38

21 luglio 1983

Quando ripassò davanti alla scuola, una raffica di vento giunse dal mare, e lui si fermò di nuovo.

Non avrebbe saputo dire se si fosse bloccato proprio per il colpo di vento, oppure per il tabellone luminoso con il nome della scuola e degli altri edifici indicati con minuzia pedagogica. Si fermò a guardare il tabellone, e qualcosa dentro di lui si mosse. Una vaga sensazione di sicurezza, forse. Il suo posto di lavoro. Deserto, all’una e mezzo di una notte d’estate.

Si lasciò andare su una delle panche di pietra allineate lungo il muro della palestra. I gomiti sulle ginocchia, la testa fra le mani.

Che cosa devo fare? pensò. Che cosa diavolo succederà adesso? Perché me ne sto seduto qui? Diavolo, diavolo, diavolo...

Si accorse che nella testa gli scorrevano solo parole. Non erano pensieri, né strategie d’azione. Solo un elenco meccanico di domande e grida disperate sospese su un abisso, una voragine in cui per nulla al mondo doveva, osava guardare: vortici di parole che lo aiutavano solo a tenere a distanza tutto il resto. Lo folgorò il pensiero di stare per impazzire.

A casa? pensò. Da Mikaela? E allora perché mi sono fermato qui? Perché non corro sul viadotto e la guardo negli occhi? Ma chi? A chi mi riferisco? Winnie? O Sigrid? Ho perso tutto. Non potrò mai più tornare qui... da Mikaela, da Sigrid, alla scuola. Tutto. In questo preciso momento ho perso tutto... Ora, proprio ora, qui su questa maledetta panca, fuori da questa maledetta palestra. Lo sapevo, lo sapevo fin da quella maledettissima sera. Perché non ho fatto niente? E cosa posso fare adesso che è troppo tardi? Maledizione. È troppo tardi. Maledizione. Troppo tardi...

Si alzò. Silenzio! disse ai pensieri. Zitti! Fece un respiro profondo e cercò di concentrarsi un’ultima volta. Ultima volta? pensò. Quale ultima volta?

Si incamminò di nuovo verso il viadotto. Sarà ancora lì? Saranno ancora lì? Sigrid si sarà precipitata lassù? È lassù che si è diretta? Ormai sarà passata quasi mezz’ora.

Affrettò il passo. Attraversò Birkenerstraat all’altezza del cimitero e piegò in Emserweg. E fu allora, proprio quando svoltò dietro l’angolo della libreria-cartoleria Dorffs e uscì in Dorfflenerstraat, che la vide.

Stava passando davanti all’ingresso illuminato del campo sportivo, sull’altro lato della strada, e camminava a passo spedito. Passi energici e risoluti. Sigrid, sua moglie. Lei non si accorse della sua presenza, e lui soffocò l’impulso di chiamare a gran voce il suo nome. Invece si bloccò sotto la tenda della libreria e rimase lì fino a quando lei non fu fuori dalla sua visuale. È stata là, pensò. È stata lassù e ha incontrato Winnie.

Attraversò frettolosamente Dorfflenerstraat, proseguì oltre il campo sportivo e raggiunse la ferrovia. Quando superò la fabbrica di birra, scorse il viadotto.

Anche se solo da lontano. Ancora non riusciva a vedere se ci fosse qualcuno sopra. Lei era lì ad aspettarlo? Rallentò l’andatura. Che diavolo doveva dire? O fare? Che cosa si aspettava da lui? Lei che gli aveva rovinato la vita. L’aveva distrutto andando a raccontare tutto a sua moglie... guardò l’ora: erano passati trentacinque minuti. Non di più. Appena mezz’ora dalla telefonata. Che cosa voleva da lui adesso?

Incinta? Aspettava un bambino, il suo bambino. Si ricordò che cosa gli aveva detto quella notte. Vieni, professore... vieni pure, vieni, vieni, prendo la pillola!

Professore, l’aveva chiamato. Nel bel mezzo dell’atto, della scopata, aveva usato quel termine.

Pillola? Col cavolo che prendeva la pillola.

Cominciò a risalire la lunga curva mentre si poneva l’interrogativo un po’ assurdo se lei volesse farlo di nuovo. Era un pensiero sporco, che forse la diceva lunga su chi fosse lui davvero. E sul fatto che molto probabilmente stesse davvero per impazzire. Sono un porco, pensò. Porco, porco, porco! poteva quasi sentire Sigrid pronunciare quelle parole... Andare a letto con Winnie Maas? Di nuovo? Farsi cavalcare ancora da lei in tutte le posizioni e infilarle dentro l’uccello fino a farla gemere di eccitazione e farsi succhiare da lei e strofinarle quel suo piccolo bottoncino luccicante fino a strapparle un grido di piacere... ma che diavolo aveva, delirava? Il cervello gli rombava come un motore su di giri. Che cosa mi sta succedendo? pensò. Lei non c’è.

Lei non c’era.

Il viadotto era deserto. Nessuno. Né la piccola Winnie Maas né nessun altro. Si fermò e si guardò intorno. A nord e a sud. Da là sopra si godeva un’ampia visuale. Era possibile abbracciare con lo sguardo l’intera città, le vie, le piazze, le due chiese, la spiaggia e il porto con i frangiflutti e le banchine di cemento e l’accesso protetto. Il boschetto oltre i campi di calcio. Il molo di Frider e il faro di Gordon all’estremità meridionale... tutto avvolto nella pallida oscurità della notte estiva.

Abbassò lo sguardo. Seguì i binari dalla stazione ferroviaria fino al viadotto. Si accorse che giù in basso c’era qualcosa. Proprio accanto al binario di destra, poco discosto dal punto dove si trovava lui ora. Non era completamente buio, e proprio lì un lampione gettava la sua luce giallastra sulla strada e sulla scarpata della ferrovia. C’era qualcosa laggiù, dunque. Qualcosa di bianco, azzurro e color carne...

Passò un secondo prima che capisse cos’era.

Ne passò un altro prima che capisse chi era.