Capitolo 6
Dopo otto ore e due docce fredde, Charlee si presentò di nuovo alla porta di Ian. Bussò e restò ad ascoltare, poi girò la maniglia. Non era chiusa a chiave. L’aprì quanto bastava per sbirciare all’interno. «Ian?»
Nessuna risposta, così entrò e notò che il divano era vuoto. La macchina del caffè gorgogliava sul piano della cucina; buon segno. Ritornò verso il divano e vide il punto dove lui era stato sdraiato. Su un cuscino c’era una macchia di sangue. Sentì l’acqua scorrere nella doccia e questo le fece pensare che tutto stava procedendo per il meglio e lei aveva bisogno che tutto procedesse nel migliore dei modi… con Ian. Aveva bisogno che lui stesse bene e che non gli servisse assistenza.
Decise di tenersi occupata finché non fosse uscito dalla doccia, così andò in cucina per cercare un panno di spugna e lavare via la macchia di sangue. Aprì e richiuse i cassetti rumorosamente, sperando di trovarne uno, e quando arrivò all’ultimo cassetto sulla destra, dentro vi trovò un diario con la copertina di cuoio sopra a un mucchio di strofinacci. Cercò di prenderne uno, ma sembrava incastrato e così fu costretta a spostare il diario, che posò sul piano della cucina. Scelse uno dei panni più logori e mentre stava per riporre il diario dove lo aveva trovato, una fotografia scivolò fuori dalle sue pagine e cadde a terra, a faccia in giù.
Charlee stava per rimetterla a posto, ma fu vinta dalla curiosità. Era una foto del primo amore di Ian? Una foto che portava ancora con sé. Quando girò la foto, le mancò il respiro. Le sembrò di vedere delle macchie nere, mentre tutto quello che si trovava al limite del suo campo visivo apparve improvvisamente sfocato.
In quella foto c’era Charlee.
Con la mano libera si tenne al bancone, sentendosi cedere le ginocchia. Conosceva quella foto, ma non la vedeva da anni. Si arrovellò la mente, cercando di dare un senso a questa cosa. Ian non era stato a casa sua e quindi non poteva averla sottratta da lì; e poi, erano anni, anni, che nemmeno lei vedeva più quella foto.
Quando udì un rumore dietro di sé, si voltò e vide che Ian, con la bocca spalancata, prima fissò lei, poi la foto, e poi il diario.
«Dove l’hai presa?» Nella sua voce era evidente il panico.
Ma lo sguardo di Ian le fece capire che non si trattava di uno sbaglio innocente.
«Da quanto tempo ce l’hai?» Gli sventolò la foto davanti agli occhi.
Ma Ian non rispose. I due tagli, quello sopra l’occhio e l’altro vicino alla bocca, erano migliorati e meno gonfi, ma lui aveva un’espressione implorante e piena di dolore. Guardandolo, lei si sentì rimescolare tutta, ma non doveva lasciarsi commuovere, così fece un passo in avanti tremante, e poi picchiò una mano sul tavolo. «Da quanto tempo?»
«Da molto tempo, Charlee.»
Lei risucchiò l’aria con la bocca. «Da prima di conoscermi?»
Lui annuì, i lineamenti del suo viso una maschera di vergogna.
La mente di Charlee non doveva farsi confondere, non avrebbe ceduto. «Tenevi con te una mia fotografia ancora prima di incontrarmi? Te l’ha data Jeremiah?» Cercò di mantenere la calma, di rallentare il proprio battito, ma quel TIR che l’aveva appena investita sembrava intenzionato a invertire la marcia, per passarle sopra una seconda volta.
«No, Charlee. Ieri sera ho cercato di dirtelo, come avevo già fatto un paio di volte.»
Lei indietreggiò barcollando e si portò le mani al viso. «Vattene via.» Scosse la testa dirigendosi verso la porta d’ingresso. «Raccogli le tue cose e vattene.»
Lui aveva gli occhi pieni di lacrime e, se Charlee non fosse stata così fuori di sé per quella faccenda, avrebbe potuto lasciarsi tentare e fermarsi ad ascoltare la sua spiegazione.
«Ti prego. Concedimi soltanto cinque minuti e capirai.»
Con la mano Charlee afferrò la maniglia della porta, cercando un punto di appoggio. «Niente di quello che vuoi dirmi potrebbe mai sistemare le cose.»
In preda alla disperazione, Ian corse verso di lei ma lei sgusciò fuori dalla porta e la richiuse con forza. Lui restò lì, vicino alla porta, ma gli sembrò di trovarsi a centinaia di chilometri di distanza da lei. Si portò una mano sul cuore, stringendola a pugno. Niente potrebbe mai sistemare le cose. Sapeva che era vero. Era chiaro. Aveva incasinato la missione. Fallito. Perché affidare proprio a lui questo compito?
In silenzio, Ian girava per casa in stato confusionale, raccogliendo le proprie cose e infilandole nello zaino militare. Non gli sarebbe rimasto nulla per ricordarla. Si era ripresa la sua fotografia, lasciandolo totalmente solo. Svuotato. Nella sua mente, una vocina irritante continuava a ripetergli che era destino che andasse a finire così. Ian Carlisle sapeva come comportarsi sul campo di battaglia, ma non era in grado di combattere il proprio cuore.
Doveva passare dal signor Gruber prima di andarsene. Anche se Ian non possedeva molte cose, gli ci volle un’ora per mettere insieme tutto quanto. Avvolse il diario nelle buste di plastica; doveva proteggerlo dagli elementi esterni. A un certo punto fu tentato di aprirlo per leggerne qualche riga, ma ormai che importanza poteva avere? Charlee era uscita dalla sua vita e lui aveva deluso l’unica persona che aveva giurato di non deludere mai. Quando uscì di casa e vide la moto, si rese conto di non avere un posto dove andare. Così per alcuni minuti infiniti restò lì, a fissare le cromature e il cuoio, come se gli indicassero la direzione da prendere. Aveva il corpo dolorante per le botte della sera precedente e avvertiva dentro di sé una forte sensazione di svuotamento e di vero dolore. Mal di cuore. Quel tipo di dolore che aveva sperato di non provare mai più. Se avesse potuto scegliere, avrebbe preferito farsi picchiare ogni giorno da tre energumeni.
«Bontà divina, sembra quasi un cucciolo smarrito» disse Wilma in piedi sulla soglia di casa con Charlee. Sull’altro lato della piazza, Ian era pronto a partire. Mentre allacciava il borsone sulla moto, i suoi movimenti erano lenti e meccanici e aveva posato lo zaino a terra, di fianco alla moto.
«Voglio solo che se ne vada.»
Wilma mise un braccio attorno alle spalle di Charlee, in un gesto d’affetto. Quando King Edward e Wynona le raggiunsero sul portico, si voltarono tutti verso Ian. «Dolcezza, sei sicura di non volergli dare modo di spiegare?»
Charlee prese fiato. «La parola molestatore vi dice niente?» La sua storia con Richard era stata tutta una bugia e questa prometteva di fare la stessa fine.
Wynona andò a chiamare il signor Gruber. King Edward tirò su con il naso. «Quel ragazzo non è un molestatore. Come siete drammatiche, voi donne.»
Charlee gli lanciò un’occhiata di fuoco.
Wilma massaggiava il braccio di Charlee. «Io proprio non riesco a pensare che Ian sia un pericolo. Magari è stato tuo fratello a dargli la foto.»
Diceva sul serio? Lo conoscevano da meno di due settimane e difendevano lui, invece di confortare lei? «Gli ho già chiesto se la foto l’aveva avuta da Jeremiah. Ha detto di no.» Gliela mostrò. «E poi, guardate com’è sciupata. La porta con sé da chissà quanto tempo.»
«Ti ha detto che non gliel’ha data tuo fratello, o che non l’ha presa da tuo fratello? Magari gliel’ha vista, ha pensato che tu fossi bellissima e ha preso la foto senza il suo permesso.»
Charlee aveva capito come stavano le cose. Doveva affrontare la cosa, oppure gli artisti l’avrebbero fatta impazzire per settimane. «Arrivo subito.» E scomparve nel bungalow di Wilma.
«Che cosa stai facendo, tesoro?» le gridò Wilma.
«Chiamo mio fratello.»
Tre minuti dopo e in preda a un altro attacco di collera, Charlee si allontanò a passo di carica dagli artisti, per raggiungere Ian Carlisle, come se la terra le bruciasse sotto i piedi. Lui stava giusto per salire sulla moto quando lei lo raggiunse. Prima che sollevasse la gamba, lei gli afferrò un braccio e lo strattonò.
«Mio fratello non ti conosce.»
Ian chiuse gli occhi.
«L’ho chiamato.» Charlee stringeva i denti così forte, che per un attimo pensò che quelli posteriori si stessero sbriciolando. «Dice di non averti mai incontrato.»
Incurvando le spalle, Ian annuì e la guardò negli occhi, pronto ad affrontare la scenata che lei stava per fargli.
«Ammettilo.» Questa volta Charlee gli tirò un pugno sul petto.
Ian fece un grugnito e lei si ricordò delle costole rotte e si sentì in colpa per un brevissimo istante. Ma la sensazione svanì presto… «Ammettilo.»
Ian fece un bel respiro e alzò gli occhi al cielo. Aveva gli occhi umidi. «Non conosco tuo fratello.»
A quelle parole Charlee ebbe un tonfo al cuore. Anche se già lo sapeva, anche se ne aveva avuto la conferma parlando con Jeremiah, sentirselo dire dalla bocca di Ian, la stessa di cui aveva assaggiato il sapore e della quale si era fidata, la lasciò quasi senza forze.
Gli girò le spalle muovendosi lentamente e si avviò verso il bungalow di Wilma, ma a ogni passo aumentavano in lei rabbia, paura e confusione. Fece dietrofront e riprese a marciare verso di lui. «Perché?» Charlee non smetteva di scuotere la testa.
Una grossa lacrima scivolò sulla guancia di Ian e lei avrebbe voluto asciugargliela, perché non bisognerebbe mai fare piangere un soldato. Il fatto che, anche in quella situazione, stesse provando tenerezza per l’uomo che non aveva fatto altro che mentirle le fece provare un dolore ancora più intenso. «Perché sei qui, Ian?»
Si passò le mani sul viso, poi le lasciò ricadere ai lati del corpo. «Perché ho promesso a tuo padre che lo avrei fatto.»
Bam! Una forza immateriale la colpì in pieno petto, facendola indietreggiare. Lei inciampò, come se la terra sotto di lei fosse passata dallo stato solido a quello liquido. Le ci volle un momento prima di rendersi conto che Ian la stava sorreggendo per un braccio. Si allontanò da lui.
«L’ho promesso a tuo padre e avevo così tanta paura di rovinare tutto…» I suoi enormi occhi scuri e imploranti erano inondati di lacrime che gli scendevano come un fiume sulle guance. «E ci sono riuscito.» Le ampie spalle tremavano per l’agitazione.
Charlee si accorse che anche sul suo viso stava scendendo un fiume di lacrime. «Mio papà?» Non riusciva ancora ad afferrare che cosa stesse succedendo intorno a lei e in che modo Ian e suo padre fossero collegati.
«Lui ti capiva molto di più di quanto tu possa pensare, Charlee. Dio mi è testimone che ti amava più della sua stessa vita.»
Ancora una volta sentì come un pugno nello stomaco. Suo padre? Sotto i suoi piedi c’era un prato e, sotto quello, la bella terra grassa del Missouri e ancora più sotto la roccia solida, un altro strato di roccia o granito. Solido, inamovibile. Eppure, nel punto esatto in cui lei si trovava, sembrava ci fosse soltanto sabbia che sprofondava sempre più, a ogni parola.
Ian tentò di fare un passo verso di lei. «Il diario nel cassetto. È il suo. Dovevo portarlo qui, a te, ma non soltanto consegnartelo. Dovevo leggertelo, una pagina per volta, ma io… io non sono riuscito…»
«La pagina che mi hai letto?» Affondò meglio i piedi per terra, sperando di ritrovare un po’ di stabilità, sperando di sentire la presenza di quello strato roccioso che aveva sotto di sé.
«Tuo padre l’ha scritta per te.»
Lei gli serrò il polso con le dita, sentendosi vacillare. «Ma perché?»
«Perché tuo padre voleva che tu conoscessi un altro lato della sua personalità. Un lato che non hai mai visto perché lui era occupato a prepararti alla vita. Tu e tuo padre siete più simili di quanto possa sembrare.»
Charlee scosse la testa. Loro due erano poli opposti.
«Vuoi entrare in casa con me? Posso leggerti la prima pagina.»
Lei guardò le montagne sullo sfondo. Solide, forti, uno spettacolo immutabile che per un momento, seppur breve, la riportò con i piedi per terra. Con la testa ancora piena di confusione, Charlee lasciò che Ian le prendesse la mano e la tirasse con dolcezza per farla entrare nel bungalow e nel suo passato.
Io sono un uomo distrutto. Lacerato tra ciò che è giusto e ciò che è necessario. Con gli occhi della mente io vedo un’altra vita. Le case, le faccende quotidiane, le lunghe cene tranquille, le lunghe notti silenziose. Ma quello è soltanto il posto dove io vivo nei miei sogni. La mia realtà è diversa. La mia realtà è fatta di fucili, razioni, guerra, morte, ma a renderla sopportabile è l’altro mondo che mi aspetta. E sebbene con il cuore io sia lì, le responsabilità che ho sono qui. Nei loro confronti. Nei confronti dei ragazzi che ogni giorno arrivano qui e ogni giorno muoiono. Nei confronti delle loro madri e dei loro padri ho la responsabilità di dare a quei ragazzi ogni mezzo per farcela in questa guerra. Riusciranno questi giovani uomini e queste giovani donne a sopravvivere e magari anche a essere migliori, grazie al mio impegno? Sì, lo faranno. E io riuscirò a tornare alla mia altra vita, un giorno? A quel luogo di prati verdi e acque chiare. Io lo spero, ma che io torni, oppure muoia in questo deserto, avrò fatto il mio dovere. Posso soltanto sperare che coloro che mi lascerò alle spalle capiranno. Tu lo farai, Charlee? Potrai perdonarmi per essere qui e non lì dove dovrei essere?
Charlee era seduta al tavolo, con la schiena dritta, le braccia incrociate sul petto quasi ad abbracciarsi. «A me» sussurrò. «Si rivolge a me.»
Ian annuì.
«Mio padre era un poeta.»
Ian respirò di sollievo, perché dal momento in cui lei lo aveva seguito dentro il bungalow, si era aspettato che fuggisse via. Invece lei era lì, seduta in silenzio e al posto di quello sguardo di fuoco, negli occhi aveva la nostalgia, un accenno di quel dolore che soltanto ora stava diventando una perdita ancora più grave.
«Mi dispiace tanto di non avertelo detto nel modo giusto. Non sapevo come fare.»
Lei distolse lo sguardo dal pavimento e alzò gli occhi verso di lui. Ian avrebbe voluto saperli leggere meglio. «Conoscevi bene mio padre?»
Ian si rendeva conto, suo malgrado, che stava per mettersi di nuovo a piangere, si sentiva il naso pungere e la gola chiusa. «Sì, Charlee. Lo conoscevo molto bene. Lui è stato il mio…»
«Il comandante del quale parli sempre. Quello che possedeva tutta la saggezza.»
Ian annuì.
Lei piegò la testa di lato e alcune ciocche di riccioli biondi le scivolarono lungo la spalla. «Perché tu?»
Doveva essere cauto. Lei era come una gatta selvatica e se le avesse dato troppe attenzioni, sarebbe fuggita via. «Tuo padre…» E mentre Ian cominciava a parlare dell’uomo che aveva ammirato, l’uomo al quale aveva voluto bene, capì di non avere accettato di farlo soltanto per il bene di Charlee. Era andato lì anche per il Maggiore McKinley. Era andato lì anche per se stesso. «Ci eravamo avvicinati perché io venivo dall’Oklahoma e lui dal Missouri. Molte cose in comune. Ma lui s’interessò a me fin da subito. Mio Dio, talmente tante volte ho desiderato andarmene, ho persino preso in considerazione di disertare. Ero un caso difficile, Charlee. Uno dei peggiori. Ma lui con me non si arrese mai.»
Charlee fece un sorriso. Appena accennato, incerto, ma lo fece.
«Un giorno gli chiesi perché. Mi disse che io ero una bella gatta da pelare, ma che se con me ci fosse riuscito, ce l’avrebbe fatta con chiunque.» Ian premette le mani sulla copertina del diario. «Poi cominciò a parlarmi di te. Cavolo, se era orgoglioso di te.»
Charlee si sporse in avanti. «Che cosa?»
«Lo era. Glielo leggevi negli occhi.»
«Mio padre ha sempre e solo cercato di convincermi a rinunciare a quest’impresa.»
Ian si strinse nelle spalle. «Soltanto perché non voleva che tu lo facessi non significa che non fosse orgoglioso dei tuoi risultati.»
Charlee si premette entrambe le mani sulla testa. «Questo è difficile da digerire.»
«Già» Ian concordò e si alzò per mettere via il diario.
«Aspetta.» Glielo indicò con un dito. «Non me lo darai?»
Lui si voltò adagio. «No.»
«Ma, io pensavo che, visto che… sai, visto come sono andate le cose…»
Ian tornò a sedersi e posò il diario sul tavolo, in mezzo a loro. «Il suo ultimo desiderio è stato quello di condividerlo con te, una pagina per volta. Vorrei esaudire quel desiderio, Charlee. Tuo padre aveva sempre un motivo per tutto quello che faceva. Sono certo che anche in questo caso ne avesse uno.» Come atto di fiducia, e permettendole di decidere liberamente, Ian spinse verso di lei il diario.
Charlee si mordicchiò il labbro. Ian riuscì a vedere la sua lotta interiore. Quando lei allungò la mano verso il diario, lui avvertì un brivido freddo percorrergli la schiena. Ma invece di prenderlo, lei lo spinse nuovamente verso di lui. «Bene» mormorò.
E Ian sentì che il cuore quasi gli esplodeva nel petto. Sarebbe riuscito a mantenere la promessa fatta al Maggiore McKinley. E a questo punto avrebbe dovuto impegnarsi per mantenere la promessa che aveva fatto a se stesso.
Charlee immaginò che Ian non sarebbe stato troppo sorpreso di vederla sulla soglia di casa la mattina presto del giorno successivo. Quando le aprì, gli mostrò un thermos.
«Ho portato il caffè.»
«Entri o ci sediamo sul portico?»
Non aveva nemmeno l’aria addormentata, anche se era quasi certa di averlo svegliato. Soldati.
Lei guardò di sfuggita il suo torso nudo. «Vada per il portico.»
Ian girò le spalle alla porta e afferrò una T-shirt. «Sei tu il capo.»
«Ehi, aspetta. Andiamo nel mio posto preferito? Possiamo bere lì il caffè? Pensavo che magari mi potresti leggere un altro po’ del diario questa mattina, e inoltre non fa troppo caldo. Finalmente la canicola è passata.»
Un lato del viso di Ian si trasformò, mentre sorrideva pericolosamente. Non era più soltanto il soldato sexy che viveva nella sua tenuta. Era il collegamento con quel padre che lei sentiva di non avere mai conosciuto realmente. Salirono sulla Jeep e si avviarono verso il posto preferito di Charlee.
«Perché è proprio questo il posto che preferisci di tutta la tenuta? Voglio dire, è certamente un luogo incantevole, ma anche molti altri lo sono.»
Lei saltò giù dalla Jeep e si guardò intorno. Il lago di Table Rock brillava per i raggi del sole che vi danzavano sopra. «Non so. È solo che qui io mi sento al sicuro.»
Ian annuì e liberò il diario dal suo involucro, mentre Charlee si sedette sul tronco di quercia.
«Ho trovato questo posto dopo averlo liberato in parte dalle sterpaglie. Ma…» fece una pausa, lo sguardo rivolto verso il lago e i pensieri altrove.
«Charlee?»
«Ma fin dalla prima volta, sapevo di conoscerlo già. Che ero già stata qui. Riconobbi questo posto.»
Ian seguì il suo sguardo. «Venivi qui con tua madre?»
«Una sola volta. Lei era molto malata e ci mettemmo un po’ ad arrivare. Il sentiero era difficile da trovare.»
«C’era anche tuo padre?»
«No.» Ma poi sembrò venirle in mente qualcosa, un ricordo che risaliva a molto tempo prima. Prese il braccio di Ian. «Sai, credo che ci fosse anche lui, ma era rimasto indietro. Non voleva interrompere la mamma. Lei mi stava dicendo che io sarei riuscita a fare tutto quello che volevo. Anche quando lei non fosse più stata qui.»
«Allora questo è il tuo posto preferito per via di tua madre. È una bella cosa, Charlee.»
Il ricordo si fece meno confuso, mentre lei ripensava a quell’episodio. Le parole di sua madre non erano state molto diverse da quelle che lei aveva ripetuto a se stessa migliaia di volte. Quindi non era quella la ragione per cui era un luogo speciale. «No, non credo sia per questo.»
E poi, come la piena di un torrente impetuoso, il fiume dei ricordi si fece strada dentro di lei. «È per via di papà.» Charlee appoggiò le mani ai lati del suo sedile, perché all’improvviso le sembrò che quel tronco di quercia vecchio di cent’anni sul quale era seduta stesse ondeggiando.
«La mamma ritornò al furgone parcheggiato al di là degli alberi, ma papà fissava il lago e quando io mi avvicinai sembrò sorpreso. Mi guardò e io scorsi le lacrime nei suoi occhi.» Charlee deglutì, mentre il ricordo del padre diventava più reale. «Non lo avevo mai visto piangere. Credo che non sapesse che ero rimasta lì, finché non feci scivolare la mano nella sua.»
Di fianco a lei, Ian tirò su con il naso e Charlee vide che anche per lui era dura. Così gli prese una mano fra le sue. «Fu solo un momento, ma in quel momento lui divenne un’altra persona. Mi cullò tra le braccia e mi disse che mi voleva bene. Mi disse che tutto sarebbe andato per il meglio e che la mamma ci avrebbe sempre guardati da lassù.»
Ian aveva il viso bagnato di lacrime.
«Poi raddrizzò le spalle, mi sistemò la camicia e riprese la sua espressione da soldato. Mi disse di essere forte e io gli promisi che lo sarei stata. Non lo vidi mai più piangere.»
«Io sì.» Il tocco di Ian divenne una carezza, mentre le stringeva la mano per darle forza. Charlee lo guardò con espressione interrogativa.
«L’ultima volta che mi parlò di te.» Lei chiuse gli occhi. Le tremavano le labbra.
I raggi del primo sole giocavano tra i rami della possente quercia sopra di loro, tracciando linee di fuoco sul terreno.
«Charlee, vuoi che ti legga un’altra pagina del diario?»
Lei respirò la frizzante aria di montagna. «Mi piacerebbe.»
Ian le strinse una mano e poi la lasciò andare per aprire il diario, mentre sull’altra sponda del lago si posava un grande airone blu, prima di affondare il becco vicino all’acqua, alla ricerca di cibo. Sopra di lui, il cielo del mattino era una tenue pennellata color pesca e rosa, che più tardi avrebbe preso una sfumatura più decisa, ma per il momento era un tocco delicato. Charlee fece di nuovo scivolare la mano in quella di Ian, quando lui cominciò a leggere.
Cara Charlee,
ieri ho parlato con tuo fratello e il suono della sua voce mi ha fatto pensare che uomo fortunato io sia. Nella sua voce io sento te. Sento tua madre. Perché una donna stupenda come lei abbia scelto un uomo come me non lo capirò mai. È stato come se Dio avesse reso umano un angelo e l’avesse mandata proprio a me. Purtroppo, dopo avermela mandata, dev’essersi accorto che il cielo non era più un posto così bello. Lei aveva sempre desiderato una bambina tutta vestitini, fiocchi e nastri. E poi sei arrivata tu, che non avresti messo un vestitino per niente al mondo. Lei scuoteva la testa e incolpava me. Poi un giorno, quando avevi nove o dieci anni, ti vide disegnare. Io avevo una pila di documenti importanti e tu li avevi trovati e li avevi tutti decorati. Come potevo arrabbiarmi? Lei era al colmo della gioia, perché tu avevi dedicato tutto quel tempo a farlo. Quando eravamo giovani, tua madre adorava disegnare e dipingere, ma una volta diventata moglie e madre, aveva riposto i pennelli in un cassetto. Fino a quando tu dimostrasti il tuo interesse. Un interesse maggiore di qualsiasi altro bambino. Era la scusa che le serviva per riprendere in mano i colori. Te lo dico perché non credo che tu sapessi che sei stata tu a restituirle il suo talento, che non si era per nulla esaurito. Tu hai reso migliori gli ultimi due anni della sua vita e questo li ha resi migliori anche per me.
Charlee aveva le labbra serrate. «Lui era così innamorato. Riesci a immaginare un amore come quello?»
Ian alzò la mano per sfiorarle una guancia. «Sì, Charlee. Riesco.»
Per tre giorni Charlee e Ian lavorarono fianco a fianco su diversi progetti, mentre Charlee continuava a elaborare quello che significava per lei avere ritrovato il diario di suo padre. Era come un viaggio a ritroso nel tempo. In un certo senso, era come fare conversazione con lui, come mai era riuscita a fare. Nel diario, lui parlava di argomenti che non avevano mai neanche sfiorato. L’amore per sua madre, che cosa significava per lui che uno dei figli lo chiamasse per chiedergli di andare a trovarlo. Lei non lo aveva chiamato spesso, perché trascorrevano la maggior parte del tempo in un assordante silenzio, e lei aveva sempre la sensazione di distoglierlo da impegni più importanti.
Ian le dava modo di metabolizzare quello che le leggeva. Ne aveva bisogno, perché l’uomo del diario era molto diverso dal padre con cui era cresciuta. Ma da qualche parte, in fondo al suo cuore, aveva sempre saputo che in lui doveva esserci molto più che disciplina e ordine. Aveva visto quel barlume di tenerezza quando sua madre era ancora in vita? Forse ne aveva sepolto il ricordo, durante gli anni trascorsi a reggere il timone della casa dopo la morte di sua madre. Charlee aveva deciso di aiutare suo padre a cucinare, a tenere a freno i fratelli, a fare in modo che tutti avessero i vestiti puliti, a fare in modo che Caleb non dimenticasse di indossare gli slip.
Ian le diede modo di meditare e di assimilare. Non le fece domande, la lasciò in pace. Per tre giorni, Charlee lavorò spesso in un rassicurante silenzio, con Ian al suo fianco. Pulirono lo scarico di ogni bungalow, spostarono cataste di legna e costruirono persino una tettoia per tenere all’asciutto la legna da ardere. Ian aveva condiviso con lei altre due pagine del diario e da ognuna aveva appreso che suo padre, pur amando il proprio lavoro laggiù, aveva lasciato il suo cuore molto lontano. In Missouri. Con Charlee.
Mentre scendeva dalla Jeep e si dirigeva verso la porta di Ian, lanciò uno sguardo al capanno degli attrezzi. Suo padre lo aveva rimesso in piedi quando era andato a trovarla, sei mesi prima di morire. La sua cintura per gli attrezzi era ormai un accessorio sempre presente sui fianchi di Ian e, per qualche strana ragione, sembrava giusto così, come se fosse stata destinata a finire lì. Charlee si costrinse a pensare ad altro. Lei e Ian avevano un lavoro da fare. Era un po’ in anticipo e la porta di Ian era spalancata, ma lei bussò comunque. Non voleva ritrovarselo davanti nudo, o roba del genere.
All’interno, Ian passò dalla camera da letto al soggiorno, con l’orecchio appiccicato alla spalla e la camicia in mano. La invitò a entrare con un gesto della mano.
Charlee ebbe come una stretta allo stomaco perché, anche se lo aveva già visto senza camicia e aveva apprezzato lo spettacolo, non riusciva a evitare che il suo corpo avesse una reazione e la cosa non poteva portare altro che guai. Del genere che occorreva evitare.
Charlee entrò e si accorse della frustrazione di Ian. Il cellulare che teneva tra spalla e orecchio doveva esserne il motivo. Fece appena un cenno di saluto a Charlee e poi le girò le spalle, rimanendo di fianco al tavolo con i piedi ben piantati sul pavimento.
Charlee lasciò correre lo sguardo su di lui. Spalle larghe, fianchi stretti, jeans che gli calzavano a pennello e stivali da lavoro. Aveva il corpo abbronzato per avere lavorato al sole e questo non faceva che aumentare il suo fascino. Le sarebbe piaciuto disegnarlo. Il suo occhio da artista gli disegnava la linea dei fianchi muscolosi, fino alla parte bassa della schiena, dove la sua colonna vertebrale divideva la muscolatura in due parti poderose. Fasci di muscoli che correvano lungo…
A un tratto Charlee sbatté le palpebre, quando la voce di Ian che parlava al cellulare attrasse la sua attenzione.
«Anch’io ti voglio bene.»
La conversazione proseguì, ma improvvisamente il campo visivo di Charlee si colorò di rosso. Anch’io ti voglio bene? Le dava fastidio, come il fatto stesso che le desse fastidio.
«Kristi, tu sei stupenda, qualsiasi cosa tu decida di drappeggiarti intorno alle spalle. Non preoccuparti.»
Kristi? Proprio in quel momento, Ian si voltò, fece l’occhiolino a Charlee e muovendo soltanto le labbra le disse sorella. Charlee buttò fuori l’aria che aveva trattenuto e sperò che lui non ci facesse caso.
Invece Ian la stava fissando, prima con gli occhi stretti a fessura, poi spalancandoli per lo stupore e, secondo lei, anche un po’ divertito.
«Ogni tuo desiderio è un ordine, Kris. Lo sai.»
Chiuse la conversazione e guardò Charlee che sembrava ipnotizzata dall’orlo della propria canotta.
«Va tutto bene?»
Ah! Non poteva evitare?
Fece un cenno in aria con la mano e lo guardò dritto negli occhi. «Ma certo. Perché?»
La incenerì con lo sguardo. «Mi sembri un po’ turbata. Come una donna dopo…» Il resto della frase rimase sospeso in aria.
Charlee inghiottì. «Niente affatto. Non è successo nulla.»
«Mia sorella vuole che io balli al suo ricevimento di matrimonio.»
Charlee fece spallucce. «Non si balla sempre ai matrimoni?»
Ian s’infilò la camicia dalla testa, coprendo il bel torace e lo stomaco. «No, intendo un ballo organizzato. Io dovrò ballare con lei, dopo suo marito, e poi toccherà a papà e a mio zio Phil. Una cosa stupida.»
Charlee scoppiò a ridere. «Già, ma chi si crede di essere tua sorella?»
A questo punto anche Ian si mise a ridere e prese la cintura per gli attrezzi del Maggiore McKinley, che era su un tavolino. «Neanche fosse un gran giorno per lei, o roba del genere.»
Charlee appoggiò le mani sui fianchi. «Esatto. Neanche lo avesse pianificato da quando aveva circa dieci anni. Dovresti dirle di no. Le passerà.» Si divertì a scherzare con lui. Era una pausa piacevole dopo tutti quei momenti intensi vissuti di recente. «Perché andarci, dico io?»
«Ma sì. Hai ragione. Non sentirà la mia mancanza.»
Charlee gli diede una pacca sulla spalla. «Ma no. E chi mai sentirebbe la tua mancanza?»
Saltarono sulla Jeep e si diressero verso la parte più fitta della boscaglia vicino al torrente, dove Ian aveva individuato una diga costruita dai castori che andava demolita e della quale aveva già parlato a Charlee. Quello di oggi sarebbe stato un lavoro caldo, sudaticcio e sporco e Charlee non vedeva l’ora di cominciare.
All’ora di cena, Charlee e Ian erano entrambi distrutti dalla fatica. Smantellare la diga dei castori si era dimostrato un compito più arduo di quanto Ian avesse immaginato e ora il suo corpo ne portava le conseguenze. Gli dolevano ancora le costole e non aveva mai raccontato a Charlee com’erano andate davvero le cose la sera della lite. Lei sapeva che erano stati Dean e J.C., il tipo che lui aveva chiamato Ricciolino, ma non era informata su alcuni dettagli, come il fatto che Ian li avesse messi al tappeto entrambi, finché a un certo punto un altro marcantonio era intervenuto attaccandolo alle spalle. Tre contro uno, andava oltre le sue possibilità nonostante se la fosse cavata dignitosamente e gli altri stessero peggio di lui.
Gli artisti avevano smesso di confinare lui e Charlee in un tavolo separato, cosa che a lui mancava. Erano stati brevi i momenti d’intimità circondati dalla luce delle torce e dall’aria di montagna ma Charlee non provava interesse per lui e non importava quello che era successo tra loro dopo la lite. Sindrome da crocerossina, probabilmente. Magari gli uomini diventano più attraenti quando sono sdraiati e feriti. Per cena si sedette con Wilma e Wynona. Wilma aveva un baffo di colore sulla guancia e questo le dava un’adorabile aria da bambina nella luce soffusa delle torce e delle file di luci che incorniciavano i tavoli. Parlava senza mai prendere fiato del quadro che stava dipingendo e di come avesse scoperto, quasi per caso, un nuovo modo di manipolare il colore, che dava al quadro finito una luce nuova.
Wynona si sporse verso Ian e gli sussurrò: «Ha perso la testa».
Lui rise. «È bello avere tanta passione.»
Wynona abbassò il mento. «Molto bello.» Poi seguì la direzione dello sguardo di Ian fino a Charlee, seduta al tavolo vicino, tra King Edward e il signor Gruber.
Quando Ian capì che cosa voleva suggerirgli, scosse la testa. «Ma no. Non c’è niente da fare. Me l’ha detto.»
«Vedremo.» Wynona intrecciò le mani in grembo.
Wilma si girò verso di loro, muovendo un po’ i suoi capelli a spazzola. «Charlee?» Puntò l’indice verso Ian e chiuse un occhio. «Si è presa una bella cotta per te, ragazzo. Solo che ancora non l’ha capito.»
Ian inghiottì e tentò di cambiare discorso. «Allora, mia sorella vuole che io faccia uno stupido ballo con lei al suo matrimonio.»
Wynona batté le mani. «Oh, io adoro i matrimoni.» Reclinò la testa all’indietro e i suoi lunghi capelli bianchi le scivolarono sulla schiena. Si dondolava morbidamente da una parte all’altra, come se quelle parole l’avessero trasportata direttamente nel bel mezzo dell’evento.
Il signor Gruber intervenne dal tavolo vicino. «Matrimoni. Uhm. Migliaia di dollari buttati dalla finestra, per persone delle quali non t’importa un accidente e per bomboniere decorate con le anatre.»
Wilma alzò una mano verso di lui. «Colombe, Arnold. Non anatre. Quegli uccellini delicati che hai visto sono colombe.»
«Colombe, anatre, come vuoi tu. Un enorme spreco di tempo e di soldi. Almeno la mia Ashley non mi ha mai fatto passare una cosa del genere.»
«Ashley?» Ian chiese alle due sorelle ma Wynona stava ancora dondolando e canticchiava, persa nel ricevimento di matrimonio dentro la sua testa.
Wilma si avvicinò a Ian. «La figlia di Arnold. È avvocato. Ha un’adorabile bambina, ma non ha un marito. Arnold non ci ha mai svelato i dettagli.»
«Oh. Ho visto il suo ritratto in alcuni quadri di Gruber.»
Wilma si mise una mano davanti alla bocca, come se dal tavolo vicino potessero sentirla. «Ne ha a decine nel suo studio in soffitta, ma non li mostra a nessuno.»
Wynona aprì gli occhi e li fissò su Ian e qualcosa, qualcosa di molto strano e preoccupante, attraversò quello sguardo di un intenso colore azzurro argentato. «Che ballo?»
Ian inghiottì, sentendosi come uno che è appena entrato in una polveriera con un fiammifero acceso. «Ehm, la sum…, no. La som…» Cavoli. Si era ripromesso di prendere appunti.
Wynona spalancò gli occhi. «Samba?»
«Sì. Proprio quella.»
Lei si alzò così in fretta che fece ribaltare la sedia e all’improvviso quella donna di sessanta e più anni cominciò a dondolare i fianchi davanti ai presenti, con una mano sullo stomaco e il bacino che sembrava staccato dal corpo, sotto quel lungo abito aderente che indossava. «Io adoro la samba.»
Più giù, nascosti dal tavolo, anche i piedi si muovevano, mentre lei abbassava e piegava in avanti le spalle ritmicamente, tanto che a Ian sembrò quasi di sentire la musica. Non riusciva certo a muoversi, solo a guardarla.
Wilma si sporse verso di lui. «Chiudi la bocca, dolcezza.»
E lui obbedì.
Quando Wynona smise di ballare, dal secondo tavolo, nel silenzio della notte partì un applauso fragoroso, accompagnato dagli immancabili fischi. Lei concesse un sorriso luminoso, si piegò in avanti e fece un inchino elaborato, e Ian capì che era abituata a ricevere questo tipo di attenzioni.
Il viso di Charlee esprimeva tutto il suo entusiasmo. «Wynona! Perché non abbiamo mai visto prima queste tue incredibili movenze da danzatrice?»
Il sorriso di Wynona si colorò un po’ di tristezza e di nostalgia. Adagio, raddrizzò la sedia e si sedette. «Non ballo da quando è morto il mio Horace.»
Questo fece dissolvere il buon umore e l’allegria di prima, ora sostituiti dal dolore per la sua perdita. Wynona alzò la testa. «Il mio Horace adorava ballare. Gli dissi che se fosse guarito avremmo danzato per sempre, ma che se non fosse guarito, io non lo avrei fatto mai più.» Wilma allungò una mano sul tavolo per prendere quella della sorella. «Oh, e lui ce la mise tutta. Horace era una montagna d’uomo. Divino, con i capelli scuri e folti e gli occhi giganti ma, quando ballava, era leggero come la piuma che si stacca dall’ala di una colomba e fluttua nell’aria, per poi cadere a terra.» Guardò il signor Gruber e gli fece l’occhiolino. «O di un’anatra.»
Ian non sapeva come replicare, ma sentì di dover dire qualcosa. «Mi dispiace tanto, Wynona.»
«Be’» lei rispose sorridente. «Non permetterò al mio studente di insultare quello che forse è il ballo più bello e più sensuale del mondo.»
Studente. Sensuale. Insultare. Ian non sapeva bene su quale parola fosse meglio concentrarsi o perdere l’appetito. «Quando sarà il matrimonio?» domandò Wynona, con un tono che si era fatto più asciutto e insistente.
«Ehm, a fine agosto.»
Wynona tamburellò il suo dito magro sul tavolo. «Quindi ci restano sei settimane.»
Ian tentò di inghiottire la saliva, ma aveva la gola serrata.
«Ci?»
Wynona sbatté le palpebre. «Credevi forse che le fatine della danza ti avrebbero cosparso di polvere magica e saresti stato in grado di andare al matrimonio di tua sorella, come un vero Fred Astaire?»
A essere onesti non aveva pensato che occorresse tutto quel tempo. Aveva solo pensato di cercare lezioni di samba su Google e amen. Si strinse nelle spalle.
Wynona si alzò in piedi, con le mani sui fianchi. «Muoviti. Sulla pista da ballo.» Quando lo vide esitare spostando lo sguardo da lei al pubblico che li osservava, gli strillò: «Vuoi forse renderti ridicolo? Con tua sorella? Alzati!».
«Sissignora.» Ian si alzò e si asciugò il sudore dalle mani sulle cosce. Poi incurvò le labbra in un sorriso, quando dal tavolo vicino applaudirono il suo coraggio.
Riusciva soltanto a pensare: aiuto. Diede un’occhiata a Charlee, ma lei aveva girato la sedia in modo da avere una migliore visuale sulla pista da ballo ed era lì che aspettava, come una bambina al circo.
Wynona porse la mano a Ian. «Accompagnami sulla pista» gli ordinò.
Lui si avviò con la sensazione di avere un gigantesco riflettore puntato sulla testa.
Wynona lo costrinse a guardarla negli occhi. «Allora, un ballo è uno scambio tra due persone. Può essere amichevole.» E quando disse così, mise le mani sui fianchi e reclinò il capo. «Oppure intimo.» E a quel punto scivolò verso Ian, premendo il corpo contro il suo, mentre gli rivolgeva uno sguardo serio.
Oh, cavolo.
Wynona lo prese per mano e lo fece girare verso il pubblico. «Dimenticati di loro. Ci siete solo tu, la tua compagna e la musica.»
Si diede un buffetto sulla guancia con la mano. «La musica che per il momento non abbiamo, ma non preoccuparti. Per la lezione di domani sera ci attrezzeremo.»
«La lezione di domani sera?» le fece eco. A questo punto doveva davvero mettere un freno alla faccenda. «Senti, io ho due piedi sinistri. Non riesco nemmeno a fare un electric slide. E… e tu hai detto che non balli più. Non voglio interferire con un giuramento…»
Lei gli piazzò una mano sulla bocca. «Taci. A mali estremi, estremi rimedi. E Horace capirebbe. Anzi, si arrabbierebbe moltissimo con me se non ti aiutassi.» Wynona sorrise e levò la mano dalla bocca di Ian. «Horace ormai non c’è più da quindici anni. È ora che io torni a indossare le mie scarpe da ballo.»
Be’, come replicare? Ian era rassegnato e anche un po’ spaventato, ma andava bene così. Lezioni di ballo, problema risolto. Favoloso.
«Allora, samba significa tempo, passione, pulsazioni, ritmo. Il ritmo è una pulsazione. È sentimento e sensazione. Deve entrarti dentro.»
Charlee si avvicinò a loro. «Ecco, Wynona. Ho cercato samba su Google. Premi qui quando vuoi far partire la musica.»
Wynona giunse le mani. «Ma quanto mi piace la tecnologia! Geniale. Davvero geniale.» A quel punto Charlee si girò per andarsene, ma Wynona le prese la mano. «Dove credi di andare, signorina?» Charlee si bloccò.
«A Ian serve una compagna.»
«Ma io pensavo che tu…?»
Appoggiandole entrambe le mani sulle spalle, Wynona fece voltare Charlee verso Ian. «Io sono l’insegnante. Tu sei la compagna.»
Charlee guardò Ian. L’ultima volta che erano stati così vicini, faccia a faccia, era stata quando si erano scambiati quel bacio sconvolgente. Per un brevissimo istante a Ian tornò in mente ogni particolare. Il modo in cui lei aveva lottato per non stringere i pugni, quel suo dolce sapore di zucchero e di paradiso, i gemiti sommessi che le erano sfuggiti.
Mentre Charlee gli respirava in faccia ansimando, qualcosa gli colpì il polpaccio. Slap, slap contro la gamba. Ian capì che era la mano ossuta di Wynona che gli schiaffeggiava la parte interna della gamba. «Posizione! I piedi ben piantati a terra. Buon cielo, soldato, spero che tu non abbia reagito così lentamente in combattimento.»
Ian allargò le gambe.
Charlee gli rivolse un sorriso. «Credo che ci toccherà sopportare ogni genere di abuso.»
Lui le fece l’occhiolino. «Non mi scuso, se è questo che ti aspetti.»
«Quello che mi aspetto è un compagno di ballo che sappia andare a tempo.»
Wynona continuò a trattare i loro corpi come burattini senza fili.
Ian fece scivolare spudoratamente la mano in fondo alla schiena di Charlee.
«Di solito imparo in fretta, se ho la giusta motivazione.»
Una voce dal tono seccato interruppe il loro scambio. «Ma almeno uno dei due mi ascolta? Santo cielo, smettetela di punzecchiarvi.» Wynona batté le mani due volte. «Mi serve un frustino.»
Charlee e Ian spalancarono gli occhi. Avevano sentito bene?
«King Edward, trovami un bel frustino flessibile, magari un ramo di betulla.» Edward si diresse verso il bosco.
Ian sussurrò: «Ci siamo proprio dentro fino al collo».
Charlee ridacchiò.
Edward tolse le foglie dal frustino, con un sorriso sadico sulle labbra e poi lo consegnò a Wynona. Lei lo incurvò con le mani, per saggiarne la tensione, poi lo fece schioccare rumorosamente in aria. «Perfetto.»
Puntò la bacchetta contro Ian e Charlee, che raddrizzarono un po’ la schiena. «Allora, la samba è nata in Brasile. Il Brasile è famoso per il movimento, la passione. Questo ballo nasce dal desiderio. Quindi tenetelo bene a mente e metteteci dell’impegno.»
Premette un dito sull’iPhone di Charlee e la musica esplose. «Ascoltate. Sentite il tamburo? La samba ci va pesante con le percussioni. Sentite ogni battuta.»
«Cominciamo a imparare qualche passo?» chiese Ian. Si trattava di un ballo. C’erano dei passi. Lui pensava in modo lineare e aveva bisogno d’istruzioni come primo e secondo step.
«No. I passi di samba non ti serviranno a nulla se non capisci la passione che guida la musica e così il ballo.»
Vedendo che Ian e Charlee restavano rigidi come pali, lei andò a mettersi in mezzo e li fece allontanare un po’. «Chiudete entrambi gli occhi. E ora, sentite la musica. Andiamo, siete giovani. Charlee, immagina di essere in un locale in mezzo alle tue amiche. Lascia semplicemente che il tuo corpo reagisca alla musica.»
Ian aprì gli occhi a fessura e vide Charlee che muoveva il bacino da destra a sinistra e, sì, gli piaceva la sensazione che provava. Wynona era in piedi, dietro di lei, invisibile, salvo ogni tanto lasciare intravedere una ciocca di capelli bianchi e le mani ben piantate sui fianchi di Charlee per guidarla. «Così.» Wynona miagolò. Oh sì. Sarebbe potuto restare a guardare Charlee muoversi in quel modo, per tutta la notte. Quando Wynona passò a lui, lui chiuse meglio gli occhi. «Tocca a te, soldatino. Ho insegnato a ballare a molti uomini e lascia che ti dica una cosa, con i soldati era più facile.»
«Davvero?» Aprì gli occhi.
«Siete abituati a usare il corpo come uno strumento, per portare a termine un compito. Pensa di strisciare con il ventre a terra sotto il filo spinato e danzerai con leggerezza. Dovrai soltanto usare gruppi di muscoli diversi.» A quel punto gli appoggiò le mani sui fianchi. «Mentre la tua compagna ondeggia il bacino da destra a sinistra, tu lo devi spingere avanti e indietro.»
Be’, accidenti. Ian smise di muoversi e la guardò.
«Fidati. Stai preparando una culla per accogliere la tua compagna. Vedi? Deve avere un sostegno. Sei tu quel sostegno. I tuoi movimenti sono in sincronia con i suoi, non proprio identici.»
Aveva senso. In ogni caso non importava. A lui piaceva l’idea di essere una culla per Charlee. E per sua sorella? Non proprio. La forza delle percussioni facilitava il movimento. Le mani di Wynona sui suoi fianchi lo aiutavano e, quando non si muoveva bene, lei usava il frustino che teneva sotto il braccio e gli colpiva piano la gamba.
Con sua grande sorpresa, dopo pochi minuti il sudore gli grondava dalla fronte. «Bene, per stasera può bastare.»
Quando aprì gli occhi, ebbe un’altra sorpresa. Erano tutti spariti. Avevano tolto i piatti sporchi dai tavoli e Wynona si stava incamminando verso il suo bungalow, lasciando soli lui e Charlee. Lei aveva le guance arrossate e il respiro affannoso. «È come fare allenamento.»
«Già» concordò lui e si allontanò di qualche passo da lei riluttante, pur sapendo che avrebbero proseguito la sera successiva. «Volevo dirti che mi dispiace di averti coinvolta.»
«Figurati. È divertente.»
«A parte le frustate sulle cosce.»
Charlee arricciò il naso. «È un’insegnante severa.»
Rimisero a posto le sedie sotto i tavoli, l’ultima cosa che restava da fare.
«Ian?»
Avvertendo il cambio di tono della sua voce e il modo in cui modificava l’atmosfera, si bloccò. «Sì?»
«Eri con mio padre quando è morto?» Nelle sue parole c’era una tristezza così evidente che ebbe l’impulso di avvicinarsi e stringerla a sé, ma non era ciò di cui Charlee aveva bisogno in quel momento e così spostò una sedia e gliela porse e poi ne prese una anche per sé, mentre una leggerissima brezza lo aiutava ad addolcire le parole che stava per dirle.
«Sì.»
Lei appoggiò le mani sul tavolo. Sopra di loro, nel limpido cielo della notte brillavano migliaia di stelle. «Ti va di parlarne?»
Lui non se la sentiva, ma per lei lo avrebbe fatto. «Ci avevano incastrato. Separati dal resto dell’unità. Era l’ultimo giorno di una missione durata tre giorni. C’era un’infinità di proiettili vaganti e…»
«So che fu colpito al collo.»
Tutti i ricordi gli riaffiorarono alla mente. L’odore del sangue e del cemento bagnato, la pioggia di proiettili, poi il colpo che lo aveva raggiunto. I frammenti di cemento che gli arrivavano negli occhi. «Ho tentato di fermare l’emorragia.»
Charlee serrò i denti per trattenere le parole.
«Lui… mi parlò di te, Charlee.»
Questo le fece rialzare la testa. «Che cosa ti disse?»
«Mi disse cosa fare con il diario. Nei minimi dettagli.» Ian si passò una mano sul viso. «Mi disse che non avrebbe avuto la possibilità di tornare qui e di condividerlo con te e che questo compito sarebbe toccato a me. I suoi scritti, le sue parole. Lui… lui avrebbe voluto portarti il diario di persona. Era quello il suo piano, condividerlo con te. Voleva lasciare. Ritirarsi. Trascorrere il resto della sua vita al tuo fianco.»
Lei chiuse gli occhi. «Avrei potuto conoscerlo meglio mentre era ancora in vita. Mi sarebbe piaciuto.»
«Mi dispiace, Charlee.»
Lei aprì gli occhi e fissò Ian. «Va tutto bene. Lui mi ha mandato te.»
Ian sorrise, ma senza alcuna allegria. «Sapeva che io non andavo d’accordo con mio padre. Forse pensò che avrebbe aiutato anche me.»
«Che cosa è successo tra te e tuo padre?»
Ian si strofinò il mento. «Cercava di avvicinarsi a me attaccandomi, mentre io avevo solo bisogno di conferme.»
«E avete risolto?»
«No.» Indicò se stesso. «Sono un fallito, ricordi? Lui ha un’impresa di costruzioni e anche se durante l’estate davo una mano, e a un certo punto avrei dovuto occupare il suo posto, io preferivo stare in cucina con mia madre, piuttosto che in cantiere.»
«Così ti sei ribellato e sei andato alla scuola di cucina.»
«Mi sono ribellato e sono diventato un dark. Capelli scuri, eyeliner nero e, cosa fondamentale, smalto nero sulle unghie.»
Charlee spalancò la bocca. «Non ci credo. Non riesco proprio a immaginarti così.»
«Credimi. A quel punto ne aveva davvero abbastanza di me. Per lui ero un’enorme delusione. Più che una delusione, una vera e propria fonte d’imbarazzo. Puoi immaginare. Si era costruito una reputazione come imprenditore forte, tutto d’un pezzo. Così io presi i miei capelli scuri e i miei vestiti neri e me ne andai alla scuola di cucina.»
«E?»
«E mi accorsi che si rimorchiano più ragazze senza unghie nere. Mi ci vollero alcuni mesi, ma poco per volta gli abiti e tutto il resto ritornarono normali.»
«E?»
Lui sventolò la mano in aria. «E fu a quel punto che conobbi la figlia del preside.»
«Ahi, ahi. Il signor Gruber mi ha raccontato la storia. Fu arrestata davvero?»
«Eh, già. Sarebbe diventato un po’ complicato restare, così me ne andai. Pare che sia un comportamento ricorrente per me.»
Charlee spostò lo sguardo sull’orizzonte. «Io non me ne vado.»
Ian sentì il cuore sprofondargli nel petto.
«Io fuggo via.»
«Come?»
Charlee sospirò. «Io fuggo via, quando le cose diventano troppo difficili. È il mio più grande difetto.»
«Più della testardaggine?»
Lei socchiuse gli occhi, ma il sorriso che le stava spuntando sulle labbra tradiva il suo umore. «Più della tua indipendenza autodistruttiva?»
Lei gli puntò un dito contro. «Sai, posso rimpiazzarti.»
«Senza dubbio. E anche facilmente. O meglio, sempre che tu trovi qualcuno che voglia lavorare insieme a una donna con un brutto carattere.»
Charlee sembrò sputare fuoco dalle narici.
«Ecco, appunto.»
Charlee fece una breve risata, ma poi i suoi occhi si fecero seri. «Non potrei mai sostituirti, Ian. Tu sei il mio ultimo legame con mio padre.»
«Charlee, lui sapeva quello che faceva quando lasciò detto di spargere al vento le sue ceneri.»
Lei impallidì. «Lo sai?»
Ian annuì. «Disse che non dovevi preoccuparti. Che avresti saputo quando…»
Lei finì la frase. «E avrei saputo dove.»
Senza nemmeno rendersene conto, Ian allungò la mano sul tavolo e intrecciò le sue dita con quelle di Charlee. «Dai. Ti accompagno a casa.»
Non ci pensò neppure un secondo a lasciarle andare la mano e nemmeno lei a liberarsi dalla sua. Eccoli, due persone che amavano l’uomo che era stato padre prima dell’una, poi per l’altro.
Quando arrivarono sul portico di Charlee, Ian le diede un bacetto sulla guancia e si voltò per andarsene, ma la voce di Charlee lo convinse a fermarsi.
«Adesso sarà orgoglioso di te.»
Ian si girò a guardarla e vide che la luce del portico formava un alone intorno alla sua testa. «Tuo padre. Sarà orgoglioso, adesso.»
Ian avrebbe voluto che fosse così. «Non lo è, ma non importa. Io so che il Maggiore McKinley è orgoglioso di me. Per me è questa la cosa più importante.» Con il vento alle spalle, si voltò e andò via.
La settimana seguente, e dopo diverse lezioni di ballo durante le quali la sua libido faceva gli straordinari, Ian trasportò nel posto preferito di Charlee il legname che aveva tagliato e si mise al lavoro. Sapeva che lei amava quell’angolo, stare seduta all’ombra della grande quercia sui resti di quella caduta, ma Ian voleva renderlo ancora più degno di lei, più confortevole. Scaricò la panca in vimini che aveva trasportato sul retro del pick-up dopo averla acquistata in città e cominciò a costruire la pergola che l’avrebbe tenuta al riparo. I grandi cuscini a fiori e le luci che aveva comprato per creare un’atmosfera particolare avrebbero dato il tocco finale.
Appena prima del tramonto lei lo trovò. Lui aveva progettato di portarla lì la mattina del giorno dopo per farle vedere il risultato, ma Charlee era a dir poco una ficcanaso e probabilmente aveva subodorato qualcosa.
«Oh, mio Dio!» disse saltando giù dalla Jeep.
Il suo entusiasmo arrivò dritto al cuore di Ian. «Ti piace?» Era stato un po’ preoccupato; lei era talmente prepotente e particolare. Non era sicuro che avrebbe gradito o se si sarebbe infuriata con lui per averlo fatto senza permesso.
Spalancò le braccia. «È incredibile!» Il sole tramontava dietro la montagna e proiettava lunghe striature dorate sul lago di Table Rock. Lui aveva sistemato la panca su un lato per darle la possibilità di osservare il sole che tramontava e le ombre che si allungavano per poi dissolversi, lasciando il lago avvolto nell’oscurità. Lei si girò per poterlo guardare negli occhi. «Non so cosa dire.»
«Non hai ancora visto il meglio.» Ian le fece segno di avvicinarsi e le prese la mano, poi la condusse sul lato della pergola e indicò il palo. «Premi l’interruttore.»
Quando lei lo fece, sul tetto della pergola si accesero quelle che sembravano migliaia di lucciole. Charlee si lasciò sfuggire un gridolino.
«Ora, premi il secondo interruttore.» Ian era al settimo cielo, vedendo che a Charlee brillavano gli occhi per l’impazienza e l’entusiasmo.
Quando Charlee premette il secondo interruttore, anche sui rami più bassi della quercia si accesero fili di piccole luci. Lei si sentì mancare l’aria. «È la cosa più bella che io abbia mai visto.»
Si mise una mano sul cuore e con quel gesto fu come se avesse fisicamente penetrato il petto di Ian e gli avesse stritolato il cuore fino a farlo smettere di battere. Missione compiuta.
«Vuoi venire a sederti un po’ qui con me?»
Lui era coperto di segatura e di polvere, miste a sudore e a qualche goccia di sangue. Non avrebbe voluto rovinarle il primo tramonto lì, con il suo cattivo odore. «Sì. Per tutto il tempo che vuoi.»
Rimasero seduti sulla panchina a osservare le stelle che si accendevano sulle loro teste. «Ian, è stato davvero dolce da parte tua.» Lui le rispose con un sorriso.
«Spero che la donna che un giorno sarà al tuo fianco sappia apprezzarti.» Lui deglutì. «Io mi accontento facilmente.»
«Ti meriti una persona davvero speciale.» Non avrebbe potuto essere più d’accordo.
Charlee socchiuse gli occhi concentrandosi e lui riuscì quasi a vedere gli ingranaggi del suo cervello che giravano velocemente. «Qual è la cosa più importante per te? Intendo dire, in una donna?»
Che si chiami Charlee McKinley. Poi si schiarì la voce. «La cosa più importante?»
Lei si mise di lato per poterlo guardare in faccia, gli occhi attraversati da un lampo di curiosità, simili, come sempre, agli occhi di un gatto. «Il fattore determinante.»
Ci pensò un attimo. «Deve essere qualcuno che mi guardi le spalle.» Quando aprì bocca per spiegare che intendeva qualcuno che stesse dalla sua parte, s’interruppe perché vide che lei aveva capito.
Charlee annuì. «Certo. So che cosa vuoi dire.»
Ian sorrise. «Qualcuno su cui contare. Tutto il resto è negoziabile.» Lei fece una risata. «Tutto?»
«Ehm.» Lui alzò le spalle. «La preferirei senza baffi.»
Charlee si spostò per avvicinarsi a lui e prese una mano di Ian fra le sue. «Grazie per aver fatto tutto questo. È già un posto speciale per me e tu sei riuscito persino a migliorarlo.»
Lui le sfiorò una mano con le labbra. «Sono contento che ti piaccia.»
«Mi vuoi leggere qualche pagina?»
Lui la lasciò soltanto per il tempo necessario a recuperare il diario dal pick-up.
Cara Charlee,
qui alla base è tranquillo questa mattina. Il sole sta sorgendo sul tetto dell’edificio dall’altra parte della strada, dove io mi trovo.
Ieri è stata dura.
Ho ricevuto pessime notizie, riguardanti uno dei miei giovani soldati. Si chiama Kip Reyser, proviene da una famiglia benestante di Lansing, nel Michigan. Da poco aveva saputo che sarebbe tornato a casa.
Non si era mai vantato di essere ricco. Andava avanti a testa bassa, lavorando duramente come tutti i miei soldati. Una volta saputo che sarebbe tornato a casa, però, cominciò a raccontare delle sue estati negli Hamptons, del jet privato di suo padre, dei viaggi in Europa per divertimento. Succede così, ogni volta che un soldato sa che sta per rientrare in patria. Sprizza vita ed entusiasmo da tutti i pori. E lui non fece eccezione. Anche quelli che cercano di mantenere un contegno, non ce la fanno. Nei loro occhi c’è una luce nuova. È stupendo, Charlee. Vorrei che tu potessi vederla.
Ieri mi hanno comunicato che i genitori di Kip sono morti in un incidente aereo. Ho dovuto comunicargli la notizia e vederlo morire dentro, mentre tutti i suoi progetti per il rientro in patria, anche quello di riabbracciare la sua famiglia piena di amore, svanivano. Continuava a inghiottire saliva e a fare sì con la testa, dicendomi «Sissignore.»
Alla fine gli ho detto: «Va bene se vuoi lasciarti andare, soldato».
E lui l’ha fatto. Proprio lì, davanti ai miei occhi, Charlee. Lo abbracciavo mentre piangeva e non mi vergogno di dire che ho pianto con lui.
E quando l’ho guardato da vicino, nei suoi occhi ho visto riflessa te. Ho visto quello stesso sguardo sbigottito, quello sguardo svuotato che avevi tu quando morì tua madre. Ho anche rivisto i tuoi fratelli nelle lacrime di quel giovane soldato e ogni singola reazione che ognuno di voi ha avuto quando vi ho detto che la mamma non sarebbe più tornata. Jeremiah, che cercava di essere forte per tutti voi. Gabriel, chiuso in se stesso che cercava sollievo nella musica. Caleb, allora così piccolo, soltanto undicenne, che serrava la bocca, cercando di essere coraggioso come i suoi fratelli più grandi. Isaiah, il pensatore tranquillo che girava per casa riordinando le cose, e tu, Charlee. Tu mi prendesti la mano e me la stringesti fra le tue. Così spaventata, ma così decisa a essere forte.
Charlee, è successo qualcosa quando ho detto al giovane soldato della sua famiglia. Mi sono reso conto che il tempo vola. Ho speso una vita a fare il soldato e ora forse è tempo di vivere quello che ne rimane, da padre. Voglio lasciare l’esercito, Charlee. E credo che tu e io dovremo dedicare un po’ di tempo a ricominciare a conoscerci. So che ho già tentato di farlo un po’ di tempo fa, ma forse non ero ancora pronto. Non sono bravo a parlare. Dovrai insegnarmelo tu.
Voglio vedere che cosa hai fatto con quel tuo posto, da quando ci sono stato l’ultima volta. C’è ancora il mio capanno degli attrezzi? Le persiane delle finestre vanno verniciate? In realtà ho soltanto bisogno di sapere che quella ragazzina spaventata che ricordavo ieri ho soltanto bisogno di sapere che lei sta bene.
Il viso di Charlee era inondato da un fiume di lacrime. «Lo avrebbe fatto davvero. Sarebbe tornato qui per condividere il suo diario con me.»
Ian annuì.
Il suono sommesso del suo pianto diventò più forte, mentre la sua mente si confondeva cercando di comprendere l’ingiustizia delle cose. Ian aprì le braccia e lei si rifugiò in silenzio in quel posto sicuro. Lui la tenne così, lasciando che piangesse sotto le lucciole che scintillavano sopra di loro, con il delicato sottofondo creato dall’acqua del lago lì vicino.
Sperò che avere condiviso con lei quelle pagine, in quel momento e proprio lì, non avesse rovinato quello che lei provava per il suo posto preferito. Ian sapeva qualcosa che Charlee ancora ignorava. Proprio in quel luogo, un giorno, lei avrebbe sparso le ceneri di suo padre.