Capitolo 8

Charlee appoggiò il tè freddo sul tavolo e le scappò da ridere per la scenetta alla quale stava assistendo: il signor Gruber si era comprato un cellulare e Wynona gli insegnava a usarlo. Gli artisti si godevano un momento di relax sulle loro sdraio dopo avere assistito a un magnifico tramonto dietro la montagna. A Ian sarebbe piaciuto moltissimo, pensò Charlee, vedere il versante della montagna colorarsi di rosso e di arancione. Non gli aveva mentito, lui era appena partito e a lei già mancava moltissimo.

King Edward si stava ingozzando di caramelle da una scatola che il signor Gruber aveva ricevuto da sua figlia.

«Shhh!» strillò Gruber, mentre si premeva il cellulare sull’orecchio e lo indicava con il suo dito storto. «È Ian.»

Charlee si mise dietro di lui, perché non voleva che gli altri notassero quanto fosse ansiosa di sapere come stessero andando le cose a casa dei genitori. Sapeva dei problemi tra Ian e suo padre e sperava per il meglio.

Gruber ascoltò, poi appoggiò una mano sul cellulare per riferire agli artisti, che nel frattempo si erano zittiti. «Pare che le cose non vadano molto bene» si limitò a dire il signor Gruber, e Charlee si sentì mancare la terra sotto i piedi. Girò attorno al tavolo per andare a sedersi dove riusciva a guardare in faccia Gruber.

«Ancora un giorno, figliolo, e poi potrai tornare qui. Sono certo che tua madre è orgogliosa di te perché sei andato lì e mi dispiace per Brenna.» La tenerezza nella voce di Gruber fece sciogliere il cuore a Charlee, ma poi sentì il nome Brenna e questo le fece gelare il sangue nelle vene. Era il nome della ragazza che Ian una volta aveva amato.

Quando Gruber terminò la conversazione, Wilma agitò le mani. «Allora? Cosa succede?»

Lui si passò una mano sul mento e le rughe attorno agli occhi sembrarono accentuarsi con la sua crescente preoccupazione. «Allora, si tratta di Ian e di suo padre, ma il vero problema è quella Brenna.»

Charlee premette i palmi della mano sul tavolo. «È lì?»

«Oh, certo che è lì, e per giunta dorme con il suo nuovo fidanzato nella stanza accanto a quella di Ian.»

Charlee strinse i pugni e una strana sensazione, dapprima di gelosia poi di rabbia, le fece bruciare le viscere. «Hanno messo la ex con il nuovo fidanzato nella stanza accanto alla sua?» Non c’erano parole per esprimere il disgusto.

«Ma che insensibili» esclamò Wynona.

«Povero caro.» Wilma scosse la testa.

Charlee non riusciva a crederci. «Nella stanza accanto? Cioè sotto lo stesso tetto

Wilma si coprì il volto con le mani. «Oh, ma è una cosa tremenda.»

Wynona picchiò le mani sul tavolo. «Dobbiamo fare qualcosa.»

Charlee rivolse lo sguardo alla sorella con i capelli lunghi e svolazzanti.

Edward inghiottì una manciata di caramelle. «Che cosa ci possiamo fare? Noi siamo qui e lui è lì.» Il signor Gruber raddrizzò la schiena. «Già. Concordo. Dobbiamo interferire.»

Wynona appoggiò la mano sulla sua. «Credo che tu voglia dire intervenire, Arnold.»

Wilma camminava avanti e indietro sulla pista da ballo, digrignando rumorosamente i denti. «Andiamo anche noi. Tutti quanti. Andiamo al matrimonio.»

Gruber si grattò un orecchio. «Io non ne so molto di buone maniere e di cose del genere, ma non credo proprio che ci si possa imbucare a un matrimonio.»

Wilma si girò a guardarlo negli occhi. «Oh, ma noi non ci imbucheremo. Saremo il regalo di Ian.» Edward per poco non si strozzò con un pezzo di caramella.

«È perfetto. Gruber, chiama Ian. Digli che partiremo tra due ore. Io farò le foto del matrimonio e tu ne userai una per realizzare un ritratto della coppia felice quando torneremo qui. Wynona, tu ti occuperai di decorare con i brillantini tutto quello che la sposa vorrà che luccichi durante il suo ricevimento. Non ci resta molto tempo. Arnold, chiama.»

Proprio mentre lui stava per fare partire la chiamata sul cellulare, Wilma lo fermò.

«Aspetta! Charlee, sei tu il pezzo più importante del nostro puzzle. Dobbiamo sapere se tu sei d’accordo.»

D’accordo? Con quattro artisti strampalati che progettavano di imbucarsi a un matrimonio? Oh, ma certo che lo era. Poi però si rese conto di quello che Wilma le aveva appena detto. «Che cosa intendi quando dici che sono io il pezzo più importante?»

Wilma si strinse nelle spalle. «Non puoi certo credere che la presenza di noi quattro possa cambiare le cose, vero? Noi saremo lì, solo per il sostegno morale. Ma tu…» Wilma girò attorno al tavolo e allargò le braccia. Subito dopo Charlee fu sottoposta a un attento esame da parte di tutti quanti, che la facevano girare su se stessa e la incitavano. «Tu sei la vera star.»

Li sentì commentare: «Dovremo ripulirla. Domare quei suoi capelli. Truccarla.»

«Ehi!» Charlee si allontanò da loro, cominciando a intuire il loro piano e il suo ruolo in tutto questo. «Volete che io faccia finta di essere la sua ragazza, vero?»

«Ma certo.» Edward le diede una pacca sulla schiena. «Brava, Char Char. Certo che ce ne hai messo di tempo per capire… e pensare che sei una ragazza intelligente.»

«Allora dobbiamo andare a fare compere?» Lo sguardo di Winona s’illuminò e sbatté le palpebre, speranzosa.

«No. Ho già dei vestiti.»

Quattro paia di occhi da pesce lesso esprimevano forti dubbi. «Ce li ho. Davvero. Ho abiti, scarpe col tacco e tutto quello che occorre, solo che non mi avete mai vista indossarli.»

Edward arricciò il naso. «Non mimetici, vero?»

Charlee alzò gli occhi al cielo. «No. Pensate per voi. Io sarò pronta tra un’ora.»

Edward si sporse verso di lei e l’annusò. «Ce l’hai il tempo per una doccia?»

Lei lo fulminò con lo sguardo, poi guardò il signor Gruber. «Avremo tutti il tempo per una doccia.» In realtà il signor Gruber, da quando Ian aveva cominciato a interagire con lui, era un po’ più pulito, si occupava della casa e aveva persino adottato una migliore postura. Charlee lo aveva addirittura beccato a flirtare con Wynona. Chissà, in un mondo di caos artistico, un minimo di disciplina poteva essere utile.

Quando s’incamminò verso casa sua li sentì dire: «Vai. Vai, Cenerentola. Il principe ti sta aspettando».

image

King Edward guidò la Jeep e così Charlee si sedette sul sedile posteriore con Wynona, che durante il viaggio le fece una manicure completa di massaggio con l’olio per eliminare cuticole e callosità dalle mani. Niente smalto per unghie, grazie al cielo: i sobbalzi della Jeep erano tremendi e mettere lo smalto avrebbe potuto rivelarsi una pessima idea. Charlee era soddisfatta delle proprie unghie, tagliate e ordinate, senza la minima traccia del solito sporco. Wilma aveva fatto un’incursione nell’armadio di Charlee e aveva scelto per lei un abito estivo bianco per il viaggio e un abito più elegante per il giorno successivo, da indossare durante la cerimonia. Wilma era entrata a carponi nell’armadio e vi aveva anche scovato dei tacchi a spillo che Charlee aveva acquistato per capriccio durante una vacanza di primavera a Cabo San Lucas, ma Charlee aveva anche un paio di sandali con la zeppa alta, da indossare con il suo abito estivo. In effetti, non indossava un abito elegante da tanto tempo che quando si guardò allo specchio faticò a riconoscersi e pensò che forse avrebbe fatto meglio a tenersi alla larga da tutta la faccenda.

Quando giunsero in Oklahoma e lasciarono l’autostrada per percorrere la lunga stradina tortuosa che portava fino alla casa di famiglia di Ian, Charlee si mise una mano sullo stomaco.

«Un posticino niente male» commentò il signor Gruber dal sedile anteriore, mentre cominciavano a intravedere il lussuoso edificio. Era su più livelli, in stile ranch, non abbastanza grande da apparire pretenzioso, ma abbastanza da poter ospitare una famiglia numerosa con frotte di figli e di nipoti. Anche in Oklahoma l’erba era folta e verde e il paesaggio simile a quello di casa.

Vedendo il luogo dove Ian era cresciuto, Charlee dovette tenere a freno il suo nervosismo. Comportarsi da fidanzata avrebbe potuto generare tutta una serie di conseguenze spiacevoli per il futuro.

«Ricorda.» Wynona le strinse una mano. «Entra nella parte.»

Il signor Gruber si spostò di lato per girarsi a guardarla e restò abbagliato dal riflesso delle luci sulla strada. «Il ragazzo era entusiasta quando ha saputo che saresti andata da lui.»

Charlee inghiottì. «Sul serio?» Povero Ian. Per lui stare in questo posto doveva essere davvero orribile.

«Era al settimo cielo, ragazzina, quindi buttati nella mischia e fai in modo che quella Brenna rimpianga il giorno in cui ha deciso di farsi ospitare qui.»

Charlee si morse il labbro inferiore, fino a quando Wilma non le strillò. «No! Il rossetto. Per favore, mia cara. Non rovinare il nostro capolavoro.»

Charlee aveva permesso alle sorelle di calcare la mano con il trucco. Non era da lei, ma dovette ammettere che le stava piuttosto bene. Anche se a Wilma erano serviti cinque pennelli da acquarello per sfumarle l’ombretto. A Ian serviva che qualcuno gli desse un aiuto e lei era ben felice di potere essere quel qualcuno. «Ti guarderò le spalle» sussurrò, a nessuno in particolare.

Scesero dalla Jeep e Charlee si lisciò l’abito estivo mentre la porta d’ingresso si apriva davanti a loro. Era una grande porta a doppio battente, con elaborate incisioni sui vetri ovali. Un paio di ragazzini uscirono da lì correndo, e una signora di mezza età si affacciò sulla soglia, subito dietro di loro. Era sorridente e li accoglieva a braccia aperte. Mentre si avvicinava alla Jeep, Charlee vide subito che somigliava a Ian. La stessa testa scura leggermente inclinata da un lato, gli stessi occhi a mandorla. Doveva essere sua madre. La donna era alta e snella e si stava dirigendo a passo deciso verso di lei, come se avesse una missione da compiere. Charlee s’irrigidì quando si sentì stringere in un abbraccio, mentre dalla bocca della donna usciva un fiume di parole. «Semplicemente stupenda. Ma certo, tu sei Charlee. Ian mi ha parlato tantissimo di te.»

Il vento spettinò i capelli di Charlee e glieli spinse indietro. «Davvero?»

«Mi chiamo Rosy.» E Rosy prese sottobraccio Charlee. «Accomodatevi tutti, vi prego. È meraviglioso conoscervi.» Si avviò verso casa e la piccola folla la seguì, senza che nessuno dicesse una parola, perché con Rosy non era necessario. Riusciva a reggere da sola i due lati di una conversazione. «Wilma e Wynona, voi sarete ospitate qui nella casa padronale. Il signor Gruber e… come si chiama… King Edward?» Non gli diede il tempo di rispondere. «Voi due, vi ho sistemati entrambi nel dormitorio, ma non vi preoccupate, il dormitorio è in realtà una sistemazione piuttosto accogliente.»

Charlee esitò e poi si fermò. «Oh, ma noi non vogliamo disturbare.» Il suo cuore batteva all’impazzata, perché dall’elenco delle camere e degli occupanti, Rosy aveva lasciato fuori soltanto lei.

«Disturbare? Ma no! Per me è un onore. Tutti voi avete accolto il mio ragazzo e, da quanto ho capito, lo avete trattato come uno di famiglia per settimane.»

«Sul serio, possiamo cercarci un albergo in città» replicò Wilma, ma dal suo viso già si poteva intuire come sarebbe andata.

Rosy fece un cenno in aria con la mano. «Non se ne parla nemmeno. Starete molto più comodi qui. Siamo una grande famiglia e molti degli ospiti sono nelle varie case, in giro per la città. Le camere che ho riservato a loro sono rimaste vuote. Buona parte di quelli che vivono fuori città li ospita lo zio di Ian nel suo ranch. Il padre di Ian e io proveniamo entrambi da famiglie di allevatori di bestiame, ma lui ha preferito fare il costruttore.» Alzò le mani verso il cielo. «Voilà. Ecco qua il risultato. Costruttori che vivono in un paese di allevatori di bestiame.»

«La sua è una casa magnifica. Quando l’ho vista mi ha subito fatto pensare a un ranch» la assecondò Wilma.

Charlee dovette concordare. La casa lussuosa, la staccionata bianca, le colline dolci e sinuose. In perfetto stile ranch.

«Dalla strada fino all’ultimo filare di alberi laggiù è tutto terreno nostro. Oltre quella linea c’è la proprietà della mia famiglia.» Rosy girò su se stessa per mostrare loro l’estensione del terreno. Afferrò Charlee per le spalle. «Abbiamo molte stanze per i tuoi amici, Charlee. Ci rimarrei male se andassero a stare in albergo in città.»

Charlee si sforzò di sorridere. Poi si bloccò, perché avvertiva una strana sensazione. Si sentiva gli occhi addosso. Qualcuno la stava osservando. Tentò di tenere a bada i capelli, ma il vento non le dava tregua e glieli spingeva da tutte le parti, facendole anche svolazzare il vestito, che si appiccicava sulla pelle.

Rosy la precedette e Charlee si fermò ai piedi della scalinata, sentendosi improvvisamente sola e anche un po’ in preda al panico.

Wilma si avvicinò e le sussurrò in un orecchio. «Ricorda, entra nella parte.»

Ed ecco che alzò gli occhi e lo vide. Stava in piedi sulla soglia di casa, le mani nelle tasche dei jeans nuovi di zecca e la bocca spalancata. Lui squadrò Charlee dalla testa ai piedi, indugiando e prendendosi tutto il tempo, per sostare infine sulle gambe, sospese sui sandali con la zeppa. Charlee deglutì.

Alle sue spalle, qualcuno la spinse leggermente verso di lui.

Lei salì gli scalini mettendo a fuoco gli occhi scuri e lucenti di Ian. Senza parlare, muovendo solo la bocca, lui le disse “Grazie”, e per una ragione inspiegabile, fu quella parola senza suono a spingere Charlee verso di lui. Le mancò il fiato quando riuscì a leggergli nello sguardo tutte le emozioni che provava. Sollievo, felicità nel vederla, forse un po’ di desiderio. Anche un sincero stupore nel vedere Charlee agghindata come una Barbie, solo per lui. Lei si avvicinò con passo deciso, non facendo più caso a quello che gli altri dicevano dietro di lei, perché improvvisamente si rese conto di tutto quello che Ian aveva fatto per lei in quelle poche settimane con lei e di come fosse giunto il momento di ricambiare. Mentre gli andava vicino, un’auto entrò nel vialetto suonando il clacson. Anche se Charlee era concentrata su di lui, qualcosa la indusse a voltare la testa e proprio lì, sul sedile del passeggero, vide Brenna. Fu l’istinto a dirle che quella donna dai capelli scuri doveva essere lei.

Charlee girò le spalle all’automobile appena arrivata e riportò l’attenzione su Ian. Il suo viso, la sua bocca spalancata e i suoi fantastici occhi. Entra nella parte. Entra nella parte e basta.

Mentre Charlee si avvicinava, Ian fece scivolare lentamente le mani fuori dalle tasche. Quando finalmente lei lo raggiunse, fu come se un’ondata di piena l’avesse trattenuta fino a quel momento. Charlee lo abbracciò, mettendogli un braccio sopra la spalla e premendo il corpo contro il suo. Con la mano libera gli arruffò i capelli e le loro bocche si unirono in un bacio che dapprima lo lasciò stupito, poi lo scaldò e lo invitò a lasciarsi andare dentro di lei, per assorbire ogni grammo della sua forza.

Da qualche parte sentì che qualcuno diceva: «Santo cielo».

Charlee si allontanò dalla sua bocca e quando aprì gli occhi, il dolore che nei mesi precedenti aveva visto sul viso di Ian, sembrò svanito. Lui incurvò le labbra in un sorriso, ma non la lasciò andare. Anche lei sorrise. «Ho ricevuto precise istruzioni di non rovinare il rossetto» gli sussurrò in modo che solo lui potesse sentire.

Gli occhi scuri, adesso pieni di desiderio, le fissarono la bocca. «Sei incredibile.»

Lei accennò a staccarsi, ma lui la trattenne. «Brenna ha visto tutto?»

Lui si sistemò un ciuffo di capelli, per guardare senza farsi notare.

«Certo. Occhi e bocca spalancati.»

«Bene.»

Ian la tenne ancora stretta, anche se tutti gli altri aspettavano che i due piccioncini finissero di esultare per il loro ricongiungimento. «Sei incredibile.»

«L’hai già detto.» Sbatté le ciglia con aria innocente e proprio lì, in quel momento, decise che in futuro sarebbe valsa la pena di curare di più il suo abbigliamento.

Rosy intervenne. «Santo cielo, figlio mio. Sei stato lontano da lei solo un giorno o due. Povera ragazza, sembra che tu voglia mangiartela.»

Ian scoppiò a ridere e con il braccio afferrò saldamente Charlee, la sua ragazza, e tutti entrarono in casa.

image

Tre ore dopo, Ian stava ancora tentando di darsi un contegno. Charlee. Wow. Sua madre aveva fatto portare le sue cose nella camera di Ian e questo sarebbe stato un bel problema perché… Be’, la sua parte maschile non riusciva a trovare nessun perché, ma la sua parte protettiva sapeva che questa cosa avrebbe potuto mettere la ragazza in una posizione scomoda.

Lei uscì dal bagno della loro camera, con un beauty case vuoto tra le mani. «Credi che Brenna fosse sorpresa?»

Non aveva voglia di pensare a Brenna in quel momento. Voleva pensare a Charlee, a quel suo vestito e al fatto che, dopotutto, si trattava soltanto di un pezzo di stoffa. Si schiarì la voce. «Certo. Ieri era tutta intenta a sbattermi in faccia la notizia, sai, del suo fidanzamento. Di quanto lui l’abbia sorpresa con la proposta di matrimonio; di quanto lei sia felice.»

Charlee si sedette sul letto. «Lei sta con lui, Ian, ma probabilmente desidererebbe che ci fossi tu al suo posto.»

Ian scoppiò a ridere ma senza allegria. «Eh già, ho tanto da offrire io.»

A queste parole, lei si alzò in piedi e andò verso di lui. Era seduto su una sedia di fianco a un tavolino, in un angolo della stanza. Quando gli si avvicinò, si mise in ginocchio ai suoi piedi, in modo da poterlo guardare negli occhi. «Tu hai molto da offrire a qualcuno… A qualcuno che lo voglia.» E abbassò lo sguardo.

«A qualcuno che non sia già stato ferito.»

Charlee si alzò lentamente in piedi per andare ad aprire la cerniera della piccola valigia che aveva portato.

Non era ancora riuscita a farlo che lui le arrivò alle spalle, respirando il profumo dei suoi capelli. «Ti chiedo scusa. Questo posto mi rende nervoso. Mi perdoni?»

Lei si voltò e si lasciò abbracciare. «Se mi dai la tua parola che la faremo pagare a Brenna, d’accordo? Come può una persona essere così insensibile da stare con il suo nuovo fidanzato nella stanza accanto a quella del suo ex, un soldato appena tornato in patria?» Sollevò il mento. «E poi, com’è potuto succedere?»

Lui sospirò, pensando che il posto di Charlee fosse proprio lì, tra le sue braccia.

«Lei e mia sorella erano ottime amiche da ragazzine. L’ha invitata mio padre, anche se mia madre non ne era affatto contenta.»

«Ma proprio nella camera di fianco alla tua, Ian? Perché non in una delle altre lungo il corridoio, oppure nel dormitorio?»

«Brenna ha scelto la camera mentre mia madre non c’era, e quando lei è rientrata a casa erano già tutti sistemati.»

«Tua madre mi sembra dolcissima. Non ho mai pensato che potesse essere stata lei.»

Aveva una ciocca di capelli che continuava a ricaderle sul viso. Ian moriva dalla voglia di toccarla. Le mise una mano su un lato della testa e intanto si rigirava le ciocche fra le dita. «Invece tu, Miss Terra e Sporco, ti sei ripulita proprio bene.»

Lei alzò una spalla, sottile e abbronzata. «Eh. Ci sono donne che vanno in palestra. Io vado per i boschi.» Lui si avvicinò ancora di più e per un attimo sembrò che volesse strapparle un bacio, ma sapeva che doveva andarci piano.

In quel momento non c’era nessuno ad assistere alla loro messinscena. Ian abbassò la testa e le premette le labbra su uno zigomo. Quando la sentì rabbrividire arretrò un poco, soddisfatto del risultato. «A proposito di dormire nello stesso letto…»

Lei risucchiò l’aria tra i denti e lui scoppiò a ridere di gusto.

«Non preoccuparti, gentile donzella. Il tuo onore è al sicuro con me. Puoi avere il letto, io prenderò il pavimento.»

Lei si morse il labbro, rovinando il rossetto. «Non voglio costringerti a farlo.»

Lui inarcò le sopracciglia. «Esiste un’alternativa, se vogliamo che questa sceneggiata risulti davvero convincente.»

Gli rifilò una manata. «Prenditi pure il pavimento, soldato.»

Lui fece un sospiro. «Va bene.» Ma prima di lasciarla andare, premette forte il corpo contro quello di Charlee e una scintilla di spavalderia gli attraversò lo sguardo. «Ma non sai cosa ti perdi.»

La lasciò lì, incapace di muoversi, solo a sbattere le ciglia. Ian era quasi certo che stesse pensando che doveva essere vero.

image

In lontananza i colpi di mortaio, Ian sentiva il bam, bam, bam dello scontro a fuoco e le grida dei soldati. Cercò di alzarsi, ma era intrappolato. Era invischiato in un liquido nero e denso dal collo in giù. Si mise a urlare, per attirare l’attenzione di qualcuno, ma non arrivava nessuno.

Aveva la bocca asciutta e la sua arma era a pochi centimetri da lui. Contorcendosi, tentò di liberare un braccio ma riusciva a malapena a muoversi. Più in là, sentiva i nemici in avvicinamento. Smise di agitarsi per la paura, perché temeva di attirare la loro attenzione, ma immediatamente cominciò ad affondare, sempre più, nel catrame nero in cui era immerso. Ormai gli arrivava alla nuca. Doveva fare qualcosa. Sentì delle mani che lo scuotevano. C’era qualcuno. Qualcuno stava tentando di aiutarlo, oppure si preparava a ucciderlo. Si sentì di nuovo scuotere e udì una voce. Questa volta era il suono di una voce. Forte, in preda al panico. Doveva concentrarsi e cercare di liberarsi, poi avrebbe aiutato anche gli altri. Delle mani lo afferrarono per le braccia. Gli facevano male, come fossero artigli.

Ian si svegliò di soprassalto. Nella stanza era tutto buio, salvo la piccola figura che gli stava davanti. Di nuovo la voce, questa volta suadente, mentre pronunciava il suo nome. La vide prendere corpo nell’oscurità. Era Charlee.

Un respiro dopo l’altro, Ian cercò di rallentare il battito. Non aveva incubi da due settimane e più, e aveva creduto che ormai fossero soltanto un ricordo. Ansimava e altrettanto faceva lei.

Nel buio la sentì dire: «Stai bene?».

Stava bene? Un momento prima era intrappolato. Stava affondando. Morendo. Si portò una mano alla fronte, madida di sudore. Ricadde sul cuscino.

«Ian, stai bene?» Adesso il suo tono di voce era più acuto e in preda al panico.

«Sì. Scusa.» Sentì che le sue mani lo toccavano e gli lisciavano i capelli, poi si spostarono sul petto, dove il cuore batteva all’impazzata.

«Hai avuto un incubo.» Adagio le dita di lei gli sfiorarono le braccia, i pettorali. Stava usando le mani per calmarlo. E funzionava.

«Ti sei spaventata?»

«Avevo paura per te. È stato orribile.» Sempre usando le dita, gli pettinò i capelli.

«Già, lo è stato.»

«Vuoi parlarne?»

No. Voleva soltanto rimanere lì, con le mani di Charlee sul corpo. Invece di rispondere, le aprì le braccia. Anche al buio riusciva a vedere che lei stava valutando la situazione. Quando lei sparì, Ian le lasciò ricadere e tentò di concentrarsi sul ventilatore al soffitto, ma poi Charlee tornò, trascinando con sé una coperta che era sul letto per coprire entrambi e si accoccolò nell’incavo del suo braccio appoggiandogli il palmo della mano sul petto.

Nell’aria c’era una tensione diversa, ma Ian non ci pensava. Non pensava a nulla. Il sogno, i ricordi, tutto ciò che era successo in Afghanistan, tutto ciò che aveva visto e che aveva fatto. Nel mondo esistevano ancora luoghi sicuri e lì dove si trovava, con Charlee tra le braccia, era uno dei migliori in assoluto.

image

La mattina seguente Ian non avrebbe voluto staccarsi da Charlee ma, da vero gentiluomo, pensò che fosse meglio lasciarla dormire fino a tardi e togliersi di torno prima del suo risveglio.

Si era fatto una doccia e rasato, poi aveva indossato un paio di pantaloni da corsa e una T-shirt. Aveva un bel po’ di energia accumulata da liberare, così pensò che una bella corsa l’avrebbe aiutato. Inoltre adorava correre sulla terra dei suoi genitori. Di solito la mattina presto, mentre il resto del mondo ancora dormiva, cominciava a correre sul vialetto pieno di curve e poi proseguiva lungo la strada alberata. Era quasi l’alba e si fermò in cucina per vedere se fosse avanzato del caffè nel bollitore.

«Ho appena bevuto l’ultimo rimasto» disse una voce proveniente dalla porta aperta sul patio.

Ian chiuse gli occhi. Suo padre. Aveva sperato di evitare ogni conversazione con lui, senza la madre a fare da cuscinetto.

«Stavo uscendo per andare a correre. Non starò via per molto.» Si diresse verso la porta che era l’unica via di fuga.

«Siediti.»

Suo padre aveva completamente ignorato che Ian avesse altri programmi. Stringendo i denti, Ian attraversò la porta che conduceva al patio e scelse una sedia. Tanto valeva togliersi il pensiero. «Tra poco tua madre verrà a fare il caffè.»

Questo gli bruciò come un insulto. «Se voglio del caffè me lo faccio da solo.» Suo padre scoppiò a ridere di gusto. «Giusto. Sei a tuo agio in cucina.»

«Volevi parlarmi di qualcosa?» Ian sentì accumulare la tensione dietro agli occhi, lo stesso punto dove probabilmente gli sarebbe scoppiato un bel mal di testa, se la conversazione fosse durata troppo.

Suo padre restò immobile per qualche istante e mentre la luce dell’alba cominciava a illuminare l’orizzonte, Ian riuscì a cogliere l’immagine di suo padre di primo mattino. Le ombre generate dal primo sole gli mettevano in risalto le rughe sul viso. Aveva le borse sotto gli occhi e le sfumature grigie dei capelli sulle tempie, sempre più bianche, stavano subentrando al colore scuro di quando era più giovane.

Ian deglutì. Per la prima volta in vita sua, vide la fragilità di suo padre.

«Allora, ho visto quella tua ragazza McKinley, la tua datrice di lavoro.» Il tono di queste ultime parole esprimeva una certa irritazione, tanto che Ian chiuse gli occhi.

«È graziosa, te lo concedo.»

Ian scelse di non replicare, per non rischiare di aggredirlo.

«Quel gruppo variegato di artisti, invece, è piuttosto bizzarro. Quel tizio indossa sempre un gonnellino?»

Ian, non avrebbe mai immaginato di dovere prendere le difese di King Edward e invece questa sarebbe stata già la seconda volta: prima con i tizi del bar, e adesso con suo padre. «È un kilt, papà.»

«Non stai pensando di indossarne uno anche tu, vero?» Thomas Carlisle tirò su con il naso.

«Qual è lo scopo di questa conversazione? Pensavo che volessi dirmi qualcosa.»

Per esempio, figlio mio, sono felice che tu sia tornato vivo a casa. Sono orgoglioso di come hai servito il nostro Paese. Ian ricacciò le parole in gola, perché tanto non le avrebbe mai sentite pronunciare dall’uomo che aveva davanti.

«Allora, questa storia del tuttofare ormai dura da diverse settimane, giusto?»

Ian si morse l’interno della guancia. «Già.» E improvvisamente si fece strada in lui la consapevolezza che la fine dell’estate avrebbe significato anche la fine del suo tempo con Charlee.

«Be’, io ho bisogno di te. So che tua sorella vuole presentarti ad alcune teste calde di Tulsa, ma io ho bisogno di te, qui.» Suo padre aveva intrecciato le mani in grembo. Per lui, dire queste cose doveva essere difficile, pensò Ian e in questo senso gli dispiaceva, ma… lui e suo padre che lavoravano insieme? No. Mai e poi mai.

«Scusa, papà.» Tentò di sembrare sincero e una parte infinitesimale del suo essere lo era. «Ma non è proprio il caso.»

Suo padre lo osservava con i suoi occhi azzurri, freddi come il ghiaccio. «Cosa stai dicendo? Tu sei tornato e io ho bisogno di aiuto. Finalmente sei a casa e l’esercito è riuscito in quello che io non ero stato capace di fare: a trasformarti in una persona diversa. Perché mai dovresti lavorare per qualcun altro, quando invece qui c’è un lavoro che ti aspetta?»

Ian fece un lungo respiro. «Credo che non riusciremmo più a lavorare bene insieme.» Non lo avevano neanche mai fatto, ma quando Ian era solo un ragazzo, prendeva gli insulti e teneva la bocca chiusa. «E poi che cosa significa che l’esercito è riuscito dove tu avevi fallito e cioè a trasformarmi in una persona diversa?»

Thomas si strofinò entrambe le mani sulle cosce. «Credo di avere fallito come padre. Sei partito che sembravi una ragazza vampiro e sei tornato a casa…» Sollevò una mano e indicò Ian.

Ian terminò la frase per lui. «Uomo.» Il suo tono tradiva ironia. Thomas lasciò ricadere la mano con un tonfo sordo.

«Allora, la questione riguarda solo te.» Ian sapeva che non avrebbe dovuto stupirsi dell’atteggiamento orgoglioso ed egoista di suo padre, ma la ferita gli bruciava comunque. «La questione riguarda il fatto che io finalmente sia diventato quello che tu avevi sempre desiderato e che finalmente tu possa andartene in giro a testa alta, perché il figliol prodigo si è deciso a buttare via l’eyeliner e ha recuperato il buonsenso.»

Alla parola eyeliner, suo padre si ritrasse. «Volevo soltanto offrirti un lavoro. Se invece preferisci continuare a essere il tuttofare di una comunità geriatrica per gente fuori di testa, accomodati pure.»

«Sono persone per bene. Tutte. E se potessi restare lì per sempre, a riparare lavandini che perdono e a sturare scarichi, sarei onorato di poterlo fare. Perché la vita non significa soltanto riuscire a trovare un buon lavoro o la giusta carriera. La vita significa persone, papà. Significa fare la differenza nelle loro vite, trovare il modo di aiutarli e di rendere loro onore.» Ian si alzò in piedi. «Qualcosa che tu non hai mai capito. E ho l’impressione che da queste parti le cose non siano cambiate.»

Anche suo padre si alzò in piedi, mentre la luce di quella stupenda mattina creava un alone intorno al suo viso. Sembrava ferito dalle sue parole, ma in quel preciso istante a Ian non importava per nulla. Voleva soltanto andarsene, lasciarlo lì, correre, perché se avesse corso mettendocela tutta e alla massima velocità, proprio come ai vecchi tempi, sarebbe riuscito a superare il dolore che suo padre gli procurava.

image

Per tutto il giorno, Ian si era sentito stranamente in preda al nervosismo. Quando Charlee gli chiese se stava bene, le sorrise, la baciò su una guancia e poi le disse che sarebbe andato a cercare sua sorella. I wedding planner stavano sistemando le sedie all’esterno, dove un bellissimo arco fiorito e una serie di altre decorazioni floreali delimitavano lo spazio riservato alla cerimonia. Ian andò a bussare alla porta di sua sorella. «Avanti» strillò lei, con voce un po’ troppo acuta.

Indossava un accappatoio bianco e appeso allo stipite della porta alle sue spalle c’era un voluminoso vestito bianco. Kristi Carlisle aveva due anni in meno di Ian. Le avevano pettinato e laccato i capelli, che le incorniciavano il viso con lunghi boccoli. Quando Ian si offrì di abbracciarla, lei ne fu ben felice e non si preoccupò minimamente della sua pettinatura.

«Nervosa?» le chiese.

Si staccò da lui e lo guardò negli occhi. «Immagino di sì. Sì. Non lo so.»

Lui fece una risata. «Tre risposte per una sola domanda, direi che sei decisamente nervosa.» Lei appoggiò una mano sottile e curata all’altezza dello stomaco. «Ho un po’ di nausea.»

«Hai fatto colazione?»

Kristi sbatté le palpebre e Ian vide che aveva le ciglia finte, cosa incomprensibile dato che Kristi aveva sempre avuto ciglia lunghe e folte, proprio come lui. «Non credo che riuscirei a mettere qualcosa nello stomaco.»

Lui le fece un mezzo sorriso. «Potrei prepararti delle crêpe

Le brillarono gli occhi, già scintillanti grazie a una perfetta pennellata di trucco dorato. «Con la panna acida?»

Lui si strinse nelle spalle. «Ma certo.»

Kristi si tolse la mano dallo stomaco. «Bene. Sto morendo di fame.»

Lui le strinse una spalla. «Adesso sì che ti riconosco. Avanti. È ancora abbastanza tranquillo in cucina. Mentre andiamo lì, puoi raccontarmi dei tuoi programmi per oggi.»

«Il ricevimento è alle tre. Sotto la grande tenda che hanno allestito di fianco alla casa. Sarà davvero stupendo.» Circondandole le spalle con un braccio, per darle il sostegno di cui aveva bisogno in quel momento, Ian ascoltò le sue chiacchiere sulla giornata. «Oh, grazie per Wynona. Ha tempestato di brillantini i segnaposti e decori vari: è una vera macchina da guerra. Sono venuti benissimo.»

«Ho una confessione da farti, sorella.» Ian si sporse verso di lei.

Kristi si fermò sull’ultimo scalino e sbatté le palpebre sui suoi enormi occhi. «Che cosa?»

«Gli artisti sono qui per altri motivi.» Ian si avvicinò ancora un po’. «Pensavano che mi servisse un po’ di sostegno morale, con papà, e anche perché Brenna è ospite qui.»

Kristi socchiuse i suoi grandi occhi, mentre un sorrisetto le faceva capolino agli angoli della bocca. «Charlee non è la tua ragazza, vero?»

Lui indietreggiò. Non sfuggiva mai nulla a Kristi.

Lei gli ficcò un dito nel petto. «Se lo fosse, sarebbe arrivata insieme a te. A quale ragazza non piacciono i matrimoni?»

Ian si strofinò una mano sul viso. «Lei non è come tutte le altre.»

Kristi scosse la testa, facendo ondeggiare i suoi lunghi riccioli. «Senza dubbio. E tu ti sei preso una bella cotta per lei. E allora dov’è il problema?»

Dov’era il problema? «Una storia finita male alle spalle. Credo che questo l’abbia distrutta.»

Kristi si strinse nelle spalle. «Ed è così sciocca da non capire che qualcosa di buono le bussa alla porta?»

Lui rise. «Sto cercando di andarci piano, capisci. Un passo per volta.»

«Ti ricordi quando da bambini andavamo a tuffarci in quello specchio d’acqua?»

«Quello circondato dalle rocce sporgenti?» Lo ricordava. Erano rocce sulle quali era possibile arrampicarsi, per poi tuffarsi in acqua da diverse altezze. Soltanto i più coraggiosi, però, arrivavano fino in cima.

«Sì» gli rispose.

«Non ti accontentasti di provare dalle rocce più basse, la prima volta che ti portai lì. Arrivasti subito fino in cima.»

Kristi scoppiò a ridere. «E lì mi bloccai. Ridevano tutti di me.»

«Tu fosti più coraggiosa della maggior parte di loro, anche solo per esserti arrampicata fino in cima.»

«Avevo cominciato a scendere, ma salisti tu. Non volevi permettermi di tirarmi indietro.» Allungò la mano e gli strinse la sua. «Ricordi quello che mi dicesti?»

Lui ricordò che voleva che lei saltasse. Se non lo avesse fatto subito, non lo avrebbe fatto mai più.

«Mi dicesti di saltare. Mi dicesti che il mio coraggio mi aspettava proprio lì, ai piedi delle rocce.»

Ian puntò l’indice verso se stesso. «Proprio un tipo in gamba.»

«E avevi ragione. Dopo quel salto non ho mai più avuto paura. Alla fine della giornata mi dicesti: “Bel lavoro, piccola. Avevo voglia di nuotare con mia sorella, oggi”.»

Ian alzò gli occhi al cielo. «Ma come fai a ricordarti queste cose?»

«Allora eri tu il mio eroe, Ian. Mio fratello maggiore e il mio eroe.»

Lui le diede un bacio sulla testa, incurante delle conseguenze per i suoi boccoli. «Avanti, adesso ti preparo una bella colazione.»

image

Ian era seduto in prima fila con Charlee al suo fianco. Lei era stupenda, con un vestito rosa pallido che le metteva in risalto la magnifica abbronzatura. Aveva i capelli sciolti e le labbra luccicavano, grazie a un generoso tocco di lucidalabbra rosa scuro. Da baciare. Ian sperò di averne la possibilità quello stesso giorno. Charlee accavallò le gambe e lo sfiorò. I tacchi alti facevano sembrare ancora più lunghe le sue gambe sensuali ed era una vera fortuna che dopo la cerimonia sarebbero rientrati a casa, perché Ian non pensava proprio di potere continuare a condividere la stessa camera e a comportarsi da gentiluomo. Lo spacco del vestito di Charlee lasciava scoperta una striscia di pelle nuda che pareva luccicare come le sue labbra, tanto che lui si chiese se fosse per via di qualche magica lozione glitterata.

Charlee si sporse verso di lui. «Mi stai fissando le gambe.»

«Davvero?» le disse con aria innocente, ma risultò solo ridicolo.

«Ehm, ehm.» Vide che lei cercava di non ridere.

Ian strinse gli occhi. «E a te, furbetta, non dispiace per nulla.»

Charlee riempì d’aria i polmoni gonfiando il petto, e accavallò di nuovo le gambe, lasciando che lo spacco si aprisse ancora di più, scoprendo le gambe.

Lui si sporse in avanti avvicinandosi a lei e le parlò all’orecchio con voce roca. «Sei fortunata a tornare a casa, questa sera. Ti garantisco che correresti un bel rischio a stare con me nella stessa camera.»

Questo le fece comparire due belle chiazze rosse sulle guance e a lui non sfuggì il cambiamento che quel pensiero aveva prodotto. Ian vide che Charlee evitava di guardarlo con quei suoi occhi grigio-argento e fu quasi certo che stesse ansimando un po’.

Dopo pochi istanti, però, i due si resero conto che qualcosa non andava per il verso giusto. Ian avvertì di nuovo quella sensazione di nervosismo quando, guardando dietro di sé, vide che i presenti cominciavano ad agitarsi. Guardò l’orologio. Venti minuti di ritardo. Non del tutto insolito, forse, salvo il fatto che avevano già fatto accomodare tutti e che la parte iniziale della cerimonia era terminata da un po’. A questo punto sarebbe dovuta iniziare la marcia nuziale.

«Secondo te che cosa sta succedendo?» sussurrò Charlee.

«Non so. Credo sia meglio che vada a vedere.» Si alzò dalla sedia e sgattaiolò fuori da un lato, sperando di passare inosservato.

Ian entrò in casa, dove trovò la madre che faceva la guardia davanti alla porta della biblioteca. Il suo viso era una maschera di orrore, pallida e spaventata. Ian corse da lei. «Mamma, cosa succede?»

«Se n’è andato. Allen. Lui… è arrivato di corsa e ha detto a Kristi che non era pronto per tutto questo e poi se n’è andato.»

Ian cercò di riordinare le idee. Era piuttosto difficile celebrare un matrimonio senza lo sposo. Si sentì stringere il cuore, pensando a Kristi. Indicò la porta. «È lì dentro da sola?» Certo che no, sua madre non l’avrebbe mai lasciata così.

«Voleva restare da sola. Mi ha chiesto di andarmene, di darle del tempo ma tuo padre si è barricato dentro con lei.»

Non fu necessario aggiungere altro. Ian passò accanto a sua madre e si precipitò nella stanza. Kristi era seduta sul bordo del grande divano di cuoio e la cornice formata dai suoi capelli perfetti contrastava con il viso gonfio di pianto. Il trucco si era sciolto e le aveva lasciato delle striature sulle guance. Suo padre si alzò e andò a guardare fuori dalla finestra.

Ian pensò che non sarebbe servito a molto dirle mi dispiace e così andò verso di lei, la fece alzare dal divano e la prese tra le braccia. Dopo qualche minuto, lei smise di piangere. «Che cosa posso fare per te, sorellina?»

Dietro di lui, suo padre si allontanò dalla finestra e andò verso di loro. «Dobbiamo mandare a casa tutta questa gente. Qualcuno dovrà informarli. Credo che sia compito mio.»

Kristi alzò gli occhi e lo sguardo che rivolse a Ian fu straziante. Era davvero distrutta. «Piccola, tu che cosa vuoi? Cosa vuoi che facciamo?» Ian conosceva sua sorella e sapeva che un semplice “tutti a casa” non era nel suo stile. «Tocca a te la decisione.» Immaginava che per lei fosse un po’ come trovarsi di nuovo sulle rocce sporgenti.

Kristi raccolse tutte le sue forze. Lui vide la determinazione farsi strada in lei dal modo in cui inclinava la testa da un lato e raddrizzava le spalle. «Tutta la nostra famiglia è qui. Alcuni di loro hanno viaggiato per più di venti ore.» Più parlava e più la sua voce acquisiva sicurezza. «Non se ne andrà nessuno. È tutto pronto per una festa stupenda. Non sprecheremo di certo l’occasione.»

Ian sorrise. Era orgoglioso di lei. Davvero molto orgoglioso di lei. Lanciò un’occhiata a suo padre. «Puoi informarli tu che il ricevimento è diventato una festa? E che tutti gli ospiti della sposa sono i benvenuti.»

Thomas Carlisle, con entrambe le mani in tasca, corrugò la fronte. «Io… certo che lo posso fare.» Gli occhi penetranti si posarono sulla figlia. «Sei sicura, tesoro mio?»

«Più che sicura.» Si mise una mano sulla bocca. «Oh, Ian, mi dispiace moltissimo, ma Allen se n’è andato via con suo cugino, quello che poteva offrirti un lavoro.»

Lui le strinse le mani tra le sue. «Kristi, in questo momento non me ne importa un bel niente.»

Lei gli fece un sorriso, con le ciglia finte che luccicavano mentre sbatteva le palpebre. «Sei il migliore fratello che si possa avere.»

Ian le asciugò le lacrime dalle guance. «Mettiti un vestito adatto a una festa, sorellina. Non ti permetterò di startene seduta qui tutta sola.»

Lei fece un respiro stanco. «Immagino che non lo faresti mai, vero?»

image

Ian fu sorpreso di come suo padre gestì la situazione. Spiegò che il matrimonio non ci sarebbe più stato e pregò tutti di non chiedere spiegazioni alla sposa. A volte capita di lasciarsi prendere dal panico e di ritrovare il buon senso solo in un secondo momento. Soltanto una parte dei loro parenti se ne andò insieme a quelli di Allen. I rimanenti si trasferirono sotto la grande tenda e Ian fu felice di scoprire che gli artisti si erano già dati da fare per rimuovere gran parte delle decorazioni nuziali. Attraversò il grande spazio tenendo Charlee per mano.

«Wynona si è procurata un secchio e l’ha riempito con le colombe e i centrotavola con le minuscole fedi d’oro» gli disse.

«Buona idea.» Ian portò alle labbra il dorso della sua mano e lo baciò.

«Adesso è comunque elegante, ma non più da matrimonio.» Girò su se stessa per poterlo guardare in faccia con gli occhi tristi. «Come sta tua sorella?»

«È forte. Ha preso gran parte della sua forza da nostra madre e quel tanto che basta dell’orgoglio e della testardaggine di nostro padre. Non accetterebbe mai di rovinare completamente la giornata.» Nonostante questo, il cuore di Ian soffriva per Kristi.

Quando l’orchestra cominciò a suonare, Ian rabbrividì. «Pensi che questi tizi riusciranno a suonare qualcosa che non sia musica da matrimonio?» Charlee si strinse nelle spalle.

Ian la lasciò lì e attraversò la pista da ballo. Charlee vide che lungo il percorso prendeva per un braccio alcuni tizi e li conduceva sul palco, dove avevano collocato l’orchestra. Pochi minuti dopo, tornò al suo fianco.

«Che cosa è successo?»

Ian li indicò. «Quello è mio zio Phil. Suona l’armonica. Quello è Roy, il basso, e laggiù c’è mio zio Jeb. È chitarra solista in un gruppo country, ma qui si è portato solo il banjo.»

«Suonano al posto dell’orchestra?»

Ian sorrise. «No, ma si uniscono a loro.» Charlee fece una faccia perplessa.

«Conoscono tutti la musica country, Charlee. Anche se non l’hanno studiata, sono comunque nati tutti in Oklahoma.»

Lei gli strinse il braccio. «Sei un genio.»

E si mise in punta di piedi, per dargli un bacio sulla guancia. I tavoli erano stati allineati ai lati della tenda e mentre Charlee premeva le sue labbra sulla guancia di Ian, vide Brenna seduta a uno dei tavoli. Nell’aria si era diffusa una canzone di Chris LeDoux. Quasi subito, l’ambiente un po’ soffocante da festa di matrimonio si vivacizzò grazie a tutti quelli che battevano i piedi a ritmo e si univano al canto.

Il peso del matrimonio annullato svanì. Nemmeno uno dei presenti si accorse che Kristi era entrata nella tenda, senza farsi notare, e si era seduta in un angolo a osservare la festa.

Ian lasciò Charlee per raggiungere sua madre e lei lo interpretò come un segno divino, un invito a cercare Brenna. La donna sedeva da sola, con le spalle incurvate e gli occhi persi nel vuoto. Charlee si voltò per vedere che cosa stesse guardando e notò che il fidanzato di Brenna passava più tempo al bar che al suo fianco. Per un rapido istante Charlee provò pena per lei, fino a quando le tornò in mente che Brenna aveva accettato l’ospitalità dei genitori di Ian.

«Posso sedermi con te?»

Brenna nascose il suo stupore dietro a un sorriso. «Ma certo.» E riprese a osservare il bar.

«Allora, hai conosciuto Ian durante la sua fase dark.»

Brenna sembrò sorpresa dal tentativo di fare conversazione, ma dopo una rapida occhiata a Charlee sembrò tranquillizzarsi. «Sì. È stato quello che mi ha attratto di lui.»

Caspita, non era questa la risposta che si aspettava. «Davvero?»

«Già. Desideravo un ragazzaccio, proprio così. Mio padre mi diceva sempre che sarei finita per stare con un fallito e io credo di avere pensato di trovarmene subito uno e di farci un giro.»

Accidenti. Charlee non riusciva a immaginare una situazione del genere. Suo padre si era aspettato così tanto da lei, che si era convinta che lo avrebbe deluso, a meno che non fosse diventata presidente degli Stati Uniti. Eppure lui non le avrebbe mai detto che sarebbe finita con un fallito.

«Ma Ian era molto più di quei suoi vestiti e capelli scuri.»

Brenna guardò in faccia Charlee e la tensione tra loro aumentava mentre discutevano dell’uomo che evidentemente aveva lasciato un segno profondo nella vita di entrambe. «Lui era, in una parola, semplicemente… perfetto.»

Perfetto. Una valutazione molto precisa. Charlee aveva l’impressione che Brenna ci tenesse ancora molto a lui, forse un po’ troppo per i suoi gusti. Non che lei potesse vantare dei diritti su Ian. Non poteva proprio, ma Charlee aveva la netta sensazione che, se non si fosse mossa, un bel giorno si sarebbe ritrovata seduta a un tavolo, da sola, a rimpiangere il passato. Inghiottì il groppo che aveva in gola.

«Che cosa è successo tra voi?» Non era riuscita a trattenersi. Non aveva alcun diritto di fare domande e nel suo cuore sentiva di non volere davvero sapere.

«Credo si possa dire che mi ha tradita. Una volta con una ragazza del liceo. Io lo avevo lasciato, ma non avevo avuto intenzione di farlo sul serio.» Alzò gli occhi al cielo. «Eravamo al liceo.»

Charlee si sentì comunque gelare il sangue nelle vene. «E la seconda volta?»

Brenna fece un lungo sospiro. «Non fu per via di un’altra, fu solo che lui non era lì per me quando ne avevo bisogno. Probabilmente la mia reazione fu esagerata. Ian è una persona leale, ma se lo lasci lo perdi per sempre. Non avrei dovuto gestire così male la situazione, ma le vecchie ferite… sai com’è.»

Sì, lo sapeva. Cercò con gli occhi Ian, sul lato opposto della grande tenda, e vide che si era appena avvicinato a sua sorella. Vecchie ferite. Nuove ferite. Tutte erano riuscite a mandare all’aria quello che avrebbe potuto essere. Se lei non avesse incontrato Richard e creduto alle sue bugie sul volere costruire una vita insieme a lei avrebbe provato sentimenti diversi nei confronti di Ian, ma era stato quel che era stato e l’esperienza aveva distrutto in lei ogni briciola di romanticismo.

Di fianco a lei sentì una voce che le diceva: «Sì, lo è».

Charlee si voltò a guardare Brenna. «Scusa, che cosa hai detto?»

Brenna fece una breve risata. «Ti stavo dando ragione. Hai detto “È una brava persona”.»

Charlee non si era accorta di averlo detto, pur pensandolo, e quando Ian tese la mano a sua sorella, Charlee si morse il labbro. Era davvero una brava persona.