giochiamo un po’ allo schiavo?»
«Schiavo? Sì, dai!» disse Fingal, che in quel momento non riusciva a ricordare esattamente cosa fosse uno schiavo.
Henning si arrampicò fuori dalla buca.
«Cominciamo che tu sei lo schiavo e io il padrone. Tu devi fare tutto quello che ti dico, altrimenti ti uccido e ti mangio.»
«Okay» disse Fingal.
«Scava!» gridò Henning minaccioso. «Scava, brutto schiavo pigrone!»
Fingal riattaccò a lavorare. Scavava e scavava facendo volare la sabbia tutt’intorno, anche se era pesante e umida, ormai a metà strada verso i cinesi.
«Scava!» gridò Henning di nuovo. «E tu devi rispondere: ’Sì, signore!’»
«Sì, signore» disse Fingal, continuando a scavare.
Dovremmo quasi esserci, dai cinesi, pensava, ma non osava interrompersi per stendersi sul fondo ad ascoltare. Forse suo cugino l’avrebbe ammazzato e mangiato. Non era una prospettiva attraente. Invece cominciò a scavare un po’ più di lato, dove era più facile. Forse la Cina era da quella parte, se lo sentiva.
«Scava, brutto pigrone!» gridava Henning.
Le braccia adesso gli facevano davvero male, specialmente il destro, che si era fratturato quando era caduto sul ghiaccio pattinando sei mesi prima. Ma non voleva arrendersi. Prese lo slancio con la paletta e la infilò con tutta la forza che gli rimaneva nella parete di sabbia della buca.
Una grossa porzione di sabbia crollò dall’alto, ma non era un problema. Fingal capì che erano arrivati. Finalmente. Dalla sabbia era spuntato un piede.
Un piede con tutte le dita e la pianta coperta di sabbia. Un autentico piede cinese!
«Siamo arrivati!» gridò. «Guarda!»
Il padrone saltò giù nella buca a controllare. Sì, per la miseria! Avevano scavato così a fondo che erano arrivati alle piante dei piedi dei cinesi.
«Bravo!» disse.
L’unica cosa un po’ strana – e che in qualche modo mandava a gambe all’aria la teoria secondo cui la Terra era rotonda – era che il piede non era comparso sul fondo dello scavo. Spuntava invece dalla parete laterale, e anche la gamba cui il piede era attaccato sembrava proseguire in quella direzione anziché verso il basso.
Sciocchezze.
«Tiriamo via la sabbia e vediamo cosa c’è sotto» decise Henning, che ora aveva smesso i panni del padrone ed era pronto a scavare per liberare quella gamba... e quel corpo, che probabilmente non apparteneva a un cinese. Forse era solo un morto qualunque.
Il che non avrebbe necessariamente pregiudicato la scoperta. Anche se non l’avrebbe mai ammesso di fronte al cugino, non gli era mai capitato di vedere un morto.
Ma proprio mentre infilava la paletta nella sabbia e provocava il distacco di un’altra piccola valanga, sua zia Doris comparve sull’orlo della buca e guardò giù.
Sua zia, la madre di Fingal.
Prima guardò.
Poi urlò.
Subito dopo arrivò la sua, di mamma, e urlò pure lei, e poi sia lui sia Fingal furono sollevati di peso e tirati fuori dalla buca dei cinesi. Cominciò ad arrivare gente da tutte le parti, donne con i seni scoperti e donne con i seni coperti, uomini con o senza gli occhiali da sole, con costumi da bagno ampi e svolazzanti o slip minuscoli che quasi sparivano in mezzo alle chiappe, e tutti indicavano e gridavano e parlavano contemporaneamente.
«Non toccate niente! Non toccate niente!» disse un omone grande e grosso che gridava più forte di tutti. «C’è un cadavere sepolto nella sabbia! Non toccate niente finché non arriva la polizia!»
La madre di Henning prese Henning in braccio e altrettanto fece la mamma di Fingal con Fingal, e giù nella buca rimasero una paletta rossa e una paletta blu, che nessuno sembrava curarsi minimamente di recuperare.
In compenso quei piedi (quando Henning aveva dato la sua ultima vigorosa palettata ne era spuntato un altro) sembravano invece destare l’interesse di tutti.
Allora dev’essere proprio un cinese, pensò Fingal.
«La Terra è rotonda!» gridò, salutando tutti con la mano mentre sua madre si affrettava ad allontanarsi con lui e a raggiungere gli asciugamani e i cestini del picnic pieni di mele, brioscine, panini e succo sia giallo che rosso. «Un sacco rotonda!»