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23 luglio 1999

Venerdì tornò il bel tempo. Le perturbazioni provenienti da sud-ovest erano passate oltre e la temperatura salì rapidamente. Già alle sette del mattino il grande termometro sulla facciata della Xerxe, un’azienda informatica di Lejnice, segnava venticinque gradi all’ombra, e il caldo era destinato ad aumentare.

Quella mattina l’ispettore Ewa Moreno non fu tra coloro che si alzarono a controllare il tempo alle sette. Fu invece svegliata alle nove da Drusilla Perhovens, che tuttavia la ragguagliò subito sulla situazione.

«Il cielo è blu come i fiori di lino e il sole splende da maledetti.»

«Non imprecare, Drusilla» disse sua madre, che era comparsa sulla porta e si stava spazzolando i capelli.

«Certe volte bisogna darci dentro» disse Drusilla. «Me l’hai insegnato tu.»

Poi si rivolse a Ewa.

«Puoi venire in spiaggia con me, se ti va» le propose. «Ci portiamo anche un altro bambino, così non avrai bisogno di darmi retta tutto il tempo.»

Moreno rifletté un paio di secondi, quindi accettò.

Starsene semplicemente in spiaggia a godere del bel tempo non si dimostrò tuttavia così semplice e rilassante. Drusilla mantenne la promessa e passò la maggior parte del tempo in compagnia di un ragazzino di nome Helmer: fecero il bagno, costruirono castelli di sabbia, fecero il bagno, giocarono a pallone, fecero il bagno, mangiarono gelati, fecero il bagno e lessero fumetti. Moreno variò la propria condizione stendendosi ora sulla schiena, ora sulla pancia, ma indipendentemente dalla posizione non poteva fare a meno di pensare a ciò che era stato nascosto in quella calda, morbida sabbia meno di una settimana prima.

E a ciò che forse ancora vi si nascondeva.

Magari sono stesa sopra un cadavere, pensò, chiudendo gli occhi controsole. Fra poco Helmer e Drusilla arriveranno di corsa raccontando di aver trovato una testa scavando con le palette.

Era giunto il momento di andarsene, di lasciare Lejnice e la vita da spiaggia, e tornare finalmente a Maardam. Il caso Mikaela Lijphart non era più suo. Così come il caso Arnold Maager e il caso Tim Van Rippe. Di fatto non lo erano mai stati, ma ora li aveva lasciati in mani competenti. Quelle di Kohler e di Baasteuwel e – come se non bastasse – della stampa locale: Selma Perhovens e, a quanto aveva capito, il direttore Wicker. Non aveva alcun motivo di impegnarsi ulteriormente, dunque. Proprio nessuno. Aveva fatto più di quanto fosse ragionevole pretendere, e se davvero aveva intenzione di tornare al lavoro in agosto con le batterie in qualche modo ricaricate, forse era proprio il momento di concedersi un po’ di vacanza. Bicicletta e tenda nella selvaggia regione di Sorbinowo, ad esempio. Tiepide sere intorno al fuoco del bivacco con pesce alla brace, buon vino e argomenti esistenziali. Nuotate notturne nell’acqua scura.

E se davvero avessero deciso di scavare nella spiaggia, l’ispettore Moreno non aveva alcuna intenzione di assistere di persona. Proprio per niente.

Ma appena si addormentò cominciò a sognare proprio di questo. Orde di militari vestiti di verde e sudati, che sotto la guida di un ufficiale pelato (straordinariamente somigliante al commissario Vrommel, ma con i baffetti alla Hitler al posto dei suoi radi) si davano da fare con zappe e badili portando alla luce cadaveri su cadaveri, che venivano ammucchiati per sesso ed età e affidati alla sorveglianza dell’ispettore Moreno e di Vegesack. Baasteuwel si dava da fare con una spazzola e liberava corpi e volti dalla sabbia, e davanti ai suoi occhi sgomenti facevano la loro comparsa, uno dopo l’altro, Mikaela Lijphart, Winnie Maas, Arnold Maager (che aveva visto solo in una fotografia di pessima qualità, ma che misteriosamente riconobbe meglio di tutti gli altri). Sigrid Lijphart, Vera Sauger, Mikael Bau, Franz Lampe-Leermann... non riusciva a capire cosa ci facessero lì Mikael e Lampe-Leermann; lo accettò come un’espressione dell’intrinseca follia della vita. Quando Drusilla Perhovens arrivò trascinando il corpo di Maud, sua sorella – non com’era oggi, ma come Moreno la ricordava da adolescente – ne ebbe abbastanza del sogno e si svegliò.

Le scoppiava la testa. Mai addormentarsi al sole! Era una regola che sua madre – per qualche ragione – aveva cercato di inculcarle fin da bambina. In fondo non era servito a molto, ma quel giorno si sentiva disposta a dare ragione a sua madre, almeno su quel punto. Si alzò barcollando e andò a fare il bagno.

«Ispettore Baasteuwel, squadra omicidi» disse Baasteuwel.

Dall’altra parte, silenzio.

«Parlo con il dottor deHaavelaar?»

«Che cosa vuole?»

«Farle solo un paio di domande. Sto collaborando alle indagini del caso Van Rippe, come sicuramente avrà letto sui giornali. Pare ci sia un collegamento con un altro caso di qualche anno fa. L’omicidio di Winnie Maas. Riesce a ricordarselo?»

«Certo» disse deHaavelaar.

«Fu lei a esaminare il cadavere della ragazza?»

«Non ho nulla da aggiungere sull’argomento.»

«Sto solo cercando di chiarire alcuni punti.»

«Non occorre chiarire alcun punto. Il commissario ha approvato questo colloquio? Conduce lui l’inchiesta, no?»

Baasteuwel fece una breve pausa prima di rispondere.

«Posso domandarle perché è così riluttante a parlare di questo argomento?»

Il medico sbuffò irritato nel ricevitore.

«Ho cose più importanti di cui occuparmi» disse deHaavelaar. «Inoltre sono già stato importunato l’altro giorno da un altro poliziotto. Una donna.»

«L’ispettore Moreno?»

«Sì. Avrei dovuto riferirlo a Vrommel, ma ho lasciato perdere.»

«Capisco» disse Baasteuwel. «Adesso, però, o lei risponde alle mie domande subito al telefono, oppure la mando a prendere da un’auto della polizia. Scelga lei.»

Silenzio. Baasteuwel accese una sigaretta e attese.

«Che diavolo vuole sapere?»

«Solo un paio di dettagli. Ho qui davanti il verbale del processo. Il processo contro Arnold Maager. E c’è una cosa che mi rende perplesso.»

«Ah, sì?»

«Lei non ha mai deposto?»

«No.»

«E perché? Era pur sempre il medico legale.»

«Non c’era bisogno. È una consuetudine, ma non un obbligo. Il caso era chiaro come il sole, e io probabilmente avevo altro da fare.»

«Però firmò la perizia medica, vero? Che venne letta pubblicamente in tribunale.»

«Certo. Dove diavolo vuole arrivare?»

«Qui c’è scritto che lei esaminò Winnie Maas – insieme a un patologo di nome Kornitz – e constatò che era incinta. È corretto?»

«Certamente.»

«Ma non si dice nulla di quanto fosse avanzato lo stato di gravidanza.»

«No?» disse deHaavelaar.

«No.»

«Strano. Ci dovrebbe essere. Non ricordo esattamente, ma non era molto avanzato... cinque o sei settimane.»

«Ne è sicuro?»

«Assolutamente.»

«Perciò non si trattava di un tempo un po’ più lungo? Dieci o dodici settimane, grosso modo?»

«Naturalmente no» protestò deHaavelaar. «Che cosa volete insinuare?»

«Nulla» rispose Baasteuwel. «Volevo solo controllare, dal momento che mancavano dei dati.»

Al che deHaavelaar non fece commenti. Calò di nuovo qualche attimo di silenzio.

«C’è altro?»

«Per ora no» disse Baasteuwel. «Grazie della collaborazione.»

«Prego» disse il dottor deHaavelaar, e appese.

Ecco fatto, pensò Baasteuwel, guardando il telefono con un sorriso storto. Sta mentendo, quel demonio.

E faceva benissimo, capì poi. Non c’era la benché minima possibilità di incastrarlo. In particolare perché il patologo, Kornitz, era morto da tre anni.

Era più interessante riflettere sul perché mentisse.

Ewa Moreno non si era portata il cellulare in spiaggia. Quando alle quattro e mezzo tornò a casa con Drusilla trovò due messaggi.

Il primo era di Münster. Sembrava insolitamente giù di corda e la pregava di chiamare appena possibile.

Si rese conto che ancora una volta era riuscita a scacciare Lampe-Leermann e la questione dei pedofili dall’ordine del giorno della coscienza (anche se si ricordò che quel delinquente era fugacemente comparso nel suo sogno). Ora stava riaffiorando, e di nuovo fu come se qualcuno le stesse stringendo un cappio al collo.

Dannazione, pensò. Non può essere vero.

Richiamò subito, ma non rispose nessuno. Né alla sede centrale della polizia a Maardam né a casa di Münster. Lasciò un messaggio sulla sua segreteria telefonica spiegando che aveva cercato di contattarlo.

Ai nostri giorni ormai è così, pensò con rassegnazione dopo aver chiuso la chiamata. Viviamo in un mondo di comunicazioni mutilate; l’unico uso che facciamo del telefono è per spiegare che abbiamo cercato inutilmente di stabilire un contatto. Che tristezza.

All’altro messaggio non aveva bisogno di rispondere. Era il suo ex ragazzo (amante? uomo? fidanzato?). La aspettava al Werder’s per le otto.

Lo stesso ristorante di ieri, notò lei. Alla stessa ora.

Ma con un uomo diverso. Meno male che il giorno dopo sarebbe tornata a casa, pensò. Il personale del ristorante comincerà di sicuro a insospettirsi. E a trarre qualche conclusione poco lusinghiera, magari.

Decise di andarci. Ma senza rimanere troppo. Era stanca, proprio come Selma Perhovens quando rientrò qualche minuto dopo le cinque.

«Niente maratone notturne stasera» dichiarò.

«Assolutamente no» concordò Moreno.

Erano rimaste a parlare fin dopo le due. Avevano ripercorso faticosamente tutta la faccenda Maager-Lijphart. Avevano parlato di relazioni, uomini, figli, lavoro, libri, della situazione nella ex Iugoslavia, e di che cosa volesse dire essere la prima donna libera della storia mondiale.

Argomenti esistenziali. Proficui. Ma non un’altra notte così, per carità.

«Grazie di aver fatto la baby-sitter» disse Selma Perhovens.

«Non ha fatto proprio niente» precisò Drusilla. «Helmer e io ci siamo tenuti d’occhio a vicenda per tutto il giorno.»

«È vero» disse Moreno. «Domani torno a casa, comunque. Fra l’altro, ceno fuori anche stasera. Non credere che sia un’abitudine, però.»

«Non sarebbe comunque un’abitudine malvagia» commentò Selma. «Di che cosa si vuole abbuffare il mio cucciolo del cuore per cena, allora?»

«Filetto al gorgonzola con patate al forno» spiegò il cucciolo del cuore. «È un sacco che non lo mangio.»

«Farò maccheroni e salsiccia» decise sua madre.

Proprio mentre stava per uscire il telefono suonò di nuovo.

Questa volta era Baasteuwel.

«Grazie per ieri» disse. «Vuoi che ti faccia rapporto?»

«Grazie a te» disse Moreno. «Sì, certo.»

«Sono un po’ di fretta» spiegò Baasteuwel. «Ti dirò solo l’essenziale, okay?»

«Okay» disse Moreno.

«Quel medico mente.»

«DeHaavelaar?»

«Sì. Winnie Maas aspettava un bambino quando è morta, ma non credo che il padre fosse Arnold Maager.»

L’ispettore Moreno cercò di digerire l’informazione.

«Cosa?» esclamò. «Ne sei sicuro?»

«Per niente» disse Baasteuwel. «Me lo sento, ecco tutto, ma ho un intuito dannatamente sensibile. Inoltre lui è tornato.»

«Tornato?»

«Sì.»

«Chi?»

«Arnold Maager. Oggi pomeriggio è tornato alla clinica Sidonis.»

Ewa Moreno rimase qualche secondo in silenzio.

«Tornato? Mi stai dicendo che è semplicemente tornato...?»

«Certo.»

«E come? Dove è stato?»

«Questo non lo ha detto. Non dice proprio nulla. Se ne sta steso sul letto a fissare il soffitto, e basta. Qualunque cosa abbia fatto, è stato senza le sue medicine per quasi una settimana. Antidepressivi, presumo. Sono un po’ preoccupati per lui.»

«Come è ricomparso?»

«È semplicemente entrato dalla porta strascicando i piedi come al solito. Verso le cinque. Vrommel è andato a parlare con quelli dell’istituto.»

«Vrommel? Non sarebbe meglio se lo facesse qualcun altro?»

Baasteuwel sospirò.

«Per la miseria, non possiamo mica togliergli tutti gli incarichi senza farlo insospettire. Vegesack l’ha accompagnato per controllarlo, ma se Maager continua a comportarsi da autistico non ha molta importanza.»

Moreno rifletté.

«Mi auguro di no» riprese. «Non ci capisco più niente. Altro?»

«Parecchie cose» rispose Baasteuwel. «Ma ora devo andare a fare un paio di colloqui. Fino a che ora sarai qui domani?»

L’ispettore Moreno esitò. Non aveva ancora deciso l’ora della partenza. Comunque non c’era motivo di levare le tende all’alba, no? Doveva anche comprare qualcosa per Selma. E per Drusilla.

«C’è un treno che parte alle quattro. Probabilmente prenderò quello.»

«Ottimo» disse Baasteuwel. «Allora faremo in tempo a pranzare.»

Poi riattaccò. Ewa Moreno rimase lì un momento con il telefono in mano. Per la miseria, pensò. Quindi Maager non era il padre del bambino. Che cosa significava?

Difficile dirlo. Tuttavia Maager pensava di esserlo. Era quello il punto essenziale.

E all’improvviso le domande cominciarono di nuovo a ribollirle nella mente. Qual era il punto essenziale? E per chi?

Per Winnie Maas, si capisce. E per chi altro?

Perché concepire grazie all’intervento dello Spirito Santo era alquanto insolito, proprio come aveva osservato Mikaela in treno due settimane prima...

Ewa Moreno si stese sul letto e puntò gli occhi sul soffitto.

Che diamine era successo a Mikaela Lijphart?

Dove era stato Arnold Maager, e a fare che? E perché Tim Van Rippe era morto?

Punti oscuri. Parecchi punti oscuri.

E come stava andando il tentativo di smascherare il commissario Vrommel? Si era dimenticata di chiederlo a Baasteuwel.

Be’, poteva aspettare fino a domani, decise.

Ogni giorno ha la sua croce.