Per
Henny Delgado
Pelikaanallé 24
Grothenburg
Gobshejm, 7 ottobre
Cara Henny,
ti ringrazio della tua lunga lettera, che ho letto – ti assicuro – con grande piacere. Non aver paura di raccontare, era proprio questo il rapporto che avevamo un tempo con le parole: tu ne usavi cento dove io ne usavo dieci.
E non credere che non capisca, anche se manchi la capocchia del chiodo di qualche centimetro, è davvero fantastico averti ritrovata.
In effetti è probabile che siamo a metà del cammin di nostra vita, e tenuto conto di questo e della morte di Erich, mi pare un buon momento per fare il punto della situazione.
Per quanto mi riguarda, non ho da raccontare quanto te, poiché non ho una famiglia. Erich aveva dei figli già grandi quando ci siamo conosciuti, e decidemmo quasi subito di non metterne altri a questo discutibile mondo. Negli ultimi otto anni, da quando ho completato la mia tesi di dottorato, ho lavorato all’università di H-berg, che si trova a non più di sette o otto chilometri da qui, e mi sono trovata a mio agio nel mondo accademico fin dal primo momento. Da qualche semestre ho preso in mano i corsi che mi stanno più a cuore – il Romanticismo e il romanzo inglese dell’Ottocento – e proprio come te, cara Henny, sento di avere un compito da portare a termine nella vita, anche se non avrò mai figli e dunque non potrò far proseguire la stirpe.
Erich si tenne questa meravigliosa casa sul Molnar quando divorziò dalla sua prima moglie, e abbiamo abitato qui fin da quando ci siamo sposati. È una vecchia costruzione di grande fascino in legno e pietra, con un giardino inselvatichito e la vista sul fiume. Se ho qualche preoccupazione per il futuro, è come riuscire a mantenere questa dimora. I figli di Erich, Clara e Henry, hanno diritto a metà dell’eredità, e lo sa il cielo come potrei liquidarli. Non sono sicura che tu li abbia individuati al funerale. Henry è alto, scuro e arrogante, Clara un po’ curva, capelli color topo e almeno dieci chili di troppo; in chiesa erano seduti entrambi in prima fila, ma dalla parte opposta rispetto a me. Detto sinceramente, li detesto tanto quanto loro detestano me, ma penso che si troverà una soluzione anche a quel problema. Mi stupisce un po’ che non si siano ancora fatti vivi riguardo all’eredità, sono già trascorse due settimane dall’inventario patrimoniale, ma di sicuro non passerà molto prima che io riceva una telefonata da qualche rinomato studio legale.
Del resto la tua supposizione è esatta; dalla morte di Erich provo un certo sollievo. Quando ti sposi con qualcuno che è così tanto più vecchio, è quasi inevitabile preoccuparsi di rimanere sole (la professione medica non è certo una garanzia di longevità, semmai il contrario, credo), e forse dovremmo essere persino un po’ grate che succeda quando abbiamo solo quarant’anni, e non cinquanta o sessanta. Naturalmente hai ragione anche quando dici che ci stiamo avvicinando alla mezza età, Henny, ma è pur vero che abbiamo ancora qualcosa da dare e qualcosa per cui vivere. O no?
Scrivi che avevi un motivo preciso per cominciare questo scambio epistolare, e che in qualche modo ha a che fare con tuo marito. Devo ammettere che m’incuriosisce un po’, e ti esorto quindi a non «girarci intorno come fanno le donne», ma a venire al dunque nella tua prossima lettera, che spero non dovrò attendere troppo a lungo.
Concludo con questa esortazione, perché adesso devo uscire con i cani per la passeggiata serale; sono due, una coppia di eleganti e agili Rhodesian Ridgeback, ma non ho ancora deciso se tenerli. Li abbiamo da cinque anni, mi piacciono molto, ma richiedono sia tempo sia cure. Come adesso.
Quindi, cara Henny, fatti viva presto. Aspetto con impazienza.
Carissimi saluti!
Tua,
Agnes