Capitolo 19

Dopo avere sentito Rosy per sapere dov’era Ian, Charlee guidò senza mai fermarsi fino al cantiere. Lo vide subito, mentre lanciava la Jeep sulla stretta strada di accesso. Ian era in piedi sulla struttura del tetto di un edificio che si trovava in fondo all’isolato. A Charlee cominciò a battere forte il cuore quando lo vide, poi l’entusiasmo si trasformò in orrore perché lui non aveva alcun tipo di protezione. Mentre Charlee rallentava, lui diede un’occhiata nella sua direzione con il sole che si rifletteva sulla superficie liscia del suo casco di protezione giallo. Sollevò una mano per farsi ombra, come se non riuscisse a credere ai propri occhi.

La strada era asfaltata, ma comunque sporca di terra e di ghiaia proveniente dal cantiere. Charlee non riuscì a evitare di fargli un sorriso talmente grande, che le fecero male le guance e quando Ian si affrettò a raggiungere la scala telescopica e cominciò a scendere, il suo sorriso diventò ancora più enorme. Charlee non riusciva a respirare. Ian aveva un aspetto fantastico. Proprio fantastico. Persino più di quanto lei ricordasse. Maglietta, jeans, scarponi da lavoro. Era perfetto.

Un movimento alla sua destra catturò l’attenzione di Charlee. Distolse lo sguardo da Ian e vide che c’era qualcuno… una donna… che stava camminando verso di lui, con un contenitore per il pranzo in mano.

Charlee si sentì i polmoni svuotati di tutta l’aria. Brenna. Brenna stava correndo incontro a Ian e non si era accorta della presenza di Charlee e della Jeep e del fatto che, ehi tu, questo è l’uomo che io amo. Charlee guardò prima l’ancheggiante Brenna e poi Ian. Ma allora, era sceso dalla scala per lei? Aveva almeno visto che al volante c’era Charlee? Dio mio, sto per vomitare. Ti prego, fa’ che io non vomiti.

Brenna raggiunse Ian per prima e lui le mise le mani sulle braccia. Charlee avrebbe voluto chiudere gli occhi per evitare di assistere a un disastro. Sentiva che il caffè che aveva bevuto le risaliva dallo stomaco. Ian parlava in fretta, mille parole al secondo. Poi indicò la Jeep. Brenna spalancò la bocca e lasciò cadere a terra il contenitore per il pranzo, mentre Charlee si sentiva cadere il cuore nello stomaco.

Ian fece due passi e poi si mise a correre verso di lei. Charlee non riuscì a muoversi. In stato di shock. I piedi non rispondevano. Tutta la sua energia era diretta a cercare di capire che cosa Brenna ci facesse lì. Erano passate soltanto tre settimane.

Ian aprì lo sportello e la tirò fuori dall’auto. Lo lasciò fare, senza opporre resistenza; le sembrava di non avere più uno scheletro per reggersi in piedi. Lui sapeva di sudore e di uomo e di lavoro fisico, e cavolo se le era mancato tutto ciò. La avvolse in un abbraccio, ma lei si sentì fatta di gelatina. Percepiva che le diceva qualcosa. Doveva interpretarlo. Che cosa c’era che non andava in lei?

E poi, un’altra persona si fece avanti, proprio nel bel mezzo del loro attimo. Brenna. La sua mente annebbiata e confusa riprese a funzionare esplodendo in un’unica vampata di gelosia. Charlee si mise a fissare Ian. Lui lanciò un’occhiata di avvertimento a Brenna. Che cosa diavolo significava tutta questa faccenda?

Brenna si mise una mano sul fianco e aprì la bocca per parlare, ma Charlee le troncò le parole in bocca. «Non osare.» Charlee alzò una mano. «Sempre che tu non indossi un anello di fidanzamento che ti ha dato lui, non devi dirmi nemmeno una parola.»

Brenna chiuse la bocca, ma l’avvertimento era giunto a destinazione, lo si leggeva chiaro nei suoi occhi, che quasi le uscivano dalle orbite.

Ian teneva stretta Charlee per gli avambracci. Forse per la gioia di vederla o forse per impedirle di fuggire via.

Ma le sue attenzioni resero Charlee più spavalda e qualsiasi cosa stesse succedendo, o fosse successa, tra Ian e Brenna, non era importante per lui. Di questo Charlee era certa perché, mentre Ian si avvicinava, lei aveva visto nei suoi occhi lo stesso fuoco, lo stesso amore che anche lei aveva provato nel vederlo. Charlee lanciò un’occhiata tagliente a Brenna. «Lo indossi o no?»

Lei la guardò con espressione interrogativa. «Intendi il suo anello?»

Sembrava che Brenna mandasse fiamme dalle narici e dagli occhi, mentre si rivolgeva a Charlee. «No.»

«Allora questo è il mio uomo, sempre che lui mi voglia ancora, e se oserai avvicinarti ancora a lui ti scuoierò viva.»

Brenna fece un rapido respiro e lo sguardo che rivolse a Ian diceva Non hai intenzione di prendere le mie difese? Ma lui si limitò a fare una smorfia, poi circondò le spalle di Charlee con un braccio, e si strinse nelle spalle. «L’hai sentita. Credimi, conosco questa donna. Lo farà. Ne è capacissima.»

Brenna se ne andò via, infuriata e Charlee stava per inseguirla fino a casa sua, ma non poté farlo. Ian. Lui era lì davanti a lei, con quegli occhi, quei suoi meravigliosi occhi, colmi di così tante emozioni che non avrebbe saputo da dove cominciare a elencarle.

«Sei qui.» La strinse tra le braccia come se non riuscisse davvero a crederci.

«Mi vuoi ancora? Ti amo, Ian. Io ti amo tantissimo.»

Al colmo della gioia, lui socchiuse gli occhi. «Pensavo di poter vivere senza di te, ma mi sbagliavo.»

«Saresti potuto tornare da me, lo sai vero?» Erano incollati l’uno all’altro, sostenendosi a vicenda.

Il sorriso di Ian svanì. «Non potevo. Ho fatto una promessa a te e a tuo padre.»

Lei gli si avvicinò ancora di più. «Lo so che lo hai fatto.»

«È per questo che sei qui ora?» C’era una tale speranza nella sua voce, che lei riuscì soltanto a ridere, annuire, e poi ridere ancora.

Ian trovò il suo viso con le mani e poi i suoi capelli, mentre lei assaporava il contatto con lui e con la sua pelle riscaldata dal sole e respirava il suo odore, di vero uomo e di vero amore. «Mi dispiace per Brenna. È da una settimana che me la trovo sempre tra i piedi, qui al cantiere. Le ho detto che tra noi non c’è e non ci potrà mai essere nulla…»

Charlee lo fece tacere, stampandogli un leggero bacio sulle labbra. Grosso errore. Lui la intrappolò lì, aprendo la bocca, stringendosi a lei, il petto e le gambe premuti contro di lei. E… oh, lei si perse dentro il suo abbraccio. Il lavoro aveva fortificato la sua poderosa muscolatura e lui usava le labbra e la lingua sulla bocca di Charlee, come in una danza e per alcuni bollenti istanti non ci fu nessuno al mondo, a parte loro. Quando i loro rumorosi respiri cominciarono a essere udibili tutto intorno, Charlee staccò la bocca dalla sua. Aveva le labbra gonfie e irritate dai baffi di Ian, ma questo le dava una incredibile sensazione di formicolio e di vitalità. Il suo corpo era vivo quando Ian Carlisle era in circolazione. Gloriosamente e sfacciatamente vivo. E in quel momento avrebbe voluto soltanto poter restare con lui, da sola.

Charlee scosse la testa per riprendere il controllo e si costrinse a fare un passo indietro, allontanandosi da Ian. Dopo tutto, c’era una questione di cui dovevano occuparsi. Non potevano stare lì appiccicati a limonare, perché dovevano affrontare argomenti molto seri.

Prese qualcosa dalla Jeep. «Hai dimenticato i tuoi quadri.»

Ian allungò la mano verso di lei, quasi volesse trattenerla, ma per evitare di farlo richiuse la mano a pugno. «E vuoi restituirmeli?»

Lei annuì. «Questo è quello che ha dipinto il signor Gruber e questo è quello che ho dipinto io.»

Quando tolse dall’involucro il quadro con la grande macchia rossa, intitolato Blu, lui la guardò con espressione interrogativa. «Lo hai dipinto tu questo?»

Lei fece un cenno affermativo. «Sì. E tu hai scelto di tenerlo nel tuo bungalow, dimostrando di avere un gusto eccellente.»

«Infatti ho scelto anche te.» Si avvicinò a lei, con il quadro stretto in mezzo loro.

Lei alzò gli occhi al cielo. «Cosa che dimostra che tutti a volte possiamo sbagliarci.» Con grande fatica lo allontanò da sé.

Le tolse di mano il dipinto con la macchia rossa e si mise a osservarlo.

«Un giorno ne dipingerai un altro per me?»

Ancora una volta lei si mise a frugare nella Jeep. «L’ho già fatto.» Quando estrasse la tela, lui vide che era dipinta di nero.

«Lasciami indovinare. L’hai intitolato Bianco

«No. L’ho intitolato Vita senza Ian.» Charlee prese la tela e l’appoggiò a una ruota della Jeep. «Il mio mondo senza di te, è così. Un enorme buco, vuoto e nero.»

Lui fece un passo in avanti e mise Blu vicino all’altra tela. «Esatto, conosco quella sensazione.»

«Ian, devo dirti qualcosa.» E come un fiume in piena cominciò a raccontargli del signor Gruber e della sua nuova prospettiva di vita. E di sua figlia. E del medico. E della sentenza di morte su di lui.

Ian la strinse forte a sé. «Mi dispiace moltissimo, Charlee. Non avrebbe mai dovuto dirlo a te per prima.»

«Lo ha fatto con le migliori intenzioni» mormorò lei contro il suo petto.

Lui la scostò appena, per poterla guardare negli occhi. «E tu, che cosa hai fatto?»

«Sono fuggita. Da te.»

Lui sospirò, stringendola di nuovo nel suo abbraccio.

«Avevi torto, Ian. Non dipende tutto solo da me. Dovevo trovare una fonte da cui attingere forza e l’ho trovata.» Ancora una volta lui la guardò negli occhi.

«Mio padre. E tu. Tu mi hai dato la forza di fermare la bambina piccola e spaventata che vive dentro di me. Io non fuggirò via. Né ora, né mai più. La paura non riuscirà mai più ad avere il controllo sulla mia vita. Sono libera. E adesso ti giuro che non fuggirò mai più via.»

C’erano stati baci che le avevano toccato il cuore e baci che l’avevano fatta sentire amata, ma questo bacio era qualcos’altro, qualcosa di diverso. Era il mondo e l’universo; faceva scomparire tutte le stelle e le ancorava i piedi sulla terra, che andava in frantumi. La sollevava e la trascinava. Su, in alto e poi giù, negli abissi. Tutte le volte che Charlee era stata baciata prima di allora non aveva mai provato niente di questo genere. Era il futuro. Era come vedere la staccionata bianca e un bimbo piccolo che le abbracciava una gamba. Erano i fuochi d’artificio del 4 luglio e una tranquilla mattina di Natale con la neve fuori. Era la vita ed era meravigliosa.

Se le cose fossero andate come lei desiderava, quello sarebbe stato il primo di molti altri. Quando Charlee aprì gli occhi per guardare Ian, si sentì come se quella vita la stesse già vivendo. Si sentiva il cuore appagato e la mente in pace e pensò che se anche fosse arrivata a cento anni, non avrebbe mai potuto vivere un momento più meraviglioso di quello.

Fino a quando lui non scandì quelle poche parole. «Charlee, mi vuoi sposare?»

E fu travolta ancora una volta dallo stesso incredibile vortice di emozioni.

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Charlee era seduta su un lato del letto del signor Gruber. Sarebbe stato dimesso dall’ospedale in giornata, ma lei si era assunta l’onere di parlargli del suo cuore e di quella condizione che poteva essergli fatale. Ian era seduto al suo fianco e le teneva la mano, mentre Wes Giles era in piedi in un angolo della stanza pronto a rispondere a tutte le domande. Wynona era sull’altro lato del letto di Gruber e gli teneva una mano sulla spalla. Charlee aveva già informato Wynona.

Quell’adorabile e coriaceo vecchio rimase in silenzio per un momento che durò a lungo, dopo che lei ebbe terminato. Aveva una specie di spasmo intorno alle labbra. Poi i suoi acquosi occhi azzurri incontrarono i suoi. «È tutto?»

Come? Charlee si sporse verso di lui. Forse non aveva capito. «Ehm, sì, signor Gruber, non le sembra abbastanza?»

Lui allungò la mano dietro di sé per stringere quella di Wynona. «Non è poi una notizia così sorprendente, che un uomo anziano debba morire, prima o poi.»

Charlee si sistemò un po’ meglio, raddrizzando un po’ la schiena, pronta a dare spiegazioni. Lui la bloccò, sollevando un palmo della mano. «Sono vecchio, Charlee.» Lei sentì un vero e proprio pugno nel petto.

«Se domani dovrò morire, morirò.»

Charlee chiuse gli occhi, per scacciare quel pensiero.

Gruber si rivolse al dottor Giles. «Però, lei non sa quanto tempo mi resta da vivere, giusto? Perché, in fondo, lei è qui per fare pratica.»

Battute, il signor Gruber stava facendo battute. Charlee stava cercando di accettare l’idea.

Wes si avvicinò al letto. «Non esiste un modo per calcolarlo. E sì, sono qui per fare pratica.»

Wynona si schiarì la voce. «Charlee, mia cara, io credo che Arnold voglia soltanto dire che ogni giorno di vita è un dono. Nessuno di noi conosce il numero di giorni che gli resta, ma ognuno di noi è responsabile per la qualità di ogni giorno che ci viene concesso.» Gruber si passò una mano sul viso. «Vorrei stare qui ancora un po’. Cercate di capirmi. Ora ho molte più ragioni per vivere, di quante ne abbia mai avute per anni.» Spostò la testa di lato per guardare il viso sorridente di Wynona, prima di rivolgersi nuovamente a Charlee. «Mia figlia è tornata a essere presente nella mia vita. Tra una settimana verrà a trovarmi e riuscirò a passare un po’ di tempo con la mia nipotina. Se il mio orologio continuerà a segnare il tempo per un altro mese, avrò avuto dalla vita tutto quello che un uomo della mia età possa mai sperare di avere.»

Charlee annuì. Stava cominciando a capire. Non si parlava di quantità, ma di qualità.

Lui chiuse un occhio. «E adesso veniamo alle cose più importanti. Tu devi mantenere la promessa fatta a tuo padre, ragazzina.»

«Spargere le sue ceneri.»

Gruber si mise a sedere più dritto. «Proprio così.»

«Be’, vorrei farlo quando saranno qui i miei fratelli.» Rivolse uno sguardo a Ian, il cui sorriso avrebbe potuto illuminare un abisso. «Spero che riusciranno a tornare in tempo per il matrimonio, ma forse sarebbe carino organizzare una piccola cerimonia preliminare.»

«Più tardi, oggi stesso» disse il signor Gruber.

Charlee guardò di sfuggita Ian e poi tornò a rivolgere l’attenzione al signor Gruber. «È sicuro di sentirsela?»

«Certamente. Ho già un regalo per celebrare questa occasione.»

«Va bene. Oggi pomeriggio. Al mio posto preferito.»

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Charlee rimase nella stanza d’ospedale, mentre Ian faceva una scappata al piano di sotto alla caffetteria. Si versò una tazza di caffè dal distributore a disposizione del pubblico.

Si girò quando udì la voce di Jeremiah. «Non avevo ancora avuto l’occasione di ringraziarti perché stai vicino a mia sorella.»

Ian sorrise. «Sono io che sono grato di poterlo fare.»

Miah si passò una mano tra i capelli e Ian notò che due infermiere si fermavano a guardarlo. «Sono davvero dispiaciuto per tutta quella faccenda della tenuta.»

«Che cosa? Il messaggio che hai lasciato per dire che volevi vendere la tenuta?»

«Fratello, non l’ho fatto di proposito. Io non sapevo nulla di quello che le aveva fatto Richard.»

Ian gli diede una pacca sulla spalla. «Lo so. Non pensarci più. E poi te l’avevo detto che non avrebbe mai funzionato.»

Entrambi scoppiarono a ridere.

Ian lo guardò dritto negli occhi. «Forse una crisi era l’unico modo perché Charlee riuscisse a prendere coscienza che l’alcol non è una soluzione. Tutto è andato come doveva andare, Jeremiah, quindi non devi prendertela con te stesso.»

Miah aveva lo sguardo preoccupato. «Come sta lei?»

«Sta imparando a gestire la situazione. So che ha dovuto scavare a fondo dentro di sé, frugare dentro la propria anima e capire che è giusto essere indipendente e ostinata, ma che non si deve lasciare dominare da questo proposito. È normale avere bisogno degli altri.»

«Mi pare chiaro.» Jeremiah si mise le mani in tasca.

«Forse per noi è più facile, perché siamo soldati. Siamo forti soltanto quanto lo sono gli uomini che sono con noi.» Ian bevve un sorso di caffè, fece una smorfia e aggiunse altro latte. «Allora, che cosa è successo con il tuo investitore?»

Miah si strinse nelle spalle. «È solo interessato all’intero lotto.»

«E i tuoi fratelli sarebbero stati d’accordo? Mancava soltanto Charlee?»

Miah annuì. «Dopo tutto sono contento che le cose siano andate così. Ho guardato meglio l’edificio principale che si trova sul mio terreno e anche se gli serve qualche intervento di manutenzione può diventare una bella residenza.»

«Davvero? Hai intenzione di aprire una residenza per artisti tutta tua?»

Miah si mise a ridere e la sua fragorosa risata richiamò l’attenzione di tre donne che stavano passando di lì. «Niente affatto. Stavo pensando a una residenza di caccia e pesca.»

Salirono per le scale, invece di prendere l’ascensore e si avviarono lungo il corridoio. Charlee uscì dalla stanza di Gruber e Ian si sentì sciogliere. Proprio come gli succedeva ogni volta che la vedeva. Avvertiva vagamente che Miah stava dicendo qualcosa sulla postazione delle infermiere, ma Ian lo sentiva a mala pena. La donna dei suoi sogni, la donna che amava, la donna che molto presto sarebbe diventata sua moglie era in fondo al corridoio e lo aspettava. Come se si fosse accorta della sua presenza, Charlee si girò e gli sorrise.

Anche Ian le sorrise e senza parlare ringraziò il Maggiore Mack, l’uomo che li aveva fatti incontrare. Nella parte più nascosta della sua mente, Ian si chiese se fosse sempre stato questo il piano del Maggiore Mack. Ian una volta gli aveva chiesto perché dimostrasse così tanto interesse nei suoi confronti e il Maggiore gli aveva risposto che se fosse riuscito a comunicare con Ian, ce l’avrebbe potuta fare con chiunque. Forse quello che Mack intendeva dire era con chiunque, persino con Charlee?

«Grazie, Mack» gli disse e poi aggiunse: «Mi hai guardato le spalle».